L'undecimo comandamento: Romanzo - 12
pompa delle bianche corolle e degli stami dorati, ma che allora
mostravano i calici disseccati e le foglie bruciate dal sole. Ma tutto
non era vecchio, nè moribondo, colà. In mezzo a quel seccume di
cespugli, le eriche spingevano in alto le loro vette verdeggianti,
gremite di fiorellini; e i prunai facevano pompa dei loro frutti
rossicci che solo l'autunno avrebbe maturati; e il timo vestiva a
nuovo i suoi piccoli rami serpeggianti, e la vitalba stendeva
d'arbusto in arbusto le sue braccia sottili. Ogni cosa mostrava di
vivere; anche la morte, poichè essa metteva in mostra i germi di una
vita futura. Dai calici inariditi apparivano le capsule semi aperte,
coi grani pronti a balzar fuori, per dar vita a nuove generazioni di
piante. E la vampa del sole incombeva su tutto, con lo sguardo
tranquillo e possente dell'eterno signore, che sa di possedere e di
essere amato.
Ancora una volta, mi domanderete, dove andava il priore? E qui, se non
mi risolvessi a dirvelo io, sareste capaci di dirmelo voi, facendomi
perdere il merito dell'annunzio. Passin passino, il padre Anacleto se
ne andava al romitorio delle Querci.
Il piccolo edifizio fratesco, chiamato con questo nome, sorgeva su
d'un poggio alle spalle del convento. Di lassù si allargava la
prospettiva, e in mezzo a due contrafforti del monte si spiegava in
lontananza una valle, nel cui fondo, ove il cielo si confondeva col
piano, appariva qualche cosa di bianco, che doveva essere la piccola
città di Castelnuovo Bedonia. Veduto di lassù, il capoluogo del
circondario amministrato dal cavaliere Eudossio Tiraquelli non
riesciva punto noioso; anzi, il serafino biondo, appena giunto sul
colmo dell'erta, aveva dichiarato che quello era l'unico punto da dove
si potesse contemplare con qualche apparenza di gusto il suo domicilio
legale.
L'eremo prendeva il nome da un filare di querci, che incominciava a
vedersi in prossimità della sua vetta. Le querci costeggiavano il
sentiero sassoso che metteva a quella solitudine. Ma la più parte
degli alberi era stata tagliata dai primi compratori del convento.
Restavano solamente cinque o sei querci, dai tronchi bistorti, che
avevano avuta la fortuna di non parer buone a nulla, e di esser
lasciate in piedi sul ciglio natale, donde protendevano i loro rami
sfoggiati su d'una piega laterale del colle.
La pace del luogo era fatta per rasserenare uno spirito anche più
turbato di quello del padre Anacleto. Al canto delle cicale, che
sembrerebbe così monotono e fastidioso in città, si avvezzava
facilmente l'orecchio in quella solitudine aprica. Il saltellare delle
locuste, l'aliare delle farfalle di cespuglio in cespuglio, il
trapassar veloce delle libellule dal corpo sottile e dai riflessi
metallici, tutto, perfino quel confuso tremolìo dell'aria, che
sembrava un continuo brulicar di vapori da terra ai raggi assidui del
sole, doveva rallegrare lo sguardo del viandante, o, alla più trista,
fargli dimenticare per un momento le molestie della vita. Ma
all'orecchio del padre Anacleto era giunto un altro rumore, che non
gli consentiva di tener dietro al canto delle cicale. E il suo occhio
cercava qualcheduno, di cui quel rumore indicava la vicinanza.
Avrete già inteso che quello era un rumore di voci. Esso veniva per
l'appunto dalla insenatura del poggio che era protetta dall'ombra
delle querci. Il padre Anacleto si avanzò guardingo, per quella
propensione naturale che abbiamo tutti a cogliere qualche segreto in
aria, e che in lui era accresciuta da ragioni particolari, veramente
inutili a dirsi.
Si avanzò guardingo, come vi ho detto, allungò il collo tra due
cespugli, e vide.... Vide tal cosa che aveva il torto grandissimo di
rassomigliare maledettamente ad una scena d'idillio. Lo saprete anche
voi, lettori umanissimi; non c'è cosa che dia noia come un idillio,
nel quale noi stessi non abbiamo una parte, ed una parte primaria, per
giunta.
Accenniamo la scena. Anzi tutto il padre Prospero, sdraiato sul
tappeto, in verità non troppo soffice e non troppo verdeggiante, del
prato, con la testa posata contro la sporgenza d'un sasso e col suo
fazzoletto sugli occhi, per ripararsi dai raggi del sole che
sforacchiavano in alto la frappa. Accanto al padre Prospero il
serafino biondo, seduto con una quantità di fiori in grembo. Più
lungi, accanto ad un prunaio, il padre Agapito, che stendeva le mani
davanti a sè, per cogliere certi ramoscelli fioriti e recarli al
serafino biondo.
--Date qua,--diceva il monachino,--e non ne cogliete più altri.
Vorreste per caso seppellirmi sotto i fiori? Ce n'ho già per tre
ghirlande, non che per una.--
Il padre Agapito si era affrettato ad obbedire, e portava al serafino
biondo due bei rami sarmentosi di fiammola. Se nol sapete, la fiammola
è la più vaga e la più odorosa delle nostre clematiti. Nasce spontanea
ne' boschi e ricinge con le sue braccia flessuose i tronchi degli
alberi, s'intreccia coi prunai, serpeggia, s'innalza e ricade
graziosamente, facendo pompa di bei fiorellini bianchi e stellati, dal
cui mezzo si rizzano gli stami filiformi a pennacchio.
Di que' sottili ramicelli il serafino biondo aveva intrecciata una
ghirlanda, e, cedendo ad un moto di vanità infantile, se n'era cinto
le tempia. Pareva uno di quei leggiadri fraticelli incoronati, che
occorrono così frequenti nelle tavole dipinte del Quattrocento, così
piene di poesia e di sentimento religioso.
--Che ragazzate!--esclamò il priore stizzito.
Perdonate questo sfogo di malumore al padre Anacleto. Egli aveva
veduto il padre Agapito piantarsi davanti al serafino, e rimaner là
estatico, in adorazione, come un domenicano, o un francescano
qualunque, al cospetto della Madonna, in una di quelle tavole che vi
ho accennate poc'anzi.
Gli era venuta la voglia di balzar fuori dal suo nascondiglio. Ma il
pensiero di capitar là come un guastafeste lo trattenne. Era un
pensiero pieno di amarezza, che egli non conosceva ancora, o che forse
aveva dimenticato da un pezzo. Il povero padre Anacleto stette
alquanto sopra di sè, come studiando quel nuovo sentimento del suo
cuore; indi scosse sdegnosamente la testa e si allontanò dal suo
osservatorio. Lentamente da prima, per non farsi sentire; indi a
precipizio, per la via che metteva al convento.
Tratto tratto si fermava lì sui due piedi, senza che ne apparisse il
perchè; rotava gli occhi, si mordeva le labbra, crollava la testa,
quindi ripigliava l'aìre. Ahi, padre Anacleto! Quanto mutato da quel
degno priore d'una volta, che viveva contento a San Bruno, nella
placida rinunzia e nel benevolo disprezzo dell'universo mondo! Era lui
che aveva inventata la frase. E su lui la natura, eterna prepotente,
vendicava l'umanità conculcata.
Niente gli andava a versi, in quel punto; nè il sole, che lo coglieva
di sbieco, obbligandolo a torcer gli occhi; nè lo stridìo delle
cicale, di cui si accorgeva la prima volta in quel giorno; nè lo
svolazzare degli insetti, mosconi e libellule, che venivano a far le
capate contro le sue guance imperlate di sudore, o farfalloni e
vanesse, che gli facevano davanti agli occhi la loro danza
capricciosa. Un bel ramarro verde si soleggiava sul colmo d'uno
scoglio, e lo guardava con due occhietti lucidi come rubini. Sapete
che il ramarro è l'amico dell'uomo. Io forse un giorno vi racconterò
la storia della mia amicizia con due ramarri; amicizia che costò loro
la vita. Ma per non allontanarmi dal ramarro del padre Anacleto, vi
dirò che il saurio innocente se ne stava lassù, guatando il passeggero
e ansando con le fauci semiaperte. Parve al priore di essere canzonato
da quella graziosa bestiuola? Od era forse più vero che in quel
momento non volesse veder nessuno, nè uomo, nè bestia? Fatto sta che
il priore si chinò, raccolse un sasso da terra e lo levò in alto per
castigare l'insolente. Per fortuna, il ramarro vide quel braccio in
aria, e guizzò via come folgore. Del resto, anche il padre Anacleto,
pentito di quel moto di collera irragionevole, lasciava ricadere la
pietra.
--Diavolo!--borbottò egli, riprendendo la sua via.--Bisogna farla
finita; se no, si perde la pace.--
Tornò al convento, senza fare altre fermate, o monologhi. I suoi frati
erano quasi tutti sotto il portico, e in attesa del pranzo stavano
ragionando di politica. Vi ho già detto che quell'argomento non era
sbandito da San Bruno. Si può parlar di politica senza guastarsi il
sangue, quando non c'entrano le ragioni personali, nè di prima, nè di
seconda mano; in quella stessa guisa che si può toccare impunemente
una vipera, o un serpente a sonagli, se a questi interessantissimi
ofidii siano stati strappati prima i denti del veleno. Resta sempre la
necessità di toccarli con precauzione, per cansare le strette. E così
la politica, anche come discorso accademico, vuol essere trattata coi
guanti.
Per quell'onesto riguardo che tutti usavano al padre Anacleto, gli si
domandò il suo parere su d'un punto controverso. Ma il priore, che in
ogni altra circostanza avrebbe trovato il modo di contentare le due
parti, trovando il buono, o almeno la buona intenzione da per tutto,
per quella volta si allontanò dal suo metodo e ne disse di tutti i
colori. Niente andava più bene in Italia. Si era in un ronco. O
saltava il ministero, o si sarebbe andati incontro a grossi guai.
--Priore, o che l'avete fatto anche al sottoprefetto, questo
discorso?--chiese facetamente il padre Tranquillo.
--Gliel'avrei fatto sicuro, se avesse chiesta la mia
opinione;--rispose il padre Anacleto.--Egli è venuto invece a parlarmi
di tutt'altro. Sapete di che?
--Sentiamo;--dissero tutti, raccogliendosi intorno al priore.
--Dei due novizi che abbiamo accettati a San Bruno.--
Così disse il priore, e si pentì subito di aver cominciato. Ma i due
novizi erano stati meno fortunati del ramarro. Il sasso era gettato e
non si tirava più indietro col desiderio.
--Oh diamine!--esclamò il padre Atanasio.--E come c'entra il
sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia?
--C'entra.... c'entra,--balbettò il priore, che oramai doveva dir
tutto,--perchè il padre Prospero è un vecchio tutore di Castelnuovo.
--Un nobile ufficio quello di tutore!--disse il padre Tranquillo.--E
forse il nostro novizio ha dilapidate le sostanze del pupillo?
--Magari lo avesse fatto, che non ci avremmo a veder nulla noi
altri!--scappò detto al priore.
--Che ha fatto dunque di male?--gridò il padre Bonaventura.
--Avete incominciato; dovete dirci ogni cosa;--soggiunse il padre
Restituto.
--Ha condotto il suo pupillo tra noi;--rispose con voce sepolcrale il
priore.
--Ah! il padrino Adelindo?--esclamarono tutti.
--Che non è un padrino;--ripigliò il padre Anacleto.--Il pupillo,
signori miei, è.... una pupilla.
--Grande scoperta!--gridò il padre Restituto.--Lo avevamo detto, noi
altri, e voi non volevate crederlo.--
La faccia del priore si rabbruscò, a quell'escita del padre Restituto,
capo dell'opposizione in capitolo.
--Adagio, Biagio!--osservò il padre Tranquillo, prendendo le difese
del superiore.--Il nostro degno priore, se ben ricordo le sue parole,
non ha già detto di non volerlo credere. Ha detto che, quando pure il
monachino fosse stato... una monachina, non c'era da far nulla, e che
la nostra cavalleria doveva far le viste di non accorgersi della cosa.
--E forse ho avuto torto;--soggiunse gravemente il priore.--Eravamo
allora nel dubbio; oggi abbiamo la certezza. Il padrino Adelindo non è
altro che Adele Ruzzani, una ragazza di Castelnuovo, pupilla del
signor Prospero Gentili, suo zio materno, e fortunata erede d'un
vistoso patrimonio. Un capriccio di testolina bizzarra l'ha condotta
qui, nel convento dei matti.... come dicono cortesemente laggiù! Il
tutore è uno sciocco. Almeno, la sua condiscendenza al disegno
stravagante della nepote ce lo fa avere per tale.
--Quel caro padre Prospero!--notò pietosamente il padre Anselmo.
--E noi--proseguì il priore, senza por mente all'interruzione--siamo
qui in un bivio curioso; o di perdere la nostra cara tranquillità
monastica, ritenendo una donna tra noi, o di mostrarci ridicoli,
fingendo di non saperlo. Che ve ne pare?
--Non vedo il ridicolo;--disse il padre Restituto.
--Come? Voi, per l'appunto, che gridavate più di tutti?
--Mi son convertito alle vostre ragioni;--rispose il padre Restituto,
con un candore che sapeva d'ironia.--Del resto, amico priore, se voi
mettete a' voti le due corna del dilemma, ci troverete in maggioranza
pel ridicolo. Scusate, è un gusto come un altro, e chi si contenta
gode. Il padrino Adelindo, poichè io sto sempre per chiamarlo così, è
un ottimo ragazzo. È la luce e l'allegria del convento. Quando non c'è
lui, par d'essere al buio. Infatti, signori,--conchiuse il padre
Restituto, levando la voce e stendendo la mano,--ecco un raggio di
sole.--
Proprio in quel punto, appariva dall'androne il serafino biondo,
seguito dal padre Prospero e dal padre Agapito.
Quest'ultimo aveva una cera non troppo contenta. Forse gli dispiaceva
che la passeggiata fosse finita; forse aveva avuto qualche piccola
contrarietà. Più allegro era il padre Prospero, che si toglieva
finalmente dal sole, e si avvicinava per giunta al refettorio. Quella
mattina il cuoco gli aveva promesso un desinare di suo gusto, con una
certa replica d'agnellotti, che gli erano maledettamente piaciuti il
giorno prima, e il padre Prospero, mandando a quel paese i consigli
del medico, si abbandonava tutto alla voluttà di una pregustazione,
che era già per la sua incipiente polisarcia un prezioso alleato.
Precedendo di qualche passo i compagni, il padrino Adelindo entrava
nel chiostro. Il viso, incoronato da quella bionda zazzerina che
sapete, si mostrava tutto di un incarnatino tenero, pari al colore
delle rose bengalesi, che trasparisce da una velatura di bianco. E gli
occhi! Che dirvi degli occhi? Si capiva, vedendoli, anche il riso di
Beatrice, che ha esercitata la pazienza di tanti commentatori della
_Divina Commedia_. Ricorderete, o lettori, che Beatrice rideva con gli
occhi.
Accenno un fatto nuovo, che s'intenderà di leggieri, quando si pensi
che per la prima volta si vedeva il monachino biondo senza più
dubitare del vero esser suo.
--Come mai si è potuta fidare di venir qua in veste
d'uomo?--chiedevano gli astanti in cuor loro.
E la tacita domanda era naturale in tutta la comunità di San Bruno.
Coloro che avevano creduto un uomo il biondo novizio, dovevano
riconoscere di aver avute le traveggole; tutti gli altri potevano
maravigliarsi che i loro compagni le avessero avute. E negli uni e
negli altri era l'obbligo oramai di riconoscere la donna, anche
facendo le viste di durar nell'inganno.
Gl'inchini al biondo serafino furono molti; i complimenti per il suo
aspetto fiorente si alternarono con le premurose domande intorno alla
sua passeggiata. Poco mancò che taluni non gli offrissero il braccio,
per condurlo in refettorio. Arcano potere di due begli occhi!
--Bisogna finirla;--borbottava il priore, rimasto alquanto in
disparte,--bisogna finirla!--
Il serafino biondo si accostò a lui col suo leggiadro sorriso. Al
giocondo lume dei due smeraldi, onde Amore gli aveva scoccate le sue
armi (permettete che io vi significhi la cosa con una immagine
dantesca), il povero priore si sentì rimescolare il sangue nelle vene.
E facendo forza a sè medesimo, e cercando di dare alla sua faccia una
espressione più severa del solito, così disse al serafino biondo:
--Non avete più la vostra ghirlanda di fiammole?
--Ah!--esclamò il serafino.--Eravate lassù? Ma perchè non venirci a
trovare?--
Il padre Anacleto non credette opportuno di rispondere.
--Del resto, avete fatto bene;--soggiunse il serafino.--Si parlava
tanto di voi!
--Di me?--chiese il priore, inarcando le ciglia.--E che cosa si è
potuto dire di me?
--Non male, sicuramente. Anzi ho pensato ad un certo punto che
dovessero fischiarvi gli orecchi. Si parlava, tra l'altre cose, della
gran noia che vi dava quel sottoprefetto con la sua lunga fermata.--
Così dicendo, il serafino fissava gli occhi addosso al priore, come se
volesse leggergli in faccia il segreto di quella visita.
--Ah, sì;--disse il padre Anacleto;--quel sottoprefetto è un
cert'uomo!...
--Che cosa voleva da voi? È lecito saperlo?
--Ve lo dirò più tardi, padrino Adelindo. Ho bisogno per l'appunto di
parlare con voi e con vostro zio, e mi farete la grazia di passare
dopo pranzo da me.
--No, no, niente grazia, con mio zio!--rispose il
serafino.--Preferisco farla da solo. Andrò verso il giardino, e voi mi
accompagnerete. Va bene così?--
Il priore Anacleto rimase un po' sconcertato da quell'aria di
padronanza. Ma poi si strinse nelle spalle e chinò la testa in atto di
dire:--sia fatta la vostra volontà.--
XVII.
Il pranzo durò troppo per due persone, le quali avevano tante cose da
dirsi. Cioè, mi spiego, l'una aveva da dirle e l'altra da sentirle; ma
voi vorrete concedermi che quest'altra non si sarebbe contentata di
stare a sentire e avrebbe detto anche del suo. Ora il padre Anacleto
era tanto curioso di sapere che cosa gli avrebbe risposto il padrino,
vedendosi scoperto, come il padrino era curioso di sapere che cosa gli
avrebbe detto il priore, e con che tono, e con quali propositi.
Come Dio volle, si levarono tutti da tavola, e il padrino, uscito dei
primi dal refettorio, andò a chiudersi nella sua cella. Voleva egli
cansare i soliti accompagnatori, o più specialmente lo zio?
Quest'ultimo, anche a volerlo per forza come terzo nella
conversazione, non si sarebbe potuto ottenerlo. Aveva lavorato troppo
e sentiva il bisogno di riposare un pochino; perciò era andato a
finire in libreria, su quella tale poltrona, e il sonno aveva stese le
ali sul suo capo innocente. Il padre Agapito, il padre Restituto, ed
altri suoi cortigiani, che si erano accompagnati subito a lui,
sperando di veder tornare il biondo nepote, dovettero assistere
all'assopimento dello zio. Quando ritornarono all'aperto, videro il
priore che si allontanava dall'altra parte del chiostro, col serafino
a fianco. Il priore aveva incominciato un discorso di qualche
importanza, e si fermava ad ogni tratto, come un uomo che vuol calcare
sulle parole; il serafino andava o restava, secondo i movimenti del
suo interlocutore, e dava segno di molta attenzione, chinando spesso
la testa, in atto di assentimento. C'erano insomma tutti i caratteri
d'un dialogo, che non voleva essere interrotto da compagni importuni.
--Amici,--disse il padre Restituto a tutti gli altri che erano rimasti
come lui con un pugno di mosche,--non vorrei che il priore degnissimo,
dopo che ha riconosciuta la donna, ne prendesse una cotta.
--Eh via!--esclamò il padre Marcellino, che passava di là per andare
alla sua cella, e si era fermato, vedendo quel crocchio
d'osservatori.--Vorreste voi che proprio il fondatore dell'ordine
venisse meno alla sua stessa dottrina?
--Oh, non sarebbe il primo;--osservò il padre Ilarione.--C'è pure
stato il Creatore, che si pentì d'aver fatto l'uomo.
--In verità,--soggiunse il padre Costanzo,--sarebbe grazioso che
l'esempio della prevaricazione ci venisse da lui!
--Dal Creatore?--domandò argutamente il padre Marcellino.
--No, dico dal padre Anacleto, dall'inventore della seconda vocazione.
--Che, forse lo gradireste, l'esempio?--
La bottata era di quelle da levare il pelo; ma il padre Costanzo finse
di non intendere.
--L'esempio! l'esempio!--borbottò egli.--È sempre una brutta cosa,
l'esempio.
--Quando è brutto, sicuro. Ma chi vi dice, o signori, che il padre
Anacleto voglia dare un brutto esempio alla comunità di San Bruno? È
il priore che discorre con uno dei suoi frati, ed io non ci vedo
altro.
--Dopo quello che si sa?--chiese il padre Restituto.--Dopo quello che
ci ha detto egli stesso, prima di andare in refettorio?
--Eh, potrebbe darsi appunto che parlasse al biondo novizio di quella
tal rivelazione che gli è stata fatta quest'oggi.
--Il fratello Marcellino ha ragione;--entrò a dire il padre Agapito,
che era stato silenzioso fino allora.--Scommetto che il priore ne fa
una delle sue.
--Che cosa?--gridarono ad una voce il padre Restituto, il padre
Costanzo e il padre Ilarione.
--Sta persuadendo il padrino Adelindo ad andarsene via del convento.
--Oh, questo, poi!
--Vedrete che è così per l'appunto. Il nostro priore è lo spirito
dell'opposizione. Quando glielo dicevamo noi, non voleva crederlo, non
voleva far nulla. E adesso che noi ci siamo acquetati.... Perchè noi
ci siamo acquetati;-soggiunse il padre Agapito.--Voi stesso, fratello
Restituto, glielo avete detto chiaro e tondo: ammettiamo anche il
ridicolo. Il padrino Adelindo è un buon ragazzo; non dà molestia a
nessuno; domanda soltanto di poter vivere con noi, in questa pacifica
comunità. Anche lui, forse, avrà i suoi piccoli dispiaceri; vorrà
anche lui dimenticare le noie del mondo; perchè vorremmo
impedirglielo?
--Sicuramente!--gridò il padre Ilarione, sostenuto dall'approvazione
dei colleghi.--Perchè vorremmo impedirglielo? Non sarebbe carità la
nostra.
--E il priore avrebbe doppiamente torto a mandarlo via, senza
consultare i suoi compagni;--aggiunse il padre Restituto.--Siamo tutti
eguali qua dentro, e il suo priorato non è che una carica....
--D'ordine meramente amministrativo;--gridò il padre Costanzo.--Egli
non può mettere la sua volontà, il suo capriccio, in luogo e vece
della volontà di tutti.
--Si è sempre fatto ogni cosa d'accordo, non lo nego;--osservò il
padre Marcellino.--Ma qui, forse, il caso è diverso. Le opinioni
espresse l'altro giorno in capitolo potrebbero averlo persuaso a
prendere una risoluzione da sè.
--No, niente risoluzione. Ogni cosa ha da farsi in capitolo.
--Bene, chiedetegli di convocare il capitolo, e fate la vostra
domanda: vogliamo il padrino Adelindo; o Adelindo, o morte!--disse il
padre Marcellino, ridendo.
--Andiamo, voi la mandate in burletta;--osservò il padre Costanzo,
facendo il viso brusco.
--Noi non si dice che resti il padrino ad ogni costo;--aggiunse il
padre Restituto.--Si dice soltanto, e si sosterrà, che ci vogliono
certi riguardi.
--È questo, sì, è proprio questo!--gridarono ad una voce il padre
Costanzo e il padre Ilarione.
Ma il padre Agapito, che quel giorno era il meno parolaio di tutti,
diede sulla voce ai colleghi.
--Noi chiacchieriamo,--diss'egli,--e il priore decide.
--O che vorreste fare?--domandò il padre Marcellino.
--Andar laggiù, a disturbare il colloquio.
--Bravo! E non pensate ch'egli potrà dirvi....
--Che cosa potrà dirci? Sentiamo.
--Quello che gli direste voi, se foste ne' suoi panni, ed egli nei
vostri.--"Padre Agapito, di grazia, un po' di pazienza; fra mezz'ora
siamo da voi."
--È vero;--notò il padre Agapito, arrendendosi all'evidenza
dell'argomento;--non si potrebbe mandar via un uomo più cortesemente
di così. Ma vediamo se non c'è di meglio. Mi viene un'idea.
--Quale?--gridarono tutti.
--Mandare laggiù un tale a cui non si possa dire: "scusate, fra
mezz'ora siamo da voi." Il padre Prospero, per esempio! Lo destiamo,
lo armiamo in guerra e lo avventiamo come un brulotto nei fianchi del
nemico.--
L'idea piacque, anzi fece furore tra gli astanti. S'intende che il
padre Marcellino va messo in disparte; anzi, vi aggiungo che se ne
andò pei fatti suoi, dopo aver salutata quella mattìa dei colleghi con
un benevolo sorriso.
I tre congiurati rientrarono in chiesa. Il padre Prospero, fortunato
lui, russava beatamente nella sua fida poltrona. Ed essi a fargli
intorno un chiasso indiavolato, saltando, gridando, sventolandogli i
fazzoletti sul viso. Ma il padre Prospero resisteva virilmente
all'assalto. Lo presero allora per le mani, che teneva incrociate sul
ventre, e gli gridarono all'orecchio un visibilio di sciocchezze.
--Fratello Prospero, svegliatevi; brucia il convento.
--Chi dorme non piglia pesci.
--Chi veglia alla luna e dorme al sole, non acquista roba, nè onore.--
Il padre Prospero finalmente si scosse.
--Amici,--disse egli, aprendo gli occhi e richiudendoli subito,--_ego
dormio, sed cor meum vigilat_.
--Ah sì, un bel vegliare che fa!
--Sicuro, fa il chilo;--rispose padre Prospero, tentando di rimettersi
a dormire.
--Come? che avete detto? In voi, l'incaricato di questa delicatissima
operazione sarebbe il cuore? O che fa intanto lo stomaco?
--Non ne so nulla, io; si tratta di affari interni, nei quali io non
entro. Ci pensi chi deve. E voi lasciatemi dormire in pace.
--Bravo! Mentre la vostra bella nepote sta ascoltando la sua
sentenza!--
Quelle parole ebbero la virtù di farlo saltare sulla poltrona.
--Che sentenza?--gridò.--Che sapete voi della mia nepote?
--Sappiamo, fratello Prospero,--disse il padre Restituto,--sappiamo
quello che ci ha detto il priore, dopo il suo colloquio col
sottoprefetto di Castelnuovo. Non vi confondete per così poco, e
veniamo all'essenziale. Ora il priore è andato in giardino, col
padrino Adelindo.... Mi capite? La visita del sottoprefetto e le sue
rivelazioni stanno per avere un effetto.
--Ah!--disse il padre Prospero, come un uomo che avesse capito, od
anche come un uomo che sbadigliasse.
E ricadde sulla poltrona, assai più disposto a riprender sonno, che a
proseguire la conversazione.
--Come?--gridò il padre Restituto.--Non vi commovete?
--E perchè dovrei commuovermi, per un discorso del priore al... mio
nepote? Il priore è una degnissima persona, che non vorrà mica dirgli
una impertinenza.
--Sì, ma se egli frattanto gli dicesse pulitamente di andar via?
--Me ne andrei; il... mio nepote se ne andrebbe; noi due ce
n'andremmo.
--Con questa flemma?
--Eh, proprio con questa. O che volete? Che si resti in paradiso a
dispetto dei santi?
--Ma qui non ci siete, a dispetto di nessuno;--replicò il padre
Restituto.--Qui tutti vi amano.
--Siete il più prezioso tra gli amici;--soggiunse il padre Costanzo.
--Un vero fratello per tutti noi;--ribadì il padre Ilarione.
--Il più simpatico tra gli uomini;--rincalzò il padre Agapito.
--Grazie, grazie!--esclamò il padre Prospero ridendo.--Dite anche il
più amabile tra gli zii. Che vi pare?--soggiunse, mostrando di
accettare allegramente la sua condizione e di non voler sembrare
troppo ridicolo.--Uno zio come me non si trova mica tutti i giorni.
Forse un po' debole, che si è lasciato menare per il naso, e come zio,
e come tutore. Ma che farci? Avrei voluto veder voi nei miei panni.
L'ho tenuta a battesimo, quella cara fanciulla. Piccina così, mi
capite? Non c'era che quella, in casa, e per lei non c'ero che io.
Figuratevi che, quando vedeva me, non volesse stare neanche più con la
balia, e vi farete un'idea del bene che ho dovuto volergli. Cara
figliuola! E che testolina, buon Dio, che testolina! Perchè, signori
miei, non è solamente la sua bellezza che fa senso....
--È un angelo!--mormorò il padre Agapito.
--.... Ma anche la sua dottrina;--proseguì il padre Prospero.
--Oh, per questo, è un san Tommaso redivivo;--interruppe il padre
Costanzo.
--Di che san Tommaso parlate?--chiese il padre Restituto.
--Di quello d'Aquino, per bacco!
--Ah! credevo di quello del dito. Infatti, la sua venuta quassù, che
agli sciocchi potrebbe parere audacia, a me sembra amore di verità,
sete di cognizioni....
