Le tragedie, gl'inni sacri e le odi - 27

Che la man che si leva a comandarmi
Sia vestita di ferro; e pensar ch’egli
Solo innanzi mi sta perchè si mosse
Prima di me; ch’ei cominciò com’io
Dall’obbedir. Ma portar nome, e il vano
Onor di sommo condottier?... che giova
Il far disegni per condur la guerra,
Se l’eseguirli in te non sta, se pria
Dèi conferirne.... e con chi mai? con tali
Che al tuo consiglio non vorresti al certo!
Cento partiti ti saranno in mente
Corsi e ricorsi, e raffrontati, in pria
Ch’ella un ne scelga e dica: il meglio è questo;
E quando il tieni e ten compiaci, all’alto
Giudizio di costor, siccome un reo,
Dèi trascinarlo, e perorar per esso.
E te felice s’egli è inteso, e trova
Grazie dinnanzi a lor! Quindi t’è forza
I lor consigli udir; che, per mostrarti
Ch’ei san che cosa è guerra e che rivolte
Hanno le antiche carte, ei ti diranno
Che Fabio vinse con gl’indugj e seppe
Evitar le giornate, e che Scipione
Portò la guerra in Africa piuttosto
Che difender l’Italia, od altrettali
Sciocche novelle. Allor che poi le trombe
Fan la chiamata, e che si monta in sella,
Il più munito, il più riposto loco
Devi trovar per essi; ed ivi stanno,
Finchè guizza nell’aria un brando ignudo,
Incantucciati ad aspettar l’evento.
Alfin tu siedi, se pur siedi; e stanco,
Anelante, sudante e polveroso,
Devi a lor presentarti, a render conto.
Sei vincitor? Lieti li vedi, e presti
A côrre il frutto delle tue fatiche;
Ma se vinto ritorni, in quel momento,
In cui solo vorresti a tuo bell’agio
Maledir la fortuna, in cui la molle
Parola di conforto anco ti annoja
Sul labbro dell’amico, onte e rimbrotti
Ingozzar ti bisogna, e far tua scusa,
Mentre innanzi e’ ti stan col sopracciglio
Con che sgridar son usi il siniscalco
Che a voglia lor non ordinò il convito.
Ci nomano lor genti, e come tali
Ci trattano a un bisogno; e van dicendo:
Non son essi pagati? E quando l’oro
Cambian col nostro sangue, ei fanno stima
Dare assai più che non ricevon.
MICHELETTO.
Odi
Strepito di tamburi? è questi il Conte;
Dànno le trombe il segno.
[1021] _Cfr. «Adelchi», III, 1ª: «~Torna agli antichi Disegni il re?~»._
[1022] _Ora, atto II, sc. 1ª, dice il Pergola: «~Italia forse Mai da’
barbari in poi non vide a fronte Due sì possenti eserciti~»._
[1023] _Cfr. ora atto II, scena 1ª_:
MALATESTI.
....Voi lo vedete; il Carmagnola
Ci provoca ogni dì: quasi ad insulto
Sugli occhi nostri alfin Maclodio ha stretto:
E due partiti ci rimangon soli:
O lui cacciarne, o abbandonar la terra,
Che saria danno e scorno.
[1024] _Cfr. ora la nota ~f)~, a pag. 169 e 177._

SCENA II.
IL CONTE, e DETTI.
CONTE.
Voi siete il benvenuto.
LORENZO.
Io deggio in prima
Scusarmi dell’indugio: io volli tutta
Radunar la mia gente....
CONTE.
E non potea
Venir più a tempo: io mi tenea sicuro,
Chè mancar non solete a questi inviti.
Voi prometteste novecento lance,
S’io non m’inganno.
LORENZO.
E tante io ne conduco.
CONTE.
Un buon drappello, ed un buon duca; e questo
Talor conta assai più.
LORENZO.
