La vendetta di Zoe : Aristocrazia I - 06

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— Sì signore.
— Domani nella mattinata a Castel San Giovanni.
— Sì signore.
— Ciascuno porterà due paia di sciabole.
— Sì signore.
— Si tirerà a sorte quelle da adoperarsi.
— Sì signore.
Ernesto di Valneve guardò bene sotto il naso Rodolfo von Klernick e
disse spiccatamente:
— E la Polizia di Parma non saprà nulla; così che nessuno possa venirci
a disturbare.
— Signore! — esclamò con certa dignità l’austriaco: — voi non avete più
il diritto di insultarmi.
— Avete ragione, — disse tornando a tutta la sua gentilezza e facendo
un cortese saluto il conte di Valneve: — queste parole siano per non
dette.


XVI.

Il capitano von Klernick era uscito pieno di rabbia senza volgere
neppure più una parola nè uno sguardo alla Carlotta, la apparente e
innocente cagione di quel conflitto: la quale aveva assistito a tutta
la scena avvenuta senza trovar modo di pronunziar una parola, e in
verità senza saper nè che fare nè che dire.
Maggior attenzione non le diedero gli altri personaggi del piccolo
dramma, i quali, partito l’austriaco, si apprestarono ad andarsene
anche loro.
— Signor Carra, — disse il conte Ernesto, — io ho abusato della sua
bontà presentandolo come mio testimonio al duello, senza prima avernela
pregata e ottenuto la sua accettazione...
— Lei ha fatto benissimo, — interruppe con vivace impeto l’operaio. —
Anzi mi ha dato con ciò un segno di stima di cui le sono tenuto assai.
E creda pure che tutto quello ch’io potrò fare per suo servizio, io lo
farò volontierissimo.
— Grazie! Dalle parole che ho udite in sua bocca ho giudicato appunto
che non le sarebbe spiaciuto il vedere a dar le pacche a un’uniforme
abborrita. Ma però, senta, se il recarsi domani colà al Castel San
Giovanni e perdere una giornata e forse due, le è di troppo incomodo;
se questo fatto può esporla a certi pericoli e fastidi della Polizia
di qui (cosa che in quel primo momento non avevo pensato), non si
riguardi e non tenga conto nessuno delle mie parole. Giunto a Castel
San Giovanni, io farò una scappatina fino alla più vicina guarnigione
piemontese e ne tornerò con qualche ufficiale...
— No signore: — tornò a interrompere il sellaio: — non dica più oltre,
che se insistesse in ciò, mi offenderebbe. Io son padrone di bottega e
sono abbastanza libero del mio tempo per poterne disporre: e la Polizia
non la temo nè punto nè poco.
Fece un sogghigno pieno di amarezza e di disprezzo.
— Godo delle buone grazie del duca... come sellaio: — si affrettò
a soggiungere. — Ho la superbia di dire che sono uno dei migliori,
e forse il migliore degli operai del mio mestiere, e il duca mi
fa l’onore di apprezzarmi, di servirsi di me, e di darmi la sua
protezione... E con me non ha tentato che poche volte d’insolentire
e maltrattare: l’ho guardato in certo modo... Quel tirannucolo, fatto
temerario dall’impunità, in fondo ha paura del coraggio d’un uomo. L’ho
visto io chinar gli occhi innanzi ai miei... Mi teme: forse mi odia
appunto per ciò, ma gli pare d’aver bisogno del mio lavoro, e finchè io
non gli porgerò occasione di farmi addirittura fucilare, non mi userà
prepotenze.
— Tanto meglio! — esclamò Valneve.
— Ed io, se piace a lor signori, mi incarico eziandio di provvedere
le sciabole. Me ne intendo d’armi, sono amico di un buono spadaio, e
vedranno che eccellenti lame saprò all’uopo provvedere.
