Margherita Pusterla: Racconto storico - 13

dicendogli:--Siete perduto... cercano di voi... tutto è scoperto... vi
vogliono morto».
Quelle interrotte parole spiegarono al Pusterla ciò che gli avevano
già fatto presumere quella foga, e il trarre dei soldati, e il
martellare delle campane. Ma se l'impetuosità abituale, cresciuta
all'eccesso per l'angustia presente e pel feroce rimorso, non lasciava ad
Alpinolo trovare un partito allo scampo, Francesco, più calcolato, lo
ravvisò, e girata la briglia verso il convento di Brera, ivi si rifuggi.
I conventi (e chi nol sa?) erano asili inviolabili, come le croci, come i
sagrati, come le chiese, come i palazzi del Comune: rimedi infelici ad
infelici legislazioni, ma che facevano meno sciagurato nell'applicazione il
desolante eccesso delle pene minacciate, il precipizio onde i magistrati le
applicavano, e la furia vendicativa dei prepotenti. In Brera dunque,
ancorchè potesse essere stato veduto entrare, Franciscolo doveva tenersi
sicuro; onde Alpinolo, allorquando lo vide scavalcare colà, respirò,
come una madre che veda tornar sicuro nella camera un fanciulletto, il
quale per isconsiderata vivezza erasi condotto a passeggiare sull'orlo d'un
tetto. Precipitossi dunque a terra, baciò il limitare, poi abbracciando
le ginocchia al suo signore, e bagnandole di copiose lagrime, si accingeva
a contargli la colpa sua e il tradimento di Ramengo, quando il Pusterla lo
interruppe dicendogli:
--Va, e salva Margherita».
Spaventosa allora balenò alla mente di Alpinolo l'idea che la Margherita
potesse anch'ella correre pericolo, e questo dubbio ne moltiplicò
l'angoscia. Un piloto che adoperi a rimettere a galla un naviglio, dalla
sua inesperienza trascinato nelle secche; un famiglio che aiuti a spegnere
l'incendio, da esso incautamente suscitato; un amoroso che voglia trarre
l'amata donna da deplorabile situazione, ove esso l'ha sconsigliatamente
ridotta, non operano con tanta ansietà, con quanta Alpinolo. Il meno che
pensasse era il proprio pericolo; e, o fosse che le guardie poco badassero
a questo giovane, scambiato per nulla meglio che un ordinario scudiero,
fosse che la confusione di quel parapiglia lo giovasse, fosse quel concorso
di circostanze che chiamasi fortuna, fatto sta che egli riuscì, sempre
correndo a fiaccacollo presso al palazzo dei Pusterla. Quando vide la folla
maggiore intorno a quello, gli brillò un raggio di speranza: confidò
che i Milanesi vorrebbero salvare i loro concittadini e benefattori, e
cominciò ad alzare il grido di--Viva la libertà!» La turba dava
luogo a questo cavalcante infuriato, ed udendone il grido, guatavansi uno
in faccia all'altro, e chiedevano:
--Cosa vuole colui?
--Che diamine urla?
--Viva la libertà? Deve essere qualche pazzo. Largo, largo, dategli il
passo».
Sciagurato! Alpinolo arrivò al vicolo Pusterla nel momento appunto che i
soldati eransi tolta in mezzo la Margherita, e se la portavano incatenata.
