La vendetta di Zoe : Aristocrazia I - 14
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risposto alle sue domande... forse fin troppo... A Lei e al conte
il trar vantaggio dalle mie parole... Ma sopratutto le inculco la
prudenza. Di quanto s’è detto qui...
Matteo non lo lasciò finire.
— Oh! protestò, — le giuro di nuovo...
— Va bene, va bene. La saluto, e possa tutto questo finire felicemente,
come le auguro e desidero.
Arpione ringraziò, s’inchinò e partì — naturalmente lasciando sul piano
della scrivania quel biglietto da lire mille che vi aveva umilmente
fatto scivolare. Intanto pensava fra sè:
— Farò tutto il mio possibile per condur via di qui Alfredo... Avessi
anche da mandarlo fin laggiù a Napoli.
E il Pancrazi pel mezzo sicuro del suo fidato Michele, faceva
ricapitare nelle mani della Zoe un biglietto che diceva:
«Ci sarà chi farà di tutto per deciderlo a partire. Ostacoli
aizzeranno vieppiù la passione. Sappiate regolarvi.»
La donna, lette queste parole, stracciò in minutissimi pezzi la carta e
la buttò ancora sul fuoco; si guardò allo specchio, sorrise stranamente
e disse fra sè con superba sicurezza:
— Oh so ben io quel che ho da fare!... È da tanto tempo che ci penso!
Prese un elegante foglio di carta profumata e ci scrisse sopra le poche
righe che seguono:
«Signore! — Quando ebbi la fortuna di conoscervi a Vienna voi
dimostraste per me una benevolenza di cui mi tenni molto onorata e
mi sento ancora assai orgogliosa. Quel sentimento è affatto estinto
in voi? Se ora, in un’occasione per me difficile, facessi appello
alla vostra gentilezza e alla vostra generosità, mi vorreste voi
rifiutare il valido aiuto del vostro consiglio? Onoratemi di una
visita e vi spiegherò il motivo per cui ricorro con tanta fiducia a
voi. — Zoe baronessa di Muldorff.»
Sulla busta in cui chiuse questa letterina, la donna scrisse
l’indirizzo: «A sir Tommaso W... ministro di S. A. R. il duca di
Parma.»
XXXVII.
Quando Alfredo di Camporolle fu di ritorno a Parma con Pietro Carra,
trovò nel salotto Matteo Arpione che s’era piantato là, risoluto a
non muoversi più fin dopo avergli parlato, e stava aspettandolo di piè
fermo.
— Ah! Ella è pur qui finalmente! — disse l’usuraio al giovane,
andandogli incontro con aspetto commosso.
Ma Alfredo lo respinse con un gesto e più coll’espressione fredda e
sdegnosa del volto.
— Avete fatto bene ad aspettarmi, — disse, — e a trovarvi qui, subito
al mio arrivo; perchè preme anche a me non tardare d’un momento quella
spiegazione che è necessaria fra di noi.
Matteo parve dolorosamente colpito di quell’accoglienza; ma si ritrasse
d’un passo e prese il contegno del più umile rispetto.
— Io sono sempre agli ordini di Vossignoria — soggiunse, — ma vorrei
pure farle osservare che ora Ella è stanca ed ha bisogno, più d’ogni
altra cosa, di riposarsi...
Alfredo lo interruppe vivamente.
— Ho bisogno, anzitutto, di sapere alla fine con esattezza quali
attinenze passano fra di noi, perchè, come, con qual titolo vi siete
arrogato per l’addietro, vi arrogate ancora il diritto di immischiarvi
nelle mie faccende... E voglio saperlo subito!
Chiuse tutti gli usci del salotto, venne a piantarsi in faccia a Matteo
colle braccia incrociate e con tono di comando soggiunse sdegnoso:
— Rispondete!
L’Arpione, malgrado la sua abilità nel dissimulare, si vedeva che
trovavasi molto a disagio. La sua faccia era più terrea del solito, le
sue labbra scolorate, delle goccioline di sudore gli spuntavano alla
radice dei capelli, e l’occhio irrequieto girava intorno come farebbe
quello d’un animale rinchiuso in trappola che cerca una via di scampo.
Pure rispose con tono freddo e tranquillo:
— Ho già avuto l’onore di spiegare al signor conte più volte tutto ciò
che Ella desidera ora di riudire...
— Le vostre spiegazioni datemi pel passato, — interruppe Alfredo, — non
mi bastano.
— Ebbene, — riprese umile e rassegnato Matteo, — se in qualche cosa
Ella desidera maggiori dilucidazioni, abbia la bontà d’interrogarmi, e
io mi farò un premuroso dovere di risponderle.
Alfredo si raccolse un momento, serrandosi la fronte colla destra; poi
rialzando risolutamente il capo disse:
— E sia!... Chi era mio padre?
Gli occhi di Matteo balenarono più irrequieti e quasi direi ansiosi, le
labbra gli tremarono un pochino; ma rispose subito, senza esitazione e
con fermezza:
— Le ripeterò che Luigi Corina, il suo signor padre, era l’ultimo
rampollo d’un’agiata famiglia...
— Di Lugo?
— Sì signore: di Lugo.
— E mia madre?
— Una povera fanciulla del popolo... Il padre di Luigi, il suo avo,
signor conte, non volle consentire che il figlio la sposasse: il signor
Luigi fuggì con essa.
— Ed è per ciò ch’io nacqui in un casale non molto lontano da queste
parti?
— Sì signore.
— Mia madre morì colà?
— Sì... sì signore.
— Ebbene, — esclamò Alfredo con maggior forza, — voglio che voi
mi conduciate almeno sulla sua tomba... È un dovere che ho troppo
trascurato finora, e che voi pure avete colpa di non avermi fatto
compiere.
— Ma.... — balbettò Matteo tutto impacciato; — io veramente non so
bene... non ho veduto... non ho potuto assistere.
— Come! — interruppe con isdegno il giovane: — voi avreste abbandonato
la mia povera madre morta, prima che le fossero fatti i funerali?
Arpione chinò basso basso il capo, e gli occhi fissi al suolo in atto
di colpevole profondamente pentito, rispose:
— Che vuole?... Io allora era poverissimo.... non potevo star molto
tempo fuori e lontano dal mio lavoro.... mi premeva provvedere al
bambino... lo presi meco e partii...
Alfredo gli troncò le parole con una esclamazione piena di sdegnoso
disprezzo; poscia, quasi parlando a se stesso più che all’uomo lì
presente, riprese:
— Ma alcuno se ne ricorderei ancora colà! e interrogando
accuratamente.... — Si volse a Matteo più imperioso di prima. — Voi non
mi avete mai detto il nome di quel villaggio... Me lo direte.
— Che so io, — rispose il vecchio. — Non me lo ricordo nemmeno più...
Si viaggiava in fretta; per ubbidire alle volontà di suo padre, signor
conte, io conduceva meco la signora.... Ci dovemmo fermare.... La cosa
succedette in tanta fretta....
— Codesta vostra fu un’azione indegna: e v’impongo ora di ripararla.
— Come?
— Voi cercherete villaggio per villaggio, finchè troverete quello nel
cui camposanto dorme il sonno eterno mia madre...
— Sì, signor conte: — s’affrettò a rispondere Matteo.
— E mio nonno? — riprese Alfredo.
— Le ripeterò che quel signore orgoglioso atrabiliare morì anche lui
poco dopo, senza perdonare al figlio nè alla nuora, e senza voler pur
sentire a parlare del nipotino, lasciando tutte le sostanze che gli
rimanevano ancora alle opere pie.
— E le mie ricchezze onde provengono?
— Il nonno, quando bandì per sempre da sè suo figlio, non volendo più
aver da far nulla con lui, gli diede la parte che poteva spettargli
nell’eredità. E sono quei capitali che da me impiegati, amministrati...
— Ed è impossibile che più nessuno rimanga della mia famiglia?
— No, signore, nessuno.
— E di quella di mia madre?
— Era una povera orfana.
— Ritrovato il sepolcro di mia madre, mi recherò a Lugo a rintracciare
tutte le memorie che potrò raccogliere della mia famiglia.
— Vi accompagnerò.
Alfredo guardò bene in faccia Matteo e poi gli disse bruscamente,
ruvidamente:
— No!
Questo monosillabo colpì il vecchio come una sferzata e lo fece
trasalire.
— Già abbastanza, già troppo, — continuava il giovane, — voi vi siete
intromesso nella mia vita.
Matteo levò il capo e con voce alquanto commossa domandò:
— Crede Ella di aversene da lamentare?
Alfredo esitò un pochino, poi, come uomo che ha preso una risoluzione e
la vuole mettere in atto, disse con impeto:
— Ebbene sì... perchè non so con qual titolo abbiate ciò fatto, e vi
ridomando ancora di dirmelo finalmente.
— Come, signor conte! — esclamò il vecchio con profonda amarezza. — Io
delle sue agiate condizioni le feci una splendidamente ricca fortuna...
— Alfredo scosse il capo impaziente. — Io mi adoperai perchè ella
avesse tutte le qualità, tutte le virtù, tutte le supremazie d’un vero
gentiluomo: ed Ella?...
— E io ve ne sono grato: — interruppe Alfredo con crescente impazienza:
— ma ho pur diritto di sapere perchè avete fatto tutto questo, chi ve
ne ha dato l’ufficio....
— Ma ciò glie lo dissi già tante volte; — interruppe Matteo, lasciando
scorgere sempre più il tormento che gli dava questo interrogatorio.
— Perchè l’ho promesso solennemente a suo padre... E fu appunto il
volere... l’ultimo volere di suo padre, signor conte, che mi diede
quest’ufficio, quest’autorità, e dirò anche questo debito verso di
lei...
— E tutto codesto io debbo crederlo alla vostra sola affermazione? —
proruppe con animazione maggiore Alfredo.
— E perchè non mi crederebbe? — esclamò Matteo con nuova forza e quasi
con autorità.
— Non uno scritto di mio padre, non una sola parola.... non un ricordo
di lui!
Arpione si strinse nelle spalle a significare che il fatto era quello e
che lui non poteva cambiarlo.
— Mi diceste che voi avevate degli obblighi verso mio padre?
— Sì, obblighi sacrosanti.... e ho accettato volentieri di pagarli al
figliuolo....
— Quali sono codesti obblighi?
— Ah, signor Alfredo! Le dissi pure che ciò non avrei potuto dirle....
che non m’interrogasse... Ed Ella me lo aveva pur promesso!
Alfredo fece un atto di impazienza, di doloroso dispetto, e si pose a
passeggiare su e giù per la stanza, concitato, febbrile.
Il vecchio lo seguiva cogli occhi, e nel suo sguardo c’erano insieme
dolore e paura, tenerezza e sospetto.
Il conte si fermò innanzi a Matteo.
— Avevo promesso... è vero: ho torto: — disse cercando padroneggiare
la sua agitazione: — ma gli è che mi sento circondato da un mistero,
da un buio che mi impazienta, che mi irrita, che mi ispira mille dubbi
tormentosi: e che darei non so che cosa per illuminare quel buio, per
penetrare in quel mistero... Finora non fui che un ragazzo; ma comincio
ad essere un uomo e voglio conoscere me stesso.
— Ma non c’è mistero... — cominciò Matteo.
Il giovane l’interruppe con un gesto vibrato.
— Ora comincio ad essere uomo, vi dico, e non ho più bisogno della
vostra tutela, della vostra sorveglianza, della vostra intromissione
ne’ fatti miei.
Matteo impallidì.
— Ma questo è dunque un congedo in tutte forme che lei mi dà?
Alfredo lo fissò duramente, e rispose con crudele severità:
— Sì!
Il vecchio balenò un istante come chi vacilla sotto un gran colpo
ricevuto: aprì le labbra per parlare e non disse nulla: ne’ suoi occhi
scuri affondati, sempre freddi e muti, ci fu qualche cosa che parve il
bagliore d’una lagrima.
— Signor conte, — disse dopo un poco che il suo interlocutore era
rimasto lì, silenzioso, colle braccia incrociate, come non aspettando
altro se non ch’egli se ne partisse: — non credo d’averle recato mai
troppo disturbo nè fastidio colla mia presenza. Se questa, che non le
fu mai molto gradita — (e così dicendo parve che la sua voce, quasi
sempre senza espressione, si commovesse un poco) — ora le è divenuta
ancora più uggiosa, io farò di tutto per risparmiargliela sempre
più.... Non mi lascierò vedere da lei che raramente.... — (Alfredo
fece un gesto; egli s’affrettò a soggiungere con vivacità:) — mai!
Non corrisponderò con lei che per lettera: ma non mi tolga di potere
amministrare i suoi interessi... di poter vegliare sulle cose sue....
su di lei.... È una sacra promessa che ho fatta a suo padre...
— Ve ne sciolgo io: — interruppe bruscamente Alfredo. — E sono persuaso
che, se vivesse, mio padre mi approverebbe.
— Ma perchè?... perchè? — domandò con accento quasi supplichevole
quell’uomo, innanzi a cui tanti e tanti infelici avevano supplicato
invano. — A Lei che cosa deve importare ch’io le risparmi tanti
fastidi? che io faccia prosperare il suo patrimonio? che quantunque
aumentino sempre le sue spese, io faccia ogni anno accrescersi le sue
rendite?
Il giovane fece un gesto d’impazienza: Arpione riprese con più calore:
— Anche su di Lei, sulla sua persona, io mi sento in obbligo di
vegliare.... Ella è giovane, mosso dalle passioni della sua età,
circondato, per le stesse sue doti, da mille tentazioni e seduzioni,
senza poter avere, per la sua poca vita vissuta, l’esperienza e la
conoscenza del mondo, degli uomini e degli inganni che si trovan
dappertutto, per cui potrebbe pararsi da mille pericoli e salvarsi
in molti cimenti.... Lasci che quella pratica della vita che io ho
pur troppo, l’adoperi in beneficio di Lei... Ed è appunto per ciò che
ho fatto il viaggio sin qui: per ciò e non per altro, glie lo giuro.
Appena ho saputo che Ella col suo gran cuore, col suo animo generoso,
correva pericolo di rimaner vittima d’una mala femmina...
Alfredo interruppe:
— Non vi permetto di parlar così...
— Oh me lo permetta! — ripigliò con forza il vecchio. — È questa
la verità.... Sono ben informato. Quella donna fu una danzatrice su
cavalli...
— Lo so!
— Fu una mantenuta...
— Del duca di Parma, quand’era a Torino: lo so.
— Ma non solamente questo....
— So tutto, vi dico: ed è inutile prolungare questo colloquio. Il mio
desiderio lo avete inteso, conformatevi ad esso e subito.
— Ella non me ne ha ancor detto il perchè.
— Non lo indovinate? Volete che ve lo dica a chiare parole?... Ebbene
sia: perchè uno dei mestieri più sciagurati, a mio avviso, è quello
dell’usuraio; e non voglio, non voglio, capite, che uno di tal razza
abbia più attinenze coi miei affari e con me.
— Ah signor Alfredo! — esclamò Matteo, dimenticando questa volta di
dargli del conte e con più dolore nell’accento di quello che si sarebbe
potuto credere in lui. — Non mi sarei aspettato da Lei un simile
compenso a tutte le cure...
— Un compenso! — interruppe il giovane. — Domandatemene quel che
volete; per quanto vistoso sia, ve lo accordo; ma non pretendete che io
mi lasci riverberare sul nome, su me stesso, l’onta che accompagna...
il vostro mestiere.
L’Arpione mandò un sospiro soffocato e curvò il capo basso basso.
— Se mai si potesse sospettare che anche i miei redditi fossero
accresciuti da una partecipazione!... Oh!
Interruppe con un’esclamazione inorridita una supposizione troppo per
lui vergognosa.
— Voi vedete bene come assolutamente sia necessario che tutto venga
troncato fra di noi.
Matteo fece l’atto di chi ingoia dolorosamente un boccone amaro.
— In pubblico, sia: — disse con una forzata, penosa rassegnazione: — ma
segretamente, senza che alcuno lo sappia...
— Voi mi avete pur detto che mio padre era un uomo dei più nobili e
generosi sentimenti? — interrogò Alfredo.
— Sì.
— Ebbene: vi avrebbe egli affidato quell’incarico che vi diede, se vi
avesse conosciuto qual siete ora? Ve lo lascerebbe continuare?... Ora
basta: finiamola... Voi non avrete più rapporti con me che per una cosa
sola.
— Quale? — domandò Matteo con ardore, in cui c’era un poco di speranza
tuttavia.
— Procurarmi gli atti di morte di mio padre e di mio nonno; sapermi
dire esattamente dov’è sepolta mia madre, perchè io possa recarmi sulla
sua tomba a pregare.
Arpione stette un momentino col capo basso, meditando fra sè, poi disse
lentamente, a voce sommessa:
— Sì, signor conte, farò l’una cosa e l’altra.
— Presto?
— Fra pochi giorni... Ma frattanto mi conceda ch’io le rivolga una
preghiera e mi prometta d’esaudirla...
— Sentiamo.
— Qui Ella è circondata da mille pericoli... lo so di certo... Quella
donna può esserle fatale... La fugga... il meglio sarebbe ch’Ella
abbandonasse addirittura questa città.
Alfredo fece un gesto risoluto di negazione.
— Usi almeno prudenza, — continuava Matteo, dando al suo accento
un’espressione di preghiera sempre più viva: — compromettersi per
colei, affrontare un pericolo pur anche menomo per simile creatura non
val proprio la pena.
— Risparmiatemi i vostri consigli.
— S’astenga almeno dal comparire innanzi al principe... Oh questo glie
lo chiedo come una grazia.
— Perchè? — domandò fieramente il giovane aggrottando le sopracciglia.
— Perchè il duca è geloso di quella... tale; ed è così insolente...
potrebbe lasciarsi andare a qualche parola...
— Credereste di ispirarmi paura? — interruppe il conte più aggrottato.
— No; ma sono io che temo... Conosco il suo coraggio, la generosa
impetuosità del suo sangue, e non vorrei...
— Avete fatto benissimo a parlarmi così... Questa sera medesima a
teatro potrò vedere il principe e andrò a piantarmigli in faccia.
— Per carità, signor Alfredo...
— Non più una parola!... Ricordate voi quello che dovete fare per mio
comando.... e non comparitemi più innanzi che per porgermi i documenti
richiestivi della mia famiglia e per additarmi con certezza il luogo
dov’è sepolta mia madre.
Matteo chinò la testa e rispose con voce che avreste detta soffocata
dall’emozione:
— Il signor conte sarà obbedito; e spero che non mi rifiuterà l’onore e
il favore di accompagnarlo io stesso alla tomba di... della sua signora
madre.
Alfredo fece un legger cenno che poteva dirsi insieme d’assentimento,
di saluto e di congedo; e passò senz’altro nella sua camera, per
cambiarsi e riposarsi.
Il vecchio, lasciato solo nel salotto, stette un poco quasi sbalordito,
non sapendo che farsi, in un’incertezza penosa procuratagli da mille
contrarii pensieri, e paure, e disegni; poi si riscosse, cercò della
governante e dell’aio che egli stesso aveva scelti con molta cura per
metterli al fianco d’Alfredo, e che avevano quindi per lui deferenza
e quasi sommessione, e, dato loro il suo ricapito, che era in una
povera casa al fondo d’una viuzza deserta, si raccomandò perchè d’ogni
cosa che facesse Alfredo o ch’ei giungessero a sapere ch’egli volesse
fare, subito lo tenessero informato per un bigliettino, trattandosi di
gravissimi pericoli che il giovane correva, e da cui egli solo avrebbe
forse potuto salvarlo. Quand’ebbe ricevuta l’assicurazione che quei
due avrebbero fatto a suo senno, Matteo Arpione uscì da quel palazzo,
il capo chino, abbattuto dell’anima, affranto di corpo come se dopo
qualche immane fatica sostenuta, quasi invecchiato di più anni.
E pensava fra sè: — pensiero pungente, doloroso che gli mordeva
crudelmente il cuore:
— Ho voluto farlo nobile, generoso, entusiasta per tutto quello che
v’ha di buono e di bello, ripugnante, odiatore di ogni bassezza, quanto
esser possa uomo al mondo. Ci sono riuscito; e la sua virtù, la sua
delicatezza di onorabilità lo fa inesorabile verso di me. Mi sono fatto
ferire colla stessa arme che io gli ho posto tra mano!
Si recò sollecito alla stanzuccia dove aveva preso alloggio; colà era
una vecchia, la padrona del quartiere, con cui avremo pure a fare di
poi più precisa conoscenza, e la quale, dal modo di trattare verso
l’Arpione, sembrava avere con esso antichi e piuttosto stretti rapporti
e una dipendenza che pigliava certe sembianze di gratitudine. Matteo si
chiuse in camera con questa vecchia e stettero insieme parlando, forse
mezz’ora: poscia ella uscì e tornò con un calesse da nolo.
Matteo, che stava aspettando impazientemente, discese ratto, diede al
cocchiere l’indirizzo d’un villaggio lontano circa otto miglia, disse
alla vecchia: «a questa sera;» e partì.
XXXVIII.
Alfredo era entrato nella sua camera per cercarvi un po’ di riposo;
ma questo, di cui pure egli aveva tanto bisogno, non doveva essergli
così tosto concesso dai suoi sensi eccitati e dal suo spirito turbato,
perchè ad accrescere questo turbamento e quell’eccitazione, lo
aspettavano là, presso al suo letto, un mazzolino di fiori odorosissimi
e una letterina più profumata ancora dei fiori.
Subito quel profumo intenso e sottile, che aveva qualche cosa di
acre insieme e di soave, lo aveva assalito, lo aveva avvolto come in
un’onda, gli era salito al cervello. Ah quel profumo egli lo conosceva
bene: aveva respirato per delle ore, due notti prima, un ambiente
impregnato di esso, se n’era sentito accarezzare, compenetrare per
tutti i pori, possedere. Chiuse istintivamente gli occhi e rivide
una camera voluttuosa, in una penombra piena di dolci misteri e un
quadro colla cornice dorata, in cui un sorriso di donna, provocatore,
lusinghiero, promettente e uno sguardo pieno di fuoco. Riaprì gli occhi
e fece due passi protendendo le braccia, quasi nella certezza che di
dietro alle cortine dovesse venir fuori viva e reale quella bellezza
di cui l’immagine gli si era destata nel cervello; vide sul marmo del
tavolino il mazzetto di viole e la busta di carta color crema. Esitò
un momentino; poi prese, quasi con violenza, quei fiori e ne aspirò
lungamente gli effluvii.
— Una cortigiana! — mormorò, i denti stretti, con un misto di rabbia,
di dolore, di passione. — No! Una vittima... Presa, deturpata e
poi lasciata nel fango da un principe corrotto... che ora vorrebbe
riavvilirla co’ suoi sconci amori!... Ma se l’anima non s’è degradata?
Se?...
Rigettò con dispetto il mazzolino, il cui acuto odore gli faceva ora
una dolorosa impressione, e afferrò la lettera: ma questa emanava un
profumo ancora più forte, ed era quello che egli aveva sentito nella
camera di lei, negli abiti, nei capelli, nelle carni di lei!...
Aprì con mano agitata la busta, spiegò il fogliolino e lesse:
«Siete partito per affrontare un pericolo; ah l’ansietà e
l’inquietudine che provo mi rivelano di quanta forza sia l’affetto
ch’io ho per te. — So che anche qui a Parma pericoli vi minacciano.
Tremo: t’amo: darei la vita per salvarti, per procurarti la
felicità... Venite subito, appena siate di ritorno; venite perchè
abbia fine la mia dolorosa aspettazione, perchè possiamo studiare
insieme i mezzi di allontanare da voi ogni minaccia. Non faccio che
pensare a voi... Oh t’amo tanto!»
A queste parole il sangue de’ venti anni ribollì ancora più forte nelle
vene di Alfredo; s’affrettò al tavolino e scrisse sopra un foglio di
carta azzurrigna ornata delle sue cifre sormontate dalla corona di
conte queste poche parole:
«Fra mezz’ora sarò da te. — Alfredo.»
Poi suonò pel cameriere; si ordinò un bagno e si fece preparare abiti
eleganti da vestire dipoi. Ma ecco una stranezza che non seppe spiegare
neppur egli a sè stesso: mentre credeva tutto l’essere suo occupato
d’un solo pensiero, l’anima piena d’una sola immagine, a un tratto, — e
chi ne avrebbe saputo dire il perchè? — a un tratto affacciarglisi alla
mente un’altra gentile, — più gentile — più soave, ammirabile figura
muliebre.
Eppure quella figura egli non l’aveva vista mai viva e reale; egli non
l’aveva ammirata che per un fugace momento in un ritrattino miniato.
Come s’era essa potuta imprimere così vivamente nella sua memoria,
nell’anima sua, che era pur tutta piena dell’immagine d’un’altra donna?
E quanta dolcezza in quello sguardo mite dagli occhi cilestri, quale
aura di paradiso intorno a quella candida fronte, a quelle chiome
finissime, pallidamente dorate, quale incanto dal vivace color di rosa
di quelle labbra che non sorridevano e non eran meste, dall’ovale di
quel volto sereno e ilare, pur pensoso! Quelle sembianze, sorgendogli
nel pensiero, parvero spirare su di lui un alito di pura freschezza
che gli calmò alquanto l’effervescenza del sangue. Trovò egli stesso
un paragone: gli parve passare a un tratto dall’affocato splendore
d’una giornata d’estate alla brezza leggera e graziosa d’un vespro
primaverile. Ah che nobile, distinta, sublime bellezza di fanciulla!
Chi sa quando egli l’avrebbe potuta vedere, la sorella del conte
di Valneve! Chi sa se l’avrebbe veduta mai! Chi sa se, vedendola,
l’effetto della realtà non avrebbe distrutto quello suscitato dal
solo ritratto! E tuttavia Alfredo sentiva che pur la vista di quelle
sembianze dipinte aveva sminuito in lui il fascino delle accorte,
procaci bellezze di Zoe; l’influsso vertiginoso, inebbriante di questa,
se a contatto con lei poteva ancora essere potente come prima, in
lontananza si urtava in un influsso diverso, quasi può dirsi opposto,
e non ne aveva facile vittoria. Di più il giovane s’accorse ancora che
se l’influsso della Zoe lo turbava, gli lasciava l’animo sconvolto,
mal soddisfatto, amaramente irrequieto, quello della nobile fanciulla
infondeva in lui una specie di tranquillità, di pace serena, di pura
e vaga tenerezza, che lo sollevavano e gli pareva, a lui medesimo, lo
rendessero migliore.
Numerose volte e nel bagno e vestendosi egli cambiò intenzioni e voglie.
— E se non ci andassi da colei? — si disse: — sarebbe forse meglio...
Sì, è meglio... C’è qualche cosa di fatale, di funesto, intorno a
quella donna, che mi pare un presagio di sventure e di danni. È un
abisso colà; meglio evitarlo: ma appunto tutti gli abissi attraggono.
Ah che occhi di fuoco i suoi!... Un fuoco d’inferno forse. La luce
di quelle pupille azzurre è luce di cielo. Chi m’impedisce di recarmi
tosto a Torino? Ernesto mi ci ha invitato. Siamo diventati così buoni
amici in quel poco di tempo! Sono sicuro mi accoglierebbe con verace
affetto. Fuggirei anche ogni rischio che qui mi circonda: rischi che,
è pur vero, non valgono la pena d’essere affrontati. Domani stesso
potrei partire. Ma qui che si direbbe?... Che direbbe lei?... Dopo
quello che m’ha confidato.... dopo quello che m’ha scritto: dopo il
tanto che ho fatto per poter giungere a ciò che un giorno mi pareva un
sogno ineffettuabile!... E il duca? Con quel suo ghigno! No: rimango...
Ma rimanere non vuol dire lasciarmi precipitare in quel buio, che
è l’amore di quella donna: buio che m’attrae sì, ma mi sgomenta
eziandio... Non ci andrò... Glie l’ho scritto: è una promessa: bene,
troverò un pretesto, le scriverò due righe... Non ci andrò almeno
finchè il mio sangue sia un po’ più calmo, siasi posato alquanto
il turbamento che provo dentro di me e io possa vedere un po’ più
chiaramente nell’anima mia. Non ci andrò!
Parve fermarsi su questa risoluzione, eroica per un giovane di
quell’età, che da mesi sospirava per un istante quale la donna gli
aveva offerto; ma frattanto egli era venuto abbigliandosi e non gli
restava più che vestire il soprabito, mettersi il cappello e calzare i
guanti. Si accostò al letto, dicendo fra sè che farebbe ottimamente a
spogliarsi di nuovo e cacciarsi fra le lenzuola a riposare; ma allora
da quelle coltri su cui aveva gettato il mazzetto e la lettera di Zoe,
venne a colpirlo, ad assalirlo quasi inopinatamente un soffio di quel
profumo eccitante. Era più blando, perchè già un po’ svanito; ma pareva
tanto più sottile e penetrante; ed egli ne sentiva maggiormente la
carezza. Alfredo stette un momento perplesso; poi si gettò su quei due
oggetti odorosi; li afferrò, li brancicò, li spiegazzò, li portò alle
labbra, dove li baciò e morsicchiò quasi con rabbia: — e poi corse in
casa della Zoe.
Questa esperta, abilissima commediante aveva preparata un’altra
scena d’effetto. S’era vestita con una semplicità che nulla toglieva
all’incanto delle sue belle forme, ma con cui aveva pur saputo dare a
tutta sè stessa una sembianza, un’espressione di schiettezza, e, se tal
parola potesse usarsi, trattandosi di tal donna, anche per finta, direi
di purità, che riusciva prima di tutto a levarle in apparenza quasi una
diecina d’anni e poi a sconfessare, a far dimenticare, a far credere
quasi impossibile ogni onta del suo passato.
Per le notti vegliate, per l’effetto di quel suo pensiero fisso, di
quella passione che la dominava, per l’emozione del giuoco terribile
che mandava innanzi, in cui era posta la vita di parecchi e la sua,
ella era pallida — come una statua di marmo di Carrara, — meglio, come
un avorio su cui mandi qualche calore di riflesso dorato un raggio di
il trar vantaggio dalle mie parole... Ma sopratutto le inculco la
prudenza. Di quanto s’è detto qui...
Matteo non lo lasciò finire.
— Oh! protestò, — le giuro di nuovo...
— Va bene, va bene. La saluto, e possa tutto questo finire felicemente,
come le auguro e desidero.
Arpione ringraziò, s’inchinò e partì — naturalmente lasciando sul piano
della scrivania quel biglietto da lire mille che vi aveva umilmente
fatto scivolare. Intanto pensava fra sè:
— Farò tutto il mio possibile per condur via di qui Alfredo... Avessi
anche da mandarlo fin laggiù a Napoli.
E il Pancrazi pel mezzo sicuro del suo fidato Michele, faceva
ricapitare nelle mani della Zoe un biglietto che diceva:
«Ci sarà chi farà di tutto per deciderlo a partire. Ostacoli
aizzeranno vieppiù la passione. Sappiate regolarvi.»
La donna, lette queste parole, stracciò in minutissimi pezzi la carta e
la buttò ancora sul fuoco; si guardò allo specchio, sorrise stranamente
e disse fra sè con superba sicurezza:
— Oh so ben io quel che ho da fare!... È da tanto tempo che ci penso!
Prese un elegante foglio di carta profumata e ci scrisse sopra le poche
righe che seguono:
«Signore! — Quando ebbi la fortuna di conoscervi a Vienna voi
dimostraste per me una benevolenza di cui mi tenni molto onorata e
mi sento ancora assai orgogliosa. Quel sentimento è affatto estinto
in voi? Se ora, in un’occasione per me difficile, facessi appello
alla vostra gentilezza e alla vostra generosità, mi vorreste voi
rifiutare il valido aiuto del vostro consiglio? Onoratemi di una
visita e vi spiegherò il motivo per cui ricorro con tanta fiducia a
voi. — Zoe baronessa di Muldorff.»
Sulla busta in cui chiuse questa letterina, la donna scrisse
l’indirizzo: «A sir Tommaso W... ministro di S. A. R. il duca di
Parma.»
XXXVII.
Quando Alfredo di Camporolle fu di ritorno a Parma con Pietro Carra,
trovò nel salotto Matteo Arpione che s’era piantato là, risoluto a
non muoversi più fin dopo avergli parlato, e stava aspettandolo di piè
fermo.
— Ah! Ella è pur qui finalmente! — disse l’usuraio al giovane,
andandogli incontro con aspetto commosso.
Ma Alfredo lo respinse con un gesto e più coll’espressione fredda e
sdegnosa del volto.
— Avete fatto bene ad aspettarmi, — disse, — e a trovarvi qui, subito
al mio arrivo; perchè preme anche a me non tardare d’un momento quella
spiegazione che è necessaria fra di noi.
Matteo parve dolorosamente colpito di quell’accoglienza; ma si ritrasse
d’un passo e prese il contegno del più umile rispetto.
— Io sono sempre agli ordini di Vossignoria — soggiunse, — ma vorrei
pure farle osservare che ora Ella è stanca ed ha bisogno, più d’ogni
altra cosa, di riposarsi...
Alfredo lo interruppe vivamente.
— Ho bisogno, anzitutto, di sapere alla fine con esattezza quali
attinenze passano fra di noi, perchè, come, con qual titolo vi siete
arrogato per l’addietro, vi arrogate ancora il diritto di immischiarvi
nelle mie faccende... E voglio saperlo subito!
Chiuse tutti gli usci del salotto, venne a piantarsi in faccia a Matteo
colle braccia incrociate e con tono di comando soggiunse sdegnoso:
— Rispondete!
L’Arpione, malgrado la sua abilità nel dissimulare, si vedeva che
trovavasi molto a disagio. La sua faccia era più terrea del solito, le
sue labbra scolorate, delle goccioline di sudore gli spuntavano alla
radice dei capelli, e l’occhio irrequieto girava intorno come farebbe
quello d’un animale rinchiuso in trappola che cerca una via di scampo.
Pure rispose con tono freddo e tranquillo:
— Ho già avuto l’onore di spiegare al signor conte più volte tutto ciò
che Ella desidera ora di riudire...
— Le vostre spiegazioni datemi pel passato, — interruppe Alfredo, — non
mi bastano.
— Ebbene, — riprese umile e rassegnato Matteo, — se in qualche cosa
Ella desidera maggiori dilucidazioni, abbia la bontà d’interrogarmi, e
io mi farò un premuroso dovere di risponderle.
Alfredo si raccolse un momento, serrandosi la fronte colla destra; poi
rialzando risolutamente il capo disse:
— E sia!... Chi era mio padre?
Gli occhi di Matteo balenarono più irrequieti e quasi direi ansiosi, le
labbra gli tremarono un pochino; ma rispose subito, senza esitazione e
con fermezza:
— Le ripeterò che Luigi Corina, il suo signor padre, era l’ultimo
rampollo d’un’agiata famiglia...
— Di Lugo?
— Sì signore: di Lugo.
— E mia madre?
— Una povera fanciulla del popolo... Il padre di Luigi, il suo avo,
signor conte, non volle consentire che il figlio la sposasse: il signor
Luigi fuggì con essa.
— Ed è per ciò ch’io nacqui in un casale non molto lontano da queste
parti?
— Sì signore.
— Mia madre morì colà?
— Sì... sì signore.
— Ebbene, — esclamò Alfredo con maggior forza, — voglio che voi
mi conduciate almeno sulla sua tomba... È un dovere che ho troppo
trascurato finora, e che voi pure avete colpa di non avermi fatto
compiere.
— Ma.... — balbettò Matteo tutto impacciato; — io veramente non so
bene... non ho veduto... non ho potuto assistere.
— Come! — interruppe con isdegno il giovane: — voi avreste abbandonato
la mia povera madre morta, prima che le fossero fatti i funerali?
Arpione chinò basso basso il capo, e gli occhi fissi al suolo in atto
di colpevole profondamente pentito, rispose:
— Che vuole?... Io allora era poverissimo.... non potevo star molto
tempo fuori e lontano dal mio lavoro.... mi premeva provvedere al
bambino... lo presi meco e partii...
Alfredo gli troncò le parole con una esclamazione piena di sdegnoso
disprezzo; poscia, quasi parlando a se stesso più che all’uomo lì
presente, riprese:
— Ma alcuno se ne ricorderei ancora colà! e interrogando
accuratamente.... — Si volse a Matteo più imperioso di prima. — Voi non
mi avete mai detto il nome di quel villaggio... Me lo direte.
— Che so io, — rispose il vecchio. — Non me lo ricordo nemmeno più...
Si viaggiava in fretta; per ubbidire alle volontà di suo padre, signor
conte, io conduceva meco la signora.... Ci dovemmo fermare.... La cosa
succedette in tanta fretta....
— Codesta vostra fu un’azione indegna: e v’impongo ora di ripararla.
— Come?
— Voi cercherete villaggio per villaggio, finchè troverete quello nel
cui camposanto dorme il sonno eterno mia madre...
— Sì, signor conte: — s’affrettò a rispondere Matteo.
— E mio nonno? — riprese Alfredo.
— Le ripeterò che quel signore orgoglioso atrabiliare morì anche lui
poco dopo, senza perdonare al figlio nè alla nuora, e senza voler pur
sentire a parlare del nipotino, lasciando tutte le sostanze che gli
rimanevano ancora alle opere pie.
— E le mie ricchezze onde provengono?
— Il nonno, quando bandì per sempre da sè suo figlio, non volendo più
aver da far nulla con lui, gli diede la parte che poteva spettargli
nell’eredità. E sono quei capitali che da me impiegati, amministrati...
— Ed è impossibile che più nessuno rimanga della mia famiglia?
— No, signore, nessuno.
— E di quella di mia madre?
— Era una povera orfana.
— Ritrovato il sepolcro di mia madre, mi recherò a Lugo a rintracciare
tutte le memorie che potrò raccogliere della mia famiglia.
— Vi accompagnerò.
Alfredo guardò bene in faccia Matteo e poi gli disse bruscamente,
ruvidamente:
— No!
Questo monosillabo colpì il vecchio come una sferzata e lo fece
trasalire.
— Già abbastanza, già troppo, — continuava il giovane, — voi vi siete
intromesso nella mia vita.
Matteo levò il capo e con voce alquanto commossa domandò:
— Crede Ella di aversene da lamentare?
Alfredo esitò un pochino, poi, come uomo che ha preso una risoluzione e
la vuole mettere in atto, disse con impeto:
— Ebbene sì... perchè non so con qual titolo abbiate ciò fatto, e vi
ridomando ancora di dirmelo finalmente.
— Come, signor conte! — esclamò il vecchio con profonda amarezza. — Io
delle sue agiate condizioni le feci una splendidamente ricca fortuna...
— Alfredo scosse il capo impaziente. — Io mi adoperai perchè ella
avesse tutte le qualità, tutte le virtù, tutte le supremazie d’un vero
gentiluomo: ed Ella?...
— E io ve ne sono grato: — interruppe Alfredo con crescente impazienza:
— ma ho pur diritto di sapere perchè avete fatto tutto questo, chi ve
ne ha dato l’ufficio....
— Ma ciò glie lo dissi già tante volte; — interruppe Matteo, lasciando
scorgere sempre più il tormento che gli dava questo interrogatorio.
— Perchè l’ho promesso solennemente a suo padre... E fu appunto il
volere... l’ultimo volere di suo padre, signor conte, che mi diede
quest’ufficio, quest’autorità, e dirò anche questo debito verso di
lei...
— E tutto codesto io debbo crederlo alla vostra sola affermazione? —
proruppe con animazione maggiore Alfredo.
— E perchè non mi crederebbe? — esclamò Matteo con nuova forza e quasi
con autorità.
— Non uno scritto di mio padre, non una sola parola.... non un ricordo
di lui!
Arpione si strinse nelle spalle a significare che il fatto era quello e
che lui non poteva cambiarlo.
— Mi diceste che voi avevate degli obblighi verso mio padre?
— Sì, obblighi sacrosanti.... e ho accettato volentieri di pagarli al
figliuolo....
— Quali sono codesti obblighi?
— Ah, signor Alfredo! Le dissi pure che ciò non avrei potuto dirle....
che non m’interrogasse... Ed Ella me lo aveva pur promesso!
Alfredo fece un atto di impazienza, di doloroso dispetto, e si pose a
passeggiare su e giù per la stanza, concitato, febbrile.
Il vecchio lo seguiva cogli occhi, e nel suo sguardo c’erano insieme
dolore e paura, tenerezza e sospetto.
Il conte si fermò innanzi a Matteo.
— Avevo promesso... è vero: ho torto: — disse cercando padroneggiare
la sua agitazione: — ma gli è che mi sento circondato da un mistero,
da un buio che mi impazienta, che mi irrita, che mi ispira mille dubbi
tormentosi: e che darei non so che cosa per illuminare quel buio, per
penetrare in quel mistero... Finora non fui che un ragazzo; ma comincio
ad essere un uomo e voglio conoscere me stesso.
— Ma non c’è mistero... — cominciò Matteo.
Il giovane l’interruppe con un gesto vibrato.
— Ora comincio ad essere uomo, vi dico, e non ho più bisogno della
vostra tutela, della vostra sorveglianza, della vostra intromissione
ne’ fatti miei.
Matteo impallidì.
— Ma questo è dunque un congedo in tutte forme che lei mi dà?
Alfredo lo fissò duramente, e rispose con crudele severità:
— Sì!
Il vecchio balenò un istante come chi vacilla sotto un gran colpo
ricevuto: aprì le labbra per parlare e non disse nulla: ne’ suoi occhi
scuri affondati, sempre freddi e muti, ci fu qualche cosa che parve il
bagliore d’una lagrima.
— Signor conte, — disse dopo un poco che il suo interlocutore era
rimasto lì, silenzioso, colle braccia incrociate, come non aspettando
altro se non ch’egli se ne partisse: — non credo d’averle recato mai
troppo disturbo nè fastidio colla mia presenza. Se questa, che non le
fu mai molto gradita — (e così dicendo parve che la sua voce, quasi
sempre senza espressione, si commovesse un poco) — ora le è divenuta
ancora più uggiosa, io farò di tutto per risparmiargliela sempre
più.... Non mi lascierò vedere da lei che raramente.... — (Alfredo
fece un gesto; egli s’affrettò a soggiungere con vivacità:) — mai!
Non corrisponderò con lei che per lettera: ma non mi tolga di potere
amministrare i suoi interessi... di poter vegliare sulle cose sue....
su di lei.... È una sacra promessa che ho fatta a suo padre...
— Ve ne sciolgo io: — interruppe bruscamente Alfredo. — E sono persuaso
che, se vivesse, mio padre mi approverebbe.
— Ma perchè?... perchè? — domandò con accento quasi supplichevole
quell’uomo, innanzi a cui tanti e tanti infelici avevano supplicato
invano. — A Lei che cosa deve importare ch’io le risparmi tanti
fastidi? che io faccia prosperare il suo patrimonio? che quantunque
aumentino sempre le sue spese, io faccia ogni anno accrescersi le sue
rendite?
Il giovane fece un gesto d’impazienza: Arpione riprese con più calore:
— Anche su di Lei, sulla sua persona, io mi sento in obbligo di
vegliare.... Ella è giovane, mosso dalle passioni della sua età,
circondato, per le stesse sue doti, da mille tentazioni e seduzioni,
senza poter avere, per la sua poca vita vissuta, l’esperienza e la
conoscenza del mondo, degli uomini e degli inganni che si trovan
dappertutto, per cui potrebbe pararsi da mille pericoli e salvarsi
in molti cimenti.... Lasci che quella pratica della vita che io ho
pur troppo, l’adoperi in beneficio di Lei... Ed è appunto per ciò che
ho fatto il viaggio sin qui: per ciò e non per altro, glie lo giuro.
Appena ho saputo che Ella col suo gran cuore, col suo animo generoso,
correva pericolo di rimaner vittima d’una mala femmina...
Alfredo interruppe:
— Non vi permetto di parlar così...
— Oh me lo permetta! — ripigliò con forza il vecchio. — È questa
la verità.... Sono ben informato. Quella donna fu una danzatrice su
cavalli...
— Lo so!
— Fu una mantenuta...
— Del duca di Parma, quand’era a Torino: lo so.
— Ma non solamente questo....
— So tutto, vi dico: ed è inutile prolungare questo colloquio. Il mio
desiderio lo avete inteso, conformatevi ad esso e subito.
— Ella non me ne ha ancor detto il perchè.
— Non lo indovinate? Volete che ve lo dica a chiare parole?... Ebbene
sia: perchè uno dei mestieri più sciagurati, a mio avviso, è quello
dell’usuraio; e non voglio, non voglio, capite, che uno di tal razza
abbia più attinenze coi miei affari e con me.
— Ah signor Alfredo! — esclamò Matteo, dimenticando questa volta di
dargli del conte e con più dolore nell’accento di quello che si sarebbe
potuto credere in lui. — Non mi sarei aspettato da Lei un simile
compenso a tutte le cure...
— Un compenso! — interruppe il giovane. — Domandatemene quel che
volete; per quanto vistoso sia, ve lo accordo; ma non pretendete che io
mi lasci riverberare sul nome, su me stesso, l’onta che accompagna...
il vostro mestiere.
L’Arpione mandò un sospiro soffocato e curvò il capo basso basso.
— Se mai si potesse sospettare che anche i miei redditi fossero
accresciuti da una partecipazione!... Oh!
Interruppe con un’esclamazione inorridita una supposizione troppo per
lui vergognosa.
— Voi vedete bene come assolutamente sia necessario che tutto venga
troncato fra di noi.
Matteo fece l’atto di chi ingoia dolorosamente un boccone amaro.
— In pubblico, sia: — disse con una forzata, penosa rassegnazione: — ma
segretamente, senza che alcuno lo sappia...
— Voi mi avete pur detto che mio padre era un uomo dei più nobili e
generosi sentimenti? — interrogò Alfredo.
— Sì.
— Ebbene: vi avrebbe egli affidato quell’incarico che vi diede, se vi
avesse conosciuto qual siete ora? Ve lo lascerebbe continuare?... Ora
basta: finiamola... Voi non avrete più rapporti con me che per una cosa
sola.
— Quale? — domandò Matteo con ardore, in cui c’era un poco di speranza
tuttavia.
— Procurarmi gli atti di morte di mio padre e di mio nonno; sapermi
dire esattamente dov’è sepolta mia madre, perchè io possa recarmi sulla
sua tomba a pregare.
Arpione stette un momentino col capo basso, meditando fra sè, poi disse
lentamente, a voce sommessa:
— Sì, signor conte, farò l’una cosa e l’altra.
— Presto?
— Fra pochi giorni... Ma frattanto mi conceda ch’io le rivolga una
preghiera e mi prometta d’esaudirla...
— Sentiamo.
— Qui Ella è circondata da mille pericoli... lo so di certo... Quella
donna può esserle fatale... La fugga... il meglio sarebbe ch’Ella
abbandonasse addirittura questa città.
Alfredo fece un gesto risoluto di negazione.
— Usi almeno prudenza, — continuava Matteo, dando al suo accento
un’espressione di preghiera sempre più viva: — compromettersi per
colei, affrontare un pericolo pur anche menomo per simile creatura non
val proprio la pena.
— Risparmiatemi i vostri consigli.
— S’astenga almeno dal comparire innanzi al principe... Oh questo glie
lo chiedo come una grazia.
— Perchè? — domandò fieramente il giovane aggrottando le sopracciglia.
— Perchè il duca è geloso di quella... tale; ed è così insolente...
potrebbe lasciarsi andare a qualche parola...
— Credereste di ispirarmi paura? — interruppe il conte più aggrottato.
— No; ma sono io che temo... Conosco il suo coraggio, la generosa
impetuosità del suo sangue, e non vorrei...
— Avete fatto benissimo a parlarmi così... Questa sera medesima a
teatro potrò vedere il principe e andrò a piantarmigli in faccia.
— Per carità, signor Alfredo...
— Non più una parola!... Ricordate voi quello che dovete fare per mio
comando.... e non comparitemi più innanzi che per porgermi i documenti
richiestivi della mia famiglia e per additarmi con certezza il luogo
dov’è sepolta mia madre.
Matteo chinò la testa e rispose con voce che avreste detta soffocata
dall’emozione:
— Il signor conte sarà obbedito; e spero che non mi rifiuterà l’onore e
il favore di accompagnarlo io stesso alla tomba di... della sua signora
madre.
Alfredo fece un legger cenno che poteva dirsi insieme d’assentimento,
di saluto e di congedo; e passò senz’altro nella sua camera, per
cambiarsi e riposarsi.
Il vecchio, lasciato solo nel salotto, stette un poco quasi sbalordito,
non sapendo che farsi, in un’incertezza penosa procuratagli da mille
contrarii pensieri, e paure, e disegni; poi si riscosse, cercò della
governante e dell’aio che egli stesso aveva scelti con molta cura per
metterli al fianco d’Alfredo, e che avevano quindi per lui deferenza
e quasi sommessione, e, dato loro il suo ricapito, che era in una
povera casa al fondo d’una viuzza deserta, si raccomandò perchè d’ogni
cosa che facesse Alfredo o ch’ei giungessero a sapere ch’egli volesse
fare, subito lo tenessero informato per un bigliettino, trattandosi di
gravissimi pericoli che il giovane correva, e da cui egli solo avrebbe
forse potuto salvarlo. Quand’ebbe ricevuta l’assicurazione che quei
due avrebbero fatto a suo senno, Matteo Arpione uscì da quel palazzo,
il capo chino, abbattuto dell’anima, affranto di corpo come se dopo
qualche immane fatica sostenuta, quasi invecchiato di più anni.
E pensava fra sè: — pensiero pungente, doloroso che gli mordeva
crudelmente il cuore:
— Ho voluto farlo nobile, generoso, entusiasta per tutto quello che
v’ha di buono e di bello, ripugnante, odiatore di ogni bassezza, quanto
esser possa uomo al mondo. Ci sono riuscito; e la sua virtù, la sua
delicatezza di onorabilità lo fa inesorabile verso di me. Mi sono fatto
ferire colla stessa arme che io gli ho posto tra mano!
Si recò sollecito alla stanzuccia dove aveva preso alloggio; colà era
una vecchia, la padrona del quartiere, con cui avremo pure a fare di
poi più precisa conoscenza, e la quale, dal modo di trattare verso
l’Arpione, sembrava avere con esso antichi e piuttosto stretti rapporti
e una dipendenza che pigliava certe sembianze di gratitudine. Matteo si
chiuse in camera con questa vecchia e stettero insieme parlando, forse
mezz’ora: poscia ella uscì e tornò con un calesse da nolo.
Matteo, che stava aspettando impazientemente, discese ratto, diede al
cocchiere l’indirizzo d’un villaggio lontano circa otto miglia, disse
alla vecchia: «a questa sera;» e partì.
XXXVIII.
Alfredo era entrato nella sua camera per cercarvi un po’ di riposo;
ma questo, di cui pure egli aveva tanto bisogno, non doveva essergli
così tosto concesso dai suoi sensi eccitati e dal suo spirito turbato,
perchè ad accrescere questo turbamento e quell’eccitazione, lo
aspettavano là, presso al suo letto, un mazzolino di fiori odorosissimi
e una letterina più profumata ancora dei fiori.
Subito quel profumo intenso e sottile, che aveva qualche cosa di
acre insieme e di soave, lo aveva assalito, lo aveva avvolto come in
un’onda, gli era salito al cervello. Ah quel profumo egli lo conosceva
bene: aveva respirato per delle ore, due notti prima, un ambiente
impregnato di esso, se n’era sentito accarezzare, compenetrare per
tutti i pori, possedere. Chiuse istintivamente gli occhi e rivide
una camera voluttuosa, in una penombra piena di dolci misteri e un
quadro colla cornice dorata, in cui un sorriso di donna, provocatore,
lusinghiero, promettente e uno sguardo pieno di fuoco. Riaprì gli occhi
e fece due passi protendendo le braccia, quasi nella certezza che di
dietro alle cortine dovesse venir fuori viva e reale quella bellezza
di cui l’immagine gli si era destata nel cervello; vide sul marmo del
tavolino il mazzetto di viole e la busta di carta color crema. Esitò
un momentino; poi prese, quasi con violenza, quei fiori e ne aspirò
lungamente gli effluvii.
— Una cortigiana! — mormorò, i denti stretti, con un misto di rabbia,
di dolore, di passione. — No! Una vittima... Presa, deturpata e
poi lasciata nel fango da un principe corrotto... che ora vorrebbe
riavvilirla co’ suoi sconci amori!... Ma se l’anima non s’è degradata?
Se?...
Rigettò con dispetto il mazzolino, il cui acuto odore gli faceva ora
una dolorosa impressione, e afferrò la lettera: ma questa emanava un
profumo ancora più forte, ed era quello che egli aveva sentito nella
camera di lei, negli abiti, nei capelli, nelle carni di lei!...
Aprì con mano agitata la busta, spiegò il fogliolino e lesse:
«Siete partito per affrontare un pericolo; ah l’ansietà e
l’inquietudine che provo mi rivelano di quanta forza sia l’affetto
ch’io ho per te. — So che anche qui a Parma pericoli vi minacciano.
Tremo: t’amo: darei la vita per salvarti, per procurarti la
felicità... Venite subito, appena siate di ritorno; venite perchè
abbia fine la mia dolorosa aspettazione, perchè possiamo studiare
insieme i mezzi di allontanare da voi ogni minaccia. Non faccio che
pensare a voi... Oh t’amo tanto!»
A queste parole il sangue de’ venti anni ribollì ancora più forte nelle
vene di Alfredo; s’affrettò al tavolino e scrisse sopra un foglio di
carta azzurrigna ornata delle sue cifre sormontate dalla corona di
conte queste poche parole:
«Fra mezz’ora sarò da te. — Alfredo.»
Poi suonò pel cameriere; si ordinò un bagno e si fece preparare abiti
eleganti da vestire dipoi. Ma ecco una stranezza che non seppe spiegare
neppur egli a sè stesso: mentre credeva tutto l’essere suo occupato
d’un solo pensiero, l’anima piena d’una sola immagine, a un tratto, — e
chi ne avrebbe saputo dire il perchè? — a un tratto affacciarglisi alla
mente un’altra gentile, — più gentile — più soave, ammirabile figura
muliebre.
Eppure quella figura egli non l’aveva vista mai viva e reale; egli non
l’aveva ammirata che per un fugace momento in un ritrattino miniato.
Come s’era essa potuta imprimere così vivamente nella sua memoria,
nell’anima sua, che era pur tutta piena dell’immagine d’un’altra donna?
E quanta dolcezza in quello sguardo mite dagli occhi cilestri, quale
aura di paradiso intorno a quella candida fronte, a quelle chiome
finissime, pallidamente dorate, quale incanto dal vivace color di rosa
di quelle labbra che non sorridevano e non eran meste, dall’ovale di
quel volto sereno e ilare, pur pensoso! Quelle sembianze, sorgendogli
nel pensiero, parvero spirare su di lui un alito di pura freschezza
che gli calmò alquanto l’effervescenza del sangue. Trovò egli stesso
un paragone: gli parve passare a un tratto dall’affocato splendore
d’una giornata d’estate alla brezza leggera e graziosa d’un vespro
primaverile. Ah che nobile, distinta, sublime bellezza di fanciulla!
Chi sa quando egli l’avrebbe potuta vedere, la sorella del conte
di Valneve! Chi sa se l’avrebbe veduta mai! Chi sa se, vedendola,
l’effetto della realtà non avrebbe distrutto quello suscitato dal
solo ritratto! E tuttavia Alfredo sentiva che pur la vista di quelle
sembianze dipinte aveva sminuito in lui il fascino delle accorte,
procaci bellezze di Zoe; l’influsso vertiginoso, inebbriante di questa,
se a contatto con lei poteva ancora essere potente come prima, in
lontananza si urtava in un influsso diverso, quasi può dirsi opposto,
e non ne aveva facile vittoria. Di più il giovane s’accorse ancora che
se l’influsso della Zoe lo turbava, gli lasciava l’animo sconvolto,
mal soddisfatto, amaramente irrequieto, quello della nobile fanciulla
infondeva in lui una specie di tranquillità, di pace serena, di pura
e vaga tenerezza, che lo sollevavano e gli pareva, a lui medesimo, lo
rendessero migliore.
Numerose volte e nel bagno e vestendosi egli cambiò intenzioni e voglie.
— E se non ci andassi da colei? — si disse: — sarebbe forse meglio...
Sì, è meglio... C’è qualche cosa di fatale, di funesto, intorno a
quella donna, che mi pare un presagio di sventure e di danni. È un
abisso colà; meglio evitarlo: ma appunto tutti gli abissi attraggono.
Ah che occhi di fuoco i suoi!... Un fuoco d’inferno forse. La luce
di quelle pupille azzurre è luce di cielo. Chi m’impedisce di recarmi
tosto a Torino? Ernesto mi ci ha invitato. Siamo diventati così buoni
amici in quel poco di tempo! Sono sicuro mi accoglierebbe con verace
affetto. Fuggirei anche ogni rischio che qui mi circonda: rischi che,
è pur vero, non valgono la pena d’essere affrontati. Domani stesso
potrei partire. Ma qui che si direbbe?... Che direbbe lei?... Dopo
quello che m’ha confidato.... dopo quello che m’ha scritto: dopo il
tanto che ho fatto per poter giungere a ciò che un giorno mi pareva un
sogno ineffettuabile!... E il duca? Con quel suo ghigno! No: rimango...
Ma rimanere non vuol dire lasciarmi precipitare in quel buio, che
è l’amore di quella donna: buio che m’attrae sì, ma mi sgomenta
eziandio... Non ci andrò... Glie l’ho scritto: è una promessa: bene,
troverò un pretesto, le scriverò due righe... Non ci andrò almeno
finchè il mio sangue sia un po’ più calmo, siasi posato alquanto
il turbamento che provo dentro di me e io possa vedere un po’ più
chiaramente nell’anima mia. Non ci andrò!
Parve fermarsi su questa risoluzione, eroica per un giovane di
quell’età, che da mesi sospirava per un istante quale la donna gli
aveva offerto; ma frattanto egli era venuto abbigliandosi e non gli
restava più che vestire il soprabito, mettersi il cappello e calzare i
guanti. Si accostò al letto, dicendo fra sè che farebbe ottimamente a
spogliarsi di nuovo e cacciarsi fra le lenzuola a riposare; ma allora
da quelle coltri su cui aveva gettato il mazzetto e la lettera di Zoe,
venne a colpirlo, ad assalirlo quasi inopinatamente un soffio di quel
profumo eccitante. Era più blando, perchè già un po’ svanito; ma pareva
tanto più sottile e penetrante; ed egli ne sentiva maggiormente la
carezza. Alfredo stette un momento perplesso; poi si gettò su quei due
oggetti odorosi; li afferrò, li brancicò, li spiegazzò, li portò alle
labbra, dove li baciò e morsicchiò quasi con rabbia: — e poi corse in
casa della Zoe.
Questa esperta, abilissima commediante aveva preparata un’altra
scena d’effetto. S’era vestita con una semplicità che nulla toglieva
all’incanto delle sue belle forme, ma con cui aveva pur saputo dare a
tutta sè stessa una sembianza, un’espressione di schiettezza, e, se tal
parola potesse usarsi, trattandosi di tal donna, anche per finta, direi
di purità, che riusciva prima di tutto a levarle in apparenza quasi una
diecina d’anni e poi a sconfessare, a far dimenticare, a far credere
quasi impossibile ogni onta del suo passato.
Per le notti vegliate, per l’effetto di quel suo pensiero fisso, di
quella passione che la dominava, per l’emozione del giuoco terribile
che mandava innanzi, in cui era posta la vita di parecchi e la sua,
ella era pallida — come una statua di marmo di Carrara, — meglio, come
un avorio su cui mandi qualche calore di riflesso dorato un raggio di
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