Margherita Pusterla: Racconto storico - 16
tirannia, che appunto per essere l'ultimo, pesa più grave, come più
immediato, e perchè chi lo occupa vuole sopra i suoi dipendenti
vendicarsi delle umiliazioni che soffre dai superiori, e si attribuirebbe a
colpa la pietà, se pietà mai potesse germogliare in gente che
s'induce a guadagnare un pane sui martirj altrui.--Dico allora, quando la
malata e pietosa fantasia di Silvio Pellico non aveva ancora creato di
pianta lo Schiller e la Zanze.
Il custode della Margherita, a vederlo, era un coso lungo lungo e badiale,
colla pelle tutta chiazzata e a mascherizzi, occhi guerci e suffornati in
archi di ciglia setolose, capelli rossastri spartiti in sulla fronte, e
tirati giù come una cornice barocca attorno a quel poco viso che
lasciava discoperto una folta e sudicia barbaccia, da mettere nausea e
spavento. Nasceva egli dalla valle d'Imagna nel Bergamasco; e i suoi buoni
compatriotti supplivano allora, come anche oggidì, alla scarsezza del
terreno col lavorar al tornio l'acero e il faggio delle loro selve in
palle, mestole, taglieri, truogoli, zipoli e siffatti, che poi scendono a
spacciare a Bergamo o a Milano. Anch'egli era stato dirizzato su quell'arte
del mestolajo, come suo padre, come suo nonno, e il padre e il nonno del
suo nonno; ma diverso in tutto da loro, sin da giovinetto gli era stato
mutato il proprio nome di Macaruffo in quello di Lasagnone, perchè non
sapeva piegar la schiena, e la poca fatica gli era una sanità. Cambiò
mestiere più volte, ma senza trovar mai basto che gli entrasse; e
dicendosela assai meglio colle mezzine che collo scalpello e col tornio,
stavasi tutta la giornata indarno, mangiando il pane a tradimento.
Accoppiando così l'abborrimento al lavoro colla insofferenza della
povertà e colla leccornia più triviale, avrebbe rinnovato il misfatto
di Giuda per buscar denaro e golerie col minor lavoro. La sua gioventù
fu infamata di sozze e vili cattività fra' suoi valligiani, i quali
solevano dire che esso contraffaceva a tutti i comandamenti del decalogo,
eccetto quello del non lavorar la festa. Sperando che questa dovesse
rimettergli il senno, gli diedero moglie; ma un bel giorno e' la piantò
con un figiuolo in braccio e un altro nel ventre, a buscarsi il tozzo come
potesse, od a basir di fame; egli calossi alla pianura, e mescolatosi ai
Giorgi, si buttò alla strada. Neppur tanto coraggioso per riuscir bene
nella scelleraggine, poco andò che il capitano Lucio se l'ebbe nelle
branche.
Ma questa, soleva egli dire, fu la sua fortuna. Perocchè, facendosi
rapportatore degli antichi suoi camerata e dei malandrini che gli erano
dati compagni nella prigione, acquistò tanta grazia presso il capitano
di giustizia, che tolto di là, mercè due sode braccia, un muso duro e
un cuore più duro ancora, fu destinato prima per aguzzino, poi per
carceriere nella torretta di porta Romana. Superbo coi sofferenti perchè
vile coi superiori, sapeva che col ceffo e coi modi avrebbe sgomentato
quelli, mentre a questi per nessuna cosa del mondo avrebbe osato dire un
no.
Nei primi giorni che la Margherita si trovò nella costui balìa, per
procurarsi quelle prime necessità che il suo stato portava, ella dovette
cedergli a poco a poco ogni superfluo che le fosse rimasto addosso; nè
esso le concedette requie finchè non la ebbe ridotta al più positivo
e indispensabile vestire. Colla sommessione dell'agnello che lambisce la
mano di colui che lo scanna, essa gli parlava: ma quello, burbero sempre,
sardonico, stizzoso, rispondeva, la proverbiava, sghignazzava. Essa gli
ragionò di compassione, nè tampoco il nome ei ne conosceva. Essa gli
ragionò di Dio: ei sapeva che vi era, gli recitava per abitudine le
devozioni, da sua madre insegnategli, ma non andava più in là, e
nemmanco figuratasi che questa credenza dovesse modificare le sue azioni, e
tanto meno fargli tradire l'obbligo del suo mestiere, che credeva quello di
essere spietato.
Per quanto deva patirne la _storica dignità_, non voglio tacere questa
circostanza minutissima. Una volta (fu sui primi di maggio) Lasagnone
entrò nel carcere di lei con una bella rosa fra l'orecchio e le tempia.
Un fiore, quel fresco colorito, quella rugiadosa fragranza, dovettero
suscitare mille care idee nella Margherita, che mossa da innocente
desiderio, con affettuosa commozione additando la rosa, disse al
carceriere:--Donatela a me.
--Ah sì? La vi piace, eh? rispose il villanzone; pigliò fra le dita
la rosa, la annusò sgarbatamente, mostrò porgerla alla meschina; poi
ritirandola di scatto e sfogliatala, la gettò per la finestra, e
sghignazzando come di un lepido fatto, se ne andò.
Che caso da' nulla, non è vero? finalmente non si trattava di pane, non
d'altra necessità; eppure, che volete? alla Margherita fece tanto colpo,
e tanto se ne ricordò, che quando una volta potè sfogarsi con un
confidente, gli ripetè questo a preferenza di cento altri torti.
--Lesto, lesto, Lasagnone, che ti chiama il sor padrone intonò
Grillincervello, sporgendo la testa rasa da un finestruolo al lungo
corridojo delle prigioni, e ritraendolo presto e fuggendo come fa un lupo
dal luogo dove altre volte restò preso alla tagliuola.
--Me? domandò Macaruffo tra meravigliato e pauroso: ma non ricevendo
risposta, fretta fretta gettò via un suo abituale saltambarco sdruscito
e bisunto, infilò un cappotto marrone alquanto migliore, si tirò
sulle orecchie un berretto rosso, diede una girata a tutte le prigioni se
fossero ben assicurati i chiavacci: e messosi in cintura a sinistra un
grosso coltellaccio, a destra il mazzo delle chiavi, uscì frettoloso.
Passò davanti a San Nazaro, lasciò a destra il lago artificiale
presso al luogo ove sorge l'Ospedale, e di cui serbano memoria le vie di
Pantano e di Poslaghetto e venne a San Giovanni in Conca. Fin qui
stendevasi il palazzo, o piuttosto l'aggregato dei palazzi dei Visconti; e
Luchino stava continuandone la fabbrica con quattro grandi torri ai canti,
e dentro ogni migliore comodità. Nel tornare quivi era scavalcato il
principe: dato un'occhiata alle costruzioni, censurato, lodato, ordinato
siccome dee fare un padrone; quindi per un corridojo coperto, largo dieci e
più braccia, e che accavalciava i tetti, era venuto fino alla Corte, ed
entrato nelle splendide sale.
Poco tardò a sopraggiungere Macaruffo, e lasciandosi dietro quelli che
non avevano se non da esporre al principe i loro bisogni o domandargli la
giustizia, fu introdotto da Grillincervello, il quale, con un fare tra
goffo e maligno, scotendo i sonagliuzzi, imitava il rovistio delle chiavi,
che tintinnivano ad ogni passo del montanaro. E poichè questi, col
berretto in mano, rannicchiato presso allo stipite della porta, faceva
grandi inchini, grande strisciar di piedi, il buffone forbottandolo gli
diceva:--Bada, frusto villano, che non mi stracci il tappeto: vien di
Damasco, e me lo pagheresti con altrettanto della tua pelle».
Luchino, senza guardare in viso al carceriere, domandò:--Che fa la
signora Margherita Pusterla?
