L'amore di Loredana - 02
famiglie, recatesi a portar dolci e augurii alla buona donna. Intorno a
Loredana, tutta vestita di rosa e lievemente scollata, stavano altre
fanciulle, e alcuni giovanotti scherzavano con la piccola amica di
Filippo, la quale rideva e si scaldava presso il caminetto, avanzando i
piedini con una mossa non priva di civetteria.
Filippo guatò lo spettacolo. Tra quei giovani, uno fermò specialmente la
sua attenzione, un biondo con occhi cerulei; si chiamava Adolfo
Gianella, era impiegato in una banca e possedeva qualche po' di terra in
provincia di Vicenza. Parlava poco, vigilava gli amici, ascoltava,
serrando le labbra, i madrigali ch'essi rivolgevano alla giovinetta; e
sopra tutto, pareva noiato e diffidente per la presenza di Filippo. Egli
stava presso il caminetto, in piedi, di fronte a Loredana; e v'era nel
suo atteggiamento muto un significato di padronanza e di protezione, che
svelava in lui il fidanzato o almeno l'innamorato serio. Dai suoi occhi
si sprigionò più d'una volta qualche occhiata cupida al collo bianco e
perfetto di Loredana. Il contegno di Adolfo Gianella divenne a poco a
poco tanto chiaro, che i suoi compagni smisero di corteggiare quella e
si volsero alle altre ragazze.
Filippo se ne andò, con un male in cuore, con una rabbia, con
un'angoscia, che lo stupivano e lo facevano tremare.
Entrò nel salotto della contessa di Montegalda e parve distratto tutto
il tempo che vi rimase. Fausta gli passò vicino, gli fece un lieve cenno
di seguirla e quando furono nella sala da ballo, deserta, gli chiese:
--Che cosa avete, Flopi?
--Mi fa male il cuore!--egli rispose.
--Male?--ripetè Fausta.--Un male fisico?
--Fisico. Un aneurisma,--disse Filippo sbadatamente.
--Mio Dio!--esclamò la contessa con voce soffocata.--Siete pazzo? Di
aneurisma si può morire!
--Si può morire di tutto, amica, mia!--concluse Filippo.
La giovane voleva insistere, chiedere quali cure facesse, ma Filippo le
lanciò un'occhiata stranamente beffarda, e rientrò nel salotto, dove si
intavolava una partita di _boston_.
Egli aveva bisogno di sapere, e tuttavia stette parecchi giorni senza
recarsi a trovar le signore De Carolis. La comparsa di quel giovanotto
biondo con gli occhi cerulei gli aveva fatto sentire che un giorno
Loredana gli sarebbe stata tolta per sempre e ch'egli non avrebbe potuto
nulla per impedire una cosa tanto semplice e tanto grave, poichè non
aveva intenzione di sposare la fanciulla, d'affrontare una lotta con la
propria famiglia, con la madre, con le sorelle e coi cognati....
Loredana avrebbe appartenuto ad Adolfo Gianella, impiegato di banca e
piccolo possidente.
Fausta di Montegalda conobbe in quei giorni molte amarezze; Filippo era
irascibile e pareva che il fasto e l'eleganza della giovane signora lo
irritassero, quando per l'addietro gli erano stati tanto cari. In un
convegno, egli sbadigliò più d'una volta, mentre Fausta gli esponeva,
come nei primi tempi del loro amore, i progetti per la primavera, per
l'estate, per l'autunno, tutto un programma di divertimenti, studiato in
modo da non dover vivere troppo lontani l'uno dall'altra.
Quello stesso giorno, Filippo incontrò in Piazza, sotto le Procuratie
Nuove, Loredana che camminava frettolosa, di ritorno dall'aver fatto
alcune compere. Egli la salutò e tirò dritto, perchè evitava di farsi
vedere dagli amici con una fanciulla, ch'essi non conoscevano e che non
apparteneva al loro «mondo»; il quale era un gruppo di men che duecento
persone. Ma tornò presto indietro, e corse a casa delle De Carolis.
Loredana era molto impacciata; Filippo era freddo e pieno di rabbia.
Anche il fatto, punto nuovo, d'averla trovata sola per istrada, gli
faceva dispiacere, sebbene non avesse mai ignorato che la signora De
Carolis permetteva alla figlia, come del resto usavan tutte le sue
amiche, di uscire sola a far compere o di andare sola a far visita alle
conoscenti.
Infine, per togliere quell'ombra che s'addensava tra di loro, la
fanciulla raccontò a Filippo che l'avevano fidanzata, da un mese circa,
ad Adolfo Gianella.
--Le piace?--domandò Filippo.
--No, per niente.
--Le pare che sarà felice con lui?
--Ne dubito molto.
--E allora?
Allora? La mamma aveva consigliato così; la famiglia Gianella era
contenta; Adolfo era innamorato e minacciava d'uccidersi e di uccidere,
se Loredana non fosse stata sua. Poi, che cosa poteva fare ella al
mondo? Adolfo era un giovane onesto, in buona posizione, e le voleva
bene davvero.... Ella s'era rassegnata e il fidanzamento era avvenuto.
--Senza dirmi nulla!--interruppe Filippo.
--Non osavo,--confessò la fanciulla, guardando l'amico a occhi
socchiusi, tra le lunghe ciglia.--Del resto, che cosa poteva importare
a lei? Lei non si occupa di queste piccole miserie.
Filippo non rispose, ma disse a se medesimo, che infatti egli non poteva
e non doveva occuparsi dell'avvenire di Loredana, poichè non voleva
toglierla ad Adolfo e sposarsela lui.
--Tutto ciò che la riguarda m'interessa,--osservò.--La mia amicizia
aveva qualche diritto.
La fanciulla chinò il capo e non rispose. Una sofferenza nuova sorgeva
nel suo cuore per quell'interrogatorio. Aveva qualche diritto, Filippo?
E allora anche lei aveva qualche diritto, e pur tuttavia Filippo le
aveva sempre taciuto, anzi le aveva sempre negato quell'amore per la
contessa di Montegalda, del quale si parlava ormai con sicurezza in
città.
La madre sopravvenne, e mostrò a Loredana i campioni di alcune stoffe
per gli abiti della fanciulla. Filippo volle sceglierne due egli stesso,
ma la signora De Carolis osservò ch'eran troppo cari; bisognò
contentarsi dei più semplici, che a Filippo sembrarono anche molto
brutti. Egli comparò mentalmente la vita modesta, quasi povera della sua
piccola amica col lusso onde si circondava Fausta; e fu intenerito,
ricordando che Loredana non si lagnava mai, non badava a quei
particolari meschini, non invidiava nessuno.
Fausta sarebbe rimasta intontita se avesse potuto sapere che la povertà
di Loredana era più gradita a Filippo che non l'eleganza di lei.
Una sera a pranzo dalla contessa Lombardi, Filippo s'irritò sordamente
incontrando Fausta gemmata come un idolo, coperta di merletti preziosi,
superba. C'era il marito, il conte Ettore di Montegalda, e Filippo non
potè subito dire a Fausta qualche parola crudele; ma non gliene mancò
l'occasione durante la serata; e ripensando ai campioni delle stoffe per
gli abitini di Loredana, sentì il bisogno di criticare l'abbigliamento
di Fausta, con tanta ingiustizia, che la contessa ne rimase stupefatta.
--Via, via,--ella disse, sforzandosi a ridere,--voi non potete giudicar
di queste cose!
--Voi, piuttosto, non potete dare un giudizio di nulla e di
nessuno!--rimbeccò Filippo.--Credete di vivere, e siete tanto lontana
dalla vita quanto la terra dal sole!
Fausta aveva l'abitudine di comandare, d'imperare sempre e dovunque. Era
bella, alta, formosa, coi capelli nerissimi e gli occhi azzurri; gli
uomini la desideravano, le amiche ne tolleravano il potere, il marito ne
era orgoglioso senza mai aver pensato ad amarla.... Sentendosi, per la
prima volta dacchè viveva, così umiliata e torturata da Filippo Vagli,
ella ne provava un dolore inesprimibile, e invece di ribellarsi, a poco
a poco era tratta a soggiacere a quella forma di dominio non mai
provata. Se un giorno ella aveva amato Filippo tepidamente, lasciandosi
prendere per accidia e per noia, ora la rudezza insospettata
dell'amante, la prepotenza che si tramutava qualche volta in sarcasmo,
la soggiogavano; e temeva di perderlo, e si chiedeva ansiosa se quella
irascibilità, quella voglia di tormentare non fossero i sintomi della
stanchezza; e divenendo umile, moltiplicava le cure gentili per
l'innamorato, cercava di farsi piccola e buona.
Ma ella era ormai condannata a scontare ciò che Filippo soffriva per
Loredana; ogni episodio triste o increscioso dell'amicizia tra la
fanciulla e il conte Vagli si ripercuoteva nell'amore tra il conte Vagli
e Fausta; la quale non capiva, non sapeva darsi ragione, non sospettava
menomamente la causa di quella mutazione improvvisa, e cominciava a
credere che Filippo fosse malato davvero, seriamente, più di quanto egli
aveva detto.
--Quel suo fidanzato è molto antipatico!--disse un giorno Filippo a
Loredana.--Perchè mi guarda sempre di sottecchi, e scappa appena giungo
io? Non potrebbe trattare da persona educata?
Adolfo Gianella voleva togliere di mezzo Filippo: la presenza di
quest'ultimo, le sue cortesie e la sua assiduità presso una fanciulla
dalla quale non doveva sperar niente, gli sembravano strane e sospette.
--È il mio amico!--aveva risposto Loredana alle insistenze del
fidanzato.--È il solo amico che io abbia: mi vuol bene come un fratello.
Perchè devo fargli uno sgarbo e mandarlo via, dopo tre anni d'amicizia
onesta?
Adolfo non capiva. Un conte, un libertino, un pessimo soggetto, preso da
sentimento purissimo per una giovinetta di diciotto anni, bella e
povera? Non aveva mai udito raccontar nulla di simile. Ed essa, fredda e
testarda, continuava a ripetere ch'era l'amico, e che non lo avrebbe
mandato via, e che Adolfo non doveva pensar male.
Ogni giorno si tornava daccapo; il carattere passionale d'Adolfo
s'accendeva e s'inveleniva; il giovane avrebbe voluto che la signora De
Carolis intervenisse a favore di lui, ma la mamma giudicava con la testa
della figlia, e non ricordava nemmeno di averla rimproverata una volta
in diciotto anni. Anzi, vedendo che la figlia era triste, anche la
signora De Carolis cominciava a pensare, senza avere il coraggio di
dirlo, che Adolfo era brutale; e si pentiva d'avere accolta e favorita
la proposta della famiglia Gianella, che voleva unire i due giovani. Non
si poteva negarlo: la pace della casetta bianca era stata turbata da
Adolfo Gianella; Loredana, sempre allegra, aveva mutato carattere per
colpa di lui; egli, geloso, inquieto, pieno di sospetto, guardava tutti
in cagnesco, non voleva che si andasse a teatro, s'irritava per la
spensieratezza di Loredana, l'offendeva con incessanti osservazioni,
pretendeva ch'ella fosse già grave e prudente come una madre di
famiglia, e infine, anche nei momenti buoni, era querulo e noioso,
pedante e meschino.
Per quel contrasto incessante, la fanciulla era accasciata; e più d'una
volta Filippo la trovò con gli occhi rossi e gonfi.
--Non bisogna sposarlo, sa?--egli diceva recisamente.--È un matrimonio
impossibile. Che cosa farà quel ragazzo quando sarà suo marito e avrà i
diritti più stupidi e più antipatici? Vuole che parli io con la mamma?
La fanciulla non aveva il coraggio di togliersi da quella situazione
tormentosa: tutta la famiglia Gianella, madre, padre, zii, cugini di
Adolfo, le stavano attorno, magnificando le virtù del giovane, facendo
disegni per l'avvenire, dimostrandosi tanto sicuri, tanto lieti per quel
matrimonio singolarmente felice, che Loredana soffocava e taceva. Ma non
si sarebbe potuto trovare un uomo il quale fosse più di Adolfo incapace
di comprenderla, tanto che essa, buona con tutti, era sempre con lui
irritata, nervosa, dolente.
Da ultimo egli voleva anche legger le lettere ch'ella riceveva dalle
amiche, delle quali non si fidava punto; una mattina, mentr'egli s'era
recato a dare il buon giorno alla fidanzata, sopravvenne il
portalettere, e Adolfo s'impadronì della posta, aperse la lettera d'una
ragazza che scriveva a Loredana da un paese della provincia, domandò
notizie delle persone ch'eranvi ricordate, e finì col mettersi la
lettera in tasca.
Quando giunse Filippo verso sera, la fanciulla vibrava ancora tutta di
sdegno e d'ira; raccontò ogni cosa all'amico, anche quel che aveva
taciuto fino a quel giorno, le angherie, le taccagnerie, la diffidenza
oltraggiosa, la gelosia irragionevole, la presunzione di Adolfo.
--Non lo voglio, non lo voglio, non lo voglio!--esclamava con gli occhi
sfavillanti di rabbia.--Qualunque cosa piuttosto di questo matrimonio!
Mai, mai, mai!
Filippo aveva ascoltato in silenzio, guardando il pavimento a piastrelle
bianche e rosse e segnando col piede il ritmo d'una marcia.
A un tratto sollevò il capo, afferrò le mani dell'amica, e chiese:
--Vuole venire con me?
La fanciulla non capì subito.
--Dove?--ella domandò.
--Via, lontano, fuori di Venezia, per sempre!--incalzò Filippo.
--Fuggire? Fuggire con lei?--ella disse sottovoce, già tremando senza
saperne la ragione.
--Mi ascolti,--mormorò Filippo.
Andò fino al limitare della saletta, vide che la mamma leggeva
attentamente un libro mal rilegato, e continuò, tornando presso
Loredana:
--Quella che noi chiamiamo amicizia, non è che amore. Se n'è accorta?
Essa, ferma e fissa, con gli occhi spalancati, non rispose.
--Me ne sono accorto io,--proseguì Filippo.--So che ti amo, sento che ti
amo, sento che noi possiamo essere felici. Io non posso sposarti;
capiscimi bene, non posso sposarti perchè tutta la mia famiglia ci
darebbe tali e tanti dispiaceri, che, in confronto, ciò che hai sofferto
finora ti sembrerebbe una gioia. Sono ignoranti, caparbii e feroci....
Ma ti offro lo stesso il mio amore e la mia vita.... Anch'io sono
stanco; anch'io non posso più trascinare questa esistenza tormentosa e
inutile. Dimmi che accetti, e saremo felici.... Partiremo subito....
Loredana tolse le mani dalle mani di Filippo e si alzò in piedi: fece
alcuni passi come per uscir dalla camera, ma si fermò e si addossò al
muro; piangeva in silenzio e le lagrime le scendevan giù per le guance.
Filippo le si avvicinò di nuovo. Era pallido e la sua voce tremava.
Disse:
--Sei offesa?
Ella negò con un movimento del capo.
--Allora non mi ami d'amore, come ti amo io?
La risposta non venne. Loredana guardava l'amico attraverso il velo
delle lagrime. Egli fece un passo come per allontanarsi, ma la
fanciulla, rapidamente, istintivamente lo trattenne con un gesto.
--Sì, l'amo anch'io,--ella mormorò sottovoce.
Filippo l'afferrò per il busto e la baciò sulla bocca.
--Pensaci,--disse.--Pensa che saremo tanto felici.... La mamma
perdonerà. Ti vuol troppo bene per condannarti. Capirà che tu avevi il
diritto di vivere, di sottrarti a un avvenire spaventoso. Tu saprai
farti perdonare, non è vero? poichè conosci la strada per giungere al
cuore della mamma! Dimmi che accetti, e partiremo subito....
Essa, sempre addossata al muro, sempre immobile, con gli occhi pieni di
lagrime, non rispondeva. Ma una scampanellata fece sussultare lei e
Filippo.
La fanciulla s'asciugò prestamente gli occhi, e corse nella saletta.
--Dev'essere Adolfo,--ella disse alla mamma.--Io ho l'emicrania, non
voglio vederlo, mi chiudo nella mia camera!
La mamma sospirò e alzò lo sguardo al soffitto. Loredana tornò da
Filippo, gli strinse le mani, mentr'egli la baciava ancora sulla bocca.
--Pensaci!--ripetè Filippo.
Ella fece un gesto vago e scomparve, per chiudersi nella sua cameretta.
Adolfo Gianella saliva le scale, e Filippo udendone il passo, diceva con
la signora De Carolis:
--Mi dispiace molto che la signorina sia indisposta; spero non sarà
nulla....
--È malata?--chiese Adolfo sopraggiungendo e salutando Filippo con un
saluto freddo e un'occhiata di sbieco.--Dov'è stata iersera? Avrà preso
freddo, o avrà mangiato qualche cosa d'indigesto....
Filippo se ne andò subito, e senza volerlo si disse, ridendo dentro:
--Tu, dovrai mangiare fra poco qualche cosa d'indigesto!...
Ripensò, quella notte, all'idea della fuga, balenatagli così di repente;
e più vi pensava e più gli pareva buona. La signora De Carolis non
avrebbe osato nulla contro la figlia adorata; Adolfo avrebbe trovato una
consolazione nel pensiero che una fanciulla capace di scappar col conte
Vagli non era degna di lui.... Infine, la cosa si sarebbe saputa da
pochi, malamente, e si sarebbe sminuita, polverizzata per così dire, nel
classico pettegolezzo veneziano. Filippo trovava l'onestà della sua
disonestà; amava Loredana; sentiva che le sarebbe stato fedele, che
l'avrebbe fatta contenta, ch'ella non avrebbe sofferto, e poichè di
matrimonio era assurdo parlare a causa dell'opposizione formidabile che
avrebbe trovato in famiglia, la fuga, una fuga prudente, senza troppo
scandalo, senza chiasso, metteva termine a una situazione insopportabile
per lui e per la piccola amica.
Gli venne anche il pensiero di Fausta; ma la disgraziata donna s'era in
quel periodo di tempo totalmente perduta agli occhi di lui, pel suo
strano contegno d'umiltà, nel quale egli non capiva nulla. Egli pensava
con rammarico alla devozione della sua amante: Fausta non era fatta per
obbedire, per tacere, per soffrire; ogni donna ha il suo fascino e il
suo destino. L'asservimento aveva smorzato la bella fiamma di quegli
occhi cilestri e tolto al viso il colorito della fresca giovinezza.
--È veramente doloroso,--pensava Filippo,--ch'io non possa amarla!
A poco a poco, ribadita dal conte, l'idea della fuga conquistava anche
Loredana; nulla pareva più dolce che la vita con Filippo, e la fanciulla
non trovava termini di paragone se non nella paura di quel matrimonio.
Adolfo aveva svelato un nuovo difetto, insolito in un giovane:
l'avarizia. Egli spiegava certe sue miserabili economie con la necessità
di aver denaro pel giorno degli sponsali, d'aver molto denaro per far
bella figura; ma la fidanzata gli credeva poco, e notava, senza volerlo,
quasi arrossendo, che intanto lo spirito gretto di lui si rivelava nei
regalucci ch'egli le faceva e che sarebbero rimasti in casa a fare non
bella, ma triste figura. Egli anche--aveva scoperto Loredana, ormai
maestra di scoperte incresciose--egli mangiava troppo, ingordamente,
magnificando la bontà delle salse e dei sughi. La madre sua si beava
vedendolo così allegro, con un appetito quasi insaziabile; e Loredana,
per non odiare l'uno e l'altra, inventava un'emicrania ogni qualvolta la
signora Gianella l'invitava a pranzo.
Sui primi di maggio, quando la ragazza pensava di farsi qualche abitino
nuovo e di comperarsi qualche piccolo oggetto d'eleganza, Adolfo decretò
che gli abiti e i cappelli dell'anno precedente, ritoccati qua e là,
potevano servire ancora; e la petulanza del fidanzato le sembrò tanto
grave, che senza ribatter verbo, ella si ritirò nella sua camera e vi
restò fin che Adolfo non se ne fu andato.
Ma egli giudicava quei malumori con la presunzione di un esperto
conoscitore di donne, sorridendo e aspettando che la bufera si calmasse.
Era ben lungi dall'imaginare che proprio quel giorno, otto maggio,
qualche cosa di terribile e d'irreparabile doveva avvenire nella vita di
Loredana.
Sua madre l'aveva lasciata sola in casa, dopo la visita di Adolfo; la
donna di servizio era andata alla stazione a incontrare il fidanzato che
giungeva a Venezia per passarvi alcuni giorni di vacanza. Loredana non
doveva aprire ad alcuno e stava nella sua camera, sdraiata sul
lettuccio, leggendo un romanzo. Verso le quattro udì una scampanellata;
corse al balcone, vide Filippo, e la tentazione fu troppo forte: andò
subito a tirare il cordone e la porta si spalancò innanzi al conte, che
credeva di trovar la fanciulla con la mamma.
Quando seppe ch'era sola, egli la guardò in silenzio ed ella guardò lui;
le loro bocche si unirono e così, dopo tre anni, la piccola amica
diventò la piccola amante.
Quella medesima sera, la fanciulla andò a teatro con la madre e un'altra
signora. Aveva il suo abitino rosa lievemente scollato e un cappellino
di paglia rossa a tricorno, sotto il quale i capelli parevan più bruni e
i riflessi più dorati. Ella stava attentissima alla rappresentazione,
«L'amore ricama», una commedia francese in tre atti; teneva gli occhi
fissi alla scena, la bocca dalle labbra purpuree un poco schiusa.
Filippo la vide e fu colpito da quell'atteggiamento ingenuo, quasi
infantile, come se un'altra anima, la vera anima della giovinezza
indifesa, si fosse sovrapposta a quella ch'egli conosceva. Sentì il
rimorso per ciò che aveva osato poche ore innanzi, nella cecità della
passione e dell'egoismo.
Ma l'atto finiva e parecchi spettatori alzandosi e volgendosi guardavano
la fanciulla con ammirazione.
--Imbecilli!--mormorò Filippo, guardando a sua volta Loredana,
sorridente e bianca sul fondo scuro del palchetto.--È mia!
E la certezza di quell'amore tacito e misterioso, pericoloso e crudele,
potè meglio d'ogni altro pensiero. Filippo stette un istante a fissar
la folla in platea, la quale, ammirando la piccola amante non osava
sospettare ch'ella conoscesse già i baci, tutti i baci d'un uomo; e la
stupidità della moltitudine non gli sembrò mai più amena.
Due mesi eran passati da quel giorno indimenticabile, quando, sui primi
di luglio, Loredana si decise, e abbandonò la casetta bianca sul
campiello solitario per seguire Filippo Vagli.
V
La mattina dopo l'arrivo a Desenzano, Loredana corse al balcone
dell'albergo e vide sotto il sole fastoso scintillare il lago di
cobalto. Lontano, a levante, un piccolo paese si spingeva per una lingua
di terra molto innanzi nell'acqua.
--Andremo laggiù,--disse tra di sè, contenta di vedere paesaggi nuovi,
ella che non si era mai allontanata da Venezia se non per pochi
chilometri.
Il colore del lago, così azzurro da dare quasi all'acqua una densità
materiale, era mirabile. La fanciulla, abituata alle trasparenze leggere
della laguna, ne restò meravigliata e sentì come un piacere intenso per
quella vita liquida che si stendeva ampiamente sotto i suoi occhi.
Filippo bussò discretamente all'uscio ed entrò.
--Amore mio, come sei elegante!--disse.
Loredana vestiva tutta di bianco, con una cintura bianca e lo scarpe
bianche, e sorrideva all'amico, il quale era superbo della sua candida
bellezza.
--Ogni cosa fatta a pennello!--dichiarò Loredana, indicando l'abito; e
soggiunse, dopo una lieve esitazione:--Tu mi portavi con te, nella tua
mente, quando ordinavi i miei abiti!
Ma il pensiero non le si era presentato così; era stato piuttosto un
senso di molestia per quella strana perizia dell'amico suo, la quale
svelava una lunga e costante dimestichezza con le donne, una singolare
esperienza d'anime e di corpi femminili. Nulla a lei importava di ciò
che era finito ieri: ma domani?
Ella disse, attirando Filippo sul balcone:
--Vedi, laggiù? Quel paese che si spinge nel lago? Là, vuoi andare?
--No,--rispose Filippo.--Quello è Sirmione; noi andremo a Maderno o a
Gargnano o più oltre, nel Trentino, a Riva....
--Che peccato! Dev'essere molto bello, laggiù.
--Vuoi? Se ti piace, io non ho nulla in contrario. Farà molto caldo,
ecco tutto. Sirmione è grazioso. Manderemo a vedere se vi sono
alloggi....
Mandarono a vedere; partì un uomo dell'albergo con la vettura; tornò
dopo colazione. V'erano alloggi, modesti ma puliti, nell'unica trattoria
del paese; si poteva tentare....
La cosa piacque molto a Loredana. In quel tempo, Sirmione non vantava
ancora alcun grande albergo nè uno stabilimento di bagni. Vi arrivavano
di tanto in tanto gli escursionisti, quasi tutti tedeschi, a visitar le
grotte leggendarie di Catullo; mangiavano, ammiravano, ripartivano. Il
piroscafo v'approdava una volta al giorno, se il tempo non era cattivo.
Tutto questo, raccontato dal direttore dell'Albergo Reale, accese la
fantasia della ragazza, che già pensava di vivere più anni in quella
penisoletta con Filippo, lontani dal mondo e pur vicini, obliati e
felici....
Nel pomeriggio, sotto un sole rovente, per la strada piana e bianca di
polvere, gli amanti partirono in una carrozzella alla volta di Sirmione,
seguiti da un baroccio coi bauli che avevano spaventato il conte
Roberto. Quando giunsero al punto nel quale si lascia la strada
provinciale per volgere a sinistra e inoltrarsi nella penisoletta, la
fanciulla fu molto contenta. Dal balcone dell'albergo di Desenzano non
avrebbe mai imaginato un paesaggio così bello. A destra e a manca, tra i
rami degli ulivi e il fogliame degli alti pioppi, scintillavano le acque
del lago riccamente turchine, immote nella accidia delle ore calde. È a
un gomito di quella strada che s'incontra una casetta modesta, con uno
svelto cipresso innanzi, e sotto si stende il lago irto per buon tratto
di canne fragili; angolo pittoresco, riprodotto migliaia di volte da
sapienti e da timidi pennelli.
--Andremo un giorno a vedere quei paesi laggiù!--disse Loredana,
indicando i gruppi di case sulla sponda veronese.--Voglio veder tutto il
lago.
--Ti piace?--domandò Filippo.
--Ah, immensamente! Sarò felice!--esclamò la fanciulla in un impeto di
gioia, battendo le mani.
Tacque. La fronte le si rannuvolò subitamente; ripensava alla mamma, cui
non aveva ancor dato notizie, e che era sola ormai nella casa deserta.
Per celare a Filippo la tristezza improvvisa, si volse indietro a
guardare il baroccio che correva tra un nugolo di polvere.
Ma già si vedeva la torre del castello Scaligero, cinta a metà da mura
grigiastre, e la strada si ampliava; la carrozza oltrepassò il ponte di
legno che dalla porta del castello mette in paese, e la rocca apparve
lacerata da lunghe feritoie, circondata tutta intorno dall'acqua; lo
stemma degli Scaligeri, ancor visibile, il leone di San Marco, in
rilievo, la croce bianca in campo rosso del Comune, posti
simmetricamente sull'alto della porta che guarda a occaso, dicono i tre
dominii che si susseguirono.
Le donne e i pescatori raccolti in gruppo sulla piazza osservarono
l'equipaggio insolito e il carro coi bauli, ma nessuno si mosse. Non
avevano alcun bisogno dei forestieri. L'acqua li faceva liberi, e
quell'anno la pesca delle sardelle era stata insolitamente fortunata.
Si fece incontro alla vettura il proprietario dell'albergo, e aiutò
Loredana a discenderne. Era un uomo tozzo dal viso rubicondo; non
abituato a cerimonie, salutò con una certa dimestichezza e annunziò che
gli «sposi» si sarebbero trovati benissimo in casa sua. Aveva tutto
approntato, rinfrescato, ripulito con cura; le due camere e il salotto
guardavano il lago; di giorno faceva caldo, ma si tenevan le persiane
chiuse e si scendeva in giardino; di sera, poi, era una bellezza
ovunque. A pochi passi di là, comparve anche la moglie dell'albergatore,
più timorosa per l'aspetto signorile di Loredana, della quale notò in un
batter d'occhio l'abito, la figura slanciata, il viso freschissimo, la
bella bocca. Essa dichiarò che era felice di non alloggiare i soliti
tedeschi con la piuma di gallo sul cappellino verde.
Mentre i due vetturali scaricavano i bauli, gli amanti salirono a veder
le camere, e sulla scala s'imbatterono in una signora ampia di forme,
col viso pitturato e le sopracciglia duramente segnate a nerofumo. Ella
salutò chinando la testa, e si fece da un lato.
--È la signora Teobaldi, di Verona,--disse l'albergatrice, che
seguiva.--Una buona e bella signora.
Filippo la guardò appena, rispondendo distratto al suo saluto, Loredana
sorrise per quelle spaurevoli sopracciglia; e per la maschera di biacca
e di belletto che le deturpava la faccia.
Le due camere da letto erano grandi e pulite, ciascuna con un armadio a
specchio, un cassettone di legno chiaro, una tavola rettangolare coperta
da un tappeto modesto ma nuovo. Il salotto era addobbato con carta a
fiori d'oro sul fondo rosso; i mobili mal disposti, in ordine
scrupolosamente simmetrico, facevan pensare a lunghi mesi d'abbandono,
quantunque non vi fosse un grano di polvere. Il pianoforte, del quale
Filippo toccò alcuni tasti, emise un miagolìo prolungato che fece ridere
Loredana.
--Bisognerà comprare molti oggetti inutili per nascondere la bruttezza
degli oggetti utili,--osservò Filippo, senza badare alla faccia scorata
dell'albergatrice.--Va bene,--seguitò con quest'ultima.--Faccia portare
subito i bauli....
--Sì, signor conte,--disse la donna.
--A proposito: sa il mio nome?
--Me lo ha detto l'uomo che è venuto stamane a vedere le
camere,--rispose l'albergatrice.--Il signor conte Filippo Vagli e la
Loredana, tutta vestita di rosa e lievemente scollata, stavano altre
fanciulle, e alcuni giovanotti scherzavano con la piccola amica di
Filippo, la quale rideva e si scaldava presso il caminetto, avanzando i
piedini con una mossa non priva di civetteria.
Filippo guatò lo spettacolo. Tra quei giovani, uno fermò specialmente la
sua attenzione, un biondo con occhi cerulei; si chiamava Adolfo
Gianella, era impiegato in una banca e possedeva qualche po' di terra in
provincia di Vicenza. Parlava poco, vigilava gli amici, ascoltava,
serrando le labbra, i madrigali ch'essi rivolgevano alla giovinetta; e
sopra tutto, pareva noiato e diffidente per la presenza di Filippo. Egli
stava presso il caminetto, in piedi, di fronte a Loredana; e v'era nel
suo atteggiamento muto un significato di padronanza e di protezione, che
svelava in lui il fidanzato o almeno l'innamorato serio. Dai suoi occhi
si sprigionò più d'una volta qualche occhiata cupida al collo bianco e
perfetto di Loredana. Il contegno di Adolfo Gianella divenne a poco a
poco tanto chiaro, che i suoi compagni smisero di corteggiare quella e
si volsero alle altre ragazze.
Filippo se ne andò, con un male in cuore, con una rabbia, con
un'angoscia, che lo stupivano e lo facevano tremare.
Entrò nel salotto della contessa di Montegalda e parve distratto tutto
il tempo che vi rimase. Fausta gli passò vicino, gli fece un lieve cenno
di seguirla e quando furono nella sala da ballo, deserta, gli chiese:
--Che cosa avete, Flopi?
--Mi fa male il cuore!--egli rispose.
--Male?--ripetè Fausta.--Un male fisico?
--Fisico. Un aneurisma,--disse Filippo sbadatamente.
--Mio Dio!--esclamò la contessa con voce soffocata.--Siete pazzo? Di
aneurisma si può morire!
--Si può morire di tutto, amica, mia!--concluse Filippo.
La giovane voleva insistere, chiedere quali cure facesse, ma Filippo le
lanciò un'occhiata stranamente beffarda, e rientrò nel salotto, dove si
intavolava una partita di _boston_.
Egli aveva bisogno di sapere, e tuttavia stette parecchi giorni senza
recarsi a trovar le signore De Carolis. La comparsa di quel giovanotto
biondo con gli occhi cerulei gli aveva fatto sentire che un giorno
Loredana gli sarebbe stata tolta per sempre e ch'egli non avrebbe potuto
nulla per impedire una cosa tanto semplice e tanto grave, poichè non
aveva intenzione di sposare la fanciulla, d'affrontare una lotta con la
propria famiglia, con la madre, con le sorelle e coi cognati....
Loredana avrebbe appartenuto ad Adolfo Gianella, impiegato di banca e
piccolo possidente.
Fausta di Montegalda conobbe in quei giorni molte amarezze; Filippo era
irascibile e pareva che il fasto e l'eleganza della giovane signora lo
irritassero, quando per l'addietro gli erano stati tanto cari. In un
convegno, egli sbadigliò più d'una volta, mentre Fausta gli esponeva,
come nei primi tempi del loro amore, i progetti per la primavera, per
l'estate, per l'autunno, tutto un programma di divertimenti, studiato in
modo da non dover vivere troppo lontani l'uno dall'altra.
Quello stesso giorno, Filippo incontrò in Piazza, sotto le Procuratie
Nuove, Loredana che camminava frettolosa, di ritorno dall'aver fatto
alcune compere. Egli la salutò e tirò dritto, perchè evitava di farsi
vedere dagli amici con una fanciulla, ch'essi non conoscevano e che non
apparteneva al loro «mondo»; il quale era un gruppo di men che duecento
persone. Ma tornò presto indietro, e corse a casa delle De Carolis.
Loredana era molto impacciata; Filippo era freddo e pieno di rabbia.
Anche il fatto, punto nuovo, d'averla trovata sola per istrada, gli
faceva dispiacere, sebbene non avesse mai ignorato che la signora De
Carolis permetteva alla figlia, come del resto usavan tutte le sue
amiche, di uscire sola a far compere o di andare sola a far visita alle
conoscenti.
Infine, per togliere quell'ombra che s'addensava tra di loro, la
fanciulla raccontò a Filippo che l'avevano fidanzata, da un mese circa,
ad Adolfo Gianella.
--Le piace?--domandò Filippo.
--No, per niente.
--Le pare che sarà felice con lui?
--Ne dubito molto.
--E allora?
Allora? La mamma aveva consigliato così; la famiglia Gianella era
contenta; Adolfo era innamorato e minacciava d'uccidersi e di uccidere,
se Loredana non fosse stata sua. Poi, che cosa poteva fare ella al
mondo? Adolfo era un giovane onesto, in buona posizione, e le voleva
bene davvero.... Ella s'era rassegnata e il fidanzamento era avvenuto.
--Senza dirmi nulla!--interruppe Filippo.
--Non osavo,--confessò la fanciulla, guardando l'amico a occhi
socchiusi, tra le lunghe ciglia.--Del resto, che cosa poteva importare
a lei? Lei non si occupa di queste piccole miserie.
Filippo non rispose, ma disse a se medesimo, che infatti egli non poteva
e non doveva occuparsi dell'avvenire di Loredana, poichè non voleva
toglierla ad Adolfo e sposarsela lui.
--Tutto ciò che la riguarda m'interessa,--osservò.--La mia amicizia
aveva qualche diritto.
La fanciulla chinò il capo e non rispose. Una sofferenza nuova sorgeva
nel suo cuore per quell'interrogatorio. Aveva qualche diritto, Filippo?
E allora anche lei aveva qualche diritto, e pur tuttavia Filippo le
aveva sempre taciuto, anzi le aveva sempre negato quell'amore per la
contessa di Montegalda, del quale si parlava ormai con sicurezza in
città.
La madre sopravvenne, e mostrò a Loredana i campioni di alcune stoffe
per gli abiti della fanciulla. Filippo volle sceglierne due egli stesso,
ma la signora De Carolis osservò ch'eran troppo cari; bisognò
contentarsi dei più semplici, che a Filippo sembrarono anche molto
brutti. Egli comparò mentalmente la vita modesta, quasi povera della sua
piccola amica col lusso onde si circondava Fausta; e fu intenerito,
ricordando che Loredana non si lagnava mai, non badava a quei
particolari meschini, non invidiava nessuno.
Fausta sarebbe rimasta intontita se avesse potuto sapere che la povertà
di Loredana era più gradita a Filippo che non l'eleganza di lei.
Una sera a pranzo dalla contessa Lombardi, Filippo s'irritò sordamente
incontrando Fausta gemmata come un idolo, coperta di merletti preziosi,
superba. C'era il marito, il conte Ettore di Montegalda, e Filippo non
potè subito dire a Fausta qualche parola crudele; ma non gliene mancò
l'occasione durante la serata; e ripensando ai campioni delle stoffe per
gli abitini di Loredana, sentì il bisogno di criticare l'abbigliamento
di Fausta, con tanta ingiustizia, che la contessa ne rimase stupefatta.
--Via, via,--ella disse, sforzandosi a ridere,--voi non potete giudicar
di queste cose!
--Voi, piuttosto, non potete dare un giudizio di nulla e di
nessuno!--rimbeccò Filippo.--Credete di vivere, e siete tanto lontana
dalla vita quanto la terra dal sole!
Fausta aveva l'abitudine di comandare, d'imperare sempre e dovunque. Era
bella, alta, formosa, coi capelli nerissimi e gli occhi azzurri; gli
uomini la desideravano, le amiche ne tolleravano il potere, il marito ne
era orgoglioso senza mai aver pensato ad amarla.... Sentendosi, per la
prima volta dacchè viveva, così umiliata e torturata da Filippo Vagli,
ella ne provava un dolore inesprimibile, e invece di ribellarsi, a poco
a poco era tratta a soggiacere a quella forma di dominio non mai
provata. Se un giorno ella aveva amato Filippo tepidamente, lasciandosi
prendere per accidia e per noia, ora la rudezza insospettata
dell'amante, la prepotenza che si tramutava qualche volta in sarcasmo,
la soggiogavano; e temeva di perderlo, e si chiedeva ansiosa se quella
irascibilità, quella voglia di tormentare non fossero i sintomi della
stanchezza; e divenendo umile, moltiplicava le cure gentili per
l'innamorato, cercava di farsi piccola e buona.
Ma ella era ormai condannata a scontare ciò che Filippo soffriva per
Loredana; ogni episodio triste o increscioso dell'amicizia tra la
fanciulla e il conte Vagli si ripercuoteva nell'amore tra il conte Vagli
e Fausta; la quale non capiva, non sapeva darsi ragione, non sospettava
menomamente la causa di quella mutazione improvvisa, e cominciava a
credere che Filippo fosse malato davvero, seriamente, più di quanto egli
aveva detto.
--Quel suo fidanzato è molto antipatico!--disse un giorno Filippo a
Loredana.--Perchè mi guarda sempre di sottecchi, e scappa appena giungo
io? Non potrebbe trattare da persona educata?
Adolfo Gianella voleva togliere di mezzo Filippo: la presenza di
quest'ultimo, le sue cortesie e la sua assiduità presso una fanciulla
dalla quale non doveva sperar niente, gli sembravano strane e sospette.
--È il mio amico!--aveva risposto Loredana alle insistenze del
fidanzato.--È il solo amico che io abbia: mi vuol bene come un fratello.
Perchè devo fargli uno sgarbo e mandarlo via, dopo tre anni d'amicizia
onesta?
Adolfo non capiva. Un conte, un libertino, un pessimo soggetto, preso da
sentimento purissimo per una giovinetta di diciotto anni, bella e
povera? Non aveva mai udito raccontar nulla di simile. Ed essa, fredda e
testarda, continuava a ripetere ch'era l'amico, e che non lo avrebbe
mandato via, e che Adolfo non doveva pensar male.
Ogni giorno si tornava daccapo; il carattere passionale d'Adolfo
s'accendeva e s'inveleniva; il giovane avrebbe voluto che la signora De
Carolis intervenisse a favore di lui, ma la mamma giudicava con la testa
della figlia, e non ricordava nemmeno di averla rimproverata una volta
in diciotto anni. Anzi, vedendo che la figlia era triste, anche la
signora De Carolis cominciava a pensare, senza avere il coraggio di
dirlo, che Adolfo era brutale; e si pentiva d'avere accolta e favorita
la proposta della famiglia Gianella, che voleva unire i due giovani. Non
si poteva negarlo: la pace della casetta bianca era stata turbata da
Adolfo Gianella; Loredana, sempre allegra, aveva mutato carattere per
colpa di lui; egli, geloso, inquieto, pieno di sospetto, guardava tutti
in cagnesco, non voleva che si andasse a teatro, s'irritava per la
spensieratezza di Loredana, l'offendeva con incessanti osservazioni,
pretendeva ch'ella fosse già grave e prudente come una madre di
famiglia, e infine, anche nei momenti buoni, era querulo e noioso,
pedante e meschino.
Per quel contrasto incessante, la fanciulla era accasciata; e più d'una
volta Filippo la trovò con gli occhi rossi e gonfi.
--Non bisogna sposarlo, sa?--egli diceva recisamente.--È un matrimonio
impossibile. Che cosa farà quel ragazzo quando sarà suo marito e avrà i
diritti più stupidi e più antipatici? Vuole che parli io con la mamma?
La fanciulla non aveva il coraggio di togliersi da quella situazione
tormentosa: tutta la famiglia Gianella, madre, padre, zii, cugini di
Adolfo, le stavano attorno, magnificando le virtù del giovane, facendo
disegni per l'avvenire, dimostrandosi tanto sicuri, tanto lieti per quel
matrimonio singolarmente felice, che Loredana soffocava e taceva. Ma non
si sarebbe potuto trovare un uomo il quale fosse più di Adolfo incapace
di comprenderla, tanto che essa, buona con tutti, era sempre con lui
irritata, nervosa, dolente.
Da ultimo egli voleva anche legger le lettere ch'ella riceveva dalle
amiche, delle quali non si fidava punto; una mattina, mentr'egli s'era
recato a dare il buon giorno alla fidanzata, sopravvenne il
portalettere, e Adolfo s'impadronì della posta, aperse la lettera d'una
ragazza che scriveva a Loredana da un paese della provincia, domandò
notizie delle persone ch'eranvi ricordate, e finì col mettersi la
lettera in tasca.
Quando giunse Filippo verso sera, la fanciulla vibrava ancora tutta di
sdegno e d'ira; raccontò ogni cosa all'amico, anche quel che aveva
taciuto fino a quel giorno, le angherie, le taccagnerie, la diffidenza
oltraggiosa, la gelosia irragionevole, la presunzione di Adolfo.
--Non lo voglio, non lo voglio, non lo voglio!--esclamava con gli occhi
sfavillanti di rabbia.--Qualunque cosa piuttosto di questo matrimonio!
Mai, mai, mai!
Filippo aveva ascoltato in silenzio, guardando il pavimento a piastrelle
bianche e rosse e segnando col piede il ritmo d'una marcia.
A un tratto sollevò il capo, afferrò le mani dell'amica, e chiese:
--Vuole venire con me?
La fanciulla non capì subito.
--Dove?--ella domandò.
--Via, lontano, fuori di Venezia, per sempre!--incalzò Filippo.
--Fuggire? Fuggire con lei?--ella disse sottovoce, già tremando senza
saperne la ragione.
--Mi ascolti,--mormorò Filippo.
Andò fino al limitare della saletta, vide che la mamma leggeva
attentamente un libro mal rilegato, e continuò, tornando presso
Loredana:
--Quella che noi chiamiamo amicizia, non è che amore. Se n'è accorta?
Essa, ferma e fissa, con gli occhi spalancati, non rispose.
--Me ne sono accorto io,--proseguì Filippo.--So che ti amo, sento che ti
amo, sento che noi possiamo essere felici. Io non posso sposarti;
capiscimi bene, non posso sposarti perchè tutta la mia famiglia ci
darebbe tali e tanti dispiaceri, che, in confronto, ciò che hai sofferto
finora ti sembrerebbe una gioia. Sono ignoranti, caparbii e feroci....
Ma ti offro lo stesso il mio amore e la mia vita.... Anch'io sono
stanco; anch'io non posso più trascinare questa esistenza tormentosa e
inutile. Dimmi che accetti, e saremo felici.... Partiremo subito....
Loredana tolse le mani dalle mani di Filippo e si alzò in piedi: fece
alcuni passi come per uscir dalla camera, ma si fermò e si addossò al
muro; piangeva in silenzio e le lagrime le scendevan giù per le guance.
Filippo le si avvicinò di nuovo. Era pallido e la sua voce tremava.
Disse:
--Sei offesa?
Ella negò con un movimento del capo.
--Allora non mi ami d'amore, come ti amo io?
La risposta non venne. Loredana guardava l'amico attraverso il velo
delle lagrime. Egli fece un passo come per allontanarsi, ma la
fanciulla, rapidamente, istintivamente lo trattenne con un gesto.
--Sì, l'amo anch'io,--ella mormorò sottovoce.
Filippo l'afferrò per il busto e la baciò sulla bocca.
--Pensaci,--disse.--Pensa che saremo tanto felici.... La mamma
perdonerà. Ti vuol troppo bene per condannarti. Capirà che tu avevi il
diritto di vivere, di sottrarti a un avvenire spaventoso. Tu saprai
farti perdonare, non è vero? poichè conosci la strada per giungere al
cuore della mamma! Dimmi che accetti, e partiremo subito....
Essa, sempre addossata al muro, sempre immobile, con gli occhi pieni di
lagrime, non rispondeva. Ma una scampanellata fece sussultare lei e
Filippo.
La fanciulla s'asciugò prestamente gli occhi, e corse nella saletta.
--Dev'essere Adolfo,--ella disse alla mamma.--Io ho l'emicrania, non
voglio vederlo, mi chiudo nella mia camera!
La mamma sospirò e alzò lo sguardo al soffitto. Loredana tornò da
Filippo, gli strinse le mani, mentr'egli la baciava ancora sulla bocca.
--Pensaci!--ripetè Filippo.
Ella fece un gesto vago e scomparve, per chiudersi nella sua cameretta.
Adolfo Gianella saliva le scale, e Filippo udendone il passo, diceva con
la signora De Carolis:
--Mi dispiace molto che la signorina sia indisposta; spero non sarà
nulla....
--È malata?--chiese Adolfo sopraggiungendo e salutando Filippo con un
saluto freddo e un'occhiata di sbieco.--Dov'è stata iersera? Avrà preso
freddo, o avrà mangiato qualche cosa d'indigesto....
Filippo se ne andò subito, e senza volerlo si disse, ridendo dentro:
--Tu, dovrai mangiare fra poco qualche cosa d'indigesto!...
Ripensò, quella notte, all'idea della fuga, balenatagli così di repente;
e più vi pensava e più gli pareva buona. La signora De Carolis non
avrebbe osato nulla contro la figlia adorata; Adolfo avrebbe trovato una
consolazione nel pensiero che una fanciulla capace di scappar col conte
Vagli non era degna di lui.... Infine, la cosa si sarebbe saputa da
pochi, malamente, e si sarebbe sminuita, polverizzata per così dire, nel
classico pettegolezzo veneziano. Filippo trovava l'onestà della sua
disonestà; amava Loredana; sentiva che le sarebbe stato fedele, che
l'avrebbe fatta contenta, ch'ella non avrebbe sofferto, e poichè di
matrimonio era assurdo parlare a causa dell'opposizione formidabile che
avrebbe trovato in famiglia, la fuga, una fuga prudente, senza troppo
scandalo, senza chiasso, metteva termine a una situazione insopportabile
per lui e per la piccola amica.
Gli venne anche il pensiero di Fausta; ma la disgraziata donna s'era in
quel periodo di tempo totalmente perduta agli occhi di lui, pel suo
strano contegno d'umiltà, nel quale egli non capiva nulla. Egli pensava
con rammarico alla devozione della sua amante: Fausta non era fatta per
obbedire, per tacere, per soffrire; ogni donna ha il suo fascino e il
suo destino. L'asservimento aveva smorzato la bella fiamma di quegli
occhi cilestri e tolto al viso il colorito della fresca giovinezza.
--È veramente doloroso,--pensava Filippo,--ch'io non possa amarla!
A poco a poco, ribadita dal conte, l'idea della fuga conquistava anche
Loredana; nulla pareva più dolce che la vita con Filippo, e la fanciulla
non trovava termini di paragone se non nella paura di quel matrimonio.
Adolfo aveva svelato un nuovo difetto, insolito in un giovane:
l'avarizia. Egli spiegava certe sue miserabili economie con la necessità
di aver denaro pel giorno degli sponsali, d'aver molto denaro per far
bella figura; ma la fidanzata gli credeva poco, e notava, senza volerlo,
quasi arrossendo, che intanto lo spirito gretto di lui si rivelava nei
regalucci ch'egli le faceva e che sarebbero rimasti in casa a fare non
bella, ma triste figura. Egli anche--aveva scoperto Loredana, ormai
maestra di scoperte incresciose--egli mangiava troppo, ingordamente,
magnificando la bontà delle salse e dei sughi. La madre sua si beava
vedendolo così allegro, con un appetito quasi insaziabile; e Loredana,
per non odiare l'uno e l'altra, inventava un'emicrania ogni qualvolta la
signora Gianella l'invitava a pranzo.
Sui primi di maggio, quando la ragazza pensava di farsi qualche abitino
nuovo e di comperarsi qualche piccolo oggetto d'eleganza, Adolfo decretò
che gli abiti e i cappelli dell'anno precedente, ritoccati qua e là,
potevano servire ancora; e la petulanza del fidanzato le sembrò tanto
grave, che senza ribatter verbo, ella si ritirò nella sua camera e vi
restò fin che Adolfo non se ne fu andato.
Ma egli giudicava quei malumori con la presunzione di un esperto
conoscitore di donne, sorridendo e aspettando che la bufera si calmasse.
Era ben lungi dall'imaginare che proprio quel giorno, otto maggio,
qualche cosa di terribile e d'irreparabile doveva avvenire nella vita di
Loredana.
Sua madre l'aveva lasciata sola in casa, dopo la visita di Adolfo; la
donna di servizio era andata alla stazione a incontrare il fidanzato che
giungeva a Venezia per passarvi alcuni giorni di vacanza. Loredana non
doveva aprire ad alcuno e stava nella sua camera, sdraiata sul
lettuccio, leggendo un romanzo. Verso le quattro udì una scampanellata;
corse al balcone, vide Filippo, e la tentazione fu troppo forte: andò
subito a tirare il cordone e la porta si spalancò innanzi al conte, che
credeva di trovar la fanciulla con la mamma.
Quando seppe ch'era sola, egli la guardò in silenzio ed ella guardò lui;
le loro bocche si unirono e così, dopo tre anni, la piccola amica
diventò la piccola amante.
Quella medesima sera, la fanciulla andò a teatro con la madre e un'altra
signora. Aveva il suo abitino rosa lievemente scollato e un cappellino
di paglia rossa a tricorno, sotto il quale i capelli parevan più bruni e
i riflessi più dorati. Ella stava attentissima alla rappresentazione,
«L'amore ricama», una commedia francese in tre atti; teneva gli occhi
fissi alla scena, la bocca dalle labbra purpuree un poco schiusa.
Filippo la vide e fu colpito da quell'atteggiamento ingenuo, quasi
infantile, come se un'altra anima, la vera anima della giovinezza
indifesa, si fosse sovrapposta a quella ch'egli conosceva. Sentì il
rimorso per ciò che aveva osato poche ore innanzi, nella cecità della
passione e dell'egoismo.
Ma l'atto finiva e parecchi spettatori alzandosi e volgendosi guardavano
la fanciulla con ammirazione.
--Imbecilli!--mormorò Filippo, guardando a sua volta Loredana,
sorridente e bianca sul fondo scuro del palchetto.--È mia!
E la certezza di quell'amore tacito e misterioso, pericoloso e crudele,
potè meglio d'ogni altro pensiero. Filippo stette un istante a fissar
la folla in platea, la quale, ammirando la piccola amante non osava
sospettare ch'ella conoscesse già i baci, tutti i baci d'un uomo; e la
stupidità della moltitudine non gli sembrò mai più amena.
Due mesi eran passati da quel giorno indimenticabile, quando, sui primi
di luglio, Loredana si decise, e abbandonò la casetta bianca sul
campiello solitario per seguire Filippo Vagli.
V
La mattina dopo l'arrivo a Desenzano, Loredana corse al balcone
dell'albergo e vide sotto il sole fastoso scintillare il lago di
cobalto. Lontano, a levante, un piccolo paese si spingeva per una lingua
di terra molto innanzi nell'acqua.
--Andremo laggiù,--disse tra di sè, contenta di vedere paesaggi nuovi,
ella che non si era mai allontanata da Venezia se non per pochi
chilometri.
Il colore del lago, così azzurro da dare quasi all'acqua una densità
materiale, era mirabile. La fanciulla, abituata alle trasparenze leggere
della laguna, ne restò meravigliata e sentì come un piacere intenso per
quella vita liquida che si stendeva ampiamente sotto i suoi occhi.
Filippo bussò discretamente all'uscio ed entrò.
--Amore mio, come sei elegante!--disse.
Loredana vestiva tutta di bianco, con una cintura bianca e lo scarpe
bianche, e sorrideva all'amico, il quale era superbo della sua candida
bellezza.
--Ogni cosa fatta a pennello!--dichiarò Loredana, indicando l'abito; e
soggiunse, dopo una lieve esitazione:--Tu mi portavi con te, nella tua
mente, quando ordinavi i miei abiti!
Ma il pensiero non le si era presentato così; era stato piuttosto un
senso di molestia per quella strana perizia dell'amico suo, la quale
svelava una lunga e costante dimestichezza con le donne, una singolare
esperienza d'anime e di corpi femminili. Nulla a lei importava di ciò
che era finito ieri: ma domani?
Ella disse, attirando Filippo sul balcone:
--Vedi, laggiù? Quel paese che si spinge nel lago? Là, vuoi andare?
--No,--rispose Filippo.--Quello è Sirmione; noi andremo a Maderno o a
Gargnano o più oltre, nel Trentino, a Riva....
--Che peccato! Dev'essere molto bello, laggiù.
--Vuoi? Se ti piace, io non ho nulla in contrario. Farà molto caldo,
ecco tutto. Sirmione è grazioso. Manderemo a vedere se vi sono
alloggi....
Mandarono a vedere; partì un uomo dell'albergo con la vettura; tornò
dopo colazione. V'erano alloggi, modesti ma puliti, nell'unica trattoria
del paese; si poteva tentare....
La cosa piacque molto a Loredana. In quel tempo, Sirmione non vantava
ancora alcun grande albergo nè uno stabilimento di bagni. Vi arrivavano
di tanto in tanto gli escursionisti, quasi tutti tedeschi, a visitar le
grotte leggendarie di Catullo; mangiavano, ammiravano, ripartivano. Il
piroscafo v'approdava una volta al giorno, se il tempo non era cattivo.
Tutto questo, raccontato dal direttore dell'Albergo Reale, accese la
fantasia della ragazza, che già pensava di vivere più anni in quella
penisoletta con Filippo, lontani dal mondo e pur vicini, obliati e
felici....
Nel pomeriggio, sotto un sole rovente, per la strada piana e bianca di
polvere, gli amanti partirono in una carrozzella alla volta di Sirmione,
seguiti da un baroccio coi bauli che avevano spaventato il conte
Roberto. Quando giunsero al punto nel quale si lascia la strada
provinciale per volgere a sinistra e inoltrarsi nella penisoletta, la
fanciulla fu molto contenta. Dal balcone dell'albergo di Desenzano non
avrebbe mai imaginato un paesaggio così bello. A destra e a manca, tra i
rami degli ulivi e il fogliame degli alti pioppi, scintillavano le acque
del lago riccamente turchine, immote nella accidia delle ore calde. È a
un gomito di quella strada che s'incontra una casetta modesta, con uno
svelto cipresso innanzi, e sotto si stende il lago irto per buon tratto
di canne fragili; angolo pittoresco, riprodotto migliaia di volte da
sapienti e da timidi pennelli.
--Andremo un giorno a vedere quei paesi laggiù!--disse Loredana,
indicando i gruppi di case sulla sponda veronese.--Voglio veder tutto il
lago.
--Ti piace?--domandò Filippo.
--Ah, immensamente! Sarò felice!--esclamò la fanciulla in un impeto di
gioia, battendo le mani.
Tacque. La fronte le si rannuvolò subitamente; ripensava alla mamma, cui
non aveva ancor dato notizie, e che era sola ormai nella casa deserta.
Per celare a Filippo la tristezza improvvisa, si volse indietro a
guardare il baroccio che correva tra un nugolo di polvere.
Ma già si vedeva la torre del castello Scaligero, cinta a metà da mura
grigiastre, e la strada si ampliava; la carrozza oltrepassò il ponte di
legno che dalla porta del castello mette in paese, e la rocca apparve
lacerata da lunghe feritoie, circondata tutta intorno dall'acqua; lo
stemma degli Scaligeri, ancor visibile, il leone di San Marco, in
rilievo, la croce bianca in campo rosso del Comune, posti
simmetricamente sull'alto della porta che guarda a occaso, dicono i tre
dominii che si susseguirono.
Le donne e i pescatori raccolti in gruppo sulla piazza osservarono
l'equipaggio insolito e il carro coi bauli, ma nessuno si mosse. Non
avevano alcun bisogno dei forestieri. L'acqua li faceva liberi, e
quell'anno la pesca delle sardelle era stata insolitamente fortunata.
Si fece incontro alla vettura il proprietario dell'albergo, e aiutò
Loredana a discenderne. Era un uomo tozzo dal viso rubicondo; non
abituato a cerimonie, salutò con una certa dimestichezza e annunziò che
gli «sposi» si sarebbero trovati benissimo in casa sua. Aveva tutto
approntato, rinfrescato, ripulito con cura; le due camere e il salotto
guardavano il lago; di giorno faceva caldo, ma si tenevan le persiane
chiuse e si scendeva in giardino; di sera, poi, era una bellezza
ovunque. A pochi passi di là, comparve anche la moglie dell'albergatore,
più timorosa per l'aspetto signorile di Loredana, della quale notò in un
batter d'occhio l'abito, la figura slanciata, il viso freschissimo, la
bella bocca. Essa dichiarò che era felice di non alloggiare i soliti
tedeschi con la piuma di gallo sul cappellino verde.
Mentre i due vetturali scaricavano i bauli, gli amanti salirono a veder
le camere, e sulla scala s'imbatterono in una signora ampia di forme,
col viso pitturato e le sopracciglia duramente segnate a nerofumo. Ella
salutò chinando la testa, e si fece da un lato.
--È la signora Teobaldi, di Verona,--disse l'albergatrice, che
seguiva.--Una buona e bella signora.
Filippo la guardò appena, rispondendo distratto al suo saluto, Loredana
sorrise per quelle spaurevoli sopracciglia; e per la maschera di biacca
e di belletto che le deturpava la faccia.
Le due camere da letto erano grandi e pulite, ciascuna con un armadio a
specchio, un cassettone di legno chiaro, una tavola rettangolare coperta
da un tappeto modesto ma nuovo. Il salotto era addobbato con carta a
fiori d'oro sul fondo rosso; i mobili mal disposti, in ordine
scrupolosamente simmetrico, facevan pensare a lunghi mesi d'abbandono,
quantunque non vi fosse un grano di polvere. Il pianoforte, del quale
Filippo toccò alcuni tasti, emise un miagolìo prolungato che fece ridere
Loredana.
--Bisognerà comprare molti oggetti inutili per nascondere la bruttezza
degli oggetti utili,--osservò Filippo, senza badare alla faccia scorata
dell'albergatrice.--Va bene,--seguitò con quest'ultima.--Faccia portare
subito i bauli....
--Sì, signor conte,--disse la donna.
--A proposito: sa il mio nome?
--Me lo ha detto l'uomo che è venuto stamane a vedere le
camere,--rispose l'albergatrice.--Il signor conte Filippo Vagli e la
- Parts
- L'amore di Loredana - 01
- L'amore di Loredana - 02
- L'amore di Loredana - 03
- L'amore di Loredana - 04
- L'amore di Loredana - 05
- L'amore di Loredana - 06
- L'amore di Loredana - 07
- L'amore di Loredana - 08
- L'amore di Loredana - 09
- L'amore di Loredana - 10
- L'amore di Loredana - 11
- L'amore di Loredana - 12
- L'amore di Loredana - 13
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