L'olmo e l'edera - 11

si va a desinare fuori le porte; o si desina in città e si esce a
fare una cavalcata sui bastioni col dottor C. uno dei miei più cari
amici, il quale ha un umore come il mio; poi si va a teatro, e da
capo al Martini, o al Cova, o dove meglio torna al mio bizzarro
collega.
«Ma quello che io faccia davvero, non so. Per rompere un tratto la
monotonia del vivere, siamo andati fino a Bergamo, a salutare la
statua di Torquato Tasso nella più malinconica piazza antica che io
abbia veduta mai; di là fino a Brescia, e, Dio cel perdoni, fino a
Lonato. Se non ci fossero i tedeschi, saremmo andati fino a Venezia.
A Lonato, un bel paese che ha una chiesa più grande del naturale, ho
visitato le rovine di un castello dei Veneziani, dal sommo del quale
si vede il lago di Garda. Mi parve di scorgere il mare, e non ebbi
pace fino a tanto non giunsi a Desenzano, dove mi imbarcai per
Sirmione, a visitare gli avanzi della villa di Catullo. Ma non mi
chiedete ricordi; viaggio con desiderio fino alla meta; quando
giungo, mi passa la voglia, e non vedo l'ora di tornarmene via.
«Eccovi la mia vita; sono stanco, e sapete il perchè? Io credo di
averlo indovinato. Di tanto in tanto, sul mare della vita vi colgono
di cosiffatte calme moleste; non tira una bava di vento; la vela non
giova, e non s'ha braccia per andare a remi. Io sono in questo
misero stato, e se non fossi il vostro medico e non temessi colle
opere di far contro alle mie stesse parole, potrei dirvene di belle,
circa la utilità della vita.
«Voi intanto risanate, che siete chiamata a risplendere nel mondo
per bellezza e bontà. Io pure ho speranza di vincere questa
fiacchezza, e venir presto ad ammirare l'opera mia.... anzi a
baciarle le mani.
«GUIDO.»
LUISA A LAURENTI
«Amico,
«Ho letto attentamente la vostra lettera, e mi sono convinta che
avete lo spirito infermo assai più di quello non vogliate
parere. Ogni cosa vi tradisce; perfino l'arguzia vi esce stentata
dalla penna; il vostro stile è arido e smorto; volete fare un
racconto e non riuscite che ad una infilzata di fatti, da lasciarvi
indietro una tavola cronologica.
«Io non so le cagioni del vostro male, e quelle che voi dite non
sono cagioni, ma segni piuttosto e poetiche dipinture del
male. Tuttavia v'hanno rimedi che giovano a tante malattie, e vo'
dirvene uno. Sapete di che cosa avreste bisogno, voi? Di
lavorare. Lasciate che faccia un po' la medichessa, e cerchi di
risanarvi a mia volta. Lavorate; scrivete per esempio un libro, voi
che sapete tante cose; non vi restate inoperoso, poichè l'ozio, se
non è padre di tutti i vizi, come l'hanno detto gli antichi, è
certamente il padre di molti dolori.
«E poichè sono venuta, io povera donna, a parlarvi su questo tono,
lasciatemi dir tutto. Io pure incomincio a credere che fosse errore
qualcosa di ciò che ho creduto, come voi di ciò che avete detto per
consolarmi lo spirito. Egli è verissimo, e lo sento io dentro di me,
che si possa vivere senza l'amore, ma quando lo si abbia provato,
non prima. Ora voi, mio ottimo amico, avete anche un amore a
provare, quello della famiglia. Voi siete giovine, atto a far felice
una donna e ad esser felice per lei. O perchè non ne trovereste una
fra tante, bella, buona e colta, da poterla rifare a vostra
immagine, riflesso della vostra anima generosa? Voi l'amerete molto,
ed ella vi amerà; i vostri passatempi saranno i suoi; i vostri
studi, i vostri viaggi ugualmente. Se saprete cavarla fuori dalle
sue frascherie, da' suoi nonnulla, dalle sue vanità muliebri, vera
rovina del nostro sesso, ella vedrà la parte più degna della vita,
v'intenderà, e voi sarete la sua guida; l'avrete innalzata nelle
regioni del vostro pensiero, ed ella saprà tenervisi a pari.
«A proposito di donne, sapete chi fu da me ieri mattina? La
Perrotti. Ella è venuta a congratularsi con me del mio risanamento,
e davvero non s'è congratulata invano. Quando ella è giunta, io,
forse per la prima volta dacchè mi conoscete, era colorita in viso,
e la poverina non ha potuto nascondere la sua maraviglia dispettosa.
Mi ha invitata all'ultimo de' suoi lunedì, che si chiudono con una
gran festa da ballo; e chi sa? son donna da accettare l'invito.
«Addio; non istate a smarrirvi per le vie di Milano e venite presto
a vedere la vostra sincera amica
«LUISA.»

Se io non temessi di offendere il lettore, mostrando di dubitare della
sua perspicacia, vorrei pure appiccicare un commento a questo
carteggio. Solo per coloro che hanno letto più sbadatamente, dirò
brevi parole.
Luisa era annoiata e non sapeva il perchè; ne accagionava il mancare
improvviso della scienza chiaccherina del suo medico, e non indovinava
che a mezzo.
Laurenti si sentiva morire, ed egli sì lo sapeva, il perchè; ma, non
dandogli l'animo di dirlo a colei che era debitrice a lui della
ricuperata salute, se n'era fuggito come un codardo che ha paura del
male, e, nella fuga diventato anche ingiusto, non le scriveva e si
adirava contro di lei.
Ella infine si era addata di qualche cosa. Riscontrando alcuni fatti,
alcuni pensamenti, aveva veduto balzarne una scintilla di vero; ma non
voleva ancora aggiustar fede a sè stessa. E intanto scriveva una
lettera piena di pessimi consigli, pessimi come tutti quelli che danno
le signore donne, quando e' non escono loro dal cuore.
--Oh, ella non mi amerà giammai!--aveva detto Guido, percuotendosi il
fronte colla palma della mano, alla lettura di que' paragrafi.--Ella
può credere che io amerò un'altra donna! Sì certo, lo può credere, se
non si è neppure avveduta che amo lei, disperatamente lei! E adesso
tornerà nei geniali ritrovi, nei teatri, nelle conversazioni... bene,
bene, tre volte bene!
E passeggiando a passi concitati per la camera ripetè due o tre volte
con Shakespeare, sebbene la citazione c'entrasse come i cavoli a
merenda:
_--Fragility, this name is woman!--_


XIX.

Egli era un sontuoso appartamento, quello della Perrotti, in via
Palestro. Le sale non erano stragrandi, come quelle dei vecchi
palazzi, ma spaziose abbastanza, e la quantità teneva luogo
dell'ampiezza, imperocchè di due quartierini, posti al medesimo piano,
se n'era fatto un solo, e ci stava ad agio in una fila di salotti,
dove, alle conversazioni del lunedì, o a qualche festa da ballo,
conveniva la miglior compagnia, vo' dire la più ricca e la più
sfoggiata di Genova.
Oltre la sala da ballo, i salotti da conversazione e la credenza,
c'erano le camere da giuoco sacre al _goffo_ tradizionale, giuoco
genovese pretto sputato, contro cui si sono rintuzzate le armi della
moda, tiranna ordinatrice di _whist_ e di _lansquenet_, come di
crinolini rigonfi e di vesti sfiancate, di spalle ignude e di
capigliature tolte a prestanza. Là, il signor Cesare Perrotti,
perdendo quasi sempre di bei danari, s'era guadagnato il nome di
magnifico, egli che usava lesinare la mattina sui venti centesimi in
piazza de' Banchi, egli che non aveva mai reso servizio ad un amico in
angustia.
Del signor Cesare Perrotti vo' appunto raccontarvene una che vi darà
un giusto concetto dell'uomo. Un giorno fu da lui un tale, suo
conoscente e degnissima persona, per chiedergli un migliaio di lire ad
imprestito. Costui non era ricco, siccome vi tornerà agevole
argomentare dal bisogno che aveva; ma gentiluomo perfetto qual era, e
universalmente stimato, metteva la sua onoratezza a guarentigia della
restituzione. Il signor Cesare Perrotti non poteva dirgli
asciuttamente di no, nè come ricco mercatante, nè come uomo che la
pretendeva a gran signore. Ma rastiate il Russo, dice il proverbio, e
sotto l'intonaco v'apparirà sempre il barbaro. Ora sotto l'intonaco
del signore e del ricco, c'era sempre il Perrotti.--Mi duole, rispose
egli all'amico bisognoso, mi duole davvero di non potervi accomodare
di questa somma. Come sapete, io traffico insieme col Branca, e nella
nostra ragione di commercio c'è una clausola molto fastidiosa, che
m'ha più volte vietato di far servizio agli amici, quella cioè di non
far mai imprestiti sulla cassa comune.--Ma, aveva risposto
quell'altro, egli non è già alla casa Perrotti e Branca che io domando
questo servizio...--Sì, sì, intendo quello che volete dirmi, ma
lasciatemi finire. Io, sempre per questo malaugurato atto di società,
non piglio dalla cassa che ventimila lire all'anno, per mantener la
famiglia, e il mio socio del pari. Ora, che cosa si fa con ventimila
lire all'anno? Io lo domando a voi. Mettete su casa, tenetela in piedi
con un certo decoro, senza scialaquo, e ve ne accorgerete al finir di
dicembre! Avevo ancora tremila lire di sparagni, e le ho imprestate la
settimana scorsa ad un tale, che conoscete anche voi, e rimarreste
grandemente meravigliato se vi dicessi il nome. Già capisco che quelle
tre mila lire io dovrò segnarle tra le partite perdute, ma tutti
facciamo la nostra parte di minchionerie. Figuratevi, amico mio, se
non vi accomoderei di questa piccola somma, sol ch'io potessi!.....
Per fortuna, se non posso io, ci saranno cinquanta altri che si
ascriveranno a ventura di darvi una mano in questo vostro bisogno.
In questa guisa si sgabellò il Perrotti; ma quanti altri non s'avranno
a riconoscere in questo bozzetto? Imperocchè, già m'è occorso di
dirvelo, io copio dal vero, e posso dire a parecchi, con Orazio Flacco
alla mano:
_......mutato nomine, de te
Fabula narratur._
E adesso gli è tempo di indossare il vestito nero, coi guanti
paglierini, e di entrare nella festa da ballo dei Perrotti.
La signora Aurelia aveva già raccolti in casa tutti i suoi convitati.
Nelle sue sale, alla luce dei doppieri, splendevano le più celebrate
bellezze ligustiche, ornate, o no, di blasone, la Cisneri, la
Roccanera, la Morati, la Vallechiara e tante altre. Tra gli uomini si
notavano il Nelli di Rovereto, che aveva rassegnate da poco tempo le
sue spalline di maggiore per non allontanarsi dalla Torralba, della
quale era più che mai invaghito, il Pietrasanta, il Percy. Seguiva poi
uno sciame di farfallini, solita mercatanzia, anzi zavorra di tutte le
feste da ballo, senza di cui la contraddanza non avrebbe più il numero
giusto di figure, e la polka o la scozzesa lascierebbero troppe
signore a far tappezzeria di rincontro alla parete. Grande era lo
sfarzo, non di diamanti, poichè la era una festa senza cerimonie (così
almeno dicevano i padroni di casa), ma di sete, merletti, e foggie che
avrebbero indotto in tentazione anco il povero Sant'Antonio.
Le danze erano per cominciare, allorquando un accalcarsi di uomini
nelle prime sale, un pissi pissi, un voltar gli occhi curiosi tutti da
un lato, annunziarono l'arrivo di una bella signora. La padrona di
casa le era già andata incontro, e la conduceva nel folto della
compagnia, in mezzo a due ale di riguardanti ammirati.
Era la signora Argellani, vestita di raso bianco con uno strascico
abbondante, gli sgonfi della veste, i cappii e il dinanzi della
vita raffermati da ramoscelli di fiorellini della memoria
(_vergiss-mein-nicht_), i quali facevano eziandio bella mostra di
sè nelle treccie nere, e col loro castissimo colore azzurrognolo
non offendevano la bianchezza del volto, anzi giovavano a metterne
in rilievo quel po' d'incarnato che già cominciava a mostrarsi
sulle guance della bellissima donna.
Il vecchio signore che la accompagnava, era tutto pomposo, e andava in
gota contegna, con quell'aria che vuol dire alla gente: ammiratemi ed
invidiatemi. Ma chi non li conosce e non li pesa, questi innocenti
amici di tutte le donne, piante parassite sull'albero della bellezza,
talfiata draghi posti a custodia, che si contentano di guardare il
pomo e non lo toccano mai? Veri servitori delle gran dame, e' vivono
vicino ad esse, ma sempre in anticamera, e se qualche volta hanno sui
visitatori il vantaggio di vederle nelle ore indebite, si ha a credere
che ciò avvenga perchè le dame sullodate non li hanno neppure in conto
di uomini.
L'apparire di quella donna produsse una vera rivoluzione negli animi,
e mentre molti ammiravano quella stupenda figura, molti altri
avrebbero voluto essere invisibili agli occhi suoi. La più parte dei
convitati la conoscevano, e parecchi tra essi, uomini e donne, le
erano stati dimestici, ma l'avevano a poco a poco lasciata sola;
v'erano anzi taluni ai quali non era neppur sembrato dicevole
allontanarsi da lei con un po' di rispetto alle convenienze sociali;
ed erano i più famigliari. Ella stessa, dal canto suo, s'era lasciata
andar giù, aiutando in tal guisa l'oblio dell'universale. Percy
l'aveva abbandonata; che le importava del rimanente? Ferita nel cuore,
ella si lasciava morire, e dimenticare innanzi d'esser morta, ma non
odiava, non disprezzava nessuno; la sua maggior vendetta era stata
quella di mettere nell'albo il ritratto del Percy accanto a quello
della marchesa Bianca. Atto puerile forse, ma indizio d'anima nobile.
E così ridotta allo stremo, si appartò dal mondo, siccome il mondo si
appartava da lei. Se non che ella era inferma, morente, e la sua
generosa noncuranza non iscusava punto l'oblio di quella gente tra la
quale era vissuta, alla quale aveva dato i più belli anni della sua
giovinezza.
Cotesto farà intendere ai lettori che spero benevoli al mio racconto,
come il vederla risanata, rientrar d'improvviso in iscena, riuscisse a
molti peggiore di una mazzata fra capo e collo, e in taluni destasse
come una ansiosa curiosità, in tal'altri il rimorso.
Tra questi ultimi più colpevole e più fieramente combattuto il Percy;
al quale la sua apparizione gelò il sangue nelle vene come se fosse
stata la testa di Medusa, sicchè egli non ebbe nemmanco la forza di
muoversi dalla scranna su cui stava seduto presso la marchesa Bianca
di Roccanera.
Povero regnatore di salotto! Egli era da qualche tempo assai giù. I
suoi vagheggiamenti non gli avevano fruttato un bruscolo presso quella
superba, che gli usava sempre le solite cortesie, ma gli faceva
scorgere molto chiaramente che il suo gli era tempo sprecato. La
marchesa Bianca non amava altri che sè; il leggiadro Percy, diventato
suo adoratore, aveva saziato la sua vanità, e non c'era per lei più
altro da spremerne. Per tal modo egli era capitombolato nel fosso,
innanzi di afferrare i bastioni, e non è a dire com'egli fosse
avvilito di quello smacco. La vergogna, soltanto la vergogna, lo
riteneva colà, argomento alle beffe dell'universale, dispettoso,
ingrugnato con lei, che fingeva di non addarsene punto, in quella che
faceva buon viso alle cavalleresche gentilezze del duca di Marana y
Cuelva, un giovine spagnuolo che correva per suo diporto da un capo
all'altro del mondo, e si riposava un tratto a Genova di un suo
recente viaggio alle Indie.
Donna di buon gusto, e di fino accorgimento, quella marchesa Bianca!
Senza muoversi, e sopratutto senza commuoversi, ella sfiorava
l'etnografia, facendo un albo di adoratori di tutte le razze. Chi sa
che a furia di studiare, di raffrontar tipi diversi, ella non giunga
alla scimmia! Gli è questo, dicesi, l'ultimo passo degli scienziati
odierni, e certo, senza mestieri del dicesi, è l'ultimo passo di molte
superbe, le quali, dopo aver molto cercato, e molto rifiutato, fanno
capo a qualche gramo personaggio, diventato di botto l'archetipo della
specie.
Lo stato di Percy era compassionevole davvero. La signora Perrotti non
gli aveva lasciato trapelar nulla di quella apparizione improvvisa. E
come d'altra parte avrebbe ella potuto dargliene sentore? La relazione
di lui colla signora Argellani era come tante altre che si stringono e
si rompono di continuo in questa nostra società bastarda. Tutti
sapevano di quella intrinsichezza, ma tutti dovevano ignorarla del
pari. Egli andava in casa della Luisa, come tanti e tanti altri; era
sempre dove ella era, e mai dov'ella non fosse; ognuno poteva
mormorarne alla spartita, nessuno buttargli sul viso quella indebita
frase: voi, voi siete l'amante. La signora Perrotti non poteva dire a
Percy, anche se lo avesse veduto i giorni innanzi, «badate che verrà
l'Argellani» senza aver l'aria di sapere che c'era stato del fuoco e
poi del ghiaccio tra i due, e che egli non aveva nemmanco ricordato il
suo debito di cortesia verso l'inferma.
E poi, che serve? la signora Perrotti non si dava un pensiero al mondo
delle angustie di quel leggiero corteggiatore di donne; ella badava a
restituire in trafitture profonde i colpi toccati alla sua vanità. In
quel battibuglio che ella pensava di far nascere, ce n'era per lui,
vecchio ingrato, come per tante donne, regine di fresco, alle quali
doveva sicuramente nuocere l'apparizione di quella donna, fantasma del
passato, bellezza rinnovata, resa più efficace dalla oscurità in cui
s'era lungamente costretta. La Luisa Argellani ricordava all'Aurelia,
impastata di bellezza e di fiele, ciò che questa aveva patito per lei;
ma poteva essere anco un'arma potente, un carro falcato da scagliarsi
contro altri nemici, a vendicare più recenti sconfitte. Arcani del
cuore! È egli mestieri di altre parole per farli intendere ad ogni
generazione di lettori?
Ora l'effetto del carro falcato fu grande, più grande di quello che
non s'argomentasse l'Aurelia. Come è bella! dicevano gli occhi di
tutti, voltandosi alla nuova venuta. Intorno agli altri soli (soli che
ricevono luce e calore, come ho già detto al principio di questo
racconto, e non ne danno ai pianeti), intorno agli altri soli s'era
fatto un ambiente freddo; v'ebbero donne le quali si credevano amate,
e in quel momento sentirono mancarsi qualcosa d'attorno, e sto per
dire l'aria respirabile. L'ammirazione era tutta laggiù; i pianeti
raggiavano tutti verso la signora Argellani.
La bellissima donna sorrideva; di sotto all'arco eminente delle lunghe
sopracciglia, i suoi occhi mandavano lampi, ma non già di tempesta;
l'incarnato del volto non diceva soltanto la ricuperata salute, ma
eziandio la modesta contentezza della vittoria. Strinse
affettuosamente la mano alla Roccanera; si lasciò presentare qualche
nuovo cavaliere, e presto fu dintorno a lei un crocchio di
gentiluomini, una gara di motti leggiadri.
E intanto che faceva il Percy? Egli stette parecchi minuti sopra di
sè; poscia, come uomo che dopo aver lunga pezza combattuto, si ferma
ad una deliberazione che non gli par buona, ma che è pure l'unica a
cui possa appigliarsi, si armò di coraggio e si fece innanzi. La
signora Luisa aveva notato ogni cosa, ma il suo viso sereno non
lasciava trasparir nulla delle fatte considerazioni.
--Posso io salutare la signora Argellani?
--Oh, signor Percy, Ella può farlo certamente. Io non ho dimenticato i
miei vecchi amici.
Ella aveva detto queste parole con tanta cortesia e insieme con tanta
misuratezza, che nessuno degli iniziati ai pericolosi nascondimenti di
quel dialogo, potè scorgervi ombra di seconde intenzioni. Le donne
stesse, che pur capiscono tante cose, non capivano nulla di quella
schietta urbanità, non potevano cavarne un costrutto. Ella non aveva
premuto della voce su nessuna parola; quella sua risposta era stata
una musica, un sorriso, ma senza affettatura, senza ostentazione di
sorta.
--Ah!--disse alla sua vicina un tale che s'imputava a volerla
indovinare.--La è sempre innamorata come prima. Non vedi quei
ramoscelli di _non ti scordar di me_? L'Argellani è sempre stata
quella dei simboli. La viene per riconquistare il Percy.....
--E ne verrà--a capo--rispose l'amica,--perchè la Bianca lo tiene da
un pezzo sull'uscio, a morire dal freddo.--
In breve, passato di bocca in bocca, recato da un crocchio all'altro,
fu quello il concetto universale. Percy stesso, senza saper nulla di
que' ragionamenti, vedendosi così bene accolto da lei ed onorato di
particolari discorsi, se pure non lo disse chiaramente a sè medesimo,
certo ne adombrò in cuor suo e ne accarezzò quasi inconsapevolmente il
pensiero.
La marchesa Bianca era in gran faccende pel ballo, ed egli ne fece suo
profitto per rimanere da presso alla Luisa, non già solo con lei, ma
di brigata con altri parecchi, i quali tenevano vivo il discorso.
In un intermezzo delle danze, il crocchio si accrebbe. Il duca di
Marana si faceva presentare dalla padrona di casa alla signora
Argellani. Era un bel giovine, il duca di Marana y Cuelva; forte di
ricchezza e di nobiltà in un mondo nel quale non si pregiano che
queste due cose; d'ingegno e di cognizioni svariate, che lo facevano
amare dagli uomini assennati; di modi leggiadri e magnifici, che lo
rendevano accetto alle donne. Se fosse uomo da lasciare il suo cuore
in pegno, non era noto, e non si poteva ancora argomentarlo dal
corteggiar che faceva la marchesa Bianca; ma io potrò parlarvene con
più agio in un'altra storia, vera come questa, che mi farò a
raccontarvi, se m'accorgerò che a questa facciate buon viso.
La presentazione del duca di Marana fu il colpo di grazia per gli
ondeggiamenti del Percy. Ah, ah! pensò egli. Costui che corteggiava la
Bianca, or viene a' piedi della Luisa!.... Ma qui non troverà
certamente vanità di femmina da accarezzare.
E questo pensiero intanto accarezzava la sua. La Luisa, quella Luisa
che egli aveva abbandonata per correr dietro alla marchesa Bianca,
valeva ben più di costei, se l'adoratore novello della Roccanera
disertava con armi e bagagli per venire nel campo della Argellani. Ora
cotesto, meglio assai che le grazie evidenti della persona di Luisa,
significò a lui l'efficacia di quella rinnovata bellezza, e lo
fortificò nel suo folle proposito.
--Signora--disse il Marana, inchinandosi davanti alla Luisa,--io non
mi sono fatto presentare a Vostra Mercede soltanto per ossequiarla, ma
eziandio per iscrivere il mio nome nel suo libriccino, se egli c'è un
foglietto bianco per me. Mi concede Ella l'onore di una contraddanza,
o d'altro ballo che non abbia impromesso?
--Signor duca, io debbo, con mio grande rammarico, negarle questo
nonnulla, come agli altri gentili cavalieri che me ne hanno richiesta.
Son fresca di malattia, e non ardisco ancora provar le mie forze.
--Mi duole--soggiunse il Marana;--ma Vostra Mercede non avrà
certamente negato a nessuno la grazia di rimanerle vicino.
--Oh questo poi no.--
Il duca di Marana si sedette presso a lei, pigliando il posto che gli
offriva cortesemente un amico, e cominciò allora una gaia
conversazione che non dovea garbar punto al Percy. Il cuore di costui
pativa un'aspra battaglia, al vedere Luisa tanto cortese col giovine
spagnuolo; la qual cosa lo conduceva all'amarissima considerazione che
quella bellissima era stata sua, e che egli non era più nulla per lei,
nè aveva più ragione a dolersi.
Luisa cionondimeno era sempre pari a sè stessa, e non faceva
differenza tra lui e il Marana, od altri de' suoi ammiratori stretti a
crocchio d'intorno al sofà sul quale essa stava adagiata. A lui spesso
volgeva la parola amorevole, incuorandolo a parlare, ed egli notò che
ella, avendo per caso a ragionare della marchesa Bianca, ne disse un
gran bene, senza che dalle sue parole trapelasse pure un'ombra di
rancore. Ma così fatto è il cuore dell'uomo, che perfino quelle
schiette lodi tornavano amare al Percy, il quale avrebbe amato meglio
scorgervi uno zinzino di gelosia.
Alla credenza, dove il duca di Marana la condusse, fu un vero trionfo
per la donna gentile. Il ballo, quando ripigliò, ebbe a rimanere un
po' fiacco, per la contumacia ostinata dei cavalieri. Sissignori,
cotesto avvenne, contro tutte le buone creanze. Ognuno di que'
vagheggini pensava che la sua assenza non avesse a far sconcio, e per
tal modo ne rimasero una dozzina, a far le viste di satollarsi, ma nel
fatto per non allontanarsi dal contemplare la regina della festa, che
tale essa era stata salutata per acclamazione.... di votanti maschi,
s'intende.
Luisa che si addiede di quella diserzione dal ballo, e non voleva po'
poi farsi odiare oltre il bisogno dalle sue sorelle in Eva, fu
costretta a mandare, con dolci esortazioni, parecchi de' suoi
conoscenti nella sala delle danze.
Uno dei più renitenti ebbe l'impertinenza di rispondere, così forte
che tutti potessero udirlo:
--Vado, signora, vado, ma solo perchè ella me lo comanda.--
Bel complimento invero per la dama alla quale egli andò a chieder
l'onore di una mazurca.
Della signora Argellani, che era là seduta a sostenere gli assalti
della ammirazione verbosa di otto o dieci cavalieri, le galanterie
foggiate a madrigale, e gli inni ristretti, lampeggiati in languide
occhiate; della signora Argellani, dico, si notava la nobile
compostezza, si levavano a cielo le risposte leggiadre, si respiravano
avidamente i sorrisi. Uccisa dai caritatevoli rimpianti delle donne,
ella rinasceva nello spirito innamorato degli uomini. E chi aveva
ardito dire ch'ella fosse imbruttita, se era anzi bellissima, e
nessuna delle più celebrate per eccellenza di forma poteva entrare a
paragone con lei? Che occhi profondi! che profilo delicato! che collo
voluttuosamente tornito! E giù una filatessa di pregi, in lingua
pigliata a prestanza dal pittore e dallo scultore. I signori uomini
sono assai materiali quando nei loro crocchi ragionano delle bellezze
di una donna, e ci hanno del brutale nella loro ammirazione.
Ma brutale o no, l'effetto era grande. Perfino la rinomata bellezza
della marchesa Bianca aveva impallidito dinanzi alla regale maestà di
persona della nuova venuta, e dinanzi alla divina serenità di quel
viso. Fu insomma un subisso, una battaglia campale, una vittoria per
quella rinnovata bellezza che appariva d'improvviso, tremenda,
irresistibile, giusta il biblico paragone, come oste schierata in
campo.
«Non ti scordar di me» dicevano umilmente i suoi fiori; ma il trionfo
oltrepassava que' modesti desiderii. In quella che taluni si pentivano
d'averla dimenticata, il suo regno era assicurato su salde basi nel
cuore di tutti. Ella rientrava loricata, catafratta, in quella società
dove il suo petto inerme aveva ricevuto un colpo terribile, e dond'era
uscita semiviva; vi rientrava col cuore sano, libero e forte, educata
dai suoi danni a conoscere uomini e donne, a non amare nè odiare;
magnanima, non fiaccamente pietosa; superba, non orgogliosa, come
colei che sapeva la sua forza e si sentiva di tutti a gran pezza
migliore.
E nessuno la aveva intesa, quella pericolosa guerriera; nessuno aveva
indovinato il segreto dell'anima sua generosa.
Cotesto doveva tornar fatale al Percy.
Il giovinotto aveva fatto male i suoi conti, come tutti coloro che
lasciano far d'abbaco alla propria vanità. Meglio per lui se avesse
dato ascolto alla vergogna, la quale gli diceva di non osare. Ma la
vanità era a tortura; la gelosia di quella donna che era stata sua,
rinasceva più gagliarda, quanto più gli altri tutti la dicevano bella
e colle parole e con gli occhi. Gelosia e vanità lo persuasero a
ridiventar tenero; dopo essere stato villano. Infine, per chi era il
dolce richiamo di quei fiorellini simbolici che le adornavano tutta la
persona, se non per lui, per l'antico ed unico amante? Se ella avesse
incominciato un romanzetto amoroso col suo medico, siccome era stato
bisbigliato da qualcheduno, perchè sarebbe venuta alla festa da ballo?
E perchè, dato il caso di un capriccio che l'avesse fatta uscire dal
suo eremo, perchè il medico, che pure dicevano essere un giovanotto,
non c'era anche lui? No, no, il medico non c'entrava punto;
quell'amore sbocciato di fresco tra una ricetta e una toccata di
polso, era una calunnia bella e buona; Luisa non amava nessuno;
dunque....
Il dunque veniva pe' suoi piedi; dunque ella poteva amar lui, anzi lo
amava ancora, non aveva mai tralasciato di amarlo. Que' fiori erano
una confessione ed una preghiera: o non era quella una donna che aveva
aspettato di ripristinarsi in salute, per tornare, armata di tutto
punto, fresca e bella come prima, a ripigliarsi il suo? Sì certo, la
era così, non poteva essere altrimenti.