La vendetta di Zoe : Aristocrazia I - 02

mise il sangue in bollore: non era più lui che cercasse le espressioni,
ma fu un’eloquenza strana, concitata, pazza che prese violentemente
possesso di lui, che gli sgorgò spontanea, impetuosa, delirante dalle
labbra, che disse tutto, che rivelò tutto, che pose a nudo del giovane
tutta l’anima, tutta la vita, tutti i pensieri, tutti i sogni, tutti
gli spasimi, tutti i temerarii desideri e speranze.
La baronessa non lasciava trasparire sulla faccia nessun segno
d’emozione: il suo fiero pallore non si mutò menomamente, la rigida
freddezza dei suoi lineamenti non si alterò pure un istante; ma
ascoltò attenta. Dopo un poco senza parlare, aveva passato la mano
sotto al braccio del giovane, e dandogli la spinta l’aveva fatto
camminare, venendogli allato, posando lievemente la sinistra inguantata
sull’avambraccio di lui, premendogli delicatamente il fianco colla sua
persona. Camminava a pari passo con lui, e teneva il capo chino; ma
tratto tratto levava un poco la faccia e di sotto alle lunghe palpebre
saettava sul giovane uno sguardo osservatore, curioso, stupito, sempre
più interessato.
In Alfredo la paura era passata, l’emozione, anche perdurando, aveva
perduto di quel tormento, di quell’ansia angosciosa che prima gli
stringevano il cuore. Egli sentiva una deliziosa dolcezza; era come
un dilettoso sogno fatto da sveglio. Trovavasi in una quasi assoluta
solitudine, con quella donna che gli era apparsa tanto al di sopra di
lui, della quale aveva così ardentemente e con sì poca, anzi nessuna
speranza, agognato la conoscenza; ed essa gli camminava allato con
una certa fiducia, quasi con amichevole famigliarità e ascoltava le
effusioni dell’amore di lui e di più le incoraggiava di quando in
quando con isguardi interrogatori e benigni!
Poichè ebbe esaurita tutta la piena de’ suoi sentimenti ed affetti,
il giovane si tacque palpitante, attendendo con intimo tremore dalle
sottili labbra della donna così fermamente chiuse una parola che, come
sogliono dire gli amanti, gli aprisse il paradiso e lo precipitasse
nell’inferno. La baronessa non mutò contegno, nè andatura, nè
espressione: seguitò a camminare a capo basso, come se udisse ancora
suonare all’orecchio quella voce giovanile, calda, concitata, fremente,
come se prestasse tuttavia una profonda attenzione a qualche melodia
lontana che le venisse ad accarezzar l’anima.
A un tratto ella si fermò, sollevò il viso e piantò quei suoi occhi di
fuoco in faccia al giovane.
— Lei... forse... è piemontese? gli domandò con una mal celata emozione.
— No, — rispose Alfredo alquanto stupito a questa domanda: — io nacqui
per caso in un piccolo villaggio presso Parma.
La donna mandò dalle pupille uno di quei suoi lampi feroci.
— Ah Parma! — ripetè con voce stridente — La sua è dunque famiglia
parmigiana?
— Neppure: — disse il giovane. — Per azzardo, mia madre si trovava in
viaggio da quelle parti quando io venni al mondo; e fui battezzato in
una piccola pieve di campagna.
— E lei, — riprese la baronessa, spegnendo di nuovo negli occhi quel
fiero bagliore e tornando all’espressione d’una simpatica curiosità: —
Lei è stato in Piemonte?... a Torino?
— No, mai!
La donna lo guardò ancora un poco, poi mandò un’esclamazione che pareva
un sospiro, che pareva una voce di sollievo, un eco di qualche dolorosa
memoria, chinò nuovamente gli occhi e disse mestamente:
— Le ho domandato ciò, perchè alcune inflessioni della sua voce, alcuna
espressione del suo sguardo mi ricordano persona di cui... di cui è
inutile ch’io le dica pure una parola... È una follia, mi scusi.
— Se fosse una gradita memoria quella ch’io le posso rievocare, ne
sarei lieto...
La baronessa corrugò le sopracciglia quasi minacciosamente.
— È una dolorosa memoria... dolorosissima — esclamò, — ma che pure mi
è cara... Deve ad essa se io l’ho lasciata accostarmi, accompagnarmi,
parlarmi come ha fatto, se ho ascoltato finora tacendo e senza sdegno
le pazzie che m’ha dette.