--Oh!... magnifico.... serenissimo.... Oh signor principe! la sta da papa
rispondeva l'altro.--Nessuno che le torca un capello. Non trae mai fiato di
lamento. E poi le domandi, e sentirà.
--Ma di me che dice?» richiese il Visconti.
--Dice... cioè... oh serenissimo... oh magnifico...» e seguitava
questa litania, non tanto per adulazione, quanto perchè non sapeva che
cosa rispondere; onde corrugava la fronte, e fissava due occhi stupidamente
indagatori in faccia al padrone, come per leggervi se dovea rispondere che
lo bestemmiasse, ovvero che lo benedicesse. Ma leggere sul freddo e
impassibile viso di Luchino, era impresa difficile anche ad occhi molto
più aguzzi de' costui; laonde imbarazzato egli cagliava. Se non che lo
trasse di pena Grillincervello dicendo:--Su, parla: che? hai tu veduto il
lupo? Scommetto la mia marotta d'argento che essa ne ragiona col miele
sulle labbra: n'è vero?
--Appunto (parlava il carceriere): non sa finire di lodare la sua
beneficenza che le ha dato sì vistoso alloggio.
--E sicuro dai ladri», interrompeva il buffone.
--E che la fa trattare come neanche a casa sua».
Qui il bergamasco taceva, seguitando a confermare l'asserito cogli atti del
viso e con premer la mano sul petto, e Grillincervello saltava su:--Non lo
sapeva io? Padrone, tu puoi quando che sia licenziare il tuo Andalon del
Nero, e nominare me per astrologo serenissimo. Egli pronostica dalle
stelle, io dal mio can barbone, che più gliene appoggio di sode, e
più mi corre a leccar la mano».
Luchino fece un moto delle labbra che somigliava a un sorriso; poi voltosi
al carceriere,--Da qui innanzi però trattala meglio, ed ogni mezzodì
vieni a levare alla nostra cucina un piatto da recarle».
Poi, al tempo stesso che, alzando la mano, gli accennava d'andarsene,
soggiunse:--E le dirai che il principe si ricorda di lei».
--Carità pelosa» mormorò il buffone. Il carceriere spalancava
tanto d'occhi, corrugava la fronte, rotondava la bocca dalla meraviglia, e
pensava fra sè:--Trattar bene un prigioniero! Ch'e' voglia morire?»
Poi, moltiplicando le riverenze profonde fino a terra, dava indietro per
uscir a modo dei gamberi, allorchè Grillincervello, dopo una sonora
risata, ghermitolo per un braccio, e col dito dell'altra mano accennandolo
a Luchino, disse:--Lasagnone meriterebbe il suo nome in superlativo se di
quel piatto non ungesse la sua golaccia, ed a voi non desse ad intendere
che madonna ne viene grassa, e che ve ne sa gran mercè.
--Potrebbe fargli (ripigliò con fiera ilarità il Visconti), potrebbe
fargli il pro che ha fatto jeri la lepre a quell'altro».
Bisogna sapere che il giorno innanzi era stato côlto uno sciagurato, il
quale aveva avuto l'imperdonabile ardimento di uccidere un lepratto: ed il
principe freddamente aveva sentenziato che il delinquente mangiasse quella
bestia così cruda, con ossa e pelle e tutto, come dovette fare, e in
conseguenza crepare.
Grillincervello intese l'allusione, ed esclamando:--Dio salvi i cani da
tali bocconi!» accompagnò con un calcio Macaruffo, il quale tra i
denti augurava che il desinare diventasse tanto tossico al linguacciuto
beffardo, perchè gli avesse sturbato il disegno che aveva già fatto
sopra la vivanda della cucina principesca.
CAPITOLO XII.
PEGGIORAMENTO.
Il giorno dappoi, all'ora che Lasagnone soleva portare alla Margherita una
pagnotta, una scodella di zuppa ed una brocca d'acqua, le comparve dinanzi
con volto più mansueto, a somiglianza d'un orso quando fa cerimonie.
Obbediva egli così a colui, al quale egualmente avrebbe obbedito se gli
avesse comandato,--Lasciala consumare di fame». E poichè le ebbe
deposto per terra il vaso dell'acqua e accomodata la scarsa prebenda, a
guisa di chi vuol mettere in sapore di cosa inaspettata, diceva:--Qui poi,
ci ho un lacchezzo per vossignoria»; nel mentre che pian pianino, sto
per dire con devozione, veniva rialzando i lembi di un tovagliuolo, di
sotto al quale comparve un fragrante manicaretto. Tirò il fiato per le
narici colui, come un segugio che fiuti il sito del selvatico, e mettendosi
la mano sul cuore, esclamò:--Oh buono!» poi deponendolo avanti alla
sventurata, che, a quei garbi così insoliti e così goffi, a quella
voce così stranamente indolcita, così forzatamente cortese, apriva la
fisonomia ad un malinconico sorriso,--Questo (le soggiunse) glielo manda
l'illustrissimo signor Luchino: padrone nostro e di tutta Milano; e dice
che glielo manderà tutti i giorni, dice; e che vuole sia trattata sempre
da par sua: e dice che si ricorda di lei».
Questo cambiamento in meglio recò tutt'altro che conforto alla
Margherita. Come succede al giusto conculcato dal prepotente, ella
sentivasi di gran tratto superiore al suo nemico; e a guisa di una molla
d'acciajo, più era calcata, più con vigore rimbalzava. Oggi però
che ne riceveva una cortesia, e pur troppo non poteva recarsi a crederla da
pietà o dalla acquistata certezza dell'innocenza sua, ma dovervisi
celare qualche insidia; oggi le si apriva dinanzi all'immaginazione
un'altra serie di patimenti e martirj nuovi che le sovrastavano. Quindi,
allorchè il carceriere le fissava gli occhi guerci in faccia, aspettando
di vederla tripudiare dall'allegrezza, un profondo sospiro mandò ella
invece dal petto, e sollevando lo sguardo gonfio di lagrime al cielo,
esclamò:--A voi mi raccomando».
Era corso il suo pensiero alla madre del bell'Amore: a lei si era votata
contro i preveduti assalti. Si ricordò quando, bambina, le insegnavano
ad offrire un fiore a Maria Vergine coll'astenersi, in certi giorni più
devoti, da qualche vivanda che le facesse gola; buon avviamento a quelle
abnegazioni che, in troppo più gravi cose, deve poi nella vita fare per
forza chi non vi si abituò per virtù. Anche allora dunque voltasi
Margherita a Macaruffo, e colla destra lievemente respingendo il tagliere
ch'ei le sporgeva:--No (disse), no. Vedete? coteste delicatezze a me non
s'addicono. Per reggere la vita n'ho assai di questo pane e di questa
zuppa. Trovate di grazia un poveretto--qualche infermo che conosciate
più bisognoso; dategli questo piatto, e raccomandategli che preghi per
me.
--Come? la non lo vuole?» esclamava il carceriere, fuori di sè tra
per lo stupore e per la fiducia di farne suo pro: e colla più tepida
insistenza, che ingegnavasi di fare apparire sincera, ripeteva:--Senta,
senta!» e annusava la pietanza e l'avanzava verso di lei:--Senta
fragranza! È un pasticcino di beccafichi da serbatojo, tutti sugna. Ah
buono! Un boccone da tornar il gusto a un morto.
--Tanto meglio (replicava la Margherita) quel poveretto lo mangierà
più volentieri.
--Ma... a... a...!» riprendeva Lasagnone assumendo un'aria seria e
contrita.--Il signor principe ha ordinato di darlo a lei, o sarebbero guaj.
M'ha fatto una minaccia che... il Signore me ne scampi!
--Il principe non lo saprà. Io l'ho per accettato; fate conto che
l'abbia goduto io: e destinatelo, vi prego, all'uso che vi ho detto.