Al colmo della rabbia e del dolore, precipitossi verso di quelli, e non
trovandosi allato la spada, volea cominciare a menar le pugna, persuaso di
essere assecondato dalla turba, che credeva lo avesse seguito; ma
volgendosi indietro per rincorarla, si trova solo: non un viso di amico,
non una simpatia di indispettito; nei più una vile e stupida
curiosità: negli altri un'inerte compassione. Quasi vergognoso di stare
più oltre fra una razza sì codarda, già si avventava per morire
tra le alabarde mercenarie, allorchè dietro agli altri vide quel
mascherato, nel quale già i lettori hanno riconosciuto Ramengo. Tenevasi
egli, come abbiamo detto, il figliuolo del Pusterla, lieto nell'atroce
cuore di farne uno strumento di squisita vendetta, comunque la cosa andasse
a finire; e se pur non potesse cogliere l'abborrito Pusterla, consolandosi
almeno di rapire a questo le inenarrabili gioje della paternità, che per
cagione di lui credeasi avere egli stesso perdute. Strillava Venturino,
invocando sua madre; ma ruvidamente gli turava la bocca Ramengo, e a volta
a volta, gli percotea la vita e il capo, senza quasi che alcuno ponesse
mente ad esso, intenti com'erano alla maggior pietà della madre.
Ben vi pose mente Alpinolo, il quale pur troppo accorgendosi di non poter
essere per nulla d'ajuto alla Margherita, si spinse addosso allo
sconosciuto, gridando:--Lascia, lascia!» Questi non rimase ad
aspettarlo, ma via spronò pei tortuosi chiassuoli di colà intorno.
Sentendosi però già sopra il giovane, e sperando accalappiarlo colle
usate frodi, si fermò, e mostrando chiamarlo a sè,--Almeno (disse con
aria sospettosa e con voce alterata) almeno questo l'ho salvato».
Tanto bastò perchè Alpinolo sospendesse il suo furore, e credendolo
un amico, gli dicesse:--Porgilo a me, porgilo a me, che lo renda a suo
padre.
--E dov'è suo padre?» chiese il mascherato.
Il giovane schiudeva già la bocca ad una nuova imprudenza, quando la
prima gli corse al pensiero, e con essa l'immagine più viva
dell'esecrato Ramengo; alla quale paragonando la voce e gli atti
dell'incognito, lo riconobbe per quel desso. Mugghiando allora come un toro
percosso, se gli avventò al collo, gridando:--Ah traditore! Ah spia
infame!» Qui cominciò una lotta, nella quale il ribaldo, per
difendere sè stesso, dovette lasciar cadere Venturino, che a fatica e
piangendo salvossi di sotto ai piedi degli scalpitanti cavalli, mentre
Alpinolo, ghermito il nemico alle gavigne, gli pestava il muso e la
persona, e, fattegli perdere le staffe, il lanciava per terra. Colui si
appigliò al giovane con tanta forza, che lui pure trasse di sella, onde
entrambi s'avvoltolavano sullo sterrato, a guisa di due villani rissosi.
Alpinolo era disarmato e leggiero: l'altro, col morione e la lamiera di
ferro; ma i pugni onde il giovane lo tempestava, pareano colpi di mazza, e
non gli lasciavan ripigliar fiato; sinchè Alpinolo, riuscito a
cacciarselo sotto e piantatogli un ginocchio sul petto, e la sinistra mano
alle fauci, colla destra gli veniva traendo di cintola la _misericordia_.
Misericordia, chi nol sapesse, chiamavano certi pugnali, con cui, dopo
avere scavalcato il nemico colla lancia o colla mazza, i guerrieri gli
saltavano addosso a finirlo. Tale stravolgimento di nome non farà,
spero, maraviglia al secolo nostro, avvezzato anche a più strani, che
parrebbero una fina arguzia se non fossero troppo atroci.
Ramengo, sul punto di pagare in una volta tutte le sue iniquità,
chiedeva perdono, e gridava agli uomini, a Dio, talchè fu inteso dai
soldati, da cui, non visto, s'era diviso; il connestabile Sfolcada Melik
comparve coi suoi in capo della via, e tra il fosco e il chiaro veduto
quell'abbarruffamento, accorreva. Alpinolo conobbe non restargli tempo da
perdere, e avere un obbligo più sacro che non la vendetta; onde
abbandonando la sua vittima, e giurandogli che arriverebbe a lui pure il
suo sabbato, si tolse sotto al braccio Venturino, e in men che dire addio,
saltando in sella, spronò verso la parte opposta a quella onde traeva
gente.
Il bujo e il trambusto di quella giornata ajutarono Alpinolo a scampare: ma
divenuto ora cauto quanto era prima sconsiderato, più non osò
rivolgersi alla casa degli Umiliati ove stava ricoverato il Pusterla,
temendo che i passi suoi fossero spiati, e potessero tradire la traccia
dell'amico. Rinvolto perciò Venturino, il teneva nascosto al seno, come,
una gemma unica che avesse salvata in mano ai ladri; come la sola reliquia
con cui potesse redimere la colpa di aver involontariamente gettato in
precipizio l'amico, il protettore suo, il salvatore della patria. Così
svignava per le strade più deserte, occhieggiando se scontrasse persona
fidata, cui consegnare Venturino; ma di nessuno più sì assicurava; in
chiunque vedesse temeva uno spione, un traditore: e intanto il fanciullo,
mal frenando il pianto e l'impaziente desiderio, gli veniva tratto tratto
esclamando:
--Rimettimi a casa... Dov'è il mio babbo?... La mamma dove l'hanno
portata?»
Il padre suo fra ciò, ricoverato nella cella di frà Buonvicino, in
massima segretezza stava trepidando sulla sorte sua, degli amici, della
moglie, del figliuolo. Già il lettore ha compreso come l'animo di esso
fosse tutt'altro che tempra di stocco. In battaglia aperta o in campo
chiuso, in maneggiare lancia e destriero, non la cedeva ai migliori, nè
mai fu veduto a fronte dei nemici abbassare gli occhi, nè mentire, nè
ritirarsi: ma avea bisogno lo spettacolo, l'applauso, mancandogli affatto
il coraggio civile, coraggio paziente, che sotto il cumulo dei guai, si
conforta col testimonio della propria coscienza, o colla patetica gioja di
lontane speranze. Dalla fanciullezza cresciuto negli agi, avvezzo a vedersi
rispettato, obbedito, non avendo sentite mai le utili lezioni della
sventura, non si era a questo disposto; e la presente infelicità più
gli pesava, quanto erano maggiori i beni a cui aveva attaccato il cuore,
senza immaginare di doversene disgiungere mai più. In questa cella
medesima, quando ancora il cielo era ridente, Buonvicino lo aveva esortato
a spiccarsi decorosamente dalle pompe cortigiane: ora, strappato con onta
da quelle, doveva ricoverarsi quivi come un reo, come un perseguitato,
avvilito agli occhi di quel pubblico, nel cui concetto aveva tremato di
scapitare. Lasciò da banda le perdite reali, le dolcezze della casa,
della patria, degli amici; una donna di cui più vive ora gli si
presentavano le virtù, e più enorme il torto d'averla trascurata.
Quindi, sollecito e povero di consigli, non che far fronte alla sventura,
le si piegava sotto, come il salice alla bufera; nè trovando in sè
vigore o prudenza, implorava l'uno o l'altra da Buonvicino, e con una
desolazione scoraggiata, non sapea che stringer la mano al frate e
ripetergli:--Amico... padre!... Buonvicino! mi raccomando a voi; son nelle
vostre mani... che devo fare?»
Se allora Buonvicino gli valesse, lo argomenti chi nei maggiori suoi
bisogni sentì la necessità di avere un amico, il quale voglia e
sappia consigliare, soccorrere, avventurar, sè stesso. Misurando
l'ansietà del Pusterla, dalla sua medesima, dopo che gli ebbe compartite
quelle consolazioni che per momenti siffatti serbano la religione e la
fiducia nella Provvidenza, uscì per prendere lingua, per conoscere se la
Margherita abbisognasse di ajuto, o non potesse ricevere più che
compassione. Con qual cuore egli fendeva le strade della città! con qual
trepidazione si accostava ai crocchi, o schiamazzanti o sbigottiti delle
persone, per raccogliere qualche notizia, qualche parola a mezzo! con che
ansia interrogava qualche frate, qualche suo fidato! Pur troppo venne
assicurato di quello che già presentiva: la disgrazia della Margherita:
ma non avendo potuto sapere nulla di Venturino, si fece maggiore di sè,
e trasse fino al palazzo dei Pusterla. Quivi una ciurma di popolaccio
esultava nel dare il sacco, porzione di sue ingiustizie che Luchino
concedeva all'ingordigia plebea per farla silenziosa e applaudente.
Buonvicino vi entrò, salì, cercò ogni ripostiglio, chiese a tutti,
ma nulla scoprì del figlioletto.
Vide la sala--quella memore sala!--Ogni cosa era scompiglio e guasto; ma
colà, nel vano d'una finestra, al luogo appunto ove, nel giorno del suo
errore e del pentimento, egli avea veduto la Margherita, scorse un telajo
da ricamo, che a nessuno doveva aver fatto gola, come cosa da troppo poco.
Su quello aveva la Margherita cominciato a trapuntare il fiorellino,
chiamato come lei. Oh quando lo cominciò, chi le avesse detto che non
doveva finirlo, e dove aveva a ritrovarlo!
Questa reliquia egli si tolse, la baciò, se la pose sul cuore,
proponendosi di non distaccarla mai più da sè; poi subito un affetto
generoso gli si elevò nell'anima, che condannando questo rimasuglio di
affetto mondano, gli ricordava la via di perpetua abnegazione, su cui era
entrato, e lo persuase di recare quel dono al Pusterla:--qual cosa potrebbe
riuscirgli più preziosa di quella, su cui la donna sua aveva fatto
l'ultimo studio?
In tal guisa uscì di nuovo; uscì per l'ultima volta dal funesto
palazzo; quanto il cordoglio glielo permetteva, esortando la ciurma ad
esser buoni, a star cheti, a non esacerbare con atti o con insulti le
miserie di chi già soffriva abbastanza. La turba lo ascoltava,
sospendeva i sacrileghi guasti, dicevansi uno all'altro:--Gli è quel
buon frate, quel frate santo»; ma appena aveva rivolto le spalle, e alla
riflessione succedeva l'istinto, ritornavano a far come prima e peggio.
E difatto, in quel caso, il frate santo che nascondeva e favoriva la fuga
di uno, perseguitato dalla legge, era prevaricatore; coloro che mandavano a
sacco e guasto la roba d'un ribelle, operavano legalmente:--nuovo argomento
in favore di chi fa sinonimi giustizia e legalità.
Tristo e desolato, col capo basso e rinvolto nel gabbano, si ravviava
Buonvicino al suo convento, tra le fosche vie della città, dove appena
negli spazj più dilatati la luna gettava uno sguardo senza calore, come
l'ammirazione che un logorato damerino comparte alla bellezza; come la
compassione che alla miseria concede l'egoismo. Ma poichè, sulla via
stessa di Brera, giunse alla chiesa di San Silvestro, ode chiamarsi con
replicata istanza. Riscosso quasi a forza dalle dolorose sue meditazioni,
così alla bruna scorge alcuno che, addopato ad un pilastro, gli accenna
cautamente; si accosta, e ravvisa Alpinolo, il quale occhieggiando se
veruno, quantunque fosse già buon'ora di notte, il potesse notare, gli
consegna il piccolo Venturino. Un lampo di fulgidissimo sereno tra la fitta
tenebria d'un uragano potrebbe appena assomigliarsi alla gioja che
irradiò il volto di Buonvicino; abbracciò il fanciulletto, strinse al
seno e baciò in fronte Alpinolo, il quale tristamente esclamava:--O
padre, non lo merito.... Salvate questo fanciullo.... salvate il
Pusterla... Ditegli... la colpa di tutto fu....»
E i singhiozzi lo interrompevano: sicchè Buonvicino, udendo avvicinarsi
una pedata:--Benedetto te! (gli disse) Va, fuggi; che il Signore
t'accompagni, e renda a te il padre, come tu rendesti al genitore questo
figliuolo».
Coperto poi sotto al gabbano il fanciullo, col favore della notte chiusa
entrò inosservato in Brera, dove le regole eran ben lontane dai rigori
imposti agli Ordini più recenti.
Lunghi, penosi volgevano intanto i momenti al Pusterla, chiuso in una
cameretta, col tormento, che è sommo, quello di vedersi ridotto
all'inazione allorchè maggior bisogno occorrerebbe d'operare: ridotto ad
aspettare una decisione capitale senza poter nè cansarla, nè
migliorarla; dubbioso su quello che fosse accaduto della casa sua, di sua
moglie, del suo bambino; dubbioso su quel che accadrebbe di lui medesimo;
senza il coraggio di prendersi tanta sciagura in pazienza e in espiazione.
Quando Buonvicino entrò nella cella, era bujo affatto, lo che tolse a
Francesco di vederne la fronte, pallida come di cadavere, ma tutta
l'estensione della sua disgrazia dovette comprendere quando, chiesto a
Buonvicino della Margherita, questi non fece che stendergli la mano
convulsa e madida di sudor gelato, mentre un singhiozzo mal represso gli
rivelò il pianto dell'amico.
E l'uno pianse coll'altro, e con essi il fanciullo;--povero fanciullo,
già abbastanza intelligente per comprendere la paterna afflizione; non
abbastanza ragionevole per conoscere l'arte di non esacerbarla. Egli si
abbracciava a suo padre, e il padre a lui, coll'impeto onde, nella perdita
di una persona cara, più ci attacchiamo a quelle che sopravanzano,
più proviamo il bisogno di sapere che le amiamo, che ne siamo amati, di
dirlo, di sentircelo dire. E tratto tratto Venturino rompeva in lacrime
più dirotte, e,--Babbo (esclamava), la mamma... oh se tu l'avessi
veduta! L'hanno legata come un ladro. Povera mamma! guardava me, chiamava
te, ma non piangeva....Dove sarà la mamma? andiamo a cercarla; stiamo
con lei:--con lei anche in prigione!»
Suo padre non poteva altro che raccomandargli di tacere, di star zitto,
perocchè frà Buonvicino neppure ai suoi confratelli erasi fidato di
rivelare il segreto che chiudeva nella sua cameretta. Anzi, per
dissimularlo, quella sera e il giorno da poi comparve tra essi alle opere,
alle salmodie consuete, soffogando il dolore che lo struggeva. Ma ognuno
potrà immaginarsi che trafitture fossero per lui i comuni discorsi, di
cui erano tema inevitabile i casi del giorno precedente; e quando alcuno ne
domandava lui stesso, e conoscendolo amico dei perseguitati, gli compartiva
le sguajate consolazioni cha usa la società, e che non fanno se non
invelenire le ferite. Colpo più forte portò al soffrente il prevosto
della casa, frà Giovanni da Aliate. Eccellente uomo era questo, ma,
siccome avviene troppo ordinariamente nei capi, qualora tra i loro
dipendenti abbiavi alcuno che si faccia amare e rispettar più di loro,
sentiva contro di Buonvicino un certo rancore, che egli intitolava zelo per
la salute de' suoi confratelli. La venerazione in cui Buonvicino era tenuto
nel convento, l'amore che gli portavano i cittadini, la fama di valente e
di santo che godeva presso l'universale, e' li scambiava per attentati
all'autorità sua propria. Non gli parve dunque vero di cogliere
un'occasione onde umiliare quello che esso chiamava orgoglio di Buonvicino,
il torto cioè di valere da più: e perciò quando si trovarono tutti
uniti in circolo, il prevosto avviò il discorso su quella cattura, e,
volgendosi a Buonvicino con tutta l'amorevolezza necessaria per rendere
più vivo il colpo, gli mostrò come avesse mancato di prudenza
mantenendo entratura con una casa, che già da un pezzo era conosciuta
per turbolenta e avversa al principe; indi rivolto agli altri, e
specialmente ai giovani, gli ammoniva che andassero cauti nella scelta
degli amici: meglio non averne; ma, se non altro, cercassero gente quieta e
dabbene: non imitassero l'esempio di certuni che, nutricando sotto al
mantello dell'umiltà la superbia e l'affezione al mondo, anzichè
volgersi ai poveri di Cristo, amano accomunarsi coi ricchi e coi potenti
della terra; nè di cert'altri, ai quali sta bene quel che Festo diceva a
San Paolo: _Insanis; multor te literæ ad insaniam convertunt_.
Tutti gli occhi naturalmente si fissarono sopra Buonvicino; i più dei
confratelli dissero col cuore, ed alcuni anche colle labbra, che il
prevosto aveva ragione, sebbene non s'inducessero a credere che Buonvicino
avesse torto: altri però, e massime i novizj, chinavano il capo e
tacevano, e dopo un silenzio meditabondo esclamavano con un sospiro:
--Povera gente!» e taluni anche--Povero Buonvicino!»
Questi nulla rispose al rabuffo del prevosto, e, come sogliono le anime
ambasciate, osservò rapidamente gli astanti per indagare su quale di
loro potesse far conto in un caso di bisogno: se non altro, qual sentimento
proverebbe al conoscere la vera sua situazione; e raccolto lo sguardo,
quasi non avesse trovato a riposarlo, raggrinzò la fronte a guisa degli
uomini forti, che concentrano i loro patimenti avvisando inutile ed
imprudente lo svelarli quando veruna parola non sarebbe bastante a ritrarne
la profondità, dove nessuno sarebbe capace di comprenderli.
Nella casa di Brera per tutto il giorno vi era un'attività faccendiera e
regolata, quale appena negli opifizj più fiorenti delle più vive
città ai giorni nostri; dalla porta un continuo entrare di carri,
portando ballotti di lana greggia, ed uscire di altri, carichi di panni
finiti; un pesare, un misurare, un battere di telaj, misto talvolta a
devote salmodie, tal altra a qualche cantilena popolare. Il silenzio
imposto negli altri monasteri, mai non erasi potuto prescrivere a questi,
che per ciò avevano poco prima vinto una lunga lite col pontefice,
siccome anche per non andar obbligati al digiuno: nè questo, nè
quello trovando conciliabili coi traffici e col lavorìo, a cui
specialmente si riguardavano dedicati.
In mezzo a quell'incessante rumore, zitto, occulto stavasi Franciscolo col
suo bambino, accovacciato nella cella angusta, più sicuro che in
qualsivoglia fortezza, ma col battimento di cuore troppo naturale alla sua
desolata posizione. Il dì Buonvicino li lasciava sempre soli, tra per
non mettere ombra col trascurare le solite occupazioni dell'istituto, e tra
per darsi attorno, e informarsi di quello che importava sapere. La notte
poi tutta la vegliava il buon frate coll'amico a discorrere dei casi loro,
a provvedere, a confortarlo.
Di cosa mal condotta noi sogliamo dire anche oggi «La par roba di
rubello»: il qual motto nasce da ciò, che le case e i poderi dei
proscritti per titolo politico solevano mandarsi a guasto: demolire le
prime, lasciar gli altri incolti. Azone Visconti però avea proibiti
questi eccessi, e la plebaglia dovette sapergli mal grado d'averle tolto il
gusto che, simile anche in questo ai fanciulli, essa prova nel distruggere.
Il palazzo dunque dei Pusterla non fu diroccato e solo mandato a sacco; gli
amici di Franciscolo che non erano riusciti a fuggire, doveano fra poco
venir sottoposti al giudizio; della Margherita nulla si sapeva: silenzio
che dava maggior ragione a temere.
Mentre una volta frà Buonvicino stava cogli infelici suoi ospiti, odono
un suono di trombetta avvicinarsi, cessare, poi risonar più dappresso,
interrompendosi di nuovo, sinchè chiaro lo si intese ai piedi del
convento. Il fanciullo, che facilmente veniva divagato da un'impressione
nuova e gradita, si mise in ascolto con compiacenza, invitando gli altri a
fare l'istesso, ed accostando il piccolo indice al naso per accennare che
tacessero, che gli lasciassero goder tutta quella distrazione. Era il
banditore del Comune, il quale veniva gridando per la città con una voce
da passar i tetti:--Cento fiorini d'oro di mancia a chi consegna vivo o
morto Franciscolo Pusterla». Qui un minuto di silenzio, poi dava fiato
allo strumento, e ripigliava:--Signori, taglia di cento fiorini d'oro sulla
testa di Franciscolo Pusterla, capo d'una scellerata combriccola per
abbattere il signor Luchino, scannare i preti, disfare la santa religione,
e far morir di fame la povera gente.--Signori....»
E così alternando il sonare e l'urlare, allontanavasi fra una turba di
plebe che lo seguiva; alcuni inorriditi delle annunziate enormità,
appena credendo che gente così scellerata potesse vivere sotto l'occhio
del sole, altri ideando qual bella fortuna sarebbe la loro se riuscissero a
scoprire e consegnare il bandito: l'ideavan quegli stessi, che, se mai ne
fosse venuto il caso, per natural bontà avrebbero rinunziato alla taglia
ed ajutata la fuga dell'accusato.
Intesero frà Buonvicino e il Pusterla quel suono: e Franciscolo
esclamando,--Una taglia! come un lupo, un orso!» coprì la testa del
suo Venturino perchè non udisse quelle funeste intimazioni; poi rimasto
un momento ad immaginare l'impressione che farebbe sulla ciurma, sui
malevoli, sugli invidiosi, sugli indolenti, alzò gli occhi inviso a
Buonvicino, e se gli buttò al collo, siccome una donna che, udendo
narrare i tradimenti d'altri mariti, si abbraccia al suo fedele,
esclamando:--Ma tu no; tu non mai».
Tolta la speranza di poter giovare alla Margherita, a sè, agli amici,
non rimaneva a Franciscolo altro partito che di cercar salvezza colla fuga,
e ritirarsi ad aspettare tempi migliori.--Va pure! (gli dicea frà
Buonvicino) Se per la Margherita vi sarà modo di scampo, o almeno di
consolazione, sai se qui lasci chi l'ama davvero, chi non farà meno di
quel che faresti tu medesimo, senza esporsi ai pericoli come te. Oh,
risparmia almeno a quella poveretta il sapere perduti e te e questo vostro
angioletto. Va; fuggi; fuggi lontano più che puoi: non dar troppo facile
credenza alle speranze, onde i forusciti lusingano sè stessi e gli
altri: non ti fidare a vanti, a promesse di stranieri. Lungo è il
braccio dei cattivi, e molte e tortuose le loro vie, più che il giusto
neppur se lo possa immaginare».
Una mattina, Angiolgabriello da Concorrezzo, portinajo che conoscete della
casa di Brera, schiudeva il cancello della porta rustica, e lasciava uscire
un barroccio di pannilani, senza dir altro se non,--Iddio vi benedica».
In alto di esso, coricato boccone e celato dalla sargia, era un fanciullo e
dietro dietro gli venivano due Umiliati, uno ravvolto nel gabbano bianco di
lana sparato dinanzi e col cappuccio, secondo costumavano i sacerdoti del
terzo ordine: l'altro a foggia dei laici, col gabbano anch'esso, greggio,
chiuso davanti e sparato ai lati per trarne le mani, con le pantofole ai
piedi, e in capo una gran berretta, della quale il popolo nostro li
soprannominava _i berrettani_. Erano essi fratel Buonvicino, il Pusterla e
Venturino. A questo avevano raccomandato vivamente di tacere, di non
muoversi: e il poveretto dimandò--Si va forse a trovare la mamma?» e
con questa speranza si accomodò e tacque. Chi entro fragile zattera
abbandona una punta di scoglio dove era stato gittato dalla tempesta, e per
riguadagnare il porto espone di nuovo la sua vita alla ventura dell'infido
elemento, può dar immagine di quello che provavano dentro i due amici al
primo metter piedi fuori dalla inviolabile soglia del convento, per dare
alcuni passi nella città ove tutto era pericolo.
Vero è però, che, essendo già trascorsi alquanti giorni da quella
prima sfuriata di guardie, di bandi, di sospetti, e credendosi omai presi o
scampati tutti que' gran nemici dello Stato, meno attento occhio si aveva
sopra coloro che uscissero. Anche le perquisizioni della finanza non
mettevano a rischio i nostri viandanti, atteso che gli Umiliati godevano
esenzione dal dazio di dieci soldi terzuoli, che ogni pezza di panno pagava
all'uscire. E poichè un portinajo veniva eletto a voce di popolo per
ciascuna porta della città, che vegliasse onde veruna frode non fosse
fatta nella riscossione, alcune erano affidate agli Umiliati, cioè la
porta Giovia, la postierla delle Azze, e questa del Guercio d'Algiso, dalla
quale appunto avevano a passare i fuggiaschi.
All'avvicinarsi dunque del loro carro, come fu conosciuto essere merce dei
frati, nessuno venne a farne la veduta: i due Umiliati di guardia
esclamarono--Pace, fratelli»: e--Pace anche a voi», rispose
Buonvicino: ed uscirono. Quando si trovarono allargati nella campagna,
Franciscolo osò alzare gli occhi, girarli intorno, rimirar ancora quel
bel cielo lombardo, imporporato dall'aurora, e che viepiù gli pareva
bello dopo che da molti giorni nol rimirava se non attraverso una socchiusa
finestra. Chiamò il figlioletto, che fin allora si era tenuto quatto,
colle mani sugli occhi, senza trar fiato, al modo onde si rimpiattano sotto
le coltri certi mal avvezzati, per paura delle fantasme. L'innocente
rizzò il biondo capo, e la prima cosa fu un sorriso al genitore il quale
se lo levò fra le braccia, teneramente baciandolo e ribaciandolo: e gli
disse:--Ora siamo salvi».
Venturino corrispondeva a quelle carezze, poi fissando in volto al padre
due occhi d'inesprimibile tenerezza, domandò:--E la mamma?»
Come potevano rispondergli i due se non col dare in uno scroscio di pianto?
e ricorrendo su tutti i casi del vivere suo con quella sventurata,
Francesco stette un momento rivolto verso le torri che s'abbassavano della
sua terra natale.
Oh, la patria, quando la si abbandona è pur cara! E quando la si
abbandona a quel modo! quando vi si lascia tanta parte di sè!
Una volta usciti di città, potevano i nostri profughi riguardarsi come
in sicuro. I Governi d'allora, tutti impeto e di forza e poca astuzia,
neppure sognavano la raffinata oculatezza dei secoli moderni. Quindi nè
posti di gente d'arme, nè squadriglie di birri, nè chi cercasse
dell'esser vostro, nè le mille cautele onde nei tempi colti la Polizia
tutela la pubblica tranquillità. La gente poi della campagna non aveva,
come la cittadina, sofferto l'influenza corruttrice della Corte e degli
artifizj dei tirannelli; e come serbava più vive le ricordanze della
goduta libertà, nutriva costumi schietti, compassionevoli: quei costumi
che si alterano fra le egoistiche importanze della città, e che non
furono ancora, per fortuna, disimparati affatto dai più lontani
abitatori della campagna lombarda. Quindi da per tutto, nei riposi del
lento loro viaggio trovarono liete accoglienze, cordiale ricovero.--Pace a
questa casa ed ai suoi abitanti», esclamava frà Buonvicino entrando: