Margherita Pusterla: Racconto storico - 11

accorr'uomo. Protese le braccia esclamando--Ajuto»; sollevò verso di
loro il suo bambino; li commosse a tenerezza, ma essi più non sapeano
via di soccorrerla; il fiume già l'aveva tratta lontano, già la
portava impetuoso.
L'ultima occhiata che la Rosalia volse al lido, le mostrò un pio
sacerdote, che, a vederlo, pareva le gridasse a gran voce la formola
dell'assoluzione dei peccati, alzando la destra in atto di benedirla:
mentre tutti i circostanti, piegate le ginocchia, oravano per lei, come si
ora per l'uomo in agonia.
Essa ricoricò il suo bambino, poi lasciossi in abbandono cader sul fondo
del perduto barchetto. Fra tanti e sì variati patimenti, fra il digiuno,
fra la nausea, fra la speranza tante volte nata e tante sparita, solo
l'amor materno l'aveva tenuta in vita; ora prevaleva l'ambascia; le si
offuscarono gli occhi, più non vide, più non udì...
Possa il suo pensiero in quegli ultimi istanti essersi affratellato a quel
dei fedeli, pietosamente preganti in sulla riva, per domandare con essi dal
Cielo quel rimedio, che più dalla terra non poteva aspettare!


CAPITOLO VIII.
I DISASTRI.

L'uccisore di Rosalia frattanto, guadagnata la riva, traversò le rovine
di Lecco, monumento di vendetta pubblica: rivide la macchia, fra cui esso
aveva concepito la vendetta privata, che ora tornava d'aver compiuta;
entrò nella rôcca, nella camera sua, e respirando come persona giunta
al termine di un difficile cammino, buttandosi sui letto esclamò:--Alla
fine son contento.»
Ma contentezza non segue al delitto, neppure in chi vi ha fatto il callo:
le gioje che esso procura sono tempestose, come l'inferno da cui procedono.
Quelle coltri, quel materasso riuscivano ispidi, pesanti per Ramengo;
voltavasi, contorcevasi, volendo pure a sè medesimo simulare
tranquillità, chiudeva gli occhi, si provava di dormire, ma rivenendo in
sè, trovavasi averli spalancati, fisi, incantati sopra i fantasmi che
l'immaginazione gli presentava. Non erano fantasmi di paura, ma quei della
donna sua, del figliuolo, delle loro ambasce; e lì immobili, confitti
alla proda del suo letto, al capezzale, alla porta: sicchè non potendo
stornarli, procurava mutar lo spavento in un'atroce dilettazione. Balzò
di su la coltrice, salì sulla vedetta: e quivi fermi gli sguardi
lampeggianti sopra il lago, col fosco crine spartito sulle due tempia
convulse, il pugno sopra la spada, l'altra mano aggrappata ad un merlo, si
sarebbe detto una statua posta colà ad ornamento o a spauracchio.
Tentennò poi risolutamente il capo, e proferì:--Sei là! là in
mezzo. Maledetta! perchè non dura eterna questa notte? perchè non
può colei sentir in essa tanti affanni, quanti da due mesi a me ne ha
fatti soffrire!»
Poi mirò farsi bujo verso tramontana, e un nebbione, quasi densa fumea
di fornace, avanzarsi radendo il lago: previde la burrasca, e ne
tripudiò: tripudiò quando la vide scoppiare: ogni groppo di vento che
rompesse, ogni fulmine che cascasse, egli trasaliva d'infernale piacere,
nella frenesia della rabbia figurandosi quel che ne patirebbe la donna.
L'acquazzone tutto il lavava; gli strideva tra le chiome il vento;--e' non
lo sentiva; non sentiva altro che l'ardore della vendetta.
Solo al primo albeggiare si tolse da guardare il lago; e salito a cavallo,
uscì furiosamente lunghesso la riva se mai essa vi fosse approdata, se
piuttosto la procella ne avesse rigettato il cadavere. Nulla vide, nulla ne
intese raccontare, onde fu al colmo della soddisfazione, sperando che,
com'era stato suo disegno, il lago avesse inghiottito e la vittima e le
traccie del delitto. Su quei primi giorni mascherò il rimorso con una
smania di operare; spedì attorno a cercare se mai il nembo o la piena
avessero fatto pericolare alcuno: sotto veste di esplorare gli andamenti di
certe bande che infestavano la valle San Martino, mandò di qua, di là
scorridori che gli riferissero a minuto quanto udivano, ma nessuno gli fe'
cenno di una donna affogata: onde esclamò:--Hai pur dato l'ultimo
tuffo!--Possa la tua agonia essere stata lunga, affannosa quanto te
l'auguro io, quanto la meriti! Possa io un giorno, come ho goduto, della
tua morte, così godere di quella dell'infame tuo drudo!»
A chiunque abbia idea della disordinata prepotenza dei governi militari in
ogni tempo, e della confusione speciale d'allora, quando, per troncare un
viluppo inestricabile, fu fatto uno statuto[16] che nessuno si ricercasse
per delitti commessi durante la guerra di Monza dal primo novembre 1322
all'undici dicembre 1324, sarà agevole spiegare come veruno
giuridicamente chiedesse conto a Ramengo della donna scomparsa; in privato
poi, coi subalterni gli valeva la superiorità per farli tacere: coi pari
e coi superiori non gli mancavano sfuggite e pretesti. A Lecco diede voce
che la Rosalia fosse andata a Milano: a Milano che fosse corsa ad unirsi
co' suoi parenti forusciti; poi che era morta, morta lei, morto il bambino,
e se ne finse accorato, celando il suo delitto sotto impenetrabili
apparenze, come celato lo aveva la superficie del lago, cui unicamente
l'aveva confidato.
La prima volta che di ciò fu inteso, il giovane Pusterla se ne mostrò
tocco nell'anima, siccome succede allorquando vediamo peccare chi più ci
pareva dabbene; allorquando vediamo chiuder il libro della vita chi non ne
avea scritto ancora che pochi fogli. E non rifiniva di chiederne; e
s'ingegnava di consolare Ramengo, prima colla speranza che certo ella
tornerebbe al marito, al dovere: poi, dopo credutala estinta,
coll'enumerarne le belle doti, e rammentare certi atti minuti, certe
leggiere parole, che tra i casi ordinarj sfuggono innotati, ma che tornano
a mente vivacissimi allorchè scomparve quello alla cui memoria erano
attaccati.
Ma questa commiserazione, questi encomj, ben altro suono facevano a
Ramengo. Non già ch'e' fosse cotanto geloso dell'onor suo che credeva
oltraggiato: ma la commiserazione faceva dispetto a lui, bramoso di
eccitare invidia: e nella ribalda anima sua il rimorso palliavasi sotto
altri affetti, dei quali soli era capace: odio, disprezzo, vendetta.
Sebbene verun tribunale, veruna potente voce chiamasse conto a Ramengo
dell'operato, sì lo interrogava fieramente una voce interna, quella che,
se i gran malvagi asseriscono di non sentire più, o mentiscono, o il
vero è che l'hanno soffocata sotto altre voci, principalmente sotto alla
smania che gli invade di nuovi delitti. Come l'ubbriaco, allorchè il
vino comincia a fargli dar volta al capo, crede ripararvi col berne del
nuovo: come una donna che d'una prima infedeltà sentesi spinta a
cancellare la memoria col commetterne di nuove, e sostituire la vorticosa
illusione della voluttà alla severità dell'innocenza perduta e al
salutare stimolo della coscienza; tale Ramengo per rapirsi allo strazio del
primiero misfatto provava una diabolica necessità di consumarne di
nuovi. E com'è sottilissimo l'amor proprio a trovare scuse fino alle
atrocità; così Ramengo versava ogni colpa sua sul Pusterla: fingeva a
sè stesso di avere amato Rosalia d'immenso amore, sinchè tra i loro
cuori non si frappose quell'esecrato: esagerava le speranze che avea
fondate su quel fanciullo; e col lungo fingere un tal sentimento, talvolta
Ramengo ritrovava in sè un vero rammarico di avere perduta quella sposa,
di cui gli ricorrevano a mente le rare doti del corpo e dell'animo, e le
dolcezze ch'essa gli prometteva.