--Deh che buon principe eh?» soggiungeva Macaruffo, pur collo sguardo
incantato sopra la vivanda.--Ella può veramente chiamarsi fortunata
d'essere nelle sue mani. Pare fino che abbia compassione di lei».
La Margherita chinava la testa, e colui seguitava:--Dunque darlo proprio ad
un pitocco.
--Si, e che preghi per coloro che soffrono, ed anche per coloro che fanno
soffrire.
--Buon pranzo a vossignoria», esclamò Macaruffo, traendosi il
berretto con un'insolita gratitudine, e tiratosi dietro l'uscio, se
n'andò contento che non gli parea vero; e non era disceso da metà la
scala, che si sedette, e postosi quel leccume sovra le gambe incrociate, si
diede ad ingojarlo con avidità, nell'estasi di tutta la sua ingordigia
lamentandosi che fosse poco, e leccandosi le dita, le labbra, i barbigi, il
piatto: invidiando quasi all'aria gli effluvj che gliene avea rapiti.
Il giorno da poi narrò alla meschina d'averlo dato ad un mendicante.--Se
l'avesse veduto! sciancato, lebbroso, che non lo guarirebbe l'arcivescovo
il dì delle palme [21]; non poteva reggersi sulle gambe, e ogni po' che
io tardassi, e' cascava certamente di pura fame. Con che gola ricevette il
suo dono! Aveva ad essere qualche cosa di ghiotto, io credo: Bocconi di
quella fatta non ne pappano nemmeno i pitocchi. Fu certo la sua vita. E sa?
egli ha mandato una furia di benedizioni addosso a lei, ai suoi vivi ed ai
suoi morti».
Era questo uno di quegli esordj _per insinuationem_, che in retorica
c'insegnavano, giacchè alla conclusione di esso, discoprì e le
presentò un altro intingolo, che, giusta il comando, egli era stato a
prendere dalla cucina di Corte.
--Bene! (disse la Margherita) lodato il Signore che, anche in questo stato,
mi presenta il modo di soccorrere i miei poveri fratelli! Ed oggi abbiate
la compiacenza di fare altrettanto con quest'altro.
--Come? anche oggi?» saltò su il carceriere, fingendo meraviglia di
quel che già aveva per lo meno sperato.
--Sì (ripetè la signora); anche oggi.
--E anche domani?
--Anche domani, e così l'altro, e finchè me ne manderanno.
--Ma (replicava il ghiotto), se egli, se il signor principe le domandasse,
che cosa gli risponderà? Non vorrei che credesse...
--Gli dirò che l'ho sempre ricevuto.
--E che lo ringrazia, n'è vero?»
Così tutto a pasto uscì il leccarde, cantarellando sommessamente--Di
peggio non capiti».
Ma domandandole che cosa avrebbe risposto al principe interrogata, egli
avea fatto rabbrividire Margherita, la quale presentiva che dovrebbe
trovarsi faccia a faccia col suo persecutore. Nè quella paura tardò a
verificarsi. Pochi giorni dopo, Luchino, girando da quelle parti con un
codazzo di soldataglia e di cortigiani, si volse di tratto al suo buffone
dicendogli:
--Grillincervello, vogliamo noi fare una visita a madonna Pusterla?
--Questa volta non ci sarà pericolo che madonna colei la troviate
partita», rispose il buffone.
Rinfrescavano queste parole al principe una memoria spiacevole se altra
mai, onde, a guisa d'un mastino traditore, che repente si volge a morsicare
la mano da cui lasciavasi quietamente palpeggiare, digrignò i denti
stizzito, e vibrò la mazza contro il motteggiatore insolente. Il quale
fu destro a schivarne il colpo, e cacciandosi fra la turba esclamava
guajolando:--S'e' mi coglieva, poveri i grilli del mio cervello!» Poi
Luchino toccò di sprone il cavallo, e s'avviò alla rocchetta. Al suo
venire, si cala il ponte, guardie gridano, guardie accorrono, un ossequio
universale, un pendere attenti ad ogni suo cenno;--e tutto questo
perchè? perchè egli ha nome il padrone...
Gonfio di tanti omaggi, ebbro dell'universale obbedienza, della
vigliaccheria universale, entra, scavalca verso un appartamento che egli
avea fatto allestire onde in ogni caso potervisi, come in luogo più
sicuro, riparare da una prima furiata del popolo; e lasciata
nell'anticamera la comitiva, come fu in una stanza interna, mentre un
paggio gli sfibbiava l'armatura, ordinò al carceriere che portasse
colà la signora Margherita.
Lesto Macaruffo fece sonare un mazzo di chiavi; orribile armonia, onde
tutta si risentì la nostra infelice, tanto più quando in quell'ora
straordinaria l'intese drizzarsi verso la sua prigione ed aprirla. In fatto
egli schiuse, e con un ghigno di maliziosa petulanza sporgendosi mezzo in
quella camera, le disse:--Buone nuove, signora, buone nuove:
l'illustrissimo signor principe è di là che l'aspetta».
Chi avesse detto alla Margherita--Sei condannata a Morte», non le
avrebbe dato nel sangue una mano così gelata, come annunziandole che
doveva trovarsi testa a testa con quel cattivo. Impallidì, sentissi
venir meno, talchè le convenne appoggiarsi ad una seggiola; sudò,
gelò, poi gettatasi ginocchione, pregò fervidamente.
La interruppe il carceriere con un--Andiamo; lesta, che il suo tempo è
prezioso».
Ella rincorata si alzò, e ripetendo--Andiamo», si avviò: mentre
Macaruffo le teneva dietro replicandole:--La si ricordi che le pietanze io
gliele ho portate:--e se non le volle, colpa sua: e che le ho detto che il
principe si ricorda di lei;--e che l'ho trattata sempre come va...» La
aspettava Luchino in un salotto, assiso in un seggiolone a intagli dorati,
coperto di damasco: aveva deposto la corazza, l'elmo, gli schinieri, ed
incrociando le gambe, appoggiava ad uno dei bracciuoli il gomito sinistro,
e al dosso della mano la guancia. Due vivissimi occhi scintillavano nel
viso di maschia bellezza, quale tutti l'avevano i Visconti; un viso, su cui
la virilità aveva reso stabile qualche ruga, disegnatavi prima
dall'orgoglio e dal dispetto. Ricca capellatura gli scendeva inanellata dal
capo scoperto sopra le larghe spalle; e fissato alla porta, lasciava
trapelare sul volto una mistura di turpi speranze, e di appagate vendette.
La Margherita gli comparve dinanzi in un vestito bruno, dimesso e trito, ma
nelle pieghe di quello e nell'acconciatura del capo si rivelavano ancora le
graziose consuetudini della donna elegante, la quale un tempo dalle labbra
di chiunque la vedesse, strappava un grido di ammirazione. Da quel tempo oh
come era mutata! eppure fra tanti segni di patimento compariva ancora
troppo più bella, che non avrebbe essa desiderato per isfuggire alle
malnate voglie del suo tiranno. Ma più bella ancora la rendeva
quell'aspetto di superiorità, che la fronte dell'innocente conserva,
allorquando, per le non rare combinazioni sociali, si trova chiamato a
giustificare la propria virtù innanzi all'iniquità prevalente;
superiorità così sublime, che un savio disse, essere lo spettacolo
più maraviglioso agli occhi degli Dei.
Poichè all'uomo abituato alle nequizie poco costa una nuova, Luchino
stava aspettandola colla indolente attenzione onde l'uccellatore attende la
preda al paretajo. Forse, erudito come era, gli veniva in mente
quell'imperatore romano che, carezzando la testa d'una sua amata, le
diceva:--Mi piaci tanto più, perchè penso che con una parola posso
fartela balzare ai piedi».
Vero è che nell'animo suo non aveva fatto disegno di usare violenza con
essa: dirò più retto, non aveva pensato che dovesse tornarne bisogno.
L'anima abjetta crede gli altri somiglianti a sè. Luchino nei volubili
suoi capricci rado o non mai aveva (miseri tempi!) trovato la bellezza
resistente alle lusinghe dell'oro, della vanità, del potere. Come
credere che l'avrebbe fatto questa? questa, a cui i passati patimenti
dovevano aver fatto chiaro da chi pendesse ogni sua fortuna; come un cenno
di lui potesse ridurla infelicissima, o sollevarla a primeggiare nella
Corte fra le sue eguali, e tornarla, che è più, al marito, al figlio,
che importa se contaminata?--Il temere di essi, lo sperare in essi, il
vivere per essi è pure l'unico sentimento, che nei sudditi suppongono i
tiranni, e che credono bastante a frenar sino il pensiero; che dico? a
farli sino amare. Quindi cortese salutò la tribolata, e--In quanto
diverso stato io vi riveggo, madonna.
--In quello (rispose la Margherita) in cui piacque alla vostra serenità
di ridurmi.
--Ecco!» esclamava Luchino, rizzando il capo e battendo della mano sulla
sedia.--Ecco già sulle prime una parola schifa e superba. I casi dunque
non vi avranno rintuzzato cotesto orgoglio? Perchè non riconoscere
piuttosto i vostri errori? perchè non dire: Sono nello stato ove mi
trassero le mie follie--e le altrui?
--Principe (replicava la signora con una dignità accorata), vi prego
ricordare che non fui per anco giudjcata: e che il giudizio potrà
mostrare come a torto mi si appongono delitti che ignoro. La sicurezza
della mia fronte dovrebbe del resto attestarvi della mia innocenza».
Sogghignò egli col freddo e crudele orgoglio, che suole il potente
ribaldo al nome di virtù, e--La sicurezza (soggiunse) l'ostenta anche il
ladrone, reo del sangue di molti. Non ho veduto mai un ribelle, che sulle
prime non abbia in ogni atto, mostrato quell'innocenza che poi alle prove
scomparve. Ben forti ragioni, o signora, ben forti devono essere quelle che
m'indussero a trarre qui una persona, che voi sapete se io stimo... se
amo».
E sorgendo le si avvicinò con aria di procace dimestichezza; essa dava
indietro taciturna e sospirosa. Come feriscano al vivo le proteste d'amore
fatteci da colui che ci perseguita, neppure al mio più atroce nemico
augurerei di sperimentarlo.
--Ma voi (continuava Luchino) come rispondeste alle prove del mio affetto?
Alterigia, fastidiosi dispregi e scherni, e dietro a questi, facile
passaggio, congiure, tradimenti. Or chi siete voi da volervi alzare contro
il vostro padrone? Miserabili! egli soffia, e vi fa polvere».
Così ora placido, ora severo egli veniva da varie bande tentando l'animo
di essa, che sempre dignitosa, ne riprovava gli argomenti, lasciava sfogare
le sue escandescenze; aveva ragione e gli chiedeva perdono, mentre egli la
ingiuriava e chiamavasi offeso:--vicenda tanto consueta nei fasti della
povera umanità. Sovratutto poneva essa ogni studio a sviare, a troncare
un discorso che egli pur sempre rappiccava, il discorso d'amore: e
poichè Luchino insisteva, essa gli disse:--Ma se è vero, o principe,
che mi amate, perchè non inchinarvi alla preghiera mia, la prima e forse
l'ultima che io vi faccia? Salvate il mio sposo, salvate mio figlio!» e
gettatasegli ai piedi, gli abbracciava le ginocchia, con tutta l'eloquenza
d'una bellezza innocente ed infelice ripetendo:--Salvateli!
--Sì (rispondeva egli): sta in voi; voi ne sapete il modo. Meno orgoglio
da parte vostra, ed io li salvo, ve li rendo».
Il timore che i suoi cari fossero già caduti vittima del nemico, aveva
sempre straziato quella meschina. Non saprei accertare se con arte e per
meditazione le fosse uscita quella preghiera, onde scoprire la verità:
ma dalla risposta veniva rassicurata che erano vivi; onde tripudiando nel
cuore e non celando di fuori l'interna gioja--Che? (esclamava), vivono
dunque tuttora? rendetemeli; sono innocenti... io sola sono rea; me punite,
me: ma loro... O signore! ve ne prego col calore, onde in punto di morte
voi pregherete Dio a perdonarvi... Deh concedetemi ch'io li veda; una volta
sola vederli, poi fate di me lo strazio che vi piace».
Era venuto per tormentarla, e l'aveva contro voglia consolata: avea fatto
conto sullo scoraggiamento di essa, e senza accorgersi le era stato egli
medesimo cagione di sorger d'animo, di esaltarsi. Di ciò non poco
s'inquietava Luchino, e come succede a chi incontra inaspettati incagli,
viepiù si avviluppava quanto ingegnavasi d'uscirne e perdeva
dell'abituale sua freddezza; ora volendo farsi un merito di questa
involontaria rivelazione, ora procurando, strapparle la speranza ond'ella
si lasciava lusingare: e--Non dubitate no (replicava esso) li vedrete, oh
li vedrete e ve ne rincrescerà. Dovunque siensi trafugati, non
tarderò a raggiungerli. Allora... oh allora...
--Trafugati? come? sono dunque sfuggiti?» proruppe la donna quasi fuor
di sè dalla insperata consolazione.--Dunque non sono in vostro potere?
Vivi e non in poter vostro! Oh gioja!» Sorgeva, alzava al cielo le mani,
e sulla faccia lacrimosa scintillava un raggio d'ineffabile contentezza.
--Gran Dio! (esclamava) ti ringrazio! Io mi lamentava che tu m'avessi
dimenticata nel fondo delle sciagure, e non era: no, non m'avevi
abbandonata. Che mi fanno ora i martirj? O principe, più non mi lagno,
più: soffrirò che che spasimi volete; tacerò: raddoppiate pure,
raffinate i tormenti miei; se essi sono salvi, più non mi cale della mia
vita».
Colla gioja di essa cresceva il furore del tiranno, indispettito dell'aver
rivelato una notizia, che non sapeva da lei ignorata, del vedersi messa a
nudo e rinfacciata così la sua ingiustizia, nè altro sperarsi da lui
se non un esacerbamento di castigo. Ora dunque raddoppiava le minacce, ora
tentava profittare del turbamento di lei per gl'indegni suoi istinti: ma se
ella aveva resistito prima a lusinghe ed a paure, pensate ora, che sapeva
vivi e liberi i suoi cari, ora che si teneva dall'ira di lui sicura,
poichè n'erano sicuri gli oggetti per cui palpitava.
Accorciamo ai lettori l'ansietà di quel colloquio, più facile a
immaginare che onesto a riferirsi, e basti il conchiudere che la Margherita
trionfò.
--Trema! tu non sai fin dove possa giungere la mia vendetta!» furono le
ultime parole che le gridò dietro l'iracondo, mentre ella sollevando gli
occhi, ridenti di quella illibata serenità che è un raggio di cielo
sul volto della virtù campata da grave pericolo, ringraziando Iddio,
s'avviava alla sua prigione.
Luchino, sbuffante, scalpitando, digrignando i denti e mordendo le dita
passeggiò alcun tempo di su, di giù pel salotto; indi, prese le armi,
uscì buzzo, taciturno, agitato: passò senza far motto nè cenno tra
i cortigiani, che inchinandosegli, si tentavano un l'altro col gomito, ed
ammiccavansi malignamente. Come fu sul pianerottolo della scala, ecco
farsegli incontro l'impertinente Grillincervello, e presentargli una
pezzuola, dicendogli:--Perchè vi forbiate la bocca».
L'insulto era pungente, il momento scelto male, e la baja tornò sul capo
del beffardo, giacchè Luchino d'un calcio il trabalzò sino al fondo
immediato, e perchè chi lo occupa vuole sopra i suoi dipendenti
vendicarsi delle umiliazioni che soffre dai superiori, e si attribuirebbe a
colpa la pietà, se pietà mai potesse germogliare in gente che
s'induce a guadagnare un pane sui martirj altrui.--Dico allora, quando la
malata e pietosa fantasia di Silvio Pellico non aveva ancora creato di
pianta lo Schiller e la Zanze.
Il custode della Margherita, a vederlo, era un coso lungo lungo e badiale,
colla pelle tutta chiazzata e a mascherizzi, occhi guerci e suffornati in
archi di ciglia setolose, capelli rossastri spartiti in sulla fronte, e
tirati giù come una cornice barocca attorno a quel poco viso che
lasciava discoperto una folta e sudicia barbaccia, da mettere nausea e
spavento. Nasceva egli dalla valle d'Imagna nel Bergamasco; e i suoi buoni
compatriotti supplivano allora, come anche oggidì, alla scarsezza del
terreno col lavorar al tornio l'acero e il faggio delle loro selve in
palle, mestole, taglieri, truogoli, zipoli e siffatti, che poi scendono a
spacciare a Bergamo o a Milano. Anch'egli era stato dirizzato su quell'arte
del mestolajo, come suo padre, come suo nonno, e il padre e il nonno del
suo nonno; ma diverso in tutto da loro, sin da giovinetto gli era stato
mutato il proprio nome di Macaruffo in quello di Lasagnone, perchè non
sapeva piegar la schiena, e la poca fatica gli era una sanità. Cambiò
mestiere più volte, ma senza trovar mai basto che gli entrasse; e
dicendosela assai meglio colle mezzine che collo scalpello e col tornio,
stavasi tutta la giornata indarno, mangiando il pane a tradimento.
Accoppiando così l'abborrimento al lavoro colla insofferenza della
povertà e colla leccornia più triviale, avrebbe rinnovato il misfatto
di Giuda per buscar denaro e golerie col minor lavoro. La sua gioventù
fu infamata di sozze e vili cattività fra' suoi valligiani, i quali
solevano dire che esso contraffaceva a tutti i comandamenti del decalogo,
eccetto quello del non lavorar la festa. Sperando che questa dovesse
rimettergli il senno, gli diedero moglie; ma un bel giorno e' la piantò
con un figiuolo in braccio e un altro nel ventre, a buscarsi il tozzo come
potesse, od a basir di fame; egli calossi alla pianura, e mescolatosi ai
Giorgi, si buttò alla strada. Neppur tanto coraggioso per riuscir bene
nella scelleraggine, poco andò che il capitano Lucio se l'ebbe nelle
branche.
Ma questa, soleva egli dire, fu la sua fortuna. Perocchè, facendosi
rapportatore degli antichi suoi camerata e dei malandrini che gli erano
dati compagni nella prigione, acquistò tanta grazia presso il capitano
di giustizia, che tolto di là, mercè due sode braccia, un muso duro e
un cuore più duro ancora, fu destinato prima per aguzzino, poi per
carceriere nella torretta di porta Romana. Superbo coi sofferenti perchè
vile coi superiori, sapeva che col ceffo e coi modi avrebbe sgomentato
quelli, mentre a questi per nessuna cosa del mondo avrebbe osato dire un
no.
Nei primi giorni che la Margherita si trovò nella costui balìa, per
procurarsi quelle prime necessità che il suo stato portava, ella dovette
cedergli a poco a poco ogni superfluo che le fosse rimasto addosso; nè
esso le concedette requie finchè non la ebbe ridotta al più positivo
e indispensabile vestire. Colla sommessione dell'agnello che lambisce la
mano di colui che lo scanna, essa gli parlava: ma quello, burbero sempre,
sardonico, stizzoso, rispondeva, la proverbiava, sghignazzava. Essa gli
ragionò di compassione, nè tampoco il nome ei ne conosceva. Essa gli
ragionò di Dio: ei sapeva che vi era, gli recitava per abitudine le
devozioni, da sua madre insegnategli, ma non andava più in là, e
nemmanco figuratasi che questa credenza dovesse modificare le sue azioni, e
tanto meno fargli tradire l'obbligo del suo mestiere, che credeva quello di
essere spietato.
Per quanto deva patirne la _storica dignità_, non voglio tacere questa
circostanza minutissima. Una volta (fu sui primi di maggio) Lasagnone
entrò nel carcere di lei con una bella rosa fra l'orecchio e le tempia.
Un fiore, quel fresco colorito, quella rugiadosa fragranza, dovettero
suscitare mille care idee nella Margherita, che mossa da innocente
desiderio, con affettuosa commozione additando la rosa, disse al
carceriere:--Donatela a me.
--Ah sì? La vi piace, eh? rispose il villanzone; pigliò fra le dita
la rosa, la annusò sgarbatamente, mostrò porgerla alla meschina; poi
ritirandola di scatto e sfogliatala, la gettò per la finestra, e
sghignazzando come di un lepido fatto, se ne andò.
Che caso da' nulla, non è vero? finalmente non si trattava di pane, non
d'altra necessità; eppure, che volete? alla Margherita fece tanto colpo,
e tanto se ne ricordò, che quando una volta potè sfogarsi con un
confidente, gli ripetè questo a preferenza di cento altri torti.
--Lesto, lesto, Lasagnone, che ti chiama il sor padrone intonò
Grillincervello, sporgendo la testa rasa da un finestruolo al lungo
corridojo delle prigioni, e ritraendolo presto e fuggendo come fa un lupo
dal luogo dove altre volte restò preso alla tagliuola.
--Me? domandò Macaruffo tra meravigliato e pauroso: ma non ricevendo
risposta, fretta fretta gettò via un suo abituale saltambarco sdruscito
e bisunto, infilò un cappotto marrone alquanto migliore, si tirò
sulle orecchie un berretto rosso, diede una girata a tutte le prigioni se
fossero ben assicurati i chiavacci: e messosi in cintura a sinistra un
grosso coltellaccio, a destra il mazzo delle chiavi, uscì frettoloso.
Passò davanti a San Nazaro, lasciò a destra il lago artificiale
presso al luogo ove sorge l'Ospedale, e di cui serbano memoria le vie di
Pantano e di Poslaghetto e venne a San Giovanni in Conca. Fin qui
stendevasi il palazzo, o piuttosto l'aggregato dei palazzi dei Visconti; e
Luchino stava continuandone la fabbrica con quattro grandi torri ai canti,
e dentro ogni migliore comodità. Nel tornare quivi era scavalcato il
principe: dato un'occhiata alle costruzioni, censurato, lodato, ordinato
siccome dee fare un padrone; quindi per un corridojo coperto, largo dieci e
più braccia, e che accavalciava i tetti, era venuto fino alla Corte, ed
entrato nelle splendide sale.
Poco tardò a sopraggiungere Macaruffo, e lasciandosi dietro quelli che
non avevano se non da esporre al principe i loro bisogni o domandargli la
giustizia, fu introdotto da Grillincervello, il quale, con un fare tra
goffo e maligno, scotendo i sonagliuzzi, imitava il rovistio delle chiavi,
che tintinnivano ad ogni passo del montanaro. E poichè questi, col
berretto in mano, rannicchiato presso allo stipite della porta, faceva
grandi inchini, grande strisciar di piedi, il buffone forbottandolo gli
diceva:--Bada, frusto villano, che non mi stracci il tappeto: vien di
Damasco, e me lo pagheresti con altrettanto della tua pelle».
Luchino, senza guardare in viso al carceriere, domandò:--Che fa la
signora Margherita Pusterla?
--Oh!... magnifico.... serenissimo.... Oh signor principe! la sta da papa
rispondeva l'altro.--Nessuno che le torca un capello. Non trae mai fiato di
lamento. E poi le domandi, e sentirà.
--Ma di me che dice?» richiese il Visconti.
--Dice... cioè... oh serenissimo... oh magnifico...» e seguitava
questa litania, non tanto per adulazione, quanto perchè non sapeva che
cosa rispondere; onde corrugava la fronte, e fissava due occhi stupidamente
indagatori in faccia al padrone, come per leggervi se dovea rispondere che
lo bestemmiasse, ovvero che lo benedicesse. Ma leggere sul freddo e
impassibile viso di Luchino, era impresa difficile anche ad occhi molto
più aguzzi de' costui; laonde imbarazzato egli cagliava. Se non che lo
trasse di pena Grillincervello dicendo:--Su, parla: che? hai tu veduto il
lupo? Scommetto la mia marotta d'argento che essa ne ragiona col miele
sulle labbra: n'è vero?
--Appunto (parlava il carceriere): non sa finire di lodare la sua
beneficenza che le ha dato sì vistoso alloggio.
--E sicuro dai ladri», interrompeva il buffone.
--E che la fa trattare come neanche a casa sua».
Qui il bergamasco taceva, seguitando a confermare l'asserito cogli atti del
viso e con premer la mano sul petto, e Grillincervello saltava su:--Non lo
sapeva io? Padrone, tu puoi quando che sia licenziare il tuo Andalon del
Nero, e nominare me per astrologo serenissimo. Egli pronostica dalle
stelle, io dal mio can barbone, che più gliene appoggio di sode, e
più mi corre a leccar la mano».
Luchino fece un moto delle labbra che somigliava a un sorriso; poi voltosi
al carceriere,--Da qui innanzi però trattala meglio, ed ogni mezzodì
vieni a levare alla nostra cucina un piatto da recarle».
Poi, al tempo stesso che, alzando la mano, gli accennava d'andarsene,
soggiunse:--E le dirai che il principe si ricorda di lei».
--Carità pelosa» mormorò il buffone. Il carceriere spalancava
tanto d'occhi, corrugava la fronte, rotondava la bocca dalla meraviglia, e
pensava fra sè:--Trattar bene un prigioniero! Ch'e' voglia morire?»
Poi, moltiplicando le riverenze profonde fino a terra, dava indietro per
uscir a modo dei gamberi, allorchè Grillincervello, dopo una sonora
risata, ghermitolo per un braccio, e col dito dell'altra mano accennandolo
a Luchino, disse:--Lasagnone meriterebbe il suo nome in superlativo se di
quel piatto non ungesse la sua golaccia, ed a voi non desse ad intendere
che madonna ne viene grassa, e che ve ne sa gran mercè.
--Potrebbe fargli (ripigliò con fiera ilarità il Visconti), potrebbe
fargli il pro che ha fatto jeri la lepre a quell'altro».
Bisogna sapere che il giorno innanzi era stato côlto uno sciagurato, il
quale aveva avuto l'imperdonabile ardimento di uccidere un lepratto: ed il
principe freddamente aveva sentenziato che il delinquente mangiasse quella
bestia così cruda, con ossa e pelle e tutto, come dovette fare, e in
conseguenza crepare.
Grillincervello intese l'allusione, ed esclamando:--Dio salvi i cani da
tali bocconi!» accompagnò con un calcio Macaruffo, il quale tra i
denti augurava che il desinare diventasse tanto tossico al linguacciuto
beffardo, perchè gli avesse sturbato il disegno che aveva già fatto
sopra la vivanda della cucina principesca.
CAPITOLO XII.
PEGGIORAMENTO.
Il giorno dappoi, all'ora che Lasagnone soleva portare alla Margherita una
pagnotta, una scodella di zuppa ed una brocca d'acqua, le comparve dinanzi
con volto più mansueto, a somiglianza d'un orso quando fa cerimonie.
Obbediva egli così a colui, al quale egualmente avrebbe obbedito se gli
avesse comandato,--Lasciala consumare di fame». E poichè le ebbe
deposto per terra il vaso dell'acqua e accomodata la scarsa prebenda, a
guisa di chi vuol mettere in sapore di cosa inaspettata, diceva:--Qui poi,
ci ho un lacchezzo per vossignoria»; nel mentre che pian pianino, sto
per dire con devozione, veniva rialzando i lembi di un tovagliuolo, di
sotto al quale comparve un fragrante manicaretto. Tirò il fiato per le
narici colui, come un segugio che fiuti il sito del selvatico, e mettendosi
la mano sul cuore, esclamò:--Oh buono!» poi deponendolo avanti alla
sventurata, che, a quei garbi così insoliti e così goffi, a quella
voce così stranamente indolcita, così forzatamente cortese, apriva la
fisonomia ad un malinconico sorriso,--Questo (le soggiunse) glielo manda
l'illustrissimo signor Luchino: padrone nostro e di tutta Milano; e dice
che glielo manderà tutti i giorni, dice; e che vuole sia trattata sempre
da par sua: e dice che si ricorda di lei».
Questo cambiamento in meglio recò tutt'altro che conforto alla
Margherita. Come succede al giusto conculcato dal prepotente, ella
sentivasi di gran tratto superiore al suo nemico; e a guisa di una molla
d'acciajo, più era calcata, più con vigore rimbalzava. Oggi però
che ne riceveva una cortesia, e pur troppo non poteva recarsi a crederla da
pietà o dalla acquistata certezza dell'innocenza sua, ma dovervisi
celare qualche insidia; oggi le si apriva dinanzi all'immaginazione
un'altra serie di patimenti e martirj nuovi che le sovrastavano. Quindi,
allorchè il carceriere le fissava gli occhi guerci in faccia, aspettando
di vederla tripudiare dall'allegrezza, un profondo sospiro mandò ella
invece dal petto, e sollevando lo sguardo gonfio di lagrime al cielo,
esclamò:--A voi mi raccomando».
Era corso il suo pensiero alla madre del bell'Amore: a lei si era votata
contro i preveduti assalti. Si ricordò quando, bambina, le insegnavano
ad offrire un fiore a Maria Vergine coll'astenersi, in certi giorni più
devoti, da qualche vivanda che le facesse gola; buon avviamento a quelle
abnegazioni che, in troppo più gravi cose, deve poi nella vita fare per
forza chi non vi si abituò per virtù. Anche allora dunque voltasi
Margherita a Macaruffo, e colla destra lievemente respingendo il tagliere
ch'ei le sporgeva:--No (disse), no. Vedete? coteste delicatezze a me non
s'addicono. Per reggere la vita n'ho assai di questo pane e di questa
zuppa. Trovate di grazia un poveretto--qualche infermo che conosciate
più bisognoso; dategli questo piatto, e raccomandategli che preghi per
me.
--Come? la non lo vuole?» esclamava il carceriere, fuori di sè tra
per lo stupore e per la fiducia di farne suo pro: e colla più tepida
insistenza, che ingegnavasi di fare apparire sincera, ripeteva:--Senta,
senta!» e annusava la pietanza e l'avanzava verso di lei:--Senta
fragranza! È un pasticcino di beccafichi da serbatojo, tutti sugna. Ah
buono! Un boccone da tornar il gusto a un morto.
--Tanto meglio (replicava la Margherita) quel poveretto lo mangierà
più volentieri.
--Ma... a... a...!» riprendeva Lasagnone assumendo un'aria seria e
contrita.--Il signor principe ha ordinato di darlo a lei, o sarebbero guaj.
M'ha fatto una minaccia che... il Signore me ne scampi!
--Il principe non lo saprà. Io l'ho per accettato; fate conto che
l'abbia goduto io: e destinatelo, vi prego, all'uso che vi ho detto.
--Deh che buon principe eh?» soggiungeva Macaruffo, pur collo sguardo
incantato sopra la vivanda.--Ella può veramente chiamarsi fortunata
d'essere nelle sue mani. Pare fino che abbia compassione di lei».
La Margherita chinava la testa, e colui seguitava:--Dunque darlo proprio ad
un pitocco.
--Si, e che preghi per coloro che soffrono, ed anche per coloro che fanno
soffrire.
--Buon pranzo a vossignoria», esclamò Macaruffo, traendosi il
berretto con un'insolita gratitudine, e tiratosi dietro l'uscio, se
n'andò contento che non gli parea vero; e non era disceso da metà la
scala, che si sedette, e postosi quel leccume sovra le gambe incrociate, si
diede ad ingojarlo con avidità, nell'estasi di tutta la sua ingordigia
lamentandosi che fosse poco, e leccandosi le dita, le labbra, i barbigi, il
piatto: invidiando quasi all'aria gli effluvj che gliene avea rapiti.
Il giorno da poi narrò alla meschina d'averlo dato ad un mendicante.--Se
l'avesse veduto! sciancato, lebbroso, che non lo guarirebbe l'arcivescovo
il dì delle palme [21]; non poteva reggersi sulle gambe, e ogni po' che
io tardassi, e' cascava certamente di pura fame. Con che gola ricevette il
suo dono! Aveva ad essere qualche cosa di ghiotto, io credo: Bocconi di
quella fatta non ne pappano nemmeno i pitocchi. Fu certo la sua vita. E sa?
egli ha mandato una furia di benedizioni addosso a lei, ai suoi vivi ed ai
suoi morti».
Era questo uno di quegli esordj _per insinuationem_, che in retorica
c'insegnavano, giacchè alla conclusione di esso, discoprì e le
presentò un altro intingolo, che, giusta il comando, egli era stato a
prendere dalla cucina di Corte.
--Bene! (disse la Margherita) lodato il Signore che, anche in questo stato,
mi presenta il modo di soccorrere i miei poveri fratelli! Ed oggi abbiate
la compiacenza di fare altrettanto con quest'altro.
--Come? anche oggi?» saltò su il carceriere, fingendo meraviglia di
quel che già aveva per lo meno sperato.
--Sì (ripetè la signora); anche oggi.
--E anche domani?
--Anche domani, e così l'altro, e finchè me ne manderanno.
--Ma (replicava il ghiotto), se egli, se il signor principe le domandasse,
che cosa gli risponderà? Non vorrei che credesse...
--Gli dirò che l'ho sempre ricevuto.
--E che lo ringrazia, n'è vero?»
Così tutto a pasto uscì il leccarde, cantarellando sommessamente--Di
peggio non capiti».
Ma domandandole che cosa avrebbe risposto al principe interrogata, egli
avea fatto rabbrividire Margherita, la quale presentiva che dovrebbe
trovarsi faccia a faccia col suo persecutore. Nè quella paura tardò a
verificarsi. Pochi giorni dopo, Luchino, girando da quelle parti con un
codazzo di soldataglia e di cortigiani, si volse di tratto al suo buffone
dicendogli:
--Grillincervello, vogliamo noi fare una visita a madonna Pusterla?
--Questa volta non ci sarà pericolo che madonna colei la troviate
partita», rispose il buffone.
Rinfrescavano queste parole al principe una memoria spiacevole se altra
mai, onde, a guisa d'un mastino traditore, che repente si volge a morsicare
la mano da cui lasciavasi quietamente palpeggiare, digrignò i denti
stizzito, e vibrò la mazza contro il motteggiatore insolente. Il quale
fu destro a schivarne il colpo, e cacciandosi fra la turba esclamava
guajolando:--S'e' mi coglieva, poveri i grilli del mio cervello!» Poi
Luchino toccò di sprone il cavallo, e s'avviò alla rocchetta. Al suo
venire, si cala il ponte, guardie gridano, guardie accorrono, un ossequio
universale, un pendere attenti ad ogni suo cenno;--e tutto questo
perchè? perchè egli ha nome il padrone...
Gonfio di tanti omaggi, ebbro dell'universale obbedienza, della
vigliaccheria universale, entra, scavalca verso un appartamento che egli
avea fatto allestire onde in ogni caso potervisi, come in luogo più
sicuro, riparare da una prima furiata del popolo; e lasciata
nell'anticamera la comitiva, come fu in una stanza interna, mentre un
paggio gli sfibbiava l'armatura, ordinò al carceriere che portasse
colà la signora Margherita.
Lesto Macaruffo fece sonare un mazzo di chiavi; orribile armonia, onde
tutta si risentì la nostra infelice, tanto più quando in quell'ora
straordinaria l'intese drizzarsi verso la sua prigione ed aprirla. In fatto
egli schiuse, e con un ghigno di maliziosa petulanza sporgendosi mezzo in
quella camera, le disse:--Buone nuove, signora, buone nuove:
l'illustrissimo signor principe è di là che l'aspetta».
Chi avesse detto alla Margherita--Sei condannata a Morte», non le
avrebbe dato nel sangue una mano così gelata, come annunziandole che
doveva trovarsi testa a testa con quel cattivo. Impallidì, sentissi
venir meno, talchè le convenne appoggiarsi ad una seggiola; sudò,
gelò, poi gettatasi ginocchione, pregò fervidamente.
La interruppe il carceriere con un--Andiamo; lesta, che il suo tempo è
prezioso».
Ella rincorata si alzò, e ripetendo--Andiamo», si avviò: mentre
Macaruffo le teneva dietro replicandole:--La si ricordi che le pietanze io
gliele ho portate:--e se non le volle, colpa sua: e che le ho detto che il
principe si ricorda di lei;--e che l'ho trattata sempre come va...» La
aspettava Luchino in un salotto, assiso in un seggiolone a intagli dorati,
coperto di damasco: aveva deposto la corazza, l'elmo, gli schinieri, ed
incrociando le gambe, appoggiava ad uno dei bracciuoli il gomito sinistro,
e al dosso della mano la guancia. Due vivissimi occhi scintillavano nel
viso di maschia bellezza, quale tutti l'avevano i Visconti; un viso, su cui
la virilità aveva reso stabile qualche ruga, disegnatavi prima
dall'orgoglio e dal dispetto. Ricca capellatura gli scendeva inanellata dal
capo scoperto sopra le larghe spalle; e fissato alla porta, lasciava
trapelare sul volto una mistura di turpi speranze, e di appagate vendette.
La Margherita gli comparve dinanzi in un vestito bruno, dimesso e trito, ma
nelle pieghe di quello e nell'acconciatura del capo si rivelavano ancora le
graziose consuetudini della donna elegante, la quale un tempo dalle labbra
di chiunque la vedesse, strappava un grido di ammirazione. Da quel tempo oh
come era mutata! eppure fra tanti segni di patimento compariva ancora
troppo più bella, che non avrebbe essa desiderato per isfuggire alle
malnate voglie del suo tiranno. Ma più bella ancora la rendeva
quell'aspetto di superiorità, che la fronte dell'innocente conserva,
allorquando, per le non rare combinazioni sociali, si trova chiamato a
giustificare la propria virtù innanzi all'iniquità prevalente;
superiorità così sublime, che un savio disse, essere lo spettacolo
più maraviglioso agli occhi degli Dei.
Poichè all'uomo abituato alle nequizie poco costa una nuova, Luchino
stava aspettandola colla indolente attenzione onde l'uccellatore attende la
preda al paretajo. Forse, erudito come era, gli veniva in mente
quell'imperatore romano che, carezzando la testa d'una sua amata, le
diceva:--Mi piaci tanto più, perchè penso che con una parola posso
fartela balzare ai piedi».
Vero è che nell'animo suo non aveva fatto disegno di usare violenza con
essa: dirò più retto, non aveva pensato che dovesse tornarne bisogno.
L'anima abjetta crede gli altri somiglianti a sè. Luchino nei volubili
suoi capricci rado o non mai aveva (miseri tempi!) trovato la bellezza
resistente alle lusinghe dell'oro, della vanità, del potere. Come
credere che l'avrebbe fatto questa? questa, a cui i passati patimenti
dovevano aver fatto chiaro da chi pendesse ogni sua fortuna; come un cenno
di lui potesse ridurla infelicissima, o sollevarla a primeggiare nella
Corte fra le sue eguali, e tornarla, che è più, al marito, al figlio,
che importa se contaminata?--Il temere di essi, lo sperare in essi, il
vivere per essi è pure l'unico sentimento, che nei sudditi suppongono i
tiranni, e che credono bastante a frenar sino il pensiero; che dico? a
farli sino amare. Quindi cortese salutò la tribolata, e--In quanto
diverso stato io vi riveggo, madonna.
--In quello (rispose la Margherita) in cui piacque alla vostra serenità
di ridurmi.
--Ecco!» esclamava Luchino, rizzando il capo e battendo della mano sulla
sedia.--Ecco già sulle prime una parola schifa e superba. I casi dunque
non vi avranno rintuzzato cotesto orgoglio? Perchè non riconoscere
piuttosto i vostri errori? perchè non dire: Sono nello stato ove mi
trassero le mie follie--e le altrui?
--Principe (replicava la signora con una dignità accorata), vi prego
ricordare che non fui per anco giudjcata: e che il giudizio potrà
mostrare come a torto mi si appongono delitti che ignoro. La sicurezza
della mia fronte dovrebbe del resto attestarvi della mia innocenza».
Sogghignò egli col freddo e crudele orgoglio, che suole il potente
ribaldo al nome di virtù, e--La sicurezza (soggiunse) l'ostenta anche il
ladrone, reo del sangue di molti. Non ho veduto mai un ribelle, che sulle
prime non abbia in ogni atto, mostrato quell'innocenza che poi alle prove
scomparve. Ben forti ragioni, o signora, ben forti devono essere quelle che
m'indussero a trarre qui una persona, che voi sapete se io stimo... se
amo».
E sorgendo le si avvicinò con aria di procace dimestichezza; essa dava
indietro taciturna e sospirosa. Come feriscano al vivo le proteste d'amore
fatteci da colui che ci perseguita, neppure al mio più atroce nemico
augurerei di sperimentarlo.
--Ma voi (continuava Luchino) come rispondeste alle prove del mio affetto?
Alterigia, fastidiosi dispregi e scherni, e dietro a questi, facile
passaggio, congiure, tradimenti. Or chi siete voi da volervi alzare contro
il vostro padrone? Miserabili! egli soffia, e vi fa polvere».
Così ora placido, ora severo egli veniva da varie bande tentando l'animo
di essa, che sempre dignitosa, ne riprovava gli argomenti, lasciava sfogare
le sue escandescenze; aveva ragione e gli chiedeva perdono, mentre egli la
ingiuriava e chiamavasi offeso:--vicenda tanto consueta nei fasti della
povera umanità. Sovratutto poneva essa ogni studio a sviare, a troncare
un discorso che egli pur sempre rappiccava, il discorso d'amore: e
poichè Luchino insisteva, essa gli disse:--Ma se è vero, o principe,
che mi amate, perchè non inchinarvi alla preghiera mia, la prima e forse
l'ultima che io vi faccia? Salvate il mio sposo, salvate mio figlio!» e
gettatasegli ai piedi, gli abbracciava le ginocchia, con tutta l'eloquenza
d'una bellezza innocente ed infelice ripetendo:--Salvateli!
--Sì (rispondeva egli): sta in voi; voi ne sapete il modo. Meno orgoglio
da parte vostra, ed io li salvo, ve li rendo».
Il timore che i suoi cari fossero già caduti vittima del nemico, aveva
sempre straziato quella meschina. Non saprei accertare se con arte e per
meditazione le fosse uscita quella preghiera, onde scoprire la verità:
ma dalla risposta veniva rassicurata che erano vivi; onde tripudiando nel
cuore e non celando di fuori l'interna gioja--Che? (esclamava), vivono
dunque tuttora? rendetemeli; sono innocenti... io sola sono rea; me punite,
me: ma loro... O signore! ve ne prego col calore, onde in punto di morte
voi pregherete Dio a perdonarvi... Deh concedetemi ch'io li veda; una volta
sola vederli, poi fate di me lo strazio che vi piace».
Era venuto per tormentarla, e l'aveva contro voglia consolata: avea fatto
conto sullo scoraggiamento di essa, e senza accorgersi le era stato egli
medesimo cagione di sorger d'animo, di esaltarsi. Di ciò non poco
s'inquietava Luchino, e come succede a chi incontra inaspettati incagli,
viepiù si avviluppava quanto ingegnavasi d'uscirne e perdeva
dell'abituale sua freddezza; ora volendo farsi un merito di questa
involontaria rivelazione, ora procurando, strapparle la speranza ond'ella
si lasciava lusingare: e--Non dubitate no (replicava esso) li vedrete, oh
li vedrete e ve ne rincrescerà. Dovunque siensi trafugati, non
tarderò a raggiungerli. Allora... oh allora...
--Trafugati? come? sono dunque sfuggiti?» proruppe la donna quasi fuor
di sè dalla insperata consolazione.--Dunque non sono in vostro potere?
Vivi e non in poter vostro! Oh gioja!» Sorgeva, alzava al cielo le mani,
e sulla faccia lacrimosa scintillava un raggio d'ineffabile contentezza.
--Gran Dio! (esclamava) ti ringrazio! Io mi lamentava che tu m'avessi
dimenticata nel fondo delle sciagure, e non era: no, non m'avevi
abbandonata. Che mi fanno ora i martirj? O principe, più non mi lagno,
più: soffrirò che che spasimi volete; tacerò: raddoppiate pure,
raffinate i tormenti miei; se essi sono salvi, più non mi cale della mia
vita».
Colla gioja di essa cresceva il furore del tiranno, indispettito dell'aver
rivelato una notizia, che non sapeva da lei ignorata, del vedersi messa a
nudo e rinfacciata così la sua ingiustizia, nè altro sperarsi da lui
se non un esacerbamento di castigo. Ora dunque raddoppiava le minacce, ora
tentava profittare del turbamento di lei per gl'indegni suoi istinti: ma se
ella aveva resistito prima a lusinghe ed a paure, pensate ora, che sapeva
vivi e liberi i suoi cari, ora che si teneva dall'ira di lui sicura,
poichè n'erano sicuri gli oggetti per cui palpitava.
Accorciamo ai lettori l'ansietà di quel colloquio, più facile a
immaginare che onesto a riferirsi, e basti il conchiudere che la Margherita
trionfò.
--Trema! tu non sai fin dove possa giungere la mia vendetta!» furono le
ultime parole che le gridò dietro l'iracondo, mentre ella sollevando gli
occhi, ridenti di quella illibata serenità che è un raggio di cielo
sul volto della virtù campata da grave pericolo, ringraziando Iddio,
s'avviava alla sua prigione.
Luchino, sbuffante, scalpitando, digrignando i denti e mordendo le dita
passeggiò alcun tempo di su, di giù pel salotto; indi, prese le armi,
uscì buzzo, taciturno, agitato: passò senza far motto nè cenno tra
i cortigiani, che inchinandosegli, si tentavano un l'altro col gomito, ed
ammiccavansi malignamente. Come fu sul pianerottolo della scala, ecco
farsegli incontro l'impertinente Grillincervello, e presentargli una
pezzuola, dicendogli:--Perchè vi forbiate la bocca».
L'insulto era pungente, il momento scelto male, e la baja tornò sul capo
del beffardo, giacchè Luchino d'un calcio il trabalzò sino al fondo
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