Alfredo fu assalito da un impeto di gelosia retrospettiva.
— Ah! è doloroso quel che lei mi dice! — proruppe. — La fortuna di
questo momento io la devo alla disgrazia di averle richiamato alla
mente un altro...
Ella non lo lasciò continuare.
— Quella di conoscermi, quella d’incontrarmi, quella d’amarmi... dirò
la parola, poichè lei l’ha ripetuta tante volte... non è una fortuna,
ma una vera disgrazia. Io non posso amare nessuno, sa!
Il giovane fece un gesto come d’incredulità.
— No signore: — insistette ella con forza: — non posso, e non voglio...
ma volessi pur anche, creda a me che sono in un momento di sincerità,
volessi pur anco, non sono più capace d’amare... e non sono degna
d’essere amata.
Alfredo interruppe con un grido di protesta.
— Creda quello che vuole! — riprese la donna con accento e mossa che
non erano più da quella superba gran dama che era apparsa fin allora,
ma che sembravano rivelare natura e abitudini più volgari. — Io faccio
forse male a parlare così: ma mi ha colta in uno strano momento di
sincerità e il vero mi è sfuggito dalle labbra. Ritenga pure ch’io non
ho parlato: se così piace a lei, piace anche a me; ma noi non possiamo
andare neppure per un po’ di tempo giù della medesima strada: o io
farei danno a lei o lei impaccerebbe me; e più facilmente ci faremmo
del male ambedue... Dunque rientri in sè, metta giudizio e se io prendo
a destra, lei volga a sinistra.
— No, no! — gridò Alfredo, a cui l’accesso della passione non lasciava
luogo a riflettere, non permetteva neppure di scorgere la mutazione di
tono nel discorso di quella donna. — Per me è impossibile far quello
che lei dice. Io sento tutta la mia vita legata a quella di lei; io
ho bisogno di vederla... sì, almeno questo, vederla; e s’ella non ha
che un briciolo di pietà nel cuore, deve concedermi ch’io la possa
contemplare, ammirare, adorare, non fosse che da lungi.
La baronessa sorrise.
— Da lungi... ben da lungi, pazienza! — disse riprendendo il braccio
del giovane e tornando a passeggiare a paro con lui. — Bisogna proprio
che la si contenti di codesto... Lo avrà già notato, signor conte, e
ora io glie l’affermo solennemente: io non ricevo nessuno... nessuno
assolutamente!... tanto meno un giovanotto.
— E dunque — proruppe Alfredo con vero dolore che non potè frenare, — e
dunque io non le potrò più parlare!... Mai più!
La baronessa sorrise di nuovo: poi tosto si rifece seria; guardò
daccapo fiso il giovane, le labbra color di sangue più serrate, i
lineamenti più rigidi, le guancie più pallide che mai. Le sopracciglia
si corrugarono un poco, gli occhi ebbero quel fosco bagliore che
abbiamo già più volte accennato. Stette un poco in silenzio, quasi
riflettendo. Chi sa quali pensieri passavano per la sua mente! Un acuto
osservatore avrebbe ad ogni modo affermato per sicuro che non erano
pensieri di commozione, nè di tenerezza, nè di pietà per quel giovane.
— Parlarci: — diss’ella poi; — per che cosa? Ella mi vorrebbe ripetere
quello che or ora ho udito da lei? Già non può aggiungervi nulla... E
io non avrei mai nessuna risposta da farle, glielo ripeto... Ma non è
impossibile che possiamo incontrarci ancora in qualche luogo dove lei
mi possa accostare... qui stesso per esempio.
— Ah sì! — proruppe Alfredo che ebbe il cuore invaso di subito da una
gran gioia e da vaga, quasi inconscia, ma ineffabile speranza. — Qui
alla mattina... a quest’ora... Oh! io ci sarò sempre.
— Piano, piano: — disse la baronessa con un freddo sorriso: — non mi
corra per le poste. Ella può esserci quanto vuole, ma io non le do
lusinga nessuna di venire...
— Come? — gemette il giovane mortificato.
— Può capitare che, come stamattina, mi salti qualche giorno il
ghiribizzo di respirare un po’ d’aria pura qui sopra.
— L’aspetterò, l’aspetterò ogni giorno, signora baronessa, e s’ella
penserà che venendo può far tanto bene a un infelice...
— Io non penserò nulla: — interruppe freddamente la donna. — E ora mi
lasci perchè io torni alla mia carrozza.