Tutto alla vostra
Scuola dovrò, s’io tal divenga un giorno.
CONTE.
Noi non staremo in ozio a lungo, io stimo.
Vi reco una novella: il Duca ha fatto
Un condottier supremo; al campo ei giunse,
E il comando pigliò: pur or l’avviso
N’ebbi.
LORENZO.
CONTE.
Carlo Malatesti: un nome
Di lieto augurio.[1025] E a noi....s’aspetta
Torglielo, e farne più famoso il nostro.
Lorenzo, ov’è la vostra gente?
LORENZO.
È posta
All’entrata del campo; ivi ordinai
Ch’uom di sua schiera non uscisse, in fino
Che a voi piacesse di vederli.
CONTE.
Andiamo.
[1025] _Variante marginale_:
Di lieto augurio: sovverravvi forse
Che il portava colui cui Brescia io tolsi.

_Coro dell’Atto II._
La sola strofa che nel manoscritto resti diversa, è la penultima:
Stolto anch’esso! Un più forte di lui
Gli domanda il rapito retaggio.
Stolto! ei venne sui campi non sui,
Senza gloria, non pianto, a perir.
E s’ei vive, e nell’empio viäggio
Lieto sempre e felice si mira,
Non lo segue, non veglia quell’ira,
Che l’attende all’estremo sospir?
Del terzo Atto, nel manoscritto, «è ritentata due volte la prima scena:
nel primo getto sarebbe stata sino ad ho vinto, e di qui avrebbe
continuato alla seconda. Nel rimanente, l’atto manoscritto è conforme a
quello della stampa: ma alla forma in cui si legge, non giunge se non
dopo molte e ripetute correzioni fatte nello scriverlo».
Del quarto Atto, il manoscritto non giunge che al verso del soliloquio di
Marco, nella scena seconda: _Stretto m’avete! Un nobile consiglio_. Il
rimanente dell’Atto manca. «Sin dove il manoscritto resta, si conforma,
eccetto variazioni di minor conto, allo stampato. I personaggi della
scena prima sono diversi da quelli che v’hanno parte nella tragedia
stampata: _I tre Inquisitori di Stato seduti—Il presidente solo
parla—Marco in piedi_».
Anche l’Atto quinto non è dissimile dallo stampato.
Il Bonghi avverte: «Quattordici fogli sciolti hanno rifacimenti di
diverse parti del dramma; ed un foglio, non di mano del Manzoni, porta
una serie di emendamenti e suggerimenti alla scena 1ª dell’atto II come
si legge ora; sicchè è stata scritta tra la seconda minuta e la terza».


LETTRE A M. C*** SUR L’UNITÉ DE TEMPS ET DE LIEU DANS LA TRAGÉDIE.


AVVERTENZA

La _Lettera_ seguente non fu, la prima volta, pubblicata dal Manzoni;
bensì dal Fauriel, insieme con la traduzione francese delle due tragedie,
a Parigi, nei primi mesi del 1823.[1026] Fu ristampata varie volte, e da
varii, in Italia (p. es. in fondo al volume «_Tragedie ed altre poesie
di A. M. milanese, con l’aggiunta di alcune prose sue e di altri_,
ediz. 2ª fiorentina;[1027] Firenze, tip. all’insegna di Dante, 1827»; e
nell’altra: «_Opere di A. M. in versi e in prosa_; Firenze, Passigli,
1836»); e finalmente dal Manzoni medesimo tra le _Opere varie_, nel 1845.
Non vi fece alcun ritocco.
Fu scritta durante la lunga dimora, che fu anche l’ultima, fatta dal
poeta con la sua famiglia—i figliuoli sommavano già a cinque, e l’ultimo,
Enrico, era nato poco prima, nel giugno del 1819, e pendeva dal seno
materno—a Parigi. Eran partiti da Milano il 14 settembre del 1819, per
la via di Torino, col proposito di traversare la Svizzera; ma, dopo un
sol giorno di sosta a Torino, «trovando che sarebbe stata cosa troppo
grave il viaggiare con una famiglia tanto numerosa e con bambini tanto
piccoli», proseguirono per la più corta. Rimasero nella tanto sospirata,
e ricca per essi di tanti cari e diversi ricordi, metropoli francese,
otto mesi; e, scriveva a una sua cugina l’amabile signora Enrichetta,
«in questo intervallo di tempo abbiamo avuto il dolore di vedere la
salute di mio marito non vantaggiarsi in alcun modo». Da qualche anno, a
Milano, il Manzoni era afflitto da una grave malattia di nervi; e «noi»,
soggiungeva l’Enrichetta, «avevamo sperato che il mutamento d’aria e un
po’ di distrazione avrebbero contribuito alla sua guarigione». Invece,
a Parigi, le cose non eran punto migliorate: «egli ebbe in quella città
una malattia assai lunga, che ci tenne molto inquieti:... fu malato
per quaranta giorni;... e finalmente,... appena si trovò in condizione
d’intraprenderlo, ci rimettemmo in viaggio, per tornare in casa nostra».
Viaggiarono a piccole giornate, per non affaticare il convalescente;
e l’8 agosto 1820, «nel maggior caldo», giunsero a Brusuglio: «ma noi
sopportavamo con piacere ogni disagio, nel desiderio di poterci ritrovare
di nuovo tranquillamente in casa nostra»[1028].
La _Lettre à m. Chauvet_ rimase manoscritta nelle mani dell’amico
insigne, al quale la prima, e fin allora unica tragedia, era dedicata. Il
Manzoni, rimpatriato, gliene domanda conto, con quel garbo signorile ed
amabile che gli era abituale, in una lettera da Milano, 17 ottobre 1820:
«J’ai honte de vous parler encore de mon fameux coup de lance
contre M. Chauvet, mai je n’en fais ici mention que pour
vous dire que dans le cas très probable, que vous jugiez que
la publication si tardive de ce pauvre _factum_ ne fût plus
convenable, et que venant si long-tems après l’attaque elle
n’eût tout-à-fait l’air d’être le produit d’une mémoire d’auteur
et d’une rancune vraiment _italienne_, dans ce cas, dis-je, ne
croyez pas me faire la plus petite peine en la supprimant;
mais si vous persistez dans la résolution de la livrer à
l’empressement du public, il vaudrait peut-être mieux la publier
séparément, d’abord pour ne pas retarder encore ou pour ne pas
trop vous presser dans votre travail sur le romantique, et pour
beaucoup d’autres raisons dont je vous épargne l’ennuyeuse
énumération».[1029]
Nel poscritto poi d’un’altra lettera, pur da Milano, il 29 gennaio 1821,
ripigliava (pag. 323):
«J’oubliais de vous dire encore de ne plus parler de ce petit
avorton de lettre à M. Chauvet. Si une bonne occasion se
présentait, vous me feriez bien plaisir de m’envoyer, à votre
choix, ou la copie ou mon barbouillage, pour le communiquer à
Visconti et à quelques autres amis».
E in principio di un’altra, che parrebbe scritta alla fine del febbraio
di quell’anno, ripete ancora (pag. 323):
«Pour ma guerre avec M. Chauvet, n’y pensez plus absolument; il
n’y a plus ni spectateurs, ni combattants, le champ de bataille
même a presque disparu. Sérieusement, je vous prie de n’y plus
songer».
Finalmente il Fauriel si fece vivo, e mandò all’amico una copia di quella
sua scrittura, qua e là ritoccata, e con l’assicurazione che un giorno o
l’altro, forse non molto lontano, sarebbe stata stampata. E il Manzoni,
il 3 novembre 1821 (pag. 330):
«J’oubliais de vous remercier de la copie que vous avez bien
voulu faire tirer et m’envoyer de la lettre à M. C..... A-t-elle
paru? Et que va-t-elle devenir à la veille, et surtout dans le
plein jour de la superbe session qui va s’ouvrir? Qui vaudra de
la littérature à présent?... Ne m’oubliez pas auprès de Cousin».
Ma ripigliava subito, a buon conto, in un poscritto:
«J’ouvre le paquet pour réunir cette feuille à la première,
puisqu’on me l’a rapporté, en disant qu’on me laissait encore
quelques momens. Je ne sais que vous dire de votre persistance
si amicale à vouloir préserver du déluge cette pauvre lettre a
M. C..... Je vous remercie aussi de la pensée que vous avez eue
de publier en français la lettre de Goethe. Ces choses-là ne
devraient raisonnablement pas faire beaucoup de plaisir; mais
quand elles en font, je crois qu’il vaut mieux l’avouer que de
dissimuler la reconnaissance, pour feindre la modestie».
Certo, gli avvenimenti politici di quei giorni, in Francia, non erano
tali da lasciar prevedere che molti avrebbero avuto la voglia e la
calma di tener dietro a una discussione di critica letteraria! Il
Ministero moderato, nuovamente ricomposto dopo la sciagurata elezione
a deputato del pseudo-regicida abate Grégoire (settembre 1819) e
dopo lo stolto attentato di cui cadde vittima il Duca di Berry (13
febbraio 1820), si preparava ad affrontare, in un disperato cimento,
le Opposizioni riunite ai suoi danni. Era presieduto, per la seconda
volta, dal Duca di Richelieu, gentiluomo di vecchia razza, impeccabile
e insospettabile, che aveva per colleghi e collaboratori principali i
due più illustri parlamentari della Restaurazione, il Conte De Serre,
uno dei più formidabili oratori che abbia mai avuto la tribuna francese,
e il «cancelliere» Pasquier, oramai inviso agli ultramonarchici per la
politica liberale ch’ei seguiva nei riguardi dell’Italia. La Destra
reazionaria, rafforzata dalle ultime elezioni—in grazia della nuova legge
che la strenua difesa di Pasquier e di De Serre era riuscita a condurre,
l’anno innanzi, in porto, tra lo scontento e le amarezze dei liberali
dei due Centri, le invettive e le minacce della Sinistra (Lafayette,
Manuel), e i tumulti della piazza,—era risoluta a buttarlo giù; e
con essa cospirava, mancando alle sue promesse, l’insofferente Conte
d’Artois. Gli antichi amici, i così detti «dottrinarii», che facevan capo
al Royer-Collard, già professore alla Scuola Normale e direttore generale
per la Pubblica Istruzione, a Camille Jordan, al duca Victor de Broglie
(genero di mad.ᵐᵉ de Staël), a De Barante, al Guizot, ora nicchiavano,
offesi appunto dalla malaugurata riforma della legge elettorale. Il
vecchio re, Luigi XVIII, abbindolato dalle grazie seducenti della
Contessa Du Cayla, l’Esther, come le piaceva chiamarsi, di quell’Assuero,
non osava di mostrar più risolutamente le istintive sue simpatie pei suoi
insigni ministri. A qual sorte, dunque, andava incontro quell’onesto
Ministero, sbattuto tra le ambizioni irrompenti dei realisti arrabbiati e
i risentimenti appassionati dei liberali, tra le pretese della Destra che
avrebbe voluto «il re senza la carta» e quelle della Sinistra che avrebbe
voluto «la carta senza il re»? L’apertura della nuova sessione era,
quando il Manzoni scriveva, imminente, e la Destra con le armi al piede,
impaziente di dar battaglia.
Victor Cousin, quegli appunto a cui il Manzoni voleva esser ricordato,
ha narrato d’una scena, svoltasi proprio di quei giorni in casa
sua. V’eran raccolti, col Royer-Collard, già maestro e predecessore
del Cousin, parecchi degli amici del Centro, e discutevan della
condotta da tenere alla Camera. Conveniva meglio lasciar in vita il
ministero Richelieu-Pasquier-De Serre, ovvero sgomberare la strada a
un ministero De Villèle-Corbière, di pura Destra? Meglio, si tendeva
a concludere, attenersi a quest’ultimo partito: i reazionarii, con
le loro esagerazioni, non avrebbero potuto rimanere in piedi nemmeno
sei mesi, e i liberali avrebbero allora potuto prendere una rivincita
sicura, e formare uno schietto ministero liberale, senza magagne e
senza compromessi. Assisteva alla conversazione un esiliato piemontese,
Santorre di Santa-Rosa, una delle vittime dell’ultima rivoluzione di
Torino. Il quale, accorato, si permise di osservare al Cousin: «Il vostro
dovere di buoni cittadini è di non combattere un ministero, ch’è l’ultima
vostra risorsa contro la fazione nemica d’ogni progresso. Non è permesso
di fare il male nella speranza del bene. Voi non siete punto sicuri di
rovesciare più tardi Corbière e De Villèle, ma siete invece sicuri di far
il male, permettendo che essi giungano al potere. S’io fossi deputato,
farei ogni sforzo per ringagliardire il ministero Richelieu contro la
Corte e la Destra». In cuor loro tutte quelle brave persone riconoscevan
la ragionevolezza di codeste osservazioni, ma, nel fatto, preferirono una
tattica che pareva abilissima.[1030] Solite illusioni dei galantuomini,
quando, maldestri come sono alle male arti, sventuratamente si risolvono
a prendere in prestito i metodi dei furbi senza scrupolo!
Il Manzoni riscrisse al Fauriel il 6 marzo del 1822. La catastrofe era
avvenuta, e forse già tutte le illusioni dissipate. Il 14 dicembre 1821,
il ministero liberale era stato rovesciato, e gli s’era sostituito un
ministero di monarchici intransigenti, punto disposti a lasciar presto
il potere. Vi entrarono col De Villèle e il Corbière, il De Peyronnet e
Mathieu de Montmorency, al quale ultimo, dopo il Congresso di Verona,
fu surrogato quello splendido vanesio ch’era, lo Châteaubriand. «M. de
Villèle», ha detto il De Mazade, «esprit plus pratique et plus fin que
supérieur, n’aimait pas les hommes brillans autour de lui»; e anche lo
Châteaubriand, nell’estate del 1824, sarebbe stato da lui congedato.
Intanto, il Richelieu era morto di crepacuore, meno di sei mesi dopo la
catastrofe, nella primavera del 1822; e il De Serre, che il Re volle si
mandasse ambasciatore a Napoli, moriva, anch’egli di crepacuore (il De
Villèle aveva spiegata ogni arte perchè questo Bonghi della Restaurazione
non riuscisse deputato nelle elezioni della primavera 1824!), il
21 luglio di quell’anno medesimo, nella villa reale di Quisisana a
Castellammare di Stabia.[1031] Non sopravvisse che il Pasquier; il quale,
ripensando a quei tristi avvenimenti, scriveva quarant’anni più tardi:
«En 1822, il faut bien que je le dise, la maison de Bourbon a commis
un grand acte de déraison: elle a brisé, au moment où il pouvait lui
être le plus utile, l’instrument qui lui avait déjà rendu de si grands
services. La destruction du second ministère du duc de Richelieu a été,
voyez-vous, plus qu’une faute politique; elle a été un véritable crime!».
La reazione trionfatrice toccò anche più da vicino gli amici del Manzoni;
e, per esempio, fu chiusa la bocca al Cousin e al Guizot.[1032] I quali
non poteron riprendere i loro corsi se non nell’aprile del 1828, quando
una salutare, benchè effimera, bufera, rovesciò il ministero De Villèle,
facendo luogo a un ministero liberale con a capo il De Martignac. (Il
Cousin dettò allora la sua _Introduction a l’Histoire de la Philosophie_,
e il Guizot l’_Histoire de la Civilisation en Europe_).
Oramai si poteva anche riparlare di critica letteraria, e, se non altro,
propugnare lo sfranchimento dalla tirannia di Aristotile e di Boileau. E
il Manzoni riparla della sua _Lettre à M. C..._ (pag. 333):
«Parmi les corrections par lesquelles vous avez bien voulu rendre
un peu plus française et un peu plus raisonnable ma pauvre
lettre à M. C...., il y a deux petits changements sur lesquels
j’ai quelques difficultés à vous proposer. Je vais le faire
avec cette liberté que me donne votre ancienne bonté pour moi.
—1. _Thèse toujours hasardeuse_, dans la première page [312],
ne me semble pas rendre précisément mon idée, qui est d’exclure
toute sorte de raison, et toute chance de succès, du projet de
défendre ses ouvrages, c’est-à-dire de prouver que l’on a bien
fait. Ne tenez aucun compte de cette observation, si elle vous
parait une vétille; dans l’autre cas, ayez la bonté de substituer
un autre mot».—[Ora è detto: «thèse toujours insoutenable»].
2. Dans l’endroit où j’ai parlé de l’étonnement d’une grande
partie du public sur ce que des grands revers n’avaient pas
été suivis d’un suicide [pag. 362], mon intention était de
rappeler quelque chose de la vie réelle et de l’histoire de nos
jours. Dans la copie que vous avez eu la bonté de m’envoyer, cet
étonnement ne se rapporte qu’à des compositions dramatiques.
Peut-être avez-vous eu quelque motifs que je ne peux comprendre
d’ici, pour retrancher tout ce qui pourrait avoir rapport à des
personnages et des événemens récens: pour ce qui me regarde, je
crois qu’il n’y aurait aucun inconvénient; pour toutes les autres
considérations, c’est à vous d’en juger, et de faire ce qui
vous paraîtra convenable. Voilà bien des raisonnemens pour deux
phrases, et voilà toute une feuille remplie de balivernes».
Ci manca il modo d’indagare se l’allusione, che nella forma definiva
della _Lettera_ è abbastanza trasparente («l’époque où nous nous trouvons
a été bien féconde en catastrophes signalées, en grandes espérances
trompées...»), a Napoleone e ai fatali rovesci che a lui e a tanti suoi
fidi, e infidi, seguirono, fu in tutto o in parte modificata. Ad ogni
modo, appar chiaro che il Fauriel dovè ritoccare il suo ritocco, dacchè
nella stampa lo stupore del pubblico riguarda, senza possibilità di
equivoco, gli avvenimenti della storia contemporanea, non già alcune
presunte azioni drammatiche.
Il 29 maggio di quello stesso anno 1822, il Manzoni riscrive, proponendo
qualche altro cambiamento. Molto significativa è la sua risoluzione di
cancellare il nome dello Schiller, là dove lo aveva messo in riga con lo
Shakespeare e il Goethe. Dice (pag. 335):
«......il faut que je vous donne encore de l’ennui en vous priant
de quelques petites corrections. Il y a quelque part [_pag._
375]: _formule sacramentelle_, à quoi je voudrais substituer:
_mots techniques_, ou tel autre tour que vous jugerez à
propos.—Ensuite, je voudrais retrancher le nom de _Schiller_, qui
s’y trouve une fois, et d’une manière qui fait supposer une idée
beaucoup plus haute que je ne l’ai réellement de l’importance
de cet écrivain au point de vue dramatique [_pag._ 336]. Vous
vous souviendrez peut-être des discours que nous avons tenus
sur ce sujet; vos idées ont donné aux miennes là-dessus plus
d’étendue et de courage; en relisant les tragédies de Schiller,
je me suis confirmé dans ces idées; enfin, je ne mérite ni n’ose
le nommer.—Ce retranchement rend nécessaire une autre petite
correction (oh! pardon de tant d’ennui que je vous cause!): il y
a vers la fin [_pag._ 379]: _si les trois poëtes qui ont méprisé
ces règles_; on pourra mettre à la place: _si tous les poëtes..._
etc.—Enfin, à ces paroles [_pag._ 377]: _les romantiques amis_,
il faudrait substituer: _les romantiques_, ou _ceux qu’on
appelle romantiques_, ou telle autre expression que vous jugerez
convenable».
Il curioso scrupolo di cercare un equivalente alle parole «formule
sacramentelle», non fu assecondato dal Fauriel; e dovè poi parere
eccessivo allo stesso Manzoni se, anche dopo, non ha cambiato. E quanto
allo Schiller, si può vedere più innanzi, nei _Materiali estetici_, quel
ch’egli prima ne pensasse e ne scrivesse.
Le correzioni e i ritocchi non erano ancora finiti. In un’altra lettera,
del 12 settembre 1822, il Manzoni ripiglia (pag. 343):
«Je croyais avoir fini, et il me souvient que j’ai encore de
l’ennui à vous donner sur..... c’en est trop! sur la lettre a
M. Ch...... où j’ai une phrase qui me donne un remords assez
cuisant pour me déterminer à vous prier de faire encore une
correction. C’est à peu près au tiers de la lettre, où il est
parlé du mélange du comique et du sérieux. Voici la phrase
téméraire [_pag._ 331]: _Je pense, comme un bon et loyal
partisan du classique, que le mélange de deux effets contraires
détruit l’unité d’impression nécessaire pour produire l’émotion
et la sympathie._ Là il me parait évident que je tombe dans
l’inconvénient que j’ai tant censuré, de fixer ou de reconnaître
des bornes arbitraires, qui peut-être n’ont pas été franchies,
mais qui peuvent l’être dans l’avenir, avec bonheur. Voici donc
ce que je voudrais ajouter, après _la sympathie_, pour correctif
à cette phrase: _ou, pour parler plus raisonnablement..._»
E qui seguiva, con piccoli mutamenti di forma, che notiamo a suo luogo,
il brano com’è nella stampa, fino a: «mais c’est bien certainement un
point dont il n’y a pas de conséquences à tirer...»; poi continuava:
«Voilà ma lettre remplie de corrections... Bien entendu que cette
correction subira une recorrection de votre main, dont elle a
bien besoin: car le peu de français que j’avais, m’échappe de
jour en jour».
Chi abbia l’occhio al brano aggiunto, s’accorge subito che il Manzoni ha
voluto, con le nuove e più precise dichiarazioni, scansare il pericolo
d’esser supposto un tiepido ammiratore, anzi un censore, del _Faust_;
del capolavoro di quel Goethe a cui oramai lo legavano tante ragioni
d’ammirazione e di gratitudine. _Ouvrage étonnant_, che tutti reputavano,
e reputano,[1033] _un chef-d’oeuvre... à la seule condition qu’on ne
lui donnerait pas le nom de tragédie_;... va bene; ma, tra le opere
dell’olimpico poeta, era poi proprio quella che il nostro grande poeta,
cui dava uggia il fantastico, l’impreciso, il vago, e perciò propugnava
la religione del vero storico anche nella poesia, prediligeva e
preferiva? «C’est ce que je n’ai ni le courage d’affirmer, ni la docilité
de répéter»!
In una lettera del 10 dicembre 1822 (pag. 345, dove per evidente svista
è stampato ottobre; ma cfr. pag. 198), il Manzoni sente ancora il
bisogno d’un cambiamento; e questa volta per evitare possibili noie
dalla Censura. Prega il Fauriel di procurare che i primi esemplari del
volume, che avrebbe contenute le due tragedie tradotte («_Adelchi_ et son
frère aîné _vestiti del dì delle feste_»), gli articoli del Goethe e la
_Lettera a Ch..._, fossero spediti a Vienna.
«Voici pourquoi: l’admission ou le rejet des livres imprimés à
l’étranger, dans une langue étrangère, ne sont pas du ressort
de la Censure de Milan; on lui envoie à des périodes fixes un
catalogue de Vienne, avec les qualifications respectives, dont
elle fait l’application aux livres qui lui sont présentés. Si
un livre n’est pas porté sur la liste, il faut alors envoyer
à Vienne, non le titre, mais l’ouvrage même pour qu’il y
soit soumis à la Censure: c’est comme vous voyez un retard
considérable, que je voudrais éviter par le moyen d’une
expédition prompte à Vienne».
Non era prevedibile, in verità, che il volume incagliasse tra i battenti
della Censura;
«mais quelque exemple récent m’a donné sur la possibilité
des refus en général des idées qui autrefois m’auraient paru
exagérées, même étranges. Un libraire d’ici, ayant demandé la
permission de publier une traduction des _Lettres de quelques
Juifs_ par l’abbé Guénée, n’a pu l’obtenir; ayant fait demander à
Vienne le motif du refus, on lui a fait répondre que cet ouvrage
contenait des choses contraires aux lois existantes. Je connais
un peu ce livre, et je vous assure que j’ai de la peine à deviner
par quel côté une telle qualification peut lui être appliquée,
quand ce ne serait par ce qui s’y trouve contre les lois
féodales, pour expliquer, et démontrer probable, la prospérité
contéstée des Juifs à une certaine époque».
Codesto strano caso suggeriva al Manzoni il curioso mutamento.
«Cela m’a fait ressouvenir que dans ma Lettre a M. Chauvet il y a
un mot sur la féodalité: si par quelque hasard l’impression avait
avancé lentement, et n’était pas encore arrivée a ce passage, il
ne serait pas mal de faire disparaître ce petit mot: quand ce ne
serait que pour éviter au censeur qui a approuvé ici ma Lettre le
désagrément d’un _damnatur_, que je lui épargnerais volontiers,
pour lui d’abord, et ensuite parce que l’effet immanquable de
ce désagrément serait de le rendre encore plus difficile et
cauteleux pour l’avenir. Si le passage est imprimé, comme il est
probable, n’y pensons plus, et qu’il aille à la garde de Dieu:
autrement, je vous propose une correction, que j’ai préféré de
faire comme j’ai pu, plutôt que d’avoir l’indiscretion de vous en
charger dans cette occasion».
Si era ancora in tempo, e la correzione fu fatta. Ma, purtroppo, non
siamo più al caso di ripristinare il testo, con quel motto contro la
feodalità. I periodi rifatti son quelli contenuti nel brano che va
dal capoverso: _Le règne des erreurs grandes et petites..._ all’altro
seguente: _Quand elles en sont à cette seconde époque..._ (pag. 377).
Differiscono dalla stampa per parecchi ritocchi di forma; che sembran
certo dovuti alle amorevoli cure del Fauriel.
Finalmente, e come Dio volle, il volume, con le tragedie tradotte e la
Lettera, venne fuori; e così il Fauriel ne scriveva al Manzoni in una
lettera senza data, ma che fu certamente scritta tra il marzo e l’aprile
del 1823 (pag. 203):
«Sachez que votre traduction a éprouvé une multitude de retards
que je n’avais nullement prévus, et auxquels je ne devais point
m’attendre. Il n’y a guère qu’un mois ou 6 semaines qu’elle est
en vente, autant qu’un livre est en vente ici avant que les
journaux en aient bavardé à leur manière: c’est à quoi je les
provoque maintenant, faute de l’avoir pu faire dans le temps des
Chambres où la maudite politique prend toutes les colonnes de la
littérature. A ce que j’ai pu voir déjà et à ce que je présume,