— Benissimo!... E allora non resta più che trovarci domattina alle
cinque alla mia locanda, per partire tutti insieme: — così conchiuse
Ernesto, e salutata molto indifferentemente la Carlotta, sempre
sbalordita, se ne partì con Alfredo.
— Scusino un momento: — disse allora Pietro Carra ai due giovani:
— aggiungo soltanto poche parole a quello che ho già detto a mia
cugina, e poi li accompagno fino a casa: è forse meglio per loro avere
compagnia questa notte per le strade di Parma.
Alfredo ed Ernesto scesero lentamente le scale, giù delle quali faceva
loro lume la serva; Pietro, appena fu solo colla Carlotta, le disse:
— Or dunque ricordati bene tutto quanto già ti ho detto. La famiglia
di tua madre fu sempre qui a Parma un’onesta famiglia: tua madre fu
un’onesta donna. Che tu a Milano, dove sei nata e cresciuta, faccia
quello che ti pare e piace, posso dolermene, ma pazienza! Tuo padre
fu un cattivo soggetto, che dopo aver fatto morire sua moglie di
crepacuore, non è stato capace di dare a te una virtuosa educazione, e
t’ha gettata, per guadagnarsi un po’ di denaro, sulle tavole d’un palco
scenico. Io non abbandonerò la mia città per correre colà a impedirti
di infamarti e punire i tuoi trascorsi; ma qui dove si conosce la
tua gente, qui dove ci son io, che ho moglie e figli e che ci tengo
a serbarmi nome onorato, qui, per Dio, non ti lascerò fare la mala
femmina a niun patto. Tu non vedrai più quel tedesco ancorchè avesse
da uscire incolume da quel duello, e finite le poche rappresentazioni
che pur troppo hai da dar qui, andrai a Firenze per dove domani stesso
accetterai e firmerai la scrittura che ti si propone...
— Ma... — si avventurò la ballerina ad interrompere.
— Nessuna osservazione! — gridò Pietro. — Se tu non mi obbedisci avrai
da pentirtene amaramente; e per prima cosa ti farò fischiare in tal
maniera da dover calare la tela... te lo prometto io... Non ci sarà che
da spargere voce che tu sei la ganza d’un austriaco...
— No, no, per carità! — esclamò la ragazza spaventata.
— Dunque siamo intesi. Condotta inappuntabile finchè resterai qui a
Parma, e al mio ritorno da Castel San Giovanni firmata la scrittura di
Firenze.
Non attese neppure la risposta, non disse una parola nè fece un atto di
saluto, e corse via per raggiungere i due giovani che già erano discesi
nella strada.
Si era oltre la mezzanotte: tutta la città era tranquilla e muta
proprio come un sepolcro; rari lampioni sparsi qua e là rompevano
appena la fitta tenebra: i passi dei nostri tre personaggi risuonavano
cupamente, con una specie di eco sorda nel silenzio di quell’oscurità.
— Dove andiamo? — domandò Valneve fermandosi ad un crocicchio.
Alfredo trasse l’orologio e guardò l’ora al chiarore del fanale che era
appiccato alla cantonata: mancava un quarto ancora, ed egli, impaziente
di trovarsi là dove gli aveva detto la cartolina della baronessa di
Muldorff, rispose:
— Io me ne vado a casa.
— Benissimo, — aggiunse Ernesto: — noi ti accompagniamo.
— Ah no: — gridò vivamente Alfredo che pensava a chi o cosa doveva
aspettarlo colà per parte di quella donna.
— Oh oh! — fece Sangré ridendo: — che premura di non volerci... Ah! mio
caro Camporolle, c’è qualche cosa di contrabbando qui sotto!
— Oibò! Niente affatto! — rispose impacciato Alfredo, il quale era
pochissimo abile a mentire. — Non vorrei incomodare... è già tanto
tardi!...
— Discrezione e segretezza! — esclamò Ernesto mezzo ridendo, mezzo
sul serio. — Vuoi esser solo? Non domandiamo di più; ma siccome qui
il nostro bravo Carra ci ha detto che è forse più prudente l’essere in
parecchi per le vie di notte, ti lascierai accompagnare almeno almeno
fino alla cantonata del palazzo dove stai.
— Mi rincresce che vi disturbiate... non c’è nulla da temere per me...
ma se proprio tu, Valneve, ci tieni...
— Ci tengo.
— Venite pure...
In quella Pietro Carra, che stava un pochino discosto dai due amici, si
fece loro presso presso con un moto rapido e silenzioso, e susurrò pian
piano:
— Zitti!... Facciamoci in qua... Guardino, ma non un movimento, non una
voce, non un rumore!
Si trasse dove l’ombra era più densa e additò loro in una delle strade
dei crocicchio, a un punto dove batteva il chiarore d’un lampione,
alcune ombre che camminavano rapidamente.
Veniva prima un uomo che volgeva il capo di qua e di là come per
esaminare con attenzione i luoghi; poi, alla distanza di dieci passi,
due che andavano a pari e finalmente dietro di questi due, alla
distanza d’un’altra decina di passi, un’altr’uomo che si vedeva tenere
gli occhi attentamente fissi sui due che aveva davanti.
— Ecco il duca che va a qualche spedizione: — susurrò il Carra
nell’orecchio dei due giovani.
— Il duca! — esclamarono Alfredo ed Ernesto.
— Sì... Il primo è un poliziotto esploratore; dei due che vengono dopo,
quello alla destra è il duca: l’altro è quello scellerato del conte
Anviti; dietro loro viene uno dei più fidi e dei più coraggiosi e de’
più forti gendarmi, travestito.
— E dove andrà? — chiese il Valneve.
— Facile a indovinarsi: — rispose amaramente il sellaio. — Ad infamare
qualcuna delle nostre famiglie.
Alfredo si ricordò allora d’un indirizzo che aveva inteso dare al duca
nel teatro e delle parole dal duca medesimo dette all’Anviti; ma non
credette opportuno di comunicar nulla di questo ai suoi compagni.
— Per bacco! Sarei curioso di vedere dove si va a cacciare, — disse
Ernesto. — Se lo seguitassimo?
— È un proposito pericoloso, — rispose Pietro; — ma, se Lei vuole, io
non rifiuto d’accompagnarla.
In quel momento il duca, che si trovava un po’ vicino al luogo dove
erano i tre giovani, fu udito ridere sguaiatamente.
— È un riso il suo che urta i nervi, non è vero? — riprese il
parmigiano. — A me, ogni volta che l’odo, mi fa l’effetto d’una sega
che mi passi sulle ossa... Andiamo pure, signor conte.
— Buona notte, Camporolle: — disse Ernesto ad Alfredo: — ti lasciamo
libero per le tue avventure particolari; e noi, che non ne abbiamo
nessuna di nostra, andiamo a scoprire quelle del duca. Domattina,
poi...
— Sta tranquillo: — interruppe Alfredo. — Sarò esatto al ritrovo.
Si separarono. Ernesto e Pietro con molta cautela seguirono alla
lontana la piccola schiera di cui faceva parte il duca; Alfredo fu
sollecito a casa sua.
Non v’era ancora nessuno, ma appena il giovane ebbe fatti due o
tre giri innanzi al portone del palazzo, mentre suonava l’ora ad un
campanile vicino, comparve un uomo, misteriosamente avvolto in un
mantello e camminò dritto, risoluto verso il Camporolle, che s’era
fermato. Quest’uomo squadrò ben bene il giovane, e, assicuratosi così
dell’identità della persona, gli disse:
— Signor conte, la persona che Lei sa, l’aspetta.
— Quando?
— Subito.
— Dove?
— Nella casa che si trova sul canto del borgo S. Biagio alla strada di
Santa Lucia.
Alfredo si riscosse. Quello era l’indirizzo che aveva udito dato
al duca in teatro, e dove il duca aveva detto che si sarebbe recato
coll’Anviti. Dunque era colà che andava poc’anzi ch’egli l’aveva visto
coll’Anviti... e quel recapito era quello della baronessa!


XVII.

Alfredo s’accostò di più a quell’uomo che certo gli era stato mandato
dalla baronessa, e lo osservò bene: era di mezza età, d’aspetto
ignobile e volgare.
— La persona che vi manda, — gli domandò, — non vi diede nessun
contrassegno perchè io mi fidassi di voi e credessi alle vostre parole?
L’uomo scosse il capo e non rispose.
— Ripetetemi quel recapito.
Quell’altro ripetè spiccatamente, parola per parola, quanto aveva già
detto.
— E ci debbo andare subito?
— Se vuole.
— Vuol dire che mi aspetta?
— Che ho da rispondere? Ripeto quello che mi è stato ordinato di dirle.
Il giovane in un momento pensò una infinità di cose. Il duca di Parma
aveva cercato un indirizzo e quando questo gli era stato detto s’era
proposto di andare nella stessa notte in quel luogo col colonnello
Anviti. L’indirizzo era esattamente quello che la baronessa mandava
a lui di sè stessa: e pochi minuti prima egli medesimo aveva visto il
duca coll’Anviti in istrada camminare precisamente nella direzione di
quel quartiere. Alfredo ricordò allora parecchie parole del principe,
le quali già lo avevano irritato senza ch’egli sapesse bene a chi le
dovessero applicarsi e che ora capiva come alludessero a quella donna;
fu certo che per colei solamente il duca era venuto nel palchetto
dove egli era; si disse che in quel momento appunto il principe —
forse.... certo.... trovavasi in casa di lei... Una vampa di sangue
gli salì al cervello. Ed egli ci andrebbe? E perchè no? Un soffio di
ragione venne a suggerirgli un pensiero che da una parte calmò il suo
furore e sollevò il suo animo. Se quella donna medesima lo mandava
a chiamare, era pur segno evidente che la non aspettava il principe,
che non lo voleva. Questi adunque andava da lei certo inatteso, certo
eziandio sgradito e respinto. O Dio! e s’egli, scellerato tirannucolo,
prepotente come era, ricorresse alle minaccie, alle violenze?...
Alfredo sentì in sè a un tratto l’anima d’un paladino per difendere la
bellezza perseguitata e l’innocenza oppressa. Si volse al messo di lei
e con accento vibrato:
— Voi siete di Parma?
— Sì signore.
— Sapete bene la via più corta per giungere a quel luogo?
— Eh sicuro.
— Guidatemi... Corriamo... Più presto saremo colà e maggiore avrete la
mancia.
— Venga.
S’avviarono di buon passo e in pochi minuti giunsero in Borgo San
Biagio.
Quand’erano presso all’angolo designato, s’imbatterono in due uomini
nei quali Alfredo tosto riconobbe il conte Sangré e Pietro Carra.
— Tu qui? — esclamò Valneve stupito vedendo il suo nuovo amico. — Che
cosa cerchi?
Camporolle fece un segno all’uomo che lo accompagnava di tenersi un po’
discosto, e poi, fattosi presso ad Ernesto e al sellaio, loro chiese
sollecito:
— Avete visto dove sia andato il duca?
— Sicuro! — rispose il Valneve: — là in quella porta e probabilmente
in quell’alloggio al secondo piano, di cui si vedono le finestre ancora
illuminate.
— E tu non sai chi abiti colà?
— Come vuoi che lo sappia, io, arrivato da due giorni solamente in
questa città?
— Posso dirle qualche cosa io, — entrò in mezzo allora Pietro Carra,
— perchè abito appunto quasi in faccia. Quello lì, che è un suntuoso
appartamento, fu appigionato già da parecchi mesi per una signora
forastiera che doveva giungere da un momento all’altro e che non
giungeva mai. Finalmente questa mattina è arrivata con un monte di
casse e di valigie che ha messo in susurro la curiosità di tutto il
quartiere.
— L’ha vista Lei? — domandò vivamente Alfredo.
— Io no, — rispose il Carra, — ma l’ha veduta mia moglie: mi ha detto
che è una gran bella donna coi capelli rossi.
— È lei: — mormorò quasi a sè stesso Alfredo, e poi fece un moto per
accostarsi all’uomo che attendeva pochi passi più in là.
Ma il sellaio lo fermò.
— Scusi, signor conte, — gli disse, — quell’uomo là, Lei lo conosce?
— Io no.
— Ma è insieme con Lei?
— Sì, mi è stato mandato per guida.
— Crede potersene fidare?
— Se la persona che me lo ha mandato lo ha scelto....
Pietro Carra si curvò sulle spalle, e Alfredo tornò sollecito presso
quell’uomo.
Ma non si acquietò il conte Ernesto che aveva notato con quanta
diffidenza e ripugnanza il sellaio avesse guardato quel cotale.
— Lei, Carra, sa chi sia quell’individuo? — gli domandò.
— No, — rispose Pietro con certa malavoglia, — non so bene chi e che
cosa sia.
— Non è la prima volta che lo vede?
— Oh no... sa bene: Parma non è una città molto grande; più o meno ci
conosciamo tutti.... almeno di veduta.
— Lei non si fiderebbe di quell’uomo?
— Io per verità non sono molto proclive a fidarmi.
— Senta, mi dica tutto: non vorrei che quel bravo giovane incappasse
male.
— Veramente qualche cosa di positivo non so proprio dirglielo.
Quell’uomo non si sa bene che mestiere faccia, e siccome si caccia
dappertutto, lo si vede in ogni luogo si suppone.... si sospetta....
— Che cosa?
Pietro Carra abbassò ancora la voce per dire nell’orecchio del conte
Ernesto:
— Che sia una spia del direttore della Polizia, il famoso Pancrazi.
— Per bacco! È abbastanza grave la cosa perchè poniamo sull’avviso
Camporolle.
E fece un passo per avvicinarsi ad Alfredo: ma il sellaio lo trattenne.
— Scusi, — gli disse: — mi pare più prudente non mostrare ora nessun
sospetto e aspettare ad avvertire il conte che quel cotale lo abbia
lasciato.
— Ha ragione: — soggiunse Ernesto — E se costui non lo lascia,
aspettiamo che la cosa sia proprio indispensabile.
Alfredo intanto, riaccostando quell’uomo, gli aveva domandato con
calore:
— La persona che vi ha mandato abita là a quel secondo piano?
— Sì signore.
— E voi ne avete ricevuto l’ordine di introdurmi presso di lei?
— No signore: io non ho ricevuto altro ordine che di andarle a dire il
ricapito e che era aspettato.
— Siete un servo di... di quella persona voi?
— No signore: io sono un commissioniere... Pei forestieri faccio anche
ciò che si usa chiamare servo di piazza, e se la S. V. medesima può
aver bisogno di me, non ha che da domandare di Michele al Caffè che si
trova sulla piazza Grande...
— E così ora, per introdurmi presso chi vi ha mandato?....
— Io non ho più da immischiarmene. Lei non ha che da salire a quel
secondo piano, e certamente troverà chi sarà destinato a riceverlo.
— Va bene... Allora siete in libertà.
Levò di tasca un portamonete e lasciò cadere nella mano di quell’uomo
un tre o quattro lire.
— Grazie infinite! — disse quell’altro inchinandosi umilmente. — Si
ricordi, se mai le occorre qualche cosa, Michele al Caffè della Piazza
Grande.
E data una sbirciatina al conte di Valneve e a Pietro Carra, che
erano pochi passi discosto, partì sollecito e subito si perdette
nell’oscurità della notte. Chi gli avesse tenuto dietro, lo avrebbe
visto camminare frettoloso verso il palazzo dov’erano l’ufficio e
l’abitazione del Direttore di Polizia, e là, colla sicurezza di chi è
di casa, entrare, esservi ammesso e penetrare, senz’indugio, fino nella
camera medesima del Pancrazi.
Appena allontanato quel Michele, il conte di Valneve disse premuroso ad
Alfredo:
— Qualunque cosa sia venuto a dirti quell’uomo, qualunque rapporto tu
abbia con esso, guardati bene, egli è un agente della Polizia.
— Che m’importa? — rispose impaziente il Camporolle. — Egli mi ha
guidato dove volevo, mi ha recato l’imbasciata che più desideravo.....
Ora lasciatemi: io bisogna che penetri là.
— Là dov’è andato il duca? — domandò Ernesto meravigliato.
— Sì.
— Ma bada bene! Tu ti metti evidentemente in un pericolo! chi sa che
qui non ci sia un tranello.
— Qualunque cosa sia, bisogna ch’io ci vada e ci andrò. Non sai
che questo momento sono mesi che l’aspetto, che lo desidero, che lo
sogno?... Tu Valneve, causa un semplice puntiglio, hai fatto e stai
facendo delle pazzie per una ballerina: pensa che cosa non devo fare io
per una passione fortissima, disperata.
Nessuna parola valse a trattenerlo.
— Ebbene, — finì per dire Ernesto — va pure e che Dio t’accompagni;
ma io non t’abbandono affatto, e ricordati in ogni caso che qui fuori
avrai un amico che aspetterà la tua uscita... che è pronto ad accorrere
al tuo appello.
— Saremo anzi in due, — aggiunse Pietro Carra, — perchè anch’io starò
ad aspettarla insieme col signor conte.
Alfredo strinse le mani di quei due recenti, così zelanti amici,
e si slanciò correndo nella porta della casa dove abitava la
baronessa. Giunto al secondo piano trovò l’uscio dell’alloggio
aperto e l’anticamera illuminata; vi entrò palpitando. Una donna che
evidentemente aspettava gli corse incontro, l’indice alle labbra,
a raccomandargli il silenzio, lo prese per mano e lo trasse con sè
sollecita camminando con precauzione, in certe stanze scure, dove il
rumor dei passi era ammortito da spessi tappeti.
Quella donna era la governante che accompagnava sempre la baronessa.


XVIII.

La mattina di quel giorno medesimo in cui ella era poi comparsa al
teatro a destare tanta curiosità di sè, la baronessa di Muldorff,
come aveva detto Pietro Carra, era arrivata ad occupare quel suntuoso
appartamento che da parecchio tempo si teneva preparato per lei, e
in faccia al quale trovavasi l’abitazione del sellaio cugino della
Carlotta ballerina.
Appena giunta e neanco riposatasi, nè rifocillatasi, la forestiera
aveva avuto un colloquio da solo a sola, nel suo gabinetto
accuratamente chiuso, con un uomo che venne da lei coperto di mantello,
celato quasi affatto il viso, come appunto quel tale che era stato a
trovarla misteriosamente in Bologna e aveva eccitato in sì fiero modo
i sospetti, la gelosia e la collera di Alfredo di Camporolle; anzi
se quest’ultimo fosse ora stato lì a vedere costui, avrebbe di certo
riconosciuta in lui l’andatura di quel primo, anzi perfino lo stesso
mantello onde tutto si copriva.
Quando l’uscio del gabinetto della baronessa si fu richiuso alle spalle
di quest’uomo, la signora disse:
— Qui siamo soli e affatto sicuri.
Egli si tolse il mantello e lo gettò in un canto, si levò il cappello,
si sbarazzò della fascia di cui si cingeva il mento e lasciò scorgere
l’antipatica fisonomia del Pancrazi, il direttore della Polizia.
Quell’uomo e quella donna stettero l’uno in faccia dell’altra,
guardandosi poco meno che come due avversari, certo come due che
tentassero dominarsi a vicenda; non si diedero saluti, nè si fecero
complimenti.
— Sarete contenta d’essere qui finalmente? — disse lui.
— Sì, finalmente! — rispose la donna con una cupa energia. — Non ho
voluto venire che quando avessi tali pretesti, tali ragioni da non
destare più il meno sospetto in... colui.
Il Pancrazi crollò le spalle.
— Lui? — esclamò. — Sospetti?... Di tutto quello che è avvenuto con
voi, non si ricorda nemmeno più. Non si rammenta nemmeno che voi
esistiate.
La donna corrugò le sopracciglia, mandò dagli occhi quel lampo quasi
feroce che abbiamo già notato più volte e aprì le labbra sanguigne ad
un sorriso terribile.
— Va bene! — disse con voce vibrata. — Vengo io a fargli rammentare
qualche cosa.... Tanto meglio che m’abbia del tutto obliata: avrò di
nuovo per lui un poco dell’attrattiva della novità e un poco eziandio
di quella dei ricordi. Potrò ancora meglio ammaliarlo.
Si trasse indietro dalla fronte le ricche ciocche de’ fulvi capelli,
abbassò il fazzoletto che le copriva il collo e le spalle di forme
scultorie e gettò sopra l’alto specchio che aveva davanti uno sguardo
che era una fiamma.
— Posso ancora ammaliarlo? — ripetè con voce soffocata, quasi
domandando a sè stessa.
— Oh sì! — rispose con un accento alquanto più vibrante del solito il
direttore di Polizia, e anche nelle sue fosche, fredde pupille, corse
un lampo che tosto si spense.
— Voi credete? — rispose la donna, volgendosi ratta all’interlocutore.
Il Pancrazi era tornato nella sua usata apatica indifferenza; e rispose
con quella sua voce fredda, monotona, senza armonia, senza espressione,
come la faccia di cartapecora:
— Voi siete più bella, più giovane, più seducente di quanto vi abbia
mai veduta; e otterrete tutto quel che vi piace.
La seducente baronessa si gettò a sedere con abbandono sopra una
specie di divano, appoggiò il braccio destro ad una pila di cuscini,
sostenendosi così mezzo ripiegato il corpo voluttuosamente atteggiato,
allungò sopra un carello, tanto da porli bene in vista, i piedini
vestiti di calze di seta color rosa e fece segno al Pancrazi sedesse.
Egli prese freddamente una seggiola, venne a piantarla a due passi
lontano da lei e vi si assettò tranquillamente.
— Voi persistete dunque sempre nel vostro proposito? — domandò egli,
fissando la donna col suo sguardo da poliziotto.
La baronessa fece un atto pieno di risoluzione e di forza:
— Sempre!
— Quando ci siamo veduti a Bologna, io vi ho pur detto...
Essa interruppe impaziente:
— Tutto quello che mi diceste e allora e prima, tutto quello che mi
potreste mai dire e ora e poi, non varrà a mutare d’un atomo quello che
ho deciso.
— Per mille diavoli, l’odio di voi altre donne, quando ci si mette, dà
dei punti all’odio più accanito, più feroce, più ostinato degli uomini.
Gli occhi della donna ebbero la loro più cupa, più selvaggia, più
cattiva espressione.
— Io non so come odiate voi altri uomini, — disse con voce che quasi
sibilava fra i denti stretti da una contrazione del viso che lo rendeva
poco meno che terribile, — non so come odiino le altre creature di Dio.
Quanto a me, non ho nell’odio, come in nulla del resto, nè mezzo, nè
misura. Sono assoluta, eccessiva, se vi piace, in tutto. È Dio che mi
ha fatta così. Avrei potuto essere un angelo di bontà...
Il Pancrazi ebbe un leggerissimo movimento delle labbra scialbe e
sottili, che la donna interpretò per un sogghigno.
— Sissignore, — insistè essa con forza: — — lo sento in me. Avevo la
capacità e fors’anco l’amore del bene. Sono invece diventata un’empia,
malvagia femmina; un dèmone di tristizia, di corruzione, d’ogni male.
Chi l’ha voluto?... Voi conoscete la mia vita, voi mi avete vista
bambina nelle mani di uno scellerato saltimbanco...
Il direttore di Polizia contrasse un istante le cascanti fattezze
della faccia incartapecorita e fece un movimento colla mano, come a
significare che quelle memorie erangli presenti, ed era superfluo il
richiamarle.
— Chi mi ha voluta qual sono? Chi mi ridusse tale?... Sono i casi,
sono le condizioni in cui vissi, è il complesso di tutte le vicende
per cui si manifestano la volontà e l’opera della Provvidenza... se
pure c’è una Provvidenza. Chi sa che in me appunto questa non abbia
voluto preparare uno stromento da punire quell’altro tristissimo,
scelleratissimo!... Esso è un mostro d’uomo: bene, ecco che si è
suscitato a preparargli il giusto destino che gli spetta un mostro di
donna... Ma non sapete voi che io, quel ridicolo eroe di prepotenza,
d’immoralità, di cinismo l’ho detestato sempre, anche quando colle mie
seduzioni gli facevo dimenticare sul mio letto di cortigiana il gran
collare dell’Ordine dell’Annunziata?... Anche prima di quella tragedia
fatale?.... Ma poi quando questa avvenne!... Ho amato al mondo un
uomo solo: prima di lui non avevo amato nulla nè nessuno; dopo di lui
non ho potuto nè potrò più amar nessuno, nè nulla mai! Ma quell’uomo
l’ho amato con tutta la forza, con tutto l’impeto, con tutto l’ardore
della mia anima, e per lui avrei affrontato non solo i dolori e i
pericoli e le autorità della terra, ma l’inferno, l’eternità e Dio!...
La prepotenza umana, quello che si chiama la legge, che osa dirsi la
giustizia, me lo strappa, me lo condanna a morire, lui giovane, bello,
forte, superiore d’ingegno, d’animo a tutti.
— Quell’uomo era un assassino, — disse a mezza voce, ma spiccato il
Pancrazi.
La donna fe’ un balzo, come pantera ferita, si drizzò della persona
fieramente, e con uno scoppio di voce a cui s’accompagnava lo
scintillar dello sguardo, gridò:
— Che m’importa?... Assassini sono pure i re, sono i soldati, sono
i giudici... Gian-Luigi, vi ripeto, era un essere al di sopra degli
altri uomini... Che egli abbia dovuto morire fu una empietà, fu una
barbarie, fu quello un vero delitto... E costui, questa caricatura di
principe avrebbe potuto salvarlo... Io mi trascinai in ginocchio a’
suoi piedi: io lo supplicai coll’ardore, coll’umiltà, colla adorazione,
con cui una santa supplica Iddio. Egli avrebbe potuto ottener
grazia dal re Carlo Alberto: avrebbe potuto farlo fuggire... Saremmo
andati io e Gian-Luigi, tanto, tanto lontano che nessuno avrebbe più
saputo nulla mai di noi: saremmo vissuti così felici! Saremmo stati
convertiti ambedue al bene... No, quello sciagurato mi respinse, mi
schernì... e fui costretta io stessa colla vostra protezione... — fece
una brevissima pausa, e poi soggiunse con voce più bassa, ma quasi
fremente: — che voi mi avete venduta a un caro prezzo.
Il poliziotto stette impassibile: sollevò i suoi occhi spenti in volto
alla donna e disse lentamente:
— Voi odiate dunque anche me, e non mi avete perdonato, nè perdonerete?
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