Più ancora compiangeva il perduto figliuolo: così è dolce cosa a
tutti il vedersi crescere intorno un bambolo, col quale ritessere il
cammino della vita: così all'ambizioso è caro il poter erigere su
quello la speranza e i disegni dell'avvenire! Nè poteva Ramengo
ripiegare con un nuovo matrimonio, poichè da una parte la vulgare
opinione aggiungeva non so che obbrobrio alle seconde nozze e a chi le
contraeva; i feudatarj ne esigevano una tassa a profitto delle loro stalle:
obbrobrio che, a chi pretendesse trovar ragioni delle popolari ubbie,
parrà strano davvero in tempi che nessuno se ne apponeva al concubinato,
all'adulterio. Ma se questo riguardo era gittato alle spalle dai principi e
dai maggiori cittadini, doveva rispettarlo Ramengo, smaniato com'era di
salire, e quindi in necessità di accarezzare e i vizj de' magnati e i
pregiudizj de' volgari. Dall'altra parte chiedendo una seconda sposa poteva
indurre e questa e i parenti a cercare più sottilmente l'esito della
prima moglie, e rimestare così una sucida pasta.
Doveva dunque dire addio alle casalinghe consolazioni, smettere la lusinga
di potere, quel che a stento gli veniva fatto per sè stesso, montare
sublime per via di un figliuolo. Ma, anzichè accettare ciò come
conseguenza e punizione del suo misfatto, non volea vedervi che una ragione
onde portare peggior odio al Pusterla, onde concentrare su lui solo tutto
l'astio, che era un bisogno dell'anima sua, e che dapprima sfogava contro
la povera Rosalia.
Però una vendetta subitanea e violenta poteva fallirgli, e venire
punita, e non corrispondeva agli spasimi che nella sua immaginazione a lui
preparava. Conservò dunque le apparenze di servitù e di amore verso i
Pusterla, anzi le raffinò, come è stile dei traditori: non avresti
detto potersi dare altri più zelante dell'onor di quella casa: ma
intanto ne spiava ogni andamento, simile al lupo cerviero, che con lunga
persistenza seguita la vittima che destinò pasto alla rabbiosa sua fame.
Corsero gli anni: al Pusterla incontrarono i casi che già accennammo, e
si sposò colla Margherita Visconti. Ramengo, siccome cliente della
famiglia, assistette alla pompa della benedizione conjugale: e quel sacro
istante, in cui il cuore balza fra due vite, fra i desideri del passato e
le promesse dell'avvenire, ricordò al feroce il momento in cui egli
erasi giurato amore colla sua buona Rosalia. Vide poi la tenerezza e la
felicità spargere fiori a gara intorno e sopra della Margherita: con
invidioso struggimento vide il suo abborrito diventar padre d'un vezzoso
fanciullo: la beatitudine che quello godeva nelle incolpate mura
domestiche, gli riaprì, se mai erasi rimarginata, la ferita onde in
grazia di lui dicevasi trafitto.--Ecco! a me rapita una moglie, un
figliuolo: messa nell'animo mio questa procella.... tutto per colpa di
lui... ed egli nel colmo d'ogni felicità! E quel bambino? Oh un figlio!
se avessi io pure avuto un figlio! quanti ineffabili gaudj! quante floride
speranze! Poter anch'io amare, poter destare invidia! E non l'avrò
mai... mai! Colpa di chi? Ed egli lo ha... e così bello! Ha una donna...
una tal donna! Oh potessi turbargli cotesti godimenti! oh potessi mescere
alle sue labbra un sorso del fiele, di cui esso ha attossicate le mie!»
L'astio (tant'è versatile!) assunse perfino le apparenze di amore.
Perocchè, o rimanesse veramente preso anche Ramengo alla virtù e alla
bellezza della Margherita, come se un demonio s'invaghisse d'un cherubino:
o non si tenesse per pagato fin a che non ricambiasse collo scorno lo
scorno che dal Punteria pretendea aver ricevuto, incominciò a
corteggiare la costui moglie. E prima le venne in atti ed in parole
prodigando le lusinghe, da cui ella potesse argomentare come di lei vivesse
passionato: spinse quindi la sfacciataggine fino al punto di richiederla
apertamente di amore. La Pusterla vedevasi di così immensa distanza
superiore a colui, del quale, se non sapeva tutte le nequizie, indovinava
per istinto la maligna natura, che dalla sozza sua persecuzione affatto si
trovava sicura, e senza farne motto a veruno, le parve assai castigarlo col
disprezzo. Ramengo però non era uomo da fare come sbigottito e vinto al
primo colpo: anzi viepiù s'infervorava, fosse per punta, fosse
perchè, confidente nei meriti suoi, come suol essere chi non ne ha,
credesse potere coll'assiduità riportare una vittoria, tanto più
gloriosa quanto più difficile. Oltrechè fermamente erasi proposto di
cominciare le sue vendette contro il Pusterla dal contaminarne la donna: e
quando pure non vi dovesse riuscire nel fatto, anche le apparenze gli
sarebbero bastate; bastato che la vulgare malignità trovasse onde
appuntare la Margherita, e turbare i sonni a Franciscolo.--Ma costei
(diceva tra sè) non è costei come tutte le donne? A qual di esse
torna ingrato un omaggio che si presti alla loro bellezza? Oh cadrà,
cadrà: venga solo l'occasione».
E l'occasione parvegli venuta nell'incontro che sto per dirvi.
Sebbene non ancora tanto divulgata come si fece poi nel secolo XVI e nel
seguente, pure già correva allora l'opinione, che un uomo potesse far
patti cogli spiriti dell'inferno, ed acquistare così una facoltà
soprannaturale, alcune volte di giovare, più spesso, di nuocere altrui.
Sapevasi che versiere e stregoni potevano destare i turbini e quietarli;
ogni temporale si credeva da loro suscitato; e ne trovavano irrefragabili
prove nelle strane apparenze che assumevano le nubi accavallandosi, e nelle
quali l'immaginazione ravvisava figure di giganti, di bestie, di demoni.
Gli astrologhi, generazione molto attenente alle cose della magia, davan
norme ai principi, che dal cenno di essi facevano dipendere le azioni loro,
le guerre, le partenze. Ove, per dirne una sola, ricorderò l'avventura
del Petrarca che, mentre nel nostro duomo recitava un'adulatoria orazione
per l'inauguramento di Bernabò, Galeazzo e Matteo Visconti, si vide sul
più bello interrotto da quell'astrologo Andalon del Nero, che altrove
mentovammo, il quale aveva scoperto esser quello il preciso minuto della
combinazione di stelle migliore per fare la cerimonia. Ogni malattia poi
alquanto bisbetica veniva attribuita a fascino e sguardo maligno: erano
fatture di streghe gli accidenti, di cui l'uomo o non sapeva render ragione
o non aveva coraggio d'incolpare sè stesso: e credevasi ch'elle si
congregassero, certe notti, in certi luoghi, a tenere i loro conciliaboli
infernali.
Nè tutte queste opinioni erano germogliate unicamente nelle teste
plebee: forse anzi si apporrebbe chi dicesse al contrario non essersi tra
il vulgo radicate se non in grazia delle discussioni e degli ordinamenti di
chi dirigeva il vulgo. Le città dettarono leggi contro i maliardi:
qualche chiesa introdusse formole per esecrarli e scongiurarli; i sapienti
ne discutevano di proposito e sul serio; quando poi i tribunali
processarono per delitti di malía, la credenza diventò certezza:
volevate che i giudici e i tribunali s'ingannassero? Da una parte dunque
ridotta a sistema, questa opinione si confermò in coloro che
pretendevano di sapere, dall'altra, sparsa tra il vulgo da parabolani
d'ogni abito e d'ogni condizione, acquistò fin al segno, da parere
bestemmiatore ed eretico chi ne dubitasse.
Crescendo adunque il potere e il numero degli streghi a misura delle
persecuzioni, anche i ripari e gli antidoti si moltiplicarono: e mentre la
classe culta aveva scongiuri e fiamme, il popolino ne praticava di meno
empj e atroci; ad ubbie opponeva ubbie; e tra siffatti rimedj,
efficacissima era tenuta la rugiada della notte di San Giovanni. Chi si
bagnasse a quella, asserivano poter tutto l'anno vivere sicuro da
fatucchiere: certe erbe sbocciate e côlte in quella notte, erano il
tocca e sana degl'incanti. La quale opinione si collega ad altre che qui
non è il posto di commentare, ma di cui alcuna traccia è rimasta viva
fin nel secolo delle macchine a vapore, sì in Italia, sì fuori. In
tutto il nord, dalla Svezia alla Sassonia e sul Reno, si accendono ancora
grandi falò pel San Giovanni; un Inglese trovandosi in Irlanda la
vigilia di quel giorno, fu avvisato non si meravigliasse se a mezzanotte
vedrebbe accendersi dei fuochi su tutte le alture del contorno[17]; a
Newcastle le cuciniere fanno quella sera fiammate di gioia, a Londra gli
spazzacamini vi menano danze e processioni in vestire grottesco; in una
valle della contea di Oxford, detta Caval Bianco, si raccolgano tutti i
vicini a _ripulire_, come essi dicono _il cavallo_[18], cioè a svellere
l'erba da uno spazzo sterrato, che rappresentava un cavallo colossale, ed a
passarvi la giornata fra campestri allegrie. Io so di paesi lombardi ove,
malgrado le proibizioni, quella notte suonano continue le campane:
fanciulletto fui più d'una volta, da qualche femminella all'antica,
condotto a ricevere la guazza di San Giovanni, e in diversi luoghi mi
furono mostrati enormi noci, i quali, fin a quella sera conservatisi aridi
come di gennajo, la mattina si trovano verdeggiare del più folto e gajo
fogliame.
Ai tempi della nostra Margherita, in proporzione della fede o della
corrività, più solennemente celebravasi la vigilia di San Giovanni.
Dal cadere della sera fino all'alba successiva non tacevano mai le squille
sui centoventi campanili della città, affinchè le streghe, a cui, se
nol sapeste, è spaventosissimo lo scampanio, non potessero cogliere le
erbe nocevoli, nè impedire con loro malizie che fossero côlte le
preservative: intanto la gente non velava occhio per uscire garagollando a
ricevere la guazza miracolosa. Era quindi una specie di festa, un
berlingaccio notturno. Nei villaggi, adunati tutti alla campagna, su
qualche aja, in certi luoghi da ciò, i villani, al suono di zampogne e
cornamuse, canticchiavano, ballonzavano, pregavano: dico la gioventù,
nel mentre che i vecchi strascinatisi anch'essi pigramente al lampaneggio,
ripetevano una litania di storie di streghe: una donnicciuola assicurava
d'avere ella stessa veduto il tale o tal caso: l'altra di avere conosciuto
due, tre, più fatucchiere: quale, intender ogni notte un gatto miagolare
sul tetto della vicina: quale sentir la sua pigionale, di mezza notte,
massime quando il marito non fosse in casa, aprire e bisbigliare,
certamente, col foletto; il maggior numero e le più sincere si erano
quelle che assicuravano in vita loro non aver mai patito di malíe,
perchè mai non aveano lasciato di bagnarsi alla rugiada del San
Giovanni.
La Chiesa, che in tutto allora interveniva, neppur qui mancava: come si
continuò fino a noi nella solennità del Natale, così allora in
quel giorno si celebravano tre messe, una a mezzanotte, l'altra all'alba,
la terza sull'ora nona. Durante e dopo la messa notturna, si cantava un
ritmo, cioè un inno, una sequenza, lunga e di metro variato, della quale
pongo qui sotto per saggio alcune strofe[19]; la cantavano preti e
chierici; e il popolo, a tutta gola e cogli spropositi onde suol rifiorire
i cantici latini, rispondeva per ritornello:
_Quam beatus puer natus
Salvatoris angelus,
Incarnati nobis dati
Verbi vox et bajulus._
In Milano, senza ch'io vel dica, immaginerete che la solennità era
più raffinata e clamorosa. Niuno sarebbe rimasto fra le mura: tutti
uscivano chi di qua, chi di là; i più verso una selva, posta dove
ancora si dice San Giovannino alla Paglia: ed era una gara delle donne di
venirvi in begli abiti bianchi e divisati, che facevano singolare spicco al
bujo della notte; scollacciate secondo che portavano l'usanza e la
stagione, e con una vaghezza di fiori in capo, in mano, alla cintola, al
lembo delle vesti. Molte in coro intonavano certe canzoni, di semplici
note, cui gli uomini tenevano bordone; altre ad allegre sinfonie menavano
vivaci carole: non potendo nel recinto di quella selva penetrare nè
lettighe nè cavalli, e trovandosi a ronzare tutti a piedi, indistinti i
nobili dai plebei, i ricchi dai pezzenti, tolto di mezzo l'oltraggioso
ricordare della diversità delle fortune, nasceva una libertà sicura e
procace, somigliante a quella dei balli mascherati in carnevale. La notte,
la folla, l'allegria non è mestieri ch'io vi dica di quanti disordini
fossero cagione od incettivo in tempi come quelli.
Se la Margherita credesse anch'ella e temesse le streghe e le altre
superstizioni, non ho argomenti nè per asserirlo, nè per negarlo;
è probabile di sì, giacchè, quando un errore è divulgato,
troppo poche sono le menti privilegiate che ne siano tenute monde dallo
spirito di osservazione e dal rifiuto dell'opinione popolare. Fatto è
che colla folla soleva anch'essa colà condursi, ed unita alle compagne,
prendersi onestamente sollazzo, andando in ronda quanto la notte durava.
Credette valersene agli effetti suoi il vile Ramengo, e standole
indivisibile al fianco siccome un rimorso...
I cronisti, da cui ricaviamo tutta questa serie abbastanza sconnessa di
fatti, sebbene in alcune particolarità usino troppo più licenza che
nol comporti la raffinatezza degli orecchi moderni, qui non discendono a
chiarire la cosa; nè altro appare, se non che Ramengo si avvicinò
alla Margherita; e quanto insolente si comportasse il possiamo argomentare
da ciò, che ella, tutta gentile e temperata che era, lo percosse d'uno
schiaffo.
Per un'anima bieca che, simile ad un vaso fetido ove si corrompe anche la
rugiada che vi caschi, convertiva in occasioni di scelleraggine fino i
più soavi affetti, non domandate se questa fu profonda, immedicabile
ferita. Nol rimorse la propria colpa: solo vide l'orgoglio suo oltraggiato,
il contaminato onor suo: la sete di vendetta, che già lo stimolava
contro dal Pusterla, altrettanto e più fiera s'accese ora contro della
donna di lui:--Sì, sì; un colpo solo le farà scontare tutte.
Orgogliosa! ti avrà a tornare a mente la notte del San Giovanni!»
Di questo accidente la Margherita non credette opportuno far cenno al
marito: infatti a che pro? quanto a sè, tenevasi più che abbastanza
sicura contro un essere tanto spregevole: dal manifestarlo allo sposo
potevano nascere e turbazioni e guai vicendevoli. Ramengo però da
quell'ora non osò comparire in casa i Pusterla; le prime volte che si
avvenne in Franciscolo, il cansò studiosamente; ma dal modo con cui egli
si comportava seco qualora lo trovasse in altre case, o nelle comparse, o
sotto ai coperti, ebbe a chiarirsi che nulla sapeva dell'occorso; si
rassicurò, non si mitigò. Prese anzi maggior corruccio dal conoscersi
disprezzato, e nè tampoco creduto degno di ira: e poichè l'odio dei
tristi grandeggia di tutta l'altezza onde il nemico sovrasta ad essi, gli
pareva non aver bene di sè, finchè coloro non avessero redento col
sangue i fattigli oltraggi. Sulla casa ove più non ardiva portare i
passi, teneva aperti gli occhi indagatori: già vedemmo con quali
seduzioni lusingasse Luchino a voler contaminare la bella donna: sapendo
poi la ruggine che era tra il Pusterla e i Visconti, confidava non
tarderebbe l'occasione di rovinarlo. Un'accusa è così presto trovata!
Quasi un anno era passato dal caso che vi raccontai, ed il prossimo ritorno
della solennità di San Giovanni aveva rincrudita in Ramengo la mal
saldata piaga. Le disposizioni dei cittadini per festeggiare quella notte,
da cui tre giorni appena li dividevano, i preparativi delle donne, il
tripudio con cui ne ragionavano i fanciulli, pei quali un dì festivo
è un avvenimento, suscitavano in lui una maggiore furia di dispetto. Or
pensa, lettor mio, se a gran disegno gli venisse l'imprudente colloquio di
Alpinolo, il quale gli poneva in mano uno stilo avvelenato, onde colpire
non la sola Margherita e il consorte di essa, ma quegli altri amici,
ch'egli esecrava appunto perchè amati da loro; e nel tempo stesso gli
lastricava la via di sollevarsi nel favore del principe con questa prova di
zelo. Ambizione! l'idolo suo: e per raggiungerlo v'era di mezzo la testa
dei suoi nemici.
Recatosi dunque alla Corte, e ottenuto accesso al signor Luchino, gli
rivelò la gran trama, e ben crederete che trovò i colori più neri
per aggravare la colpa e l'idea del pericolo. Il tornare secreto del
Pusterla a Milano, abbandonando la sua destinazione, già dava titolo a
sospettare: fresca era la memoria di Piacenza, perduta da Galeazzo, (noi
l'abbiamo accennata parlando di frà Buonvicino), appunto per maneggi
d'un marito oltraggiato: Luchino poi e sapeva di meritar l'odio di molti,
ed agognava l'occasione di punire su Margherita le virtuose ripulse. Quando
il tristo può ritrovare un pretesto onde, sotto velo di giustizia,
mascherare l'iniquità, non ha egli il suo voto?
Dalla relazione di Ramengo appariva che i primi da cogliere dovevano essere
o il Basabelletta o Alpinolo: e secondo le deposizioni di questi, regolarsi
per gli altri. Ma Alpinolo era conosciuto come un fiero, che avrebbe
resistito a qual volessero maggiore tormento, anzichè peggiorare in
nulla la causa dei suoi benefattori: avrebbe anzi voluto in ogni guisa
scaricarli, a costo della propria vita: vita d'uomo oscuro, e quindi di
poca importanza. Parve dunque miglior consiglio porre lo mani addosso al
Basabelletta; poco interesse aveva costui a tacere: e la corda gli
strapperebbe quante confessioni bastassero per procedere, non importa se
giustamente, ma legalmente, contro degli altri che più stavano a cuore.
