Margherita Pusterla: Racconto storico - 18

--Contate, contate» insistette Ramengo, non tanto desideroso d'incantare
la noja coll'apprendere la storia d'Alpinolo, come intento a scavare dove
egli si trovasse, avendo per fermo che con lui sarebbe anche il Pusterla. E
chi dirà se quell'anima truce non meditasse anche di ricambiare
l'ospitalità del pescatore coll'accusarlo d'avere tenuto mano coi
ribelli e d'averli ricoverati? Purchè gli tornasse conto, purchè si
avvicinasse alla sua meta, che importavano all'ambizioso quelli che doveva
in sul cammino calpestare? Ma il mugnajo, sicuro dell'innocenza sua,
proseguiva:--Per rifarmi dunque da capo, vossignoria deve sapere che... un
pezzo fa... vogliono ben essere sedici o diciasette anni, n'è vero, Nena?
--Fate il vostro conto» rispondeva la moglie.--Sapete che allora io
aveva al petto il nostro Omobono che è qua.
--Appunto! or mi raccapezzo; sconta dall'anno che passarono di qua i
Fiorentini soldati, con tutte quelle croci segnate sulle spalle; e dicevano
che il papa per ogni milanese che ammazzassero, gli assolveva da un peccato
mortale».
Il buon uomo voleva dire dei crociati che, al tempo della guerra di Monza,
mossero contro de' Visconti sotto al cardinale legato. Ma Ramengo, ristucco
di tante digressioni quanto n'è il nostro lettore,--Facciamola un po'
corta», gridava risoluto.
--Or bene (seguitava il pescatore); diciott'anni fa, salvo errore, una
mattina appena l'alba, come è costume di noi molinaj, m'alzavo per
cacciare in alto il barcone: quand'ecco là basso, dove il fiume fa una
ritorta o un gorgo sotto agli ontani, vedo attraversato un barchetto, fatto
in tutt'altra foggia dai nostri, e nessuno che lo guidasse. Qualche
disgrazia, diss'io tra me; i barcaroli si saranno annegati. Corriamo a
tirarlo alla riva, se mai capitasse il padrone: se no, sarà legna per
st'inverno. Ma indovini mo?»
Qui Maso alzavasi sulla predella, e traendo la mano dalla giubba, la
sporgeva distesa verso Ramengo.
--Dentro v'era una donna con un bambino».
A queste parole, uno sbadiglio che errava sulle labbra di Ramengo, si
convertì in un Oh! e sentendosi tutto rimescolare, balzò in piedi di
scatto; l'attenzione sua cambiò di natura, e spalancò gli occhi
addosso il vecchio, il quale proseguì:--Una donna e un bambino; signor
sì: non c'è meraviglia che tenga: ma una donna vestita bene: n'è
vero, Nena? doveva essere di condizione: giovane, bella che non le dico
altro: e il bambino non finiva forse un mese. Ma l'uno e l'altro erano
bagnati, fradici, e inoltre morti.
--Morti?» urlò Ramengo.
--Morti: sì, signore» continuò Maso.--Io dissi: Bella pesca ho
fatt'oggi! Li trassi a riva; chiamai gente, li levammo fuori, li portammo
in casa, e qui mia moglie, che tiene della medichessa, si pose intorno a
loro ostinata di farli rivivere. Ma tutti li tenevamo per ispacciati;
pallidi, freddi, non polsi, non fiato: Che vuoi? le dicevamo, vuoi
rinnovare la risurrezione di Lazzaro? le dicevamo. Ma ella, questa buona
donna incapricciata che fossero vivi ancora, tanto fece e tanto, che li
vide ancora a respirare.
--Erano dunque vivi» interruppe Ramengo con viva impazienza.
E il pescatore:--Gnor sì, vivi, ma se non fu un miracolo questo, io per
me non credo neppur a quelli del santo di Padova. Il bambolo, appena
riavuto, si attaccò al seno della mia donna, e in poco tempo tornò
vispo e bello.
--L'avesse veduto!» entrava in mezzo la Nena.--Un bambino che pareva
pitturato: bianco, sodo, come di cera: certi occhietti da mangiarlo; dritto
come un fuso: e solamente aveva manco l'indice della mano sinistra.
--E si vedeva (interrompevala Maso) che gli era stato tagliato via: che'l
vi avesse qualche brutto male. Ma per seguitare, signoria.... o l'ho
ristucco con queste chiaccole?
--No, no, seguitate; ma presto; come andò a finire?» diceva Ramengo:
e se la stanza non fosse stata così buja, lo avrebbero veduto divenire a
tratto a tratto smorto e divampante, e il suo labbro e le sopracciglia
contrarsi e squassarsegli tutto il corpo in violenta convulsione. Maso
intanto, con quel misto di bonarietà e di rustichezza che distingue i
costumi campagnuoli ed insieme coi sentimenti generosi senza ostentazione,
che meglio si trovano quanto più basso si discende nella scala sociale,
proseguiva pacatamente:
--E sicchè... ma dove son restato? Ah si! ora mi raccapezzo. E sicchè
il bambino a vedere e non vedere si rifece sano e in tono. Ma colla madre
fu un altro cantare. Tornò sì in vita: quando aperse gli occhi si
guardava intorno e chiamava... un certo nome...., un nome bisbetico....
Nena, lo ripeschi tu quel nome?
--Diceva, Ramengo, mio Ramengo dove sei?
--Chiamava Ramengo?» tonò lo sconosciuto.
--Sicuro!» seguitava il pescatore.--Proprio Ramengo; non m'è uscito
mai di mente quel nome. La non sapeva dir altro: ed anche quando delirava
non faceva che ripeter quello, e....
--E qual altro? chiese il fellone, spalancando gli occhi incontro alla
nuova parola che aspettava.
--E diceva anche: Povero bambino, e molte altre volte, Caro, perchè non
vieni? tanto aspettarti? ma avesti paura, eh? Egli è burbero, ma è
buono» ed altre cose senza senso, perchè era fuori di sè. Già
del guarirla non ne fu nulla. Quel che la mia Nena le fece intorno non si
potrebbe mai dire.
--Oh bello!» ripigliava la donna con una compiacenza tutta ingenua.--Ho
fatto il mio dovere. Non siamo nati per volerci bene, per farci del bene
uno all'altro? Dico vero, signor forestiere? E poi, chi non avrebbe ajutato
quella povera creatura! A vederla si capiva ch'era fresca di parto: bella
che doveva essere stata un angelo: ma sfinita e tutta pesta, e guardava con
due occhi da ammansare una tigre».
Ramengo si scostava dal fuoco, e sciorinandosi e soffiando passeggiava pel
camerotto.
--Che, le fa caldo?» domandava Maso.--Pure badi che le fumano ancora gli
abiti indosso.
--Sì, sì» gridò questi con un tono dispettoso: ma finite
cotesta cantafavola, prima che vi venga un canchero nella lingua. Non so
come diavolo c'entrino queste bubule con quanto io vi ho domandato.
--Come c'entrino? bubule?» ripigliò il molinaro, un pocolino
meravigliato di quelli sbattimenti.--Ora lo sentirà. La donna dunque
andò di male in peggio. Entro quella barca, sole, acqua, fame, lo sa lei
sola ed il Signore quel che ha sofferto: e quando a riciso ce ne contava
alcuna cosa, bisognava piangere come ragazzi. Pure anche un cieco avrebbe
veduto che qualch'altra cosa le stava sul cuore, peggio che i patimenti del
corpo, una passione, ma di quelle! Perchè, appena si trovava in sè,
dava in pianti dirotti, e non c'era più via di farla parlare. Quando
vide il suo fantino riavuto, si fece serena come un occhio di pesce, lo
prese, lo baciò, il guardò fisa fisa: poi ricadde in delirio:--E l'ha
voluto ammazzare?... e non lo vedrà più... e non conoscerai nemmeno
tuo padre--e altre parole da vera delirante.
--Per venirne a una, costei è viva o morta?» saltò su Ramengo
impazientito.
--E Maso:--Vede quelle foglie, là, entro quel bugigattolo, con sopra un
po' di materassuccia? Sono il nostro letto, e quivi, potè ben farne la
mia Nena, ma quella poverina dopo pochi giorni spirò.
--E quando spirò (seguitava la Nena asciugandosi gli occhi col
grembiule) l'avesse vista! Mi stringeva le mani sode sode. Capivo ben io
quel che voleva dire! Voleva dirmi: Tenete da conto il mio bambino e...
--E voi che n'avete fatto?
--Che vuoi che ne facessi? lo allattai del mio petto, diventò
grandicello, e buono come il pane, ma vivo come un pesce e ardito come un
capriuolo, e stette al nostro mestiere, fin quando un signore, che aveva il
nome di quelli che comandano a Milano, il menò con sè, ed ora è il
signor Alpinolo.
--Ma chi fosse costei non ve lo disse? nol poteste sapere?» domandava
Ramengo con ombrosa curiosità.
--Mah» rispondeva la Nena.--Cosa non avrei dato per saperlo! Una donna
così gentile, un puttino così innocente, qual crepacuore pei loro
parenti d'averli perduti! E se io avessi potuto presentarmi ad essi, e
dire: Io so quel che n'è successo; la gioja loro mi sarebbe stata cara
un mezzo mondo.
--E conti poco il gusto di saperne la storia?» parlava Maso.--Perchè,
Dio buono! la doveva venire da lontano: che barche di quella generazione
sul Po, lo conosco tutto quanto è lungo, non ce ne vanno».
E la moglie ripigliava:--La storia sarà che suo marito un giorno
l'avrà menata a spasso: lui cascò nell'acqua; i fiumi erano
grossissimi, e la poveretta fu menata giù.
--Ah! sarà» rispondeva Maso dimenando il capo:--ma ti ricorda come
esclamava,--Perchè lo ferisci? quel coltello piantalo nel mio cuore!--Io
sarei piuttosto di credere che un qualche suo nemico l'abbia ridotta
così.
--E perchè avevano a lasciarla viva?» saltava dentro Omobono.
--Come sei materiale! per farla penare di più. Dei cattivi ce n'è di
molti, credilo a me che so del mondo; ed essi conoscono bene che il morire
è poco: ma il bevere la morte a sorsi a sorsi, come ha fatto questa
creatura...
--Oh, babbo mio, chi gli fosse bastato il cuore di far ciò, aveva ad
essere non un uomo, ma un demonio in carne e ossa».
Quali dovessero sonare a Ramengo tali discorsi, lo immagini il lettore.
Ai rimproveri della coscienza opponeva lo spietato gusto della vendetta,
più sentito ora che comprendeva quanto essa fosse stata atroce; ora che
la vedeva non finita ancora; e che senza saperlo, trovava d'aver già
contro il frutto del delitto, preparato nuove trame onde perderlo, e ciò
che più il dilettava, perderlo insieme coll'autore dei suoi giorni, e
d'un sol colpo sterminare quanto al mondo aveva di esecrato. Quindi, dopo
un breve silenzio, che i buoni villani aveano creduto di compassione,
addimandò:--E Alpinolo dov'è?
--Lo sa lei?» rispose il mugnajo, contraendo il capo fra le spalle.
Quattro o cinque settimane fa, una notte tardi tardi, eramo a letto, e
sentiamo un cavallo arrivare: fermasi: bussano:--Qualcuno, diss'io fra me,
al quale faccia male l'aria di qua del Po, e voglia passarlo. Mi affaccio,
domando.--Chi è?--Son io.--Chi io?--ed egli--Padre (perchè m'ha
sempre conservato questo nome), son Alpinolo: apritemi». Corsi io, corse
la Nena, corsero Omobono e Donnino; per tutti era una festa il suo arrivo.
Ripone il cavallo: entra... Se l'avesse visto! che cera! che occhi!--Al
figlio di mia madre non la si dà ad intendere, gli diss'io; te n'è
capitata una grossa: di' su: possiamo nulla per te? E lì mia moglie e i
miei figliuoli a confortarlo, ad esibirsi, a interrogarlo; non rispondeva;
stava come trasognato; poi scrollava il capo, pestava i piedi,
esclamando:--Infame! maledetto! E quella meschina? ed io dargli ascolto?--e
simili voci, da cui nulla si raccapezzava. Volevamo indurlo a mettersi a
letto con noi: non volle: ci pregò d'andar noi a dormire: ma era
possibile? sedemmo dunque sui sacchi di farina e sullo spento focolare:
egli stava appunto ove ora lei, colla testa fra le mani, così; e noi
attorno a guardarlo, a sospirare anche noi, finchè cominciò a farsi
giorno. Allora alzossi, passeggiò innanzi indietro, appoggiossi alla
spalletta dell'uscio, e stette intento all'alba che spuntava. Certo allora
gli rivenivano per la mente i giorni di sua fanciullezza, quando non era
che figliuolo di Maso, e correva spensierato e folleggiante con questi
altri a diguazzarsi nella rugiada. Eh! loro signorie hanno de' grandi
piaceri nel loro stato, ma non è poi tutto oro; e noi poveri abbiamo
anche noi i nostri, e meno scese di capo. Insomma è che Alpinolo parve
un tantin sollevato; ci chiese scusa, povero giovane! del dolore
cagionatoci la notte; che erano avvenute a Milano gravi disgrazie; cacciati
a prigione dei suoi più cari amici; che per lui non v'era pericolo, ma
andava per certe sue bisogne ad un luogo qui poco oltre, onde ci lasciava
il cavallo; e se mai tardasse oltre una settimana, era buon segno, e
vorrebbe dire che aveva preso altra strada, e il cavallo diventasse nostro
e i denari. Ci baciò tutti, e piangeva: e se n'andò; e dopo d'allora
l'ha visto lei?
--E dell'anello?» diede su la vecchia.
--Oh questo che cos'ha a che fare?
--Ha che fare moltissimo» riprendeva essa.--Conviene ben dire che gli
frullasse pel capo qualche fatto assai rischioso, se depose quelle robe che
mai non aveva divise da sè.
--Che robe sono?» domandò Ramengo. E il mugnajo, quasi per supplire
all'inettitudine di sua moglie che tartagliava nel cominciar il racconto,
proseguì:--Essa vuol dire che Alpinolo, già uscito di casa, fermossi,
pensò, esitò un tratto, poi si cavò dal seno un arnese e dal dito
un anello che sempre portava; baciò il tutto affettuosamente, e li diede
a mia moglie, dicendo: Custoditeli con ogni cura: è quanto or mi resta
di caro nel mondo: e replicò i pianti, tornò a baciarli, poi se ne
fuggì a precipizio.
--E cotesto arnese che cos'è» richiedeva il traditore.
--È tutta l'eredità di sua madre», gli replicava la Nena.
--Essa nelle ultime sue ore non faceva che baciarli e guardarli; poi mi
fece promettere gli avrei dati al bambino, perchè li portasse sempre, in
memoria, diceva, delle due persone che più di tutte, diceva, essa amò
al mondo. E sono, un anello di diamanti, e un borsellino con cuciti entro
due pezzetti di carta, due lettere, mi hanno detto.
--Due lettere?» proruppe con voce tonante Ramengo, i cui occhi gettavano
faville.--Due lettere di Rosalia? Ove sono? a me: voglio vederle: datemele:
presto: le voglio.
Quel tono imperioso, quel gridare, quel muoversi violento, parvero cosa
straordinaria alla rustica famiglia, che in muta ammirazione guardava al
forsennato, mille sospetti formando: ma poichè egli instava, la donna si
volse al marito e--Ch'io glieli mostri?»
Questi fe' spalluccie; ma l'altro replicava:--Sì, sì, datemeli: li
voglio, o vi mostrerò chi sono: porrò a soqquadro la casa: li
torrò per forza»; e tanto minacciò e promise, che la donna aprì
la cassapanca, e con occhio sospettoso rivoltasi a colui--Ma mi promette di
restituirmeli?»
Prima di rispondere, esso glieli aveva strappati di mano, e con un tremito
febbrile strinse Fanello:--era l'anello ch'egli avea dato alla Rosalia
quando la promise sposa. A guardarlo, che pensieri gli corsero alla mente,
che tempi si ricordò! Tempi d'amore, di pace; che avevano lampeggiato un
istante sul bujo dell'anima sua, come se una rosa germogliasse fra le
cocenti arene del Sahar. Colle dita tremanti fece un moto quasi volesse
avvicinarlo alle labbra, poi dispettoso lanciollo per terra. E mentre la
Nena premurosa ne seguiva il fosforico brillare fra le tenebre, e raccolto
lo riponeva, gli uomini con un silenzio pieno di aspettazione si fissavan
sopra quell'uomo, alla cui figura cresceva terrore la rossastra luce del
fuoco. Egli stracciava il sucido involto dell'amuleto, e svolgeva due brani
di pergamena, indi accostatosi ad un tizzone, leggeva tra sè:
_Poichè il destino della nostra patria è deciso, la abbandono, e vo
contro gl'infedeli. Solo m'affanna il discostarmi da te che sopra ogni cosa
amo. Cinque giorni rimango da queste parti. Se puoi eluder la vigilanza di
lui, fa ch'io possa una volta vederti, abbracciarti. Il valletto che ti
reca questo, doman sera tornerà per la risposta. Qualunque rischio a me
non parrà troppo per poterti dire a voce quanto ti ami il fratel tuo._
In quelle carte Ramengo cercava, voleva trovare il delitto, e scopriva
invece l'innocenza della Rosalia! Come intontito rimase alcun tempo sopra
quei caratteri; poi ripensando, svolse a furia l'altro viglietto:--Chi sa
che non trovi in esso quello che cerco?» ma era della medesima mano, e
vi stava scritto così:
_Tutti questi giorni aspettai il valletto, colla risposta;_ _nè l'un
nè l'altra arrivò. Che sarà? Parto dunque senza vederti, sorella
diletta, ma dovunque io sia, qualunque sorte m'attenda, te porterò
sempre in cuore, sempre il Cielo pregherò di concedere a te la
felicità, ch'io non devo conoscere più. Addio._
--Dunque ella era innocente!» proruppe Ramengo in un tono che fece
sbigottire tutta l'intenta famigliuola. Sorse furibondo, mugolando,
cosperso di bava, digrignava i denti, morsicò e fece a brani quei
viglietti, e cacciavasi le mani nei capegli, stracciandoli a ciocche. Gli
ospiti, ad uno spettacolo di cui nulla comprendevano, eransi tutti insieme
ristretti da un canto, e la donna si segnava dicendo:--Ch'e' sia
indemoniato?» Egli per la rozza cucina trascorreva a passi concitati,
ora bestemmiando, ora gridando con voce senza parole; poi d'un calcio
sfondò la porta e uscì. Era una notte fosca come i suoi pensieri; la
pioggia ingagliardita e tuoni e lampi l'accompagnavano; ma egli non vedeva,
non udiva la notte, l'acqua, il vento, il cielo malvagio. Donnino, che gli
tenne dietro così di lontan via, lo vide a gran passi traversare la
campagna, e poi ben tosto il perdette di vista, e tornando al casolare, ne
contava fra meraviglia e paura, le smanie, l'agitazione, esclamando:--Deve
aver le lune ben a rovescio».
Altro che lune! era un demonio, col quale in cuore Ramengo continuò
l'errante corso. L'aver ucciso una innocente ed a quel modo, sarebbe stato
ragione sufficiente per giustificare quel turbamento disperato in un animo
molto ribaldo. Ma nel suo non era commozione di pentimento, bensì una
foga di ire, di dispetti, poichè il tristo, non che indursi a dar torto
a sè medesimo, dai proprj peccati trae motivo di nuovi odj: vaso guasto,
ove sin la rugiada si corrompe; serpe, nel cui seno perfido il miele
diventa succo mortale. Quella donna egli l'aveva pure amata: aveva provato
le dolcezze dell'essere riamato, come si suole di cosa perduta, ne
rammentava tutti i pregi, nessuno dei difetti, il peccato in lei supposto
era scomparso. Ed egli l'aveva uccisa! Aveva privato sè dell'unica
incolpevole dolcezza che in vita sua gustasse mai!--Foss'ella vissuta, oh
come diversa sarebbe trascorsa la mia vita! Placido in grembo della
famiglia, padre di cari bamboli.... Padre! oh! essere padre! questa
consolazione l'ho libata, ma solo quanto bastasse per sentire più grave
la maledizione del non poterla provare mai più. Fosse ella vissuta; che
importerebbe a me questa superba di Margherita? che invidiar alle gioje del
Pusterla? E di tutte queste privazioni, chi fu la causa? se non il Pusterla
istesso? Maledetto! egli mesce il veleno nella mia tazza; egli appuntò
un coltello fra me ed il seno delle mia donna. Scellerato! S'ei non l'amava
perchè farne le mostre? perchè tentar di sedurre quell'angelo?
perchè, se non per farmi onta e dispetto?»
E stringendo il pugno, e stralunando gli occhi verso il cielo, scagliava
sopra di quell'innocente le imprecazioni più rabbiose e più
immeritate.--Se tu non fossi stato (proseguiva) sarei con onore vissuto tra
gli uomini, non trascinato sopra una via, per la quale ora mi è forza
camminare. Sì... è forza ch'io ne tocchi l'estremo; e se per tua
cagione perdetti i gaudj dell'amore, possa io almeno inebbriarmi in quelli
della vendetta! Rosalia! Rosalia! te lo giuro! ti vendicherò! ti
vendicherò!»
Così la conoscenza del suo delitto a nuovi delitti lo traeva;
somigliante a chi, nel terrore di un incendio, getta nuova esca al fuoco,
sperando di soffocarlo.
Taceva, seguitava, errando come una cosa pazza per la landa uliginosa,
affondandosi nelle pozze, saltando i fossati, poi si fermava, apriva il
pugno coi brani dei viglietti lacerati, che macchinalmente stringeva,
fissava su di essi gli occhi cristallini, dimenava il capo:--Ecco! essa gli
avrà baciati tante volte, vi avrà sparso sopra chi sa quante lagrime;
sarà morta premendoli al cuore, col nome di suo fratello sulle labbra,
mentre avrà traboccate l'ira e le maledizioni sopra colui che la
uccideva... Sopra lui, e non sopra quello che ne era la causa! Col latte
avrà stillato l'odio nel mio bambino, gli avrà insegnato ad
abborrirmi... Ma no! oh no! egli ignora l'autore dei suoi giorni, e spasima
di saperlo, per poter con lui comparire nella società, ed ottenere
quell'onore della cavalleria che gli fu negato, sol perchè d'ignota
razza. Certo lo cerca, e non sa che quel desso erasi posto sulle orme sue
per trarlo a rovina. Ma ora il troverò ben io, me gli paleserò: gli
dirò che son suo padre. Qual tripudio per lui aver trovato un padre!
come mi amerà! ed io amerò lui, compenserò lui dei torti fatti a
quella sciagurata; potrò ricomparire nel mondo tenendomi ai fianchi un
figliuolo, che sarà il mio decoro, il sostegno e la consolazione dei
miei vecchi giorni. Ma che? no! neppur questo mi sarà dato forse. Eccolo
involto nella malvagità del Pusterla. Perdio! avrà dunque il Pusterla
a presentarsi traverso a tutte le mie gioje, a tutte? essere causa sempre
dei miei tormenti? Maledizione sul capo di lui!»
E imperversava di nuovo: poi fermavasi a guardare la notte, ad ascoltar lo
scroscio dell'acqua, unica voce nel silenzio della campagna disabitata.
Quella campagna, quella notte un'altra gliene ricordava, un'altra in cui
aveva ricevuto dalla Margherita quell'affronto; un affronto che omai non si
poteva lavare se non col sangue. A tale rimembranza viepiù ribolliva il
suo furore; nell'istante che scopriva il proprio misfatto e la innocenza
dell'uccisa e del perseguitato, invece di pentimento, concepiva i più
atroci disegni di vendetta.
Pure tra quell'inferno gli tornava innanzi giocondo il pensiero del sapersi
padre! padre di un figlio che, ignorando l'antica sua colpa, l'avrebbe
amato come quello che gli porgeva il modo di collocarsi con onore nella
società; sostituendo così sempre il calcolo al sentimento, come uomo
avvezzo a non vedere negli uomini che mezzi od ostacoli al salire. E quel
figlio era lì vicino; e forse coll'alba poteva vederlo; forse tornando
nel casolare vel troverebbe. Appena dunque la nuova luce gli lasciò
distinguere gli oggetti circostanti, s'avviò per rintracciare la strada.
Molto era corso quella notte, l'acquazzone aveva cancellato ogni sentiero,
ogni pedata per la selvaggia lama; pure il muggito del fiume si udiva,
dietro al quale dirigendosi, arrivò dopo lungo cammino, alle sue rive,
secondando le quali distinse finalmente la baracca de' mulinai. Vi si
accostò come uomo che va ad intender la sentenza di sua vita o di sua
morte, entrò, ed alla Nena, che stava accosciata al fuoco, e che tutta
si risentì al vederlo, chiese:--È tornato?
--Chi?» domandò ella.
--Chi! chi! Alpinolo.
--Signor no... ho gran paura... Dio nol voglia, ma qualche disgrazia deve
certo essergli accaduta. Un animo me lo fischia all'orecchio. Povero
giovane!»
E fra il così dire, dava pure qualche sguardo sospettoso e di sottecchi
a quell'ignoto, ripensando in che gran bestia l'avea veduto la sera
antecedente. Egli fece sellare il cavallo, e se n'andò, lasciando detto
che, se mai Alpinolo capitasse, ad ogni patto il ritenessero finchè egli
tornasse, importandogli come la vita di parlargli. Quel giorno, il domani,
e i seguenti vagò alla ventura, secondo che il capriccio, il caso, il
cavallo, qualche idea, qualche superstizione lo portassero: fermavasi in un
paese senza un perchè, camminava, tornava indietro, finchè ricapitava
pur sempre al mulino. Quivi il suo giungere turbava la vita ingenuamente
spensierata di quella buona gente, che ricordandosi quelle furie, avrebbero
visto meno male il traboccare del Po.--Fosse almeno la febbre costui
(talvolta diceva la Nena) che con una messa a san Sigismondo me ne
libererei». E qualche altra:--Fin Giuda a casa del diavolo trova riposo
la domenica: ma per costui non c'è festa che tenga».
Così colla testa ingombra di pregiudizj e col miglior cuore del mondo,
non sapeva perchè, ma non poteva tollerare quell'uomo:--E neppure il
nostro cagnuolo (soggiungeva) si è potuto mai assuefare a vederlo senza
guaire come se lo pelassero».
Ma poichè per gli importuni ci vuol meglio che augurj e imprecazioni,
Ramengo tornava sempre, assiduo come un creditore; la prima domanda che
faceva era sempre di Alpinolo se fosse comparso; la risposta era sempre il
medesimo no.

CAPITOLO XIV.
PISA

Perduta ormai la speranza di rivedere Alpinolo, certo che, dovunque fosse,
costui ne avrebbe fatte di tali da lasciarsi scoprire anche troppo. Ramengo
andava tra sè pensando ove rintracciario; giacchè il desiderio di
scoprire un figlio lo faceva disviare dalla pesta che fin la aveva
ansiosamente fiutata. In una delle sue corse alla ventura, mentre
costeggiava il Po, ascoltò di sotto un macchione uscire un fischio come
d'uomo che chiami: s'accosta: era un barchettajuolo, il quale sommessamente
gli chiese:--Vuol forse passare, signor cavaliere?
--Perchè cotesta domanda?
--Oh la si lasci servire. Conosco ai panni ch'ell'è un milanese. Se n'ho
passati queste settimane!»
Tali parole diedero la spinta all'irresoluta volontà di Ramengo, il
quale risposto un sì piuttosto agl'interni suoi ragionamenti che
all'inchiesta del barcaruolo, calossi, fece allogare il cavallo nel
barchetto: poi mentre il rematore faceva forza vogando e tagliando
obbliquamente il filone del fiume, il ribaldo, intento a scalzare, gli
domandava dei passeggieri, degli abiti loro, dei discorsi, del dove si
dirigessero: poi l'interrogò se fra quelli aveva veduto un bel fante
così e così, dipingendo Alpinolo.
--Eh eh! (rispondeva il remigante) se dovessi averli a mente tutti. L'è
stato un via vai! Però... quel che mi descrive mi pare di averlo veduto
sì: un uomo così fra i trenta e i trentacinque...
--No, no: meno: neppur venti; capelli neri...
--Appunto: or mi raccapezzo: occhi grigi, bassotto, tarchiato...
--Anzi, occhi neri: alto tanto più di me; ben tagliato in tutte le
membra:--impossibile vederlo e non ricordarsene.
--Uh! tanti asini si somigliano».
Capì Ramengo che l'uomo era tanto gonzo, tanto occupato del mestier suo,
da non poterne succhiellar nulla: onde giunto all'altra riva, scarsamente
regalatolo, si mise alla ventura, perchè l'unica indicazione datagli dal
navalestro fu che quei profughi erano _andati di là_. Varcò ancora da
luogo a luogo, richiedendo da per tutto, e da per tutto udendosi rispondere
che Milanesi di fatto, se n'eran veduti molti, ma niuno sapeva ridire chi
fossero, dove si dirizzassero: al più conoscevasi che andavano fuori via
dalla patria per la tirannide di Luchino.
Ma altri tiranni egli vide dominare per le varie città di Romagna: a
Rimini i Malatesta, gli Ordelaffi a Forli, a Faenza Francesco di Manfredi,
i Polenta a Ravenna: Roma lamentavasi vedova, dopo che i papi, tramutandosi
in Avignone, l'avevano abbandonata alla tirannide di que' suoi baroni,
contro dei quali doveva pochi anni dopo, sollevare generosa ed impotente la
voce Cola Rienzi: Bologna riceveva vita e splendore da forse quindicimila
Italiani e Tedeschi, studianti sulla sua Università, la quale fino
d'allora procacciavale il titolo di _dotta_ che conservò sin qua, come
conservò nello stemma la parola LIBERTAS, quantunque già in quei
tempi si fosse ai papi assoggettata. Valicando poi l'Apennino, Ramengo si
calò nel bel paese toscano.
Quivi la libertà era con maggior gelosia custodita, quanto a peggiori
abusi vedeansi rompere i signorotti di Romagna e di Lombardia: tutte le
terre difendevano acremente le loro franchigie, ed abborrivano il governo
d'un solo. Ma come sperare che una fanciulla si conservi innocente fra
bordellieri e femmine da conio? Quei tristi vicini se ancora non osavano
attentare direttamente alla libertà dei Toscani, se ne preparavano la
via col romperli, e col fomentarvi i mali umori. Sotto pertanto a
quest'infame influenza, le nimicizie cittadine ivi peggio che altrove
imperversavano: e i nomi di Guelfi e Ghibellini, che negli altri paesi
avevano quasi perduto la significazione, mantenevano quivi una tenace
vitalità. Ghibelline erano Pisa ed Arezzo; guelfe Pistoja, Prato,
Volterra, Samminiato, Siena, Perugia e principalmente Firenze; talchè,
invece di maturare un concorde sentimento di nazionalità, dal quale
soltanto potevano sperare frutti per l'avvenire, combattevansi e
contrariavansi l'una l'altra; patria riguardavano l'angolo dove ciascuno
era nato: forestieri ed avversarj tutti quelli d'altra terra, tanto più