— Ancora una grazia! — supplicò Alfredo: — mi dica il suo nome, perchè
io possa invocarla col mio pensiero sempre rivolto a lei.
La baronessa parve esitare un momento.
— Zoe: — diss’ella poscia, e s’allontanò seguita dal domestico.


V.

Alfredo non mancò più un giorno di fare la mattutina passeggiata alla
Montagnola; ma passò una settimana e più senza che potesse rivedervi la
baronessa. Finalmente, quando già cominciava a perdere ogni speranza e
a credere con dolorosa rabbia che quella donna o avesse voluto beffarsi
di lui o l’avesse affatto dimenticato, egli, una mattina che la
giornata era più fredda e quindi la passeggiata era ancora più deserta
del solito, la vide venire come quella prima volta, lasciando al basso
della salita la carrozza e seguitata da quel medesimo domestico. Le
mosse incontro sollecito; essa non sollevò il velo che le copriva la
faccia, ma traverso i bucherelli della leggerissima garza gli sorrise
amichevolmente e lo regalò d’un’occhiata che poteva quasi dirsi
benigna. Non tolse la mano dal manicotto per porgergliela, ma gli si
accostò presso presso con una espansiva fiducia e gli disse:
— Ben trovato!... Passeggiamo come l’altra volta... e mi dica quello
che ha fatto di bello in questo frattempo.
S’avviò senza dargli il braccio, ma premendolo lievemente al fianco; e
parve volerlo incoraggiare nei discorsi colla graziosa gentilezza dei
suoi sguardi.
Il giovane rispose quello che avrebbe risposto ogni altro a suo luogo:
— Che cosa ho fatto?... Ma ho pensato a lei... ho pensato a lei... e ho
pensato a lei.
Essa rise: il suo riso, per dirla di passata, non era melodioso, dolce,
soave, come si sarebbe aspettato dalla bellezza e dalla gioventù della
donna, aveva qualche cosa di secco, di aspro, di maligno; ma Alfredo
non badava a ciò e non se ne accorse menomamente.
— Vuol dire che ci ha pensato troppo: — diss’ella: — e nessuna cosa
soverchia va bene.
— In amore non c’è mai nulla di soverchio: — esclamò Alfredo: — nè
ardore, nè sacrificio, nè idolatria.
Gli occhi della baronessa balenarono: le labbra color di sangue
sorrisero stranamente.
— Parole avventate di giovane! — susurrò come parlando a sè stessa. —
Tal che si vanta capace di sacrifici, non sopporterebbe un incomodo per
guadagnarsi un sorriso di colei a cui si protesta devoto.
— Mi comandi e vedrà! — gridò con forza il giovane. — Io non sono come
tutti gli altri, io non amo come tutti gli altri uomini; io mi sento
capace di tutto.
La donna lo guardò ben bene per un momento, poi levò dal manicotto la
sua piccola mano inguantata e la posò sul braccio del conte.
— Ah! se fosse davvero!...
Quella mano che s’era posta sul braccio d’Alfredo, lentamente, ma
fortemente così che di tanto vigore non l’avreste creduta capace,
strinse e premette; parve quasi al giovane che una corrente infuocata,
da quella piccola destra, passasse nelle sue vene traverso la pelle
del guanto ond’era coperta, traverso i panni onde il braccio di lui era
vestito.
— Ebbene? Se fosse!... — esclamò egli. — Io le dico, le protesto, le
giuro che è così... Mi metta alla prova.
La baronessa ritirò la mano e la nascose di nuovo nel manicotto;
avvolse il giovane da capo a piedi in uno di quei suoi sguardi che
erano tutta una fiamma, che investivano come un colpo di fulmine,
gli fece un sorriso amoroso e serio insieme, promettente e pur quasi
minaccioso, e mormorò colle labbra sanguigne che fremevano:
— Forse!... Chi sa!...
Alfredo avrebbe voluto spiegazioni maggiori, proposte definite,
assumersi subito qualunque più grave impegno; ma essa lo interruppe.
— Basta di ciò... Non parliamone altro; non è il caso di parlarne... Se
avvenisse anche il caso ch’io dovessi chiedere a un uomo un servizio di
vita o di morte, come vuole che mi venisse in pensiero di rivolgermi a
lei che non conosco nemmeno?
— Ma lei conosce tutto di me; ma io le ho aperta proprio l’anima mia;
ma domandi tutto ciò che le occorre sapere...
