L'undecimo comandamento: Romanzo - 11

--La filosofia civile! La filosofia civile, è una spiritosa invenzione
dei filosofi. E poi, quand'anche fosse una cosa seria.... Scusi, non
parlo pe' miei colleghi, che possono difendersi meglio da sè; parlo
pel mio signor me, che conosco un tantino. Qual è, secondo la
filosofia civile, il mio debito verso la società? Darmi a lei, secondo
le forze e l'ingegno. Le forze, le ho date, quando era necessario, e
fin dove ho potuto, in uno di quegli uffici che non sono dei più
ricercati, in una di quelle posizioni in cui non c'è nessuno che
voglia starvi dinanzi. Se Dio vuole, ce n'è uno, dei posti, che non fa
invidia ai soliti competitori; il posto del soldato in faccia al
nemico. E qui, modestamente, ma volentieri, ho fatto il debito mio.
Resta l'obbligo secondo l'ingegno. Ma qui, la prego a considerare una
cosa. Io non ho ingegno; sono una talpa; non devo dunque più nulla.
--Il suo modo di argomentare, perdoni, non è solamente un tantino
paradossale;--osservò il sottoprefetto;--ma è grandemente ingiusto
verso di Lei.--
Il complimento era girato bene; ma il priore non ci si lasciò
cogliere.
--Non creda, commendatore, non creda. Ci ho un po' di chiacchiera che
inganna; ma è tutto spolvero, praticaccia, senza alcun lume di
scienza. Ho studiato poco, da giovane, ed ho lasciato correre, da uomo
maturo. Tornando alla questione, io, senza dottrina e senza trattati
la ragiono così. Che cos'è questo diritto sociale? Come lo intendono
loro, non è altro che la giustificazione di tutte le tirannie, levate
di mano a Tizio e Caio, e date in custodia al signor Tutti, un
benedetto uomo il quale non sa mai che cosa si voglia. La società vuol
questo; la società vuole quest'altro; qui non si può stare perchè
l'interesse sociale non lo permette; di qui non si può escire, perchè
l'interesse sociale non lo consente. Se studio l'arabo, la società
vuol far di me un professore; non mi serve a nulla il dire che l'ho
studiato per mio gusto; debbo essere professore, l'interesse sociale
esige che io lo sia, affinchè un altro professore possa dar dell'asino
a qualcheduno e dichiararmi un intruso nel gran tempio del sapere.
Perchè c'è anche il tempio, coi rispettivi penetrali e il rispettivo
sacerdozio. La società si tratta bene, con la rettorica per maestra di
casa. Ma in nome di Dio, bisognerebbe che c'intendessimo sul valore
delle parole e sulla definizione dei doveri. Ci abbiamo invece una
dozzina di scuole, se non più, ognuna delle quali interpreta tutto a
suo modo. Un giorno erano dottrinarii; oggi son tutti sperimentali;
domani saranno tutti evoluzionisti; dottrinari che ammettevano questo
e negavano quest'altro, scindendosi in varie chiesuole; sperimentali
che negavano questo e ammettevano quell'altro, spartendosi anche loro
in tanti laboratorii; evoluzionisti, che ammetteranno e negheranno
ogni cosa, per far la strada pulita e ritornare da capo. Prima avevamo
l'individuo libero, anzi allo stato selvaggio e nato, magari Dio,
senza levatrice; poi venne, o tornò, l'uomo schiavo di tutte le
autorità ideali e materiali, dalla formola del filosofo alla chiamata
del questore (scusi, veh, ma questa è storia per sommi capi); adesso
abbiamo l'uomo libero da capo, e tutte le teoriche a bollire nella
medesima pentola. Sciogliere, legare, accentrare, decentrare, libero
arbitrio e impulso fatale, probabilità e necessità, leggi scaturite
dal fatto, fatti rampollati dalla legge, l'ovo prima della gallina e
la gallina prima dell'ovo; io, per me, credo sia tutto un intruglio,
un sacco d'invenzioni più o meno felici, per esercitare i rètori
moderni e intrattenere i curiosi. Credo anch'io a certi doveri, ma
d'indole negativa, come il non far male a nessuno. Credo ancora che il
fare del bene sia una bella e nobile cosa; ma anzi tutto, che cosa
sono la nobiltà e la bellezza? Armonia di linee, equilibrio di
facoltà, dicono i moderni. Appunto per ciò, la nobiltà è un fatto, non
una legge. Se pure lo fosse, noi potremmo mettere tra i contravventori
i cinque sesti dell'umanità. Veda un po' che razza d'armonie! C'è anzi
dei filosofi che le chiamano antinomie, e ci hanno bravamente già
costrutto un sistema. Ella si annoia, commendatore.... Non mi dica di
no; lo vedo, lo sento, e finisco. Noi siamo qui oltre una dozzina
d'uomini, i quali, in tanta confusione d'idee, abbiamo creduto savio
partito di tirarci da banda. Aggiunga che la società ci annoiava;
tutti, qual più, qual meno, abbiamo avuto a dolerci della società, o
di qualcheduno dei suoi, e ci siamo allontanati dal giuoco. Eccoci qua
in un convento laico, come ha detto benissimo Lei. Questa è la vita in
pochi, e perciò facilmente accomodata al gusto di tutti gli
interessati, con norme accettate volentieri da ognuno. Viviamo in pace
rispettosa con le leggi del paese, paghiamo le tasse, non domandiamo
d'essere riconosciuti come un ente morale; agli occhi della società
siamo e non siamo. In compenso della nostra modestia, le domandiamo
una cosa sola; di non parlarci delle sue tirannie, battezzate col nome
di doveri positivi. Vede, avevamo un tiranno, Mastino II della Scala,
capitato qui non so come, forse come un avanzo d'eredità toccata agli
antichi frati di San Bruno. Anche dipinto, quel tiranno ci dava noia;
lo abbiamo messo alla porta, lo abbiamo relegato nel parlatorio, là
presso al ponte, perchè se la dica coi forestieri, lasciando in pace
noi altri.--
Il padre Anacleto non era stato mai così sciolto di lingua, nè così
fiero e sarcastico. Ma già, voi l'avete capito, o lettori; il padre
Anacleto aveva perdute le staffe. E intanto che snocciolava le sue
massime, dentro di sè il padre Anacleto pensava a tutt'altro; per
esempio al padre Agapito, che era andato fuori col padre Prospero e
col padrino Adelindo.
--Per non lasciarli soli!--
Questa era la frase detta dal converso. E questa frase gli si era
scolpita davanti agli occhi, come il famosissimo _Mane Thecel Fares_
agli occhi di Baldassare.
--Per non lasciarli soli!--
E in questo pensiero si andava crucciando il nostro degno priore.
Perchè? Mettete che fosse per amore del buon ordine e della serietà
del convento, frutto di quella tale abitudine di sorveglianza, che fa
scorgere un guaio in ogni piccola novità. Il pensare in questa guisa
sarà anche un fargli cortesia, poichè egli stesso credeva di
crucciarsi per quella sola ragione.
Frattanto, il sottoprefetto si disponeva a rispondergli.
--Ella ha parlato eloquentemente. Sì, mi permetta di dirlo,
eloquentemente! Ma Lei mi perdonerà se io mi permetterò di soggiungere
che anco Cicerone e Demostene....
--Hanno perdute delle cause; è questo che vuol dire?--interruppe il
padre Anacleto.--Oh, Dio buono, lo so; come so di non esser Demostene,
nè Marco Tullio. Noi, del resto, signor commendatore, le cause nostre
ce le trattiamo e ce le giudichiamo da noi, e in questa, che è
capitale, ci siam data ragione. Di grazia, che cosa fanno, loro del
governo, a chi vive secondo le leggi? Lo lasciano stare ne' suoi
panni; al più al più, glieli fanno stringere addosso qualche volta
dall'agente delle tasse.--
Il sottoprefetto sorrise di mala voglia. E le parole e il tono con cui
erano profferite lo seccavano ad un modo.
--E qualche volta,--replicò egli,--si fanno lecita una piccola
osservazione. Noi siamo per la libertà in tutto e per tutti, ma non
rinunziamo all'ufficio di dare un consiglio, quando ci sembri utile il
farlo. Io, le parlerò schiettamente, sono venuto qua per due cose.
Anzitutto, per vedere di persuadere Lei e i suoi colleghi dell'errore
in cui vivono. Scusi, sa, ma non è bella questa loro rinunzia al
civile consorzio, con tutti i danni che la società ne risente. Se non
vogliono riconoscere i diritti della società, pensino, pensino a
quelli dell'Italia, di questa gran madre, al cui risorgimento non sarà
troppo il concorso di tutti i suoi figli.
--Questo è un argomento più serio;--rispose il priore, a cui il nome
d'Italia aveva fatto rizzare la fronte e balenar gli occhi d'una luce
improvvisa.--Dicono che la patria non sia una cosa sensibile e che
c'entri molta poesia nella formazione di questo ideale. Io so che
c'entrano i nostri amori d'infanzia, le nostre lagrime d'adolescenti,
i nostri rossori e i nostri sdegni d'uomini fatti. L'Italia comprende
in sè la parte più pura dei nostri interessi, che sono gli affetti e
le consuetudini; l'Italia è la nostra medesima superbia di schiatta,
la nostra consapevole nobiltà di sangue, forte come un'idea maturata
lungamente nell'animo, vigorosa come un istinto, che non si può
soffocare, nè discutere. Tristo colui che nei furori della politica, o
seguendo il filo di certe sue deduzioni, dimentica questo concetto
della patria, e impaziente di provar tutto, di rimutar tutto, non sa
sopportare qualche piccolo guaio in famiglia, dopo aver dovuto
soffrire tanta vergogna di comandi stranieri!--
La faccia del sottoprefetto di Castelnuovo risplendeva d'allegrezza.
Ma a spegnere i lumi venne subito la seconda parte del ragionamento.
--La patria dobbiamo avere in cima a tutti i nostri
pensieri;--proseguiva il padre Anacleto;--per lei dobbiamo lavorare;
ma per lei, quando è tempo, saperci trarre in disparte. Anche la
lontananza volontaria è una forma dell'amore. E poi, siamo forse fuori
d'Italia? E i bisogni suoi, quando si mostrassero tali da richiedere
l'opera nostra, non ci troverebbero al posto? So stare in arcioni come
un altro e mettere un cavallo a carriera. Ero a Montebello, signor
commendatore, e nessuno può dirmi che io abbia dimenticato l'obbligo
mio verso la patria. O che vorrebbe Lei? che, per adempiere a
quest'obbligo, facessi il consigliere comunale, o l'aspirante al
ministero? Ce n'è già tanti, su quella via! A buon conto, io faccio
pure qualcosa. Non vede? Dò esempio di modestia a tutti i poveri di
spirito della mia circoscrizione. E adesso, signor commendatore, se
non le spiace, passiamo alla seconda ragione della sua visita.--
Il sottoprefetto non gradì troppo quel modo spicciativo che aveva il
priore di condurre la conversazione, parlando lui come e quando
voleva, per cangiare argomento quando e come gli facesse comodo. Ma
poichè si era imbarcato, gli bisognava andare fino all'ultimo. E
accettò di passare all'altra parte del discorso, ma promettendo in
cuor suo di ricattarsi di quella leggerezza del priore, col peso delle
sue osservazioni.
--Volevo appunto venirci,--diss'egli,--e stavo cercando le parole.
Questa è veramente la parte più delicata, ed io avrò mestieri di tutta
la sua indulgenza. Loro signori son tutti uomini, qua dentro? Voglio
dire.... non ci hanno donne?--
Il padre Anacleto balzò sulla seggiola.--Ci siamo!--pensò egli,
frattanto.
--Perchè mi fa questa domanda?--chiese egli poscia, guardando il
sottoprefetto con aria di curiosità che voleva essere soddisfatta.
--Perchè,--rispose il sottoprefetto,--perchè corre una voce in
Castelnuovo....
--Ah, una voce! E quale, di grazia?
--Che ci sia nel convento di San Bruno una donna, anzi una ragazza,
fuggita da casa sua.--
Ciò detto, il nostro personaggio ricolse il fiato. L'aveva finalmente
dato fuori, quel che gli pesava sullo stomaco!
Il priore stette alcuni minuti secondi senza rispondergli. Lo guardava
sempre in viso, ma non più con quell'aria di curiosità che aspetta una
spiegazione, bensì di curiosità che vorrebbe indovinare gli arcani
gelosi, i moti dell'animo, i fini riposti.
--Minorenne?--chiese egli, dopo quell'istante di pausa.
--E ancora sotto tutela;--rispose il sottoprefetto di Castelnuovo
Bedonia.
--Ciò è grave;--disse il priore.--E noi siamo accusati di rapimento, o
di qualche altra cosa consimile; non è vero?
--No, tolga il cielo che io pensi una cosa simile, o la dia per
pensata da altri;--rispose prontamente il sottoprefetto.--La signorina
Adele Ruzzani, poichè questo è il nome della ragazza, è qui, sempre
giusta le voci che corrono in Castelnuovo, col suo zio e tutore signor
Prospero Gentili.
--Di buona voglia, adunque?--notò il priore.
--Sembra;--disse quell'altro.
--Sembra ed è, signor sottoprefetto;--ribattè il padre Anacleto,
tralasciando di dare del commendatore al suo ospite, come aveva fatto
fino a quel punto.--Io non ho più schiarimenti da chiederle, poichè
Lei ha profferito dei nomi. C'è infatti qui, tra gli ultimi venuti, un
padre Prospero, con un suo nepote, assai giovane, il cui nome
corrisponde benissimo a quello della signorina Ruzzani, accennato da
Lei. Mi hanno pregato di accoglierli nella nostra comunità; ed io,
considerando la giovinezza del nepote, li ho accettati soltanto come
novizi. Ciò significa che nessuna parola li costringe; sono padroni di
andarsene quando vogliono. Desidera di vederli e di interrogarli? Si
accomodi. Ma non qui, intendiamoci, non qui; al parlatorio del ponte,
dove potrà farli chiamare. Perchè, lo sappia, signor sottoprefetto,
nel nostro convento non è che una fortuna, la pace. Ed ogni sua
domanda di veder qui, subito, i due nuovi compagni nostri, che non
erano a farle corona in refettorio, potrebbe dare argomento a
chiacchiere e sospetti, che io debbo in ogni modo evitare.
--No, non occorre che io li veda;--rispose il sottoprefetto appena gli
venne fatto di entrare in discorso.--Ella si altera.... mi giudica
male.... mentre io era venuto semplicemente per dirle come stavano le
cose. Supponevo che non sapesse nulla.... che fosse stato
ingannato.... E poichè la casa Ruzzani è una delle primarie di
Castelnuovo e di tutto il circondario.... Oramai, non è rappresentata
che dalla signorina Adele; una ragazza di molto ingegno, ma un
pochettino bizzarra. Sempre rispettabile per altro, sempre
rispettabile! Una cosa solamente non si riesce a capire, per qual
ragione, o capriccio, la signorina si sia risoluta ad entrare così di
schianto in una società d'uomini....
--Di cavalieri, signor sottoprefetto;--interruppe il priore;--di
cavalieri, la prego a volerlo considerare.
--Oh, non ne dubito punto. Ma infine, Lei capirà, il mondo ha i suoi
diritti. Su questa fuga della signorina Ruzzani e sulla sua entrata
nel convento di San Bruno, in veste d'uomo, poichè non potrebb'essere
altrimenti, si è fatto un gran chiasso a Castelnuovo e fuori; cosicchè
l'autorità superiore della provincia ha già chiesto ragguagli a me,
che ero bensì informato del fatto, ma non avrei voluto dar noia a Lei
per tutto l'oro del mondo. Questo è lo stato delle cose. Aggiungo che
non mi sono mosso a bella posta. Come ho già avuto l'onore di dirle,
andavo attorno per visitare i nostri comuni di montagna, e ho fatto,
come si suol dir, un viaggio e due servizi. Avrei potuto mandarle
l'avviso di ciò che sapevo, ma ho preferito recarlo io stesso, per
ragioni di delicatezza e di convenienza che spero vorrà riconoscere.
--Grazie,--rispose il priore, con un tono di voce da cui traspariva un
filo d'ironia.--Ma, la prego, qual è lo scopo del suo cortese
avvertimento? Debbo io respingere la signorina Ruzzani e il suo tutore
dal convento di San Bruno, per far piacere ai signori chiacchieroni di
Castelnuovo?
--Eh, non per contentar nessuno; ma per far cessare le mormorazioni,
le ciarle assassine del mondo, perchè no? Intenderei che non volesse
far nulla, se, nell'atto di accogliere i due novizi, avesse saputo che
uno di essi era una donna; ma poichè Lei non sapeva affatto....
--Non lo sapevo,--ripigliò il priore;--sono stato ingannato tanto più
facilmente, in quanto che non ho voluto farci troppa attenzione. Ma se
l'avessi fatta, se mi fossi avveduto, e mi fosse piaciuto di
accogliere egualmente il finto novizio, che male ci sarebbe?
--Nessuno, da parte sua. Ma poichè è detto che chi ha più prudenza ha
anche l'obbligo di usarne, e perchè sarebbe stata opera di buon
cavaliere avvertire quella fanciulla del passo falso che ella
faceva....
--La sua osservazione sarebbe eccellente,--interruppe il priore,--se
la fanciulla fosse capitata da sola. Ma io la prego a non dimenticare
che è venuta in compagnia del tutore, e vive qui.... sempre in
compagnia del tutore.
--Ah, una gran testa, il tutore!--scappò detto al cavaliere
Tiraquelli.
--Infatti, non brilla per averne molta;--si degnò di ammettere il
priore, che pensava in quel punto alla gita del romitorio.
--Ah, vede, lo riconosce anche Lei;--gridò con accento di vittoria il
sottoprefetto.--Aggiunga che sarà un gran guaio.... Parlo ad un uomo
di cuore, e perciò vengo a Lei col cuore in mano. Sarà un gran guaio
se la signorina Ruzzani non tornerà presto a casa sua, trovando il
modo di negare questa scappatella. In verità, se rimane al convento,
se lascia correre dell'altro le ciarle della gente, ella non troverà
marito; ad onta de' suoi milioni non lo troverà, salvo il caso che ne
esca uno di qui, dove tutti l'hanno conosciuta e possono fare
testimonianza che questo capriccio, imprudentissimo sempre, non ha
potuto offuscarne il buon nome.--
Il sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia giunse con evidente
compiacenza alla chiusa del periodo. E più si compiacque d'averlo
rigirato con quell'arte, allorquando vide che il padre Anacleto ne era
stato tocco sul vivo.
--Non abbia paura, signor sottoprefetto, non abbia paura;--gridò il
priore, con impeto.--Qui nessuno pensa ad ammogliarsi. Che forse
crederebbe Lei che qui si tendessero trappole alle ragazze con dote?--
Il sottoprefetto balzò in piedi con aria tra scandalizzata e
mortificata.
--Lei crede proprio che io.... con le mie parole....--E qui le
reticenze del signor sottoprefetto dovevano far fede di una commozione
profonda.--Se Lei ci trova alcun che di offensivo, od anche di meno
rispettoso per la sua comunità, la prego, faccia conto che io non
abbia neanche aperto bocca.
--Sì, bene, la ringrazio;--disse il priore, che appariva grandemente
confuso, e non fingeva davvero;--la ringrazio della sua...
comunicazione.... Vedrò, penserò, farò cessare questa ragazzata,
perchè, infatti, Lei ha ragione; un galantuomo non può permettere che
una fanciulla si perda così nella stima della gente. Ha ragione,
ripeto, ed io le sono gratissimo. Non mi domandi di far tutto oggi
stesso; debbo studiare il modo e l'opportunità; ma infine, stia certo,
rimanderemo a casa la signorina.... Come ha detto?
--Ruzzani.
--Ruzzani, bene; la signorina Ruzzani.... Adelina Ruzzani, che si fa
lecite le scappatelle a San Bruno. Daniele femmina, che entra
spontaneamente nella fossa dei leoni!... E perchè, poi? Capriccetti di
ragazza, fatti più vivi e più strani da una testa bizzarra. Non le
pare, signor commendatore?
--Ho piacere che le torni il buon umore;--disse il sottoprefetto.--In
fede mia, sarei stato troppo dolente, se le mie parole, dette a buon
fine, avessero potuto....
--No, non s'incomodi a cercare le scuse. La mia giustificazione è
tutta nel non aver badato più che tanto a certe apparenze, ed essermi
lasciato cogliere alla franchezza meravigliosa con cui zio e nepote si
sono presentati quassù. Capisco che è tutto merito della signorina.
Una bella commediante, glielo assicuro io; se va sul teatro, fa furore
di certo. La sua giustificazione, signor commendatore, è tutta
nell'onesto desiderio di far cessare uno scandalo nel circondario che
così degnamente amministra. Esso non era qui, Vossignoria ne è
persuasa; sta tutto nella interpetrazione che il pubblico può dare ad
un fatto già così nuovo in apparenza e poco naturale per giunta. E
noti, signor commendatore, il danno morale che ne deriva anco a noi.
La quiete nostra, che è il primo dei beni, per cui ci siamo raccolti
in questa solitudine, la quiete nostra vuole oramai che la signorina
Adele Ruzzani faccia ritorno a Castelnuovo.... o vada altrove, se la
residenza non le piace, che a noi non importa saperlo.--
Il sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia era fuori di sè dalla
contentezza.
--Mi permette che io l'abbracci?--gridò.
Il padre Anacleto lo lasciò fare. Non vedeva l'ora di levarselo dai
piedi, per gittar via quella maschera che gli pesava sul volto.
--È una gran fortuna per me di aver conosciuto un uomo del suo merito
tra i miei amministrati;--ripigliò il sottoprefetto.--Perchè, infatti,
il convento laico di San Bruno è nella mia giurisdizione. Sono il
solo, tra i capi di circondario in Italia, che possa vantarsi di
possedere una simile novità.
--San Bruno ha adunque ottenuto grazia presso di Lei?--domandò il
padre Anacleto.
--Che mi canzona? Dopo tutte le savie considerazioni che Ella mi ha
svolto, ho sentito quasi il desiderio di piantar lì le grandezze umane
e di venirmi a chiudere in San Bruno con Lei.
--Se verrà,--disse il priore, ridendo a fior di labbro,--lo faremo
prefetto della nostra congregazione.--
Come Dio volle, il sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia se ne andò,
accompagnato dai due "satelliti del potere". Si stropicciava le mani,
il degno personaggio, passando il ponte dell'eremo.
--Gli auspici sono favorevoli;--diceva egli tra sè.--Il misantropo mi
ha promesso di mandar via la signorina; mi ha chiamato commendatore;
ha finito con offrirmi una prefettura.... Che Iddio e il ministro
dell'interno lo imitino!--


XVI

Intanto Adele fra le ombrose piante....
Ma no, parliamo anzi tutto del padre Anacleto. Voi lo avete visto
assai brutto, nella sua conversazione col sottoprefetto di Castelnuovo
Bedonia, e non solamente perchè lo annoiasse quella visita del
rappresentante del governo. Gli erano rimaste scolpite in mente le
parole del fratello Giocondo, e le andava considerando da tutti i
lati. "Per non lasciarli soli!" Ma era proprio necessario che non
andassero soli a passeggiare nel bosco, mentre il bosco era rinchiuso
nella cinta del convento, e a forse dugento passi da casa? Ed era
proprio necessario che quella cura cavalleresca se la prendesse il
padre Agapito? Egli non aveva mai osservato il padre Agapito con
occhio d'artista; ma in quel momento, pensandoci su, gli pareva il più
giovane e il più bello tra tutti i conventuali di San Bruno. E proprio
lui ad accompagnare la signorina e lo zio, _per non lasciarli soli_!
Si aggiunga che il sottoprefetto, con tutte le sue chiacchiere, gli
faceva perdere un tempo prezioso. Quanti altri discorsi non si
sarebbero fatti in quel mezzo, e più gustosi, nel romitorio delle
Querci? E lui, frattanto, il povero priore, a dirsela col
sottoprefetto, per cagione di madonna! E lui a sentirsi gettar là il
sospetto che un pretendente alla mano di Adele Ruzzani potesse uscir
fuori dal convento laico di San Bruno! E quel pretendente di cui egli
negava l'esistenza, non poteva essere il padre Agapito in persona?
Questo pensiero gli aveva dato una stretta al cuore; lo aveva fatto
scattare come una molla; lo aveva reso ingiusto con lei, feroce col
signor Prospero, rabbioso col padre Agapito, e in fine, e sopra tutto,
scontento di sè medesimo. Oh, scontento, poi, in un modo da non dirsi!
Il povero priore non lo sapeva mica, che diavolo s'avesse in corpo.
Son io, che, dovendo pure dipingervi l'uomo, mi trovo costretto a
lasciarvelo indovinare. Se uno in quel punto gli fosse capitato
davanti e gli avesse spifferato lì chiaro e tondo quello che noi ora
pensiamo di lui, altro che scattare come una molla! Scommetto che il
nostro ottimo priore sarebbe saltato come saltano qualche volta le
polveriere, per un tiro bene aggiustato di artiglierie nemiche, o per
imprudenza di amici e custodi. Lui, per esempio, lui innamorato? lui,
l'uomo della pace, il cuor morto ad ogni affetto, e l'inventore
benemerito della seconda vocazione? Oh, mai!
Accompagnato il sottoprefetto fino all'ingresso del ponte (e con che
gusto, immaginatelo voi), il padre Anacleto se ne ritornò verso il
convento. Erano le tre del pomeriggio. Il cielo appariva sereno, di
zaffiro sbiancato e asperso di una polvere d'oro, sotto la vampa del
sole. Il vecchio monastero di San Bruno aveva un'aria di festa, quasi
di gioventù. Spariscono le rughe dal volto, alla luce dei doppieri, in
una festa da ballo. Ed anche un muro screpolato, un intonaco annerito
e corroso da un centinaio d'inverni, può apparir bello, quando vi
batton sopra i raggi del sole. E poi, le mura del convento di San
Bruno prendevano come un aspetto di vita dalle alte finestre, coi
davanzali sporgenti, donde ricadevano in fuori le mostre variopinte
dei violaciocchi, delle verbene e dei garofani schiattoni; bella
usanza svecchiata dagli antichi conventuali, che amavano tutti di
avere il loro orto pensile, come un invito ai sorrisi del sole nelle
prime ore del giorno. Il portone era spalancato, e di là dalla
mezz'ombra dell'androne, si vedeva scherzare tra i colonnini del
chiostro una luce più viva, forse perchè riflessa dalle mura
rintonacate di fresco; e insieme con quella luce spiccavano tra i vani
le tinte vermiglie dei vivaci oleandri e le gialle delle eleganti
giorgine.
Il lieto spettacolo dell'ingresso non attrasse il padre Anacleto. Nel
lume di quella apertura donde gli veniva tanta varietà di toni più
caldi, si disegnavano a tratti e sparivano certi profili scuri come
chiazze di terra d'ombra. Erano i compagni del padre Anacleto, che
andavano e venivano lungo le arcate del chiostro. Per solito, intorno
a quell'ora, i frati di San Bruno, a riposarsi dalle ore di studio, si
raccoglievano a chiacchierare, ed erano tra loro discorsi
interminabili d'arte, di filosofia e di politica. Sì, anche di
politica. Questa poco piacevole materia di discorso entrava anche a
San Bruno, ma di sbieco, come di rimbalzo, e senza la millesima parte
di quella che i matematici direbbero la sua forza iniziale. Politica
svigorita, insomma; politica passata allo staccio, e che aveva
lasciato per via tutto il noioso accompagnamento delle ragioni
personali. Se sapeste come si parla bene di politica, quando non se ne
spera e non se ne aspetta nulla, nè di prima, nè di seconda mano! Si
gode come tanti astronomi, quando cade tra loro il discorso sulle
rivoluzioni di Marte, sulle malinconie di Saturno, e sugli splendori
di Venere.
Al padre Anacleto parve che quei frati si muovessero con una
volubilità maggiore dell'usata, o almeno con più spigliatezza, indizio
di vivacità, di allegrezza maggiore, e chi più n'ha ne metta. E la
cosa gli piacque; perchè, come vi ho detto, il padre Anacleto non era
in uno dei suoi giorni migliori, e tutto gli dava noia.
Voltò a destra, seguendo il sentiero che rasentava le mura del
convento. Ed anche colà ogni cosa rideva al sole, più che egli non
avesse veduto mai; forse perchè non gli era accaduto mai di osservare
tanto contrasto fra l'aspetto delle cose e lo stato dell'anima sua. Il
sentiero correva in mezzo a due file di erbe umilissime, di quelle
tali erbe che solo un botanico riconosce. Mettete che fossero
pastinache da un lato, e romici dall'altro. Ma le pastinache avevano
gli ombrellini fioriti d'un bianco così splendido, le romici avevano
le foglie d'un verde così insolente, che egli non si ricordava di
avere mai visto l'eguale; forse perchè non gli era accaduto di
osservare tanto contrasto.... Diavolo! ripetevo una frase già detta
poc'anzi. Scusate, lettori, mi fermo in tempo e non vi dico più altro.
E i calabroni, che andavano ronzando qua e là nella frappa! E le
farfalle screziate d'oro, che aliavano di fiore in fiore! E le
cavallette, che saltavano di cespuglio in cespuglio! E le cicale, che
facevano il loro verso monotono da ogni tronco d'albero, lungo la
strada! E le lucertole, che guizzavano da un sasso all'altro! E
gl'insetti di cento specie diverse, che susurravano d'ogni parte il
loro inno alla vita! Tutte le forme delle operosità, tutte le voci
dell'esistenza, stringevano d'ogni parte il padre Anacleto, che
andava.... Dove andava? Or ora lo saprete, se già non l'avete
indovinato.
A mano a mano che egli s'inoltrava, la via si faceva più scabra. Il
terreno scoglioso dava ospitalità ad erbe di più facile contentatura.
Ma in quella stagione le erbe di primavera cedevano il campo alle erbe
d'estate, e si vedevano intiere famiglie di cadaveri ritti, che un
soffio di vento avrebbe abbattuti, o l'urto d'un piede mandati in
frantumi. La più parte erano imbrèntini, che nel maggio avevano fatto