--Oh, dite benissimo, sete di cognizioni:--ripigliò il padre
Prospero.--Figuratevi che un giorno voleva andare al polo Artico. Se
la sarebbe cavata, la sete, in quelle latitudini! E poi, voleva andare
all'Equatore, per dissetarsi alle sorgenti del Nilo. Ed io che dovevo
seguirla! Sarei guarito della polisarcia; non vi pare? Fortunatamente
per le mie povere gambe, la malinconia gli è girata verso il convento
dei matti.... Oh, scusate! Ripeto quel che si dice comunemente a
Castelnuovo. Sebbene, tutto sommato.... via! siamo giusti.... un fil
mostravano i calici disseccati e le foglie bruciate dal sole. Ma tutto
non era vecchio, nè moribondo, colà. In mezzo a quel seccume di
cespugli, le eriche spingevano in alto le loro vette verdeggianti,
gremite di fiorellini; e i prunai facevano pompa dei loro frutti
rossicci che solo l'autunno avrebbe maturati; e il timo vestiva a
nuovo i suoi piccoli rami serpeggianti, e la vitalba stendeva
d'arbusto in arbusto le sue braccia sottili. Ogni cosa mostrava di
vivere; anche la morte, poichè essa metteva in mostra i germi di una
vita futura. Dai calici inariditi apparivano le capsule semi aperte,
coi grani pronti a balzar fuori, per dar vita a nuove generazioni di
piante. E la vampa del sole incombeva su tutto, con lo sguardo
tranquillo e possente dell'eterno signore, che sa di possedere e di
essere amato.
Ancora una volta, mi domanderete, dove andava il priore? E qui, se non
mi risolvessi a dirvelo io, sareste capaci di dirmelo voi, facendomi
perdere il merito dell'annunzio. Passin passino, il padre Anacleto se
ne andava al romitorio delle Querci.
Il piccolo edifizio fratesco, chiamato con questo nome, sorgeva su
d'un poggio alle spalle del convento. Di lassù si allargava la
prospettiva, e in mezzo a due contrafforti del monte si spiegava in
lontananza una valle, nel cui fondo, ove il cielo si confondeva col
piano, appariva qualche cosa di bianco, che doveva essere la piccola
città di Castelnuovo Bedonia. Veduto di lassù, il capoluogo del
circondario amministrato dal cavaliere Eudossio Tiraquelli non
riesciva punto noioso; anzi, il serafino biondo, appena giunto sul
colmo dell'erta, aveva dichiarato che quello era l'unico punto da dove
si potesse contemplare con qualche apparenza di gusto il suo domicilio
legale.
L'eremo prendeva il nome da un filare di querci, che incominciava a
vedersi in prossimità della sua vetta. Le querci costeggiavano il
sentiero sassoso che metteva a quella solitudine. Ma la più parte
degli alberi era stata tagliata dai primi compratori del convento.
Restavano solamente cinque o sei querci, dai tronchi bistorti, che
avevano avuta la fortuna di non parer buone a nulla, e di esser
lasciate in piedi sul ciglio natale, donde protendevano i loro rami
sfoggiati su d'una piega laterale del colle.
La pace del luogo era fatta per rasserenare uno spirito anche più
turbato di quello del padre Anacleto. Al canto delle cicale, che
sembrerebbe così monotono e fastidioso in città, si avvezzava
facilmente l'orecchio in quella solitudine aprica. Il saltellare delle
locuste, l'aliare delle farfalle di cespuglio in cespuglio, il
trapassar veloce delle libellule dal corpo sottile e dai riflessi
metallici, tutto, perfino quel confuso tremolìo dell'aria, che
sembrava un continuo brulicar di vapori da terra ai raggi assidui del
sole, doveva rallegrare lo sguardo del viandante, o, alla più trista,
fargli dimenticare per un momento le molestie della vita. Ma
all'orecchio del padre Anacleto era giunto un altro rumore, che non
gli consentiva di tener dietro al canto delle cicale. E il suo occhio
cercava qualcheduno, di cui quel rumore indicava la vicinanza.
Avrete già inteso che quello era un rumore di voci. Esso veniva per
l'appunto dalla insenatura del poggio che era protetta dall'ombra
delle querci. Il padre Anacleto si avanzò guardingo, per quella
propensione naturale che abbiamo tutti a cogliere qualche segreto in
aria, e che in lui era accresciuta da ragioni particolari, veramente
inutili a dirsi.
Si avanzò guardingo, come vi ho detto, allungò il collo tra due
cespugli, e vide.... Vide tal cosa che aveva il torto grandissimo di
rassomigliare maledettamente ad una scena d'idillio. Lo saprete anche
voi, lettori umanissimi; non c'è cosa che dia noia come un idillio,
nel quale noi stessi non abbiamo una parte, ed una parte primaria, per
giunta.
Accenniamo la scena. Anzi tutto il padre Prospero, sdraiato sul
tappeto, in verità non troppo soffice e non troppo verdeggiante, del
prato, con la testa posata contro la sporgenza d'un sasso e col suo
fazzoletto sugli occhi, per ripararsi dai raggi del sole che
sforacchiavano in alto la frappa. Accanto al padre Prospero il
serafino biondo, seduto con una quantità di fiori in grembo. Più
lungi, accanto ad un prunaio, il padre Agapito, che stendeva le mani
davanti a sè, per cogliere certi ramoscelli fioriti e recarli al
serafino biondo.
--Date qua,--diceva il monachino,--e non ne cogliete più altri.
Vorreste per caso seppellirmi sotto i fiori? Ce n'ho già per tre
ghirlande, non che per una.--
Il padre Agapito si era affrettato ad obbedire, e portava al serafino
biondo due bei rami sarmentosi di fiammola. Se nol sapete, la fiammola
è la più vaga e la più odorosa delle nostre clematiti. Nasce spontanea
ne' boschi e ricinge con le sue braccia flessuose i tronchi degli
alberi, s'intreccia coi prunai, serpeggia, s'innalza e ricade
graziosamente, facendo pompa di bei fiorellini bianchi e stellati, dal
cui mezzo si rizzano gli stami filiformi a pennacchio.
Di que' sottili ramicelli il serafino biondo aveva intrecciata una
ghirlanda, e, cedendo ad un moto di vanità infantile, se n'era cinto
le tempia. Pareva uno di quei leggiadri fraticelli incoronati, che
occorrono così frequenti nelle tavole dipinte del Quattrocento, così
piene di poesia e di sentimento religioso.
--Che ragazzate!--esclamò il priore stizzito.
Perdonate questo sfogo di malumore al padre Anacleto. Egli aveva
veduto il padre Agapito piantarsi davanti al serafino, e rimaner là
estatico, in adorazione, come un domenicano, o un francescano
qualunque, al cospetto della Madonna, in una di quelle tavole che vi
ho accennate poc'anzi.
Gli era venuta la voglia di balzar fuori dal suo nascondiglio. Ma il
pensiero di capitar là come un guastafeste lo trattenne. Era un
pensiero pieno di amarezza, che egli non conosceva ancora, o che forse
aveva dimenticato da un pezzo. Il povero padre Anacleto stette
alquanto sopra di sè, come studiando quel nuovo sentimento del suo
cuore; indi scosse sdegnosamente la testa e si allontanò dal suo
osservatorio. Lentamente da prima, per non farsi sentire; indi a
precipizio, per la via che metteva al convento.
Tratto tratto si fermava lì sui due piedi, senza che ne apparisse il
perchè; rotava gli occhi, si mordeva le labbra, crollava la testa,
quindi ripigliava l'aìre. Ahi, padre Anacleto! Quanto mutato da quel
degno priore d'una volta, che viveva contento a San Bruno, nella
placida rinunzia e nel benevolo disprezzo dell'universo mondo! Era lui
che aveva inventata la frase. E su lui la natura, eterna prepotente,
vendicava l'umanità conculcata.
Niente gli andava a versi, in quel punto; nè il sole, che lo coglieva
di sbieco, obbligandolo a torcer gli occhi; nè lo stridìo delle
cicale, di cui si accorgeva la prima volta in quel giorno; nè lo
svolazzare degli insetti, mosconi e libellule, che venivano a far le
capate contro le sue guance imperlate di sudore, o farfalloni e
vanesse, che gli facevano davanti agli occhi la loro danza
capricciosa. Un bel ramarro verde si soleggiava sul colmo d'uno
scoglio, e lo guardava con due occhietti lucidi come rubini. Sapete
che il ramarro è l'amico dell'uomo. Io forse un giorno vi racconterò
la storia della mia amicizia con due ramarri; amicizia che costò loro
la vita. Ma per non allontanarmi dal ramarro del padre Anacleto, vi
dirò che il saurio innocente se ne stava lassù, guatando il passeggero
e ansando con le fauci semiaperte. Parve al priore di essere canzonato
da quella graziosa bestiuola? Od era forse più vero che in quel
momento non volesse veder nessuno, nè uomo, nè bestia? Fatto sta che
il priore si chinò, raccolse un sasso da terra e lo levò in alto per
castigare l'insolente. Per fortuna, il ramarro vide quel braccio in
aria, e guizzò via come folgore. Del resto, anche il padre Anacleto,
pentito di quel moto di collera irragionevole, lasciava ricadere la
pietra.
--Diavolo!--borbottò egli, riprendendo la sua via.--Bisogna farla
finita; se no, si perde la pace.--
Tornò al convento, senza fare altre fermate, o monologhi. I suoi frati
erano quasi tutti sotto il portico, e in attesa del pranzo stavano
ragionando di politica. Vi ho già detto che quell'argomento non era
sbandito da San Bruno. Si può parlar di politica senza guastarsi il
sangue, quando non c'entrano le ragioni personali, nè di prima, nè di
seconda mano; in quella stessa guisa che si può toccare impunemente
una vipera, o un serpente a sonagli, se a questi interessantissimi
ofidii siano stati strappati prima i denti del veleno. Resta sempre la
necessità di toccarli con precauzione, per cansare le strette. E così
la politica, anche come discorso accademico, vuol essere trattata coi
guanti.
Per quell'onesto riguardo che tutti usavano al padre Anacleto, gli si
domandò il suo parere su d'un punto controverso. Ma il priore, che in
ogni altra circostanza avrebbe trovato il modo di contentare le due
parti, trovando il buono, o almeno la buona intenzione da per tutto,
per quella volta si allontanò dal suo metodo e ne disse di tutti i
colori. Niente andava più bene in Italia. Si era in un ronco. O
saltava il ministero, o si sarebbe andati incontro a grossi guai.
--Priore, o che l'avete fatto anche al sottoprefetto, questo
discorso?--chiese facetamente il padre Tranquillo.
--Gliel'avrei fatto sicuro, se avesse chiesta la mia
opinione;--rispose il padre Anacleto.--Egli è venuto invece a parlarmi
di tutt'altro. Sapete di che?
--Sentiamo;--dissero tutti, raccogliendosi intorno al priore.
--Dei due novizi che abbiamo accettati a San Bruno.--
Così disse il priore, e si pentì subito di aver cominciato. Ma i due
novizi erano stati meno fortunati del ramarro. Il sasso era gettato e
non si tirava più indietro col desiderio.
--Oh diamine!--esclamò il padre Atanasio.--E come c'entra il
sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia?
--C'entra.... c'entra,--balbettò il priore, che oramai doveva dir
tutto,--perchè il padre Prospero è un vecchio tutore di Castelnuovo.
--Un nobile ufficio quello di tutore!--disse il padre Tranquillo.--E
forse il nostro novizio ha dilapidate le sostanze del pupillo?
--Magari lo avesse fatto, che non ci avremmo a veder nulla noi
altri!--scappò detto al priore.
--Che ha fatto dunque di male?--gridò il padre Bonaventura.
--Avete incominciato; dovete dirci ogni cosa;--soggiunse il padre
Restituto.
--Ha condotto il suo pupillo tra noi;--rispose con voce sepolcrale il
priore.
--Ah! il padrino Adelindo?--esclamarono tutti.
--Che non è un padrino;--ripigliò il padre Anacleto.--Il pupillo,
signori miei, è.... una pupilla.
--Grande scoperta!--gridò il padre Restituto.--Lo avevamo detto, noi
altri, e voi non volevate crederlo.--
La faccia del priore si rabbruscò, a quell'escita del padre Restituto,
capo dell'opposizione in capitolo.
--Adagio, Biagio!--osservò il padre Tranquillo, prendendo le difese
del superiore.--Il nostro degno priore, se ben ricordo le sue parole,
non ha già detto di non volerlo credere. Ha detto che, quando pure il
monachino fosse stato... una monachina, non c'era da far nulla, e che
la nostra cavalleria doveva far le viste di non accorgersi della cosa.
--E forse ho avuto torto;--soggiunse gravemente il priore.--Eravamo
allora nel dubbio; oggi abbiamo la certezza. Il padrino Adelindo non è
altro che Adele Ruzzani, una ragazza di Castelnuovo, pupilla del
signor Prospero Gentili, suo zio materno, e fortunata erede d'un
vistoso patrimonio. Un capriccio di testolina bizzarra l'ha condotta
qui, nel convento dei matti.... come dicono cortesemente laggiù! Il
tutore è uno sciocco. Almeno, la sua condiscendenza al disegno
stravagante della nepote ce lo fa avere per tale.
--Quel caro padre Prospero!--notò pietosamente il padre Anselmo.
--E noi--proseguì il priore, senza por mente all'interruzione--siamo
qui in un bivio curioso; o di perdere la nostra cara tranquillità
monastica, ritenendo una donna tra noi, o di mostrarci ridicoli,
fingendo di non saperlo. Che ve ne pare?
--Non vedo il ridicolo;--disse il padre Restituto.
--Come? Voi, per l'appunto, che gridavate più di tutti?
--Mi son convertito alle vostre ragioni;--rispose il padre Restituto,
con un candore che sapeva d'ironia.--Del resto, amico priore, se voi
mettete a' voti le due corna del dilemma, ci troverete in maggioranza
pel ridicolo. Scusate, è un gusto come un altro, e chi si contenta
gode. Il padrino Adelindo, poichè io sto sempre per chiamarlo così, è
un ottimo ragazzo. È la luce e l'allegria del convento. Quando non c'è
lui, par d'essere al buio. Infatti, signori,--conchiuse il padre
Restituto, levando la voce e stendendo la mano,--ecco un raggio di
sole.--
Proprio in quel punto, appariva dall'androne il serafino biondo,
seguito dal padre Prospero e dal padre Agapito.
Quest'ultimo aveva una cera non troppo contenta. Forse gli dispiaceva
che la passeggiata fosse finita; forse aveva avuto qualche piccola
contrarietà. Più allegro era il padre Prospero, che si toglieva
finalmente dal sole, e si avvicinava per giunta al refettorio. Quella
mattina il cuoco gli aveva promesso un desinare di suo gusto, con una
certa replica d'agnellotti, che gli erano maledettamente piaciuti il
giorno prima, e il padre Prospero, mandando a quel paese i consigli
del medico, si abbandonava tutto alla voluttà di una pregustazione,
che era già per la sua incipiente polisarcia un prezioso alleato.
Precedendo di qualche passo i compagni, il padrino Adelindo entrava
nel chiostro. Il viso, incoronato da quella bionda zazzerina che
sapete, si mostrava tutto di un incarnatino tenero, pari al colore
delle rose bengalesi, che trasparisce da una velatura di bianco. E gli
occhi! Che dirvi degli occhi? Si capiva, vedendoli, anche il riso di
Beatrice, che ha esercitata la pazienza di tanti commentatori della
_Divina Commedia_. Ricorderete, o lettori, che Beatrice rideva con gli
occhi.
Accenno un fatto nuovo, che s'intenderà di leggieri, quando si pensi
che per la prima volta si vedeva il monachino biondo senza più
dubitare del vero esser suo.
--Come mai si è potuta fidare di venir qua in veste
d'uomo?--chiedevano gli astanti in cuor loro.
E la tacita domanda era naturale in tutta la comunità di San Bruno.
Coloro che avevano creduto un uomo il biondo novizio, dovevano
riconoscere di aver avute le traveggole; tutti gli altri potevano
maravigliarsi che i loro compagni le avessero avute. E negli uni e
negli altri era l'obbligo oramai di riconoscere la donna, anche
facendo le viste di durar nell'inganno.
Gl'inchini al biondo serafino furono molti; i complimenti per il suo
aspetto fiorente si alternarono con le premurose domande intorno alla
sua passeggiata. Poco mancò che taluni non gli offrissero il braccio,
per condurlo in refettorio. Arcano potere di due begli occhi!
--Bisogna finirla;--borbottava il priore, rimasto alquanto in
disparte,--bisogna finirla!--
Il serafino biondo si accostò a lui col suo leggiadro sorriso. Al
giocondo lume dei due smeraldi, onde Amore gli aveva scoccate le sue
armi (permettete che io vi significhi la cosa con una immagine
dantesca), il povero priore si sentì rimescolare il sangue nelle vene.
E facendo forza a sè medesimo, e cercando di dare alla sua faccia una
espressione più severa del solito, così disse al serafino biondo:
--Non avete più la vostra ghirlanda di fiammole?
--Ah!--esclamò il serafino.--Eravate lassù? Ma perchè non venirci a
trovare?--
Il padre Anacleto non credette opportuno di rispondere.
--Del resto, avete fatto bene;--soggiunse il serafino.--Si parlava
tanto di voi!
--Di me?--chiese il priore, inarcando le ciglia.--E che cosa si è
potuto dire di me?
--Non male, sicuramente. Anzi ho pensato ad un certo punto che
dovessero fischiarvi gli orecchi. Si parlava, tra l'altre cose, della
gran noia che vi dava quel sottoprefetto con la sua lunga fermata.--
Così dicendo, il serafino fissava gli occhi addosso al priore, come se
volesse leggergli in faccia il segreto di quella visita.
--Ah, sì;--disse il padre Anacleto;--quel sottoprefetto è un
cert'uomo!...
--Che cosa voleva da voi? È lecito saperlo?
--Ve lo dirò più tardi, padrino Adelindo. Ho bisogno per l'appunto di
parlare con voi e con vostro zio, e mi farete la grazia di passare
dopo pranzo da me.
--No, no, niente grazia, con mio zio!--rispose il
serafino.--Preferisco farla da solo. Andrò verso il giardino, e voi mi
accompagnerete. Va bene così?--
Il priore Anacleto rimase un po' sconcertato da quell'aria di
padronanza. Ma poi si strinse nelle spalle e chinò la testa in atto di
dire:--sia fatta la vostra volontà.--
XVII.
Il pranzo durò troppo per due persone, le quali avevano tante cose da
dirsi. Cioè, mi spiego, l'una aveva da dirle e l'altra da sentirle; ma
voi vorrete concedermi che quest'altra non si sarebbe contentata di
stare a sentire e avrebbe detto anche del suo. Ora il padre Anacleto
era tanto curioso di sapere che cosa gli avrebbe risposto il padrino,
vedendosi scoperto, come il padrino era curioso di sapere che cosa gli
avrebbe detto il priore, e con che tono, e con quali propositi.
Come Dio volle, si levarono tutti da tavola, e il padrino, uscito dei
primi dal refettorio, andò a chiudersi nella sua cella. Voleva egli
cansare i soliti accompagnatori, o più specialmente lo zio?
Quest'ultimo, anche a volerlo per forza come terzo nella
conversazione, non si sarebbe potuto ottenerlo. Aveva lavorato troppo
e sentiva il bisogno di riposare un pochino; perciò era andato a
finire in libreria, su quella tale poltrona, e il sonno aveva stese le
ali sul suo capo innocente. Il padre Agapito, il padre Restituto, ed
altri suoi cortigiani, che si erano accompagnati subito a lui,
sperando di veder tornare il biondo nepote, dovettero assistere
all'assopimento dello zio. Quando ritornarono all'aperto, videro il
priore che si allontanava dall'altra parte del chiostro, col serafino
a fianco. Il priore aveva incominciato un discorso di qualche
importanza, e si fermava ad ogni tratto, come un uomo che vuol calcare
sulle parole; il serafino andava o restava, secondo i movimenti del
suo interlocutore, e dava segno di molta attenzione, chinando spesso
la testa, in atto di assentimento. C'erano insomma tutti i caratteri
d'un dialogo, che non voleva essere interrotto da compagni importuni.
--Amici,--disse il padre Restituto a tutti gli altri che erano rimasti
come lui con un pugno di mosche,--non vorrei che il priore degnissimo,
dopo che ha riconosciuta la donna, ne prendesse una cotta.
--Eh via!--esclamò il padre Marcellino, che passava di là per andare
alla sua cella, e si era fermato, vedendo quel crocchio
d'osservatori.--Vorreste voi che proprio il fondatore dell'ordine
venisse meno alla sua stessa dottrina?
--Oh, non sarebbe il primo;--osservò il padre Ilarione.--C'è pure
stato il Creatore, che si pentì d'aver fatto l'uomo.
--In verità,--soggiunse il padre Costanzo,--sarebbe grazioso che
l'esempio della prevaricazione ci venisse da lui!
--Dal Creatore?--domandò argutamente il padre Marcellino.
--No, dico dal padre Anacleto, dall'inventore della seconda vocazione.
--Che, forse lo gradireste, l'esempio?--
La bottata era di quelle da levare il pelo; ma il padre Costanzo finse
di non intendere.
--L'esempio! l'esempio!--borbottò egli.--È sempre una brutta cosa,
l'esempio.
--Quando è brutto, sicuro. Ma chi vi dice, o signori, che il padre
Anacleto voglia dare un brutto esempio alla comunità di San Bruno? È
il priore che discorre con uno dei suoi frati, ed io non ci vedo
altro.
--Dopo quello che si sa?--chiese il padre Restituto.--Dopo quello che
ci ha detto egli stesso, prima di andare in refettorio?
--Eh, potrebbe darsi appunto che parlasse al biondo novizio di quella
tal rivelazione che gli è stata fatta quest'oggi.
--Il fratello Marcellino ha ragione;--entrò a dire il padre Agapito,
che era stato silenzioso fino allora.--Scommetto che il priore ne fa
una delle sue.
--Che cosa?--gridarono ad una voce il padre Restituto, il padre
Costanzo e il padre Ilarione.
--Sta persuadendo il padrino Adelindo ad andarsene via del convento.
--Oh, questo, poi!
--Vedrete che è così per l'appunto. Il nostro priore è lo spirito
dell'opposizione. Quando glielo dicevamo noi, non voleva crederlo, non
voleva far nulla. E adesso che noi ci siamo acquetati.... Perchè noi
ci siamo acquetati;-soggiunse il padre Agapito.--Voi stesso, fratello
Restituto, glielo avete detto chiaro e tondo: ammettiamo anche il
ridicolo. Il padrino Adelindo è un buon ragazzo; non dà molestia a
nessuno; domanda soltanto di poter vivere con noi, in questa pacifica
comunità. Anche lui, forse, avrà i suoi piccoli dispiaceri; vorrà
anche lui dimenticare le noie del mondo; perchè vorremmo
impedirglielo?
--Sicuramente!--gridò il padre Ilarione, sostenuto dall'approvazione
dei colleghi.--Perchè vorremmo impedirglielo? Non sarebbe carità la
nostra.
--E il priore avrebbe doppiamente torto a mandarlo via, senza
consultare i suoi compagni;--aggiunse il padre Restituto.--Siamo tutti
eguali qua dentro, e il suo priorato non è che una carica....
--D'ordine meramente amministrativo;--gridò il padre Costanzo.--Egli
non può mettere la sua volontà, il suo capriccio, in luogo e vece
della volontà di tutti.
--Si è sempre fatto ogni cosa d'accordo, non lo nego;--osservò il
padre Marcellino.--Ma qui, forse, il caso è diverso. Le opinioni
espresse l'altro giorno in capitolo potrebbero averlo persuaso a
prendere una risoluzione da sè.
--No, niente risoluzione. Ogni cosa ha da farsi in capitolo.
--Bene, chiedetegli di convocare il capitolo, e fate la vostra
domanda: vogliamo il padrino Adelindo; o Adelindo, o morte!--disse il
padre Marcellino, ridendo.
--Andiamo, voi la mandate in burletta;--osservò il padre Costanzo,
facendo il viso brusco.
--Noi non si dice che resti il padrino ad ogni costo;--aggiunse il
padre Restituto.--Si dice soltanto, e si sosterrà, che ci vogliono
certi riguardi.
--È questo, sì, è proprio questo!--gridarono ad una voce il padre
Costanzo e il padre Ilarione.
Ma il padre Agapito, che quel giorno era il meno parolaio di tutti,
diede sulla voce ai colleghi.
--Noi chiacchieriamo,--diss'egli,--e il priore decide.
--O che vorreste fare?--domandò il padre Marcellino.
--Andar laggiù, a disturbare il colloquio.
--Bravo! E non pensate ch'egli potrà dirvi....
--Che cosa potrà dirci? Sentiamo.
--Quello che gli direste voi, se foste ne' suoi panni, ed egli nei
vostri.--"Padre Agapito, di grazia, un po' di pazienza; fra mezz'ora
siamo da voi."
--È vero;--notò il padre Agapito, arrendendosi all'evidenza
dell'argomento;--non si potrebbe mandar via un uomo più cortesemente
di così. Ma vediamo se non c'è di meglio. Mi viene un'idea.
--Quale?--gridarono tutti.
--Mandare laggiù un tale a cui non si possa dire: "scusate, fra
mezz'ora siamo da voi." Il padre Prospero, per esempio! Lo destiamo,
lo armiamo in guerra e lo avventiamo come un brulotto nei fianchi del
nemico.--
L'idea piacque, anzi fece furore tra gli astanti. S'intende che il
padre Marcellino va messo in disparte; anzi, vi aggiungo che se ne
andò pei fatti suoi, dopo aver salutata quella mattìa dei colleghi con
un benevolo sorriso.
I tre congiurati rientrarono in chiesa. Il padre Prospero, fortunato
lui, russava beatamente nella sua fida poltrona. Ed essi a fargli
intorno un chiasso indiavolato, saltando, gridando, sventolandogli i
fazzoletti sul viso. Ma il padre Prospero resisteva virilmente
all'assalto. Lo presero allora per le mani, che teneva incrociate sul
ventre, e gli gridarono all'orecchio un visibilio di sciocchezze.
--Fratello Prospero, svegliatevi; brucia il convento.
--Chi dorme non piglia pesci.
--Chi veglia alla luna e dorme al sole, non acquista roba, nè onore.--
Il padre Prospero finalmente si scosse.
--Amici,--disse egli, aprendo gli occhi e richiudendoli subito,--_ego
dormio, sed cor meum vigilat_.
--Ah sì, un bel vegliare che fa!
--Sicuro, fa il chilo;--rispose padre Prospero, tentando di rimettersi
a dormire.
--Come? che avete detto? In voi, l'incaricato di questa delicatissima
operazione sarebbe il cuore? O che fa intanto lo stomaco?
--Non ne so nulla, io; si tratta di affari interni, nei quali io non
entro. Ci pensi chi deve. E voi lasciatemi dormire in pace.
--Bravo! Mentre la vostra bella nepote sta ascoltando la sua
sentenza!--
Quelle parole ebbero la virtù di farlo saltare sulla poltrona.
--Che sentenza?--gridò.--Che sapete voi della mia nepote?
--Sappiamo, fratello Prospero,--disse il padre Restituto,--sappiamo
quello che ci ha detto il priore, dopo il suo colloquio col
sottoprefetto di Castelnuovo. Non vi confondete per così poco, e
veniamo all'essenziale. Ora il priore è andato in giardino, col
padrino Adelindo.... Mi capite? La visita del sottoprefetto e le sue
rivelazioni stanno per avere un effetto.
--Ah!--disse il padre Prospero, come un uomo che avesse capito, od
anche come un uomo che sbadigliasse.
E ricadde sulla poltrona, assai più disposto a riprender sonno, che a
proseguire la conversazione.
--Come?--gridò il padre Restituto.--Non vi commovete?
--E perchè dovrei commuovermi, per un discorso del priore al... mio
nepote? Il priore è una degnissima persona, che non vorrà mica dirgli
una impertinenza.
--Sì, ma se egli frattanto gli dicesse pulitamente di andar via?
--Me ne andrei; il... mio nepote se ne andrebbe; noi due ce
n'andremmo.
--Con questa flemma?
--Eh, proprio con questa. O che volete? Che si resti in paradiso a
dispetto dei santi?
--Ma qui non ci siete, a dispetto di nessuno;--replicò il padre
Restituto.--Qui tutti vi amano.
--Siete il più prezioso tra gli amici;--soggiunse il padre Costanzo.
--Un vero fratello per tutti noi;--ribadì il padre Ilarione.
--Il più simpatico tra gli uomini;--rincalzò il padre Agapito.
--Grazie, grazie!--esclamò il padre Prospero ridendo.--Dite anche il
più amabile tra gli zii. Che vi pare?--soggiunse, mostrando di
accettare allegramente la sua condizione e di non voler sembrare
troppo ridicolo.--Uno zio come me non si trova mica tutti i giorni.
Forse un po' debole, che si è lasciato menare per il naso, e come zio,
e come tutore. Ma che farci? Avrei voluto veder voi nei miei panni.
L'ho tenuta a battesimo, quella cara fanciulla. Piccina così, mi
capite? Non c'era che quella, in casa, e per lei non c'ero che io.
Figuratevi che, quando vedeva me, non volesse stare neanche più con la
balia, e vi farete un'idea del bene che ho dovuto volergli. Cara
figliuola! E che testolina, buon Dio, che testolina! Perchè, signori
miei, non è solamente la sua bellezza che fa senso....
--È un angelo!--mormorò il padre Agapito.
--.... Ma anche la sua dottrina;--proseguì il padre Prospero.
--Oh, per questo, è un san Tommaso redivivo;--interruppe il padre
Costanzo.
--Di che san Tommaso parlate?--chiese il padre Restituto.
--Di quello d'Aquino, per bacco!
--Ah! credevo di quello del dito. Infatti, la sua venuta quassù, che
agli sciocchi potrebbe parere audacia, a me sembra amore di verità,
sete di cognizioni....
--Oh, dite benissimo, sete di cognizioni:--ripigliò il padre
Prospero.--Figuratevi che un giorno voleva andare al polo Artico. Se
la sarebbe cavata, la sete, in quelle latitudini! E poi, voleva andare
all'Equatore, per dissetarsi alle sorgenti del Nilo. Ed io che dovevo
seguirla! Sarei guarito della polisarcia; non vi pare? Fortunatamente
per le mie povere gambe, la malinconia gli è girata verso il convento
dei matti.... Oh, scusate! Ripeto quel che si dice comunemente a
Castelnuovo. Sebbene, tutto sommato.... via! siamo giusti.... un fil
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