Coll'abituale suo passo violento, e balestrando gli occhi in qua e in
là, attraversava Alpinolo la piazza del Duomo, sempre infervorato nelle
medesime fantasie; allorchè ode chiamarsi con voce sommessa e
incalzante. Si volge, e ravvisa uno dei sergenti del capitano di giustizia,
col quale egli soleva non di rado trovarsi in radunanze popolari, al
giuoco, negli spettacoli, sulla taverna, luoghi che Alpinolo bazzicava per
moltiplicare a sè ed alla buona causa amici e fautori tra la plebe e tra
la gioventù. E gli giovò: poichè colui, passandogli a fianco, con
aria di misterioso sgomento, gli disse:--Seguimi»; e senza mostrare che
fosse fatto suo, piegò verso il Broletto nuovo, e quivi ridotti in uno
di quei chiassuoli, badato ben bene che nessuno gli ponesse mente,--Va,
(disse ad Alpinolo con voce affannata) va, e fuggi, e fa fuggire subito il
Pusterla.
--Ma perchè?
--Il signor Luchino manda ordine che siano incarcerati lui, la moglie,
tutti voi altri.
--Ha forse scoperto?...
---Sì: ogni cosa; hanno messo alla tortura il Menclozzo ed ha
schiodato...
--E chi fu la spia?
--Dio lo sa! Nessuno ha parlato oggi col principe fuorchè Ramengo.
--Ramengo!» proferì Alpinolo, spalancando gli occhi con aspetto e con
voce d'un terrore disperato. Dunque era un traditore quello di cui egli si
era interamente assicurato! dunque di un tal precipizio era colpa la sua
imprudenza! Urlando e bestemmiando sè e lui, neppur fece motto al
benevolo sergente (dei ribaldi ci conservarono il nome le cronache; questo
benedetto non parve degno di menzione; stile vecchio), e viepiù che di
passo corse Alpinolo giù per la via dei Mercanti d'oro [20]; fu alla
Balla, e fattosi alla porticina posteriore della casa Pusterla, bussò
violentemente.--Oh, oh? volete sfondare l'imposta?» gridò una
vociaccia di dentro; e si vide da un finestruolo da lato sporgersi una
testa nera e barbosa, con due occhi sdrusciti e uno sberleffe attraverso
alla gota. Costui, che chiamavasi Franzino Malcolzato, erasi acquistato pel
paese un tristo nome di fastidioso e manesco, a molti appoggiando e pugni e
brave coltellate, ora per conto suo proprio, ora per l'altrui, finchè fu
tolto al servizio del Pusterla. Un signore anche buono tenevasi sempre agli
stipendj alcuno di questi bassi scellerati, sì perchè fosse uno
strumento di meno in pugno dei suoi nemici, sì anche per potersene
all'uopo servire contro di essi, in tempi che la giustizia si faceva troppo
spesso a punta di spade e di pugnali, o almeno a bastonate.
Quest'arnese, come vide e conobbe Alpinolo, tosto gli ebbe dischiuso.
--Dov'è il signor Franciscolo?» chiese il giovane pressato.
--È fuori.
--E Margherita? la signora?
--Attorno anch'essa.
--Ma dove, in nome di Dio?
Il Malcolzato non rispose che facendo spalluccie. Ed Alpinolo imperversando
e bestemmiando, corse alle scuderie, saltò sul cavallo più corridore,
e lanciollo a tutta briglia per correre dove potesse immaginare che i
Pusterla si fossero condotti; e l'ultima parola che ne intese il Malcolzato
fu:--Maledetto Luchino e chi fa per lui!»
--E maledetto sia,» replicò egli guardando dietro al garzone, il
quale se n'andava che nè anche il vento: poi, per incantare la noja del
far la sentinella, sedutosi s'un muricciuolo daccanto alla porta, diede
occhio alla serpe viscontea che era dipinta quivi sur uno stipite, e
zufolando la guardò beffardamente. Già aveva mal sangue coi Visconti
perchè gl'impedivano di esercitare liberamente le sue prepotenze; in