— Parliamo d’altro, le ho detto: e per prima prova della devozione che
mi protesta, impari ad ubbidirmi.
Alfredo ripetè con qualche variazione tutto quello che aveva già detto
del suo amore nel primo colloquio, ed ella lo ascoltò con più benigno
e incoraggiante contegno; quando si separarono, la donna si lasciò
strappare la promessa che il dopodomani sarebbe tornata a quell’ora
medesima alla Montagnola.
Al povero innamorato pareva già un gran trionfo, una invidiabile
fortuna, l’averne ottenuto un preciso ritrovo. Ma doveva essere davvero
una fortuna soverchia per lui, perchè il destino non glie la volle
concedere, e quella mattina egli calpestò invano fino a mezzogiorno con
piede irritato la ghiaia della pubblica passeggiata. Rientrò in città
turbatissimo, oscillante fra lo sdegno d’essere stato corbellato e la
paura che qualche disgrazia fosse capitata alla baronessa; andò diviato
alla locanda dove essa era alloggiata e chiese audacemente di lei. La
signora, secondo il solito, non riceveva nessuno, ma era in casa, non
era uscita di tutta la mattina e non aveva ordinato la carrozza per
tutta la giornata. Una vistosa mancia fatta scivolare destramente nella
mano del cameriere determinò quest’ultimo a rivelare al giovane una
cosa che gli avevano comandata di tenere assolutamente segreta.
Quella stessa mattina un uomo vestito signorilmente, ma che fra il
colletto impellicciato e tirato su del pastrano e una ampia fascia
che gli avvolgeva il volto aveva così bene celati i lineamenti da non
poter essere riconosciuto anche da una persona a cui fosse famigliare,
si era presentato chiedendo della baronessa e, come tutti, ne aveva
ricevuta in risposta che quella signora non riceveva assolutamente
nessuno. Il forestiero non s’era per nulla scomposto, ma tirato fuori
una sua polizzina ci aveva scritto su poche parole, l’aveva chiusa
in una busta, accuratamente suggellata quest’ultima e aveva ordinato
con accento imperioso si consegnasse subito subito quel biglietto
alla signora baronessa. L’effetto ne era stato meraviglioso; le porte
dell’appartamento della signora si erano spalancate sul momento al
misterioso visitatore, il quale, tutto camuffato come si trovava, era
penetrato fino nel camerino di _toilette_ della baronessa e là stava
tuttavia dopo più di tre ore.
Fu lo sdegno, fu il sospetto che allora prevalsero nell’animo di
Alfredo. Un tormento dell’amor suo, che fin’allora non aveva ancora
provato, gli morse di subito e con tutta violenza il cuore: il tormento
della gelosia. Uscì dall’albergo, pallido, i muscoli della faccia
contratti, il cervello in tumulto, parendogli di essere il più infelice
uomo del mondo, credendosi egli medesimo in quel momento capace di
qualunque eccesso per isfogare il suo contenuto furore, per vendicare
lo strazio indicibile che provava. Si diede a passeggiare su e giù
per la strada in cui era la locanda, senza mai perderne di vista la
porta. Voleva aspettare che quel tale uscisse di là; voleva vederlo.
Che cosa avrebbe fatto, non sapeva, ma qualche cosa pensava che dovesse
ed era risoluto di fare. Per fortuna, il tempo assai lungo che passò,
l’esaurimento delle forze nel giovane stato tutto il giorno senza cibo
e il freddo frizzante di quella giornataccia d’inverno che si aveva,
riuscirono a calmare il sangue e la mente del geloso, di modo che
quando verso le quattro, in sul primo venir del crepuscolo, quell’uomo
uscì dal portone dell’albergo, in Alfredo non nacque più altro
pensiero, non restò più altra risoluzione che di seguirlo cautamente e
tentare di sapere chi fosse, dove andasse.
Che quello fosse l’uomo di cui gli aveva detto il cameriere, Alfredo al
primo vederlo non ebbe il menomo dubbio. Aveva il viso nascosto come
gli era stato descritto: e uscendo aveva gettato intorno uno sguardo
osservatore e sospettoso, proprio di chi cerca scoprire se possa esser
visto da qualcuno che non vorrebbe. S’era poi avviato per una strada di
buon passo, come desioso di allontanarsi al più presto; e il conte di
Camporolle, seguitandolo dalla lungi, lo vide recarsi in un albergo di
terzo ordine che si trovava in una delle strade meno frequentate della
città.
Dieci minuti dopo che quell’uomo era rientrato nella locanda, Alfredo,
a cui la gelosia dava coraggio e idee, penetrava nell’ufficio della
locanda medesima e usando largamente di quell’argomento universale
che riesce a vincere quasi tutte le coscienze umane e che si conia in
monete da venti franchi, riuscì a sapere che l’uomo tornato a casa
poc’anzi, era arrivato quella stessa mattina da Parma, che appena
arrivato era uscito per non rientrar più che in quel momento, che
sembrava un uomo di buona età, ricco perchè aveva pagato larghe mancie,
che non si sarebbe fermato più di due o tre giorni, avendo seco per
bagaglio appena un piccolo sacco da viaggio.
Alfredo prese scarsamente il tempo di rifocillarsi con un boccone di
pranzo, e poi s’affrettò a recarsi di nuovo innanzi alla locanda dove
abitava la baronessa. La notte era venuta, ed era una notte fredda,
nebbiosa, di quelle in cui, salvo ad esserci forzati, nessuno mette
i piedi fuori di casa. Le finestre del quartiere della baronessa
erano affatto scure. Il giovane stava per avventurarsi a penetrar
nell’albergo e chieder della signora, quando vide arrivare e fermarsi
innanzi al portone una carrozza di piazza. Un segreto istinto gli
fece indovinare che quella carrozza aveva qualche cosa da fare
con quella donna per cui egli si sentiva l’anima alla rovescia; si
accostò più che potè al portone tenendosi celato nell’ombra e stette
ad aspettare. Intanto guardava, come se volesse imprimerseli nella
memoria, il cavallo, il legno, il cocchiere. Dopo due minuti, una
donna imbaccuccata in un mantello impellicciato, uscì frettolosamente
dalla locanda, passò come un baleno e si gettò nella carrozza di
cui un cameriere teneva aperto lo sportello. Il cameriere, rinchiuso
l’usciolo, diede un indirizzo al cocchiere: questi frustò la sua rozza
e la carrozza partì. Tutto ciò era avvenuto proprio colla rattezza
d’un lampo; ma Alfredo in quella donna aveva riconosciuto lei; ed egli
voleva assolutamente scoprire dove andasse. Suo primo impulso fu di
correre dietro alla carrozza, ma in un attimo essa era sparita allo
svolto d’una cantonata; il giovine cercò cogli sguardi se alcun’altra
vettura di piazza potesse trovarsi colà; non ve n’era affatto: e
allora, dominato da una subita idea, si avviò di corsa verso il
meschino albergo nel quale poche ore prima egli aveva visto entrare
quel misterioso personaggio.


VI.

Il suo sospetto non s’era ingannato. Ferma innanzi alla porta della
meschina locanda, egli vide una carrozza di piazza; ne riconobbe
alla prima occhiata la forma, il color della vernice, il cavallo,
il cocchiere: era quella in cui aveva visto salire la baronessa.
Dunque il lungo colloquio del giorno durato fino alle quattro della
sera non aveva bastato a quei due, e appena chiusa la notte, essa,
essa stessa era venuta a trovar lui con tanta premura, con tanta
segretezza! Se quella donna adunque non riceveva nessuno, se respingeva
superbamente gli omaggi di tutti, se lui medesimo, Alfredo, lasciava
consumarsi d’amore senza pietà nessuna, era perchè aveva altri impegni,
un’altra passione, un legame che le era caro? E chi era costui? E
perchè quel mistero? E perchè non dirgli apertamente a lui: «amo,
sono di un altro?» Il povero giovane soffriva orribilmente. Nessuna
ragione, fuorchè la violenza, sarebbe riuscita a strapparlo di là.
Aspettava fremendo; gli pareva che qualche cosa di terribile avesse
da succedere, e voleva esserci, voleva vederlo, voleva averci parte. I
minuti passavano lenti, eterni; quando gli venne in mente di guardare
l’orologio, un’ora era trascorsa e gli sembrava che fosse stato un
lungo, intero giorno.
Finalmente un cameriere venne a chiamare la carrozza che s’era fatta
in disparte e quella si recò innanzi al portone della locanda. Alfredo
si slanciò. Quando la donna pose il piede sul predellino e si diede la
spinta per salire nel legno, sentì una mano di ferro che le afferrava
e stringeva il braccio. Si volse spaventata, gettando un piccolo grido:
riconobbe la faccia sconvolta del giovane e allo spavento sottentrò in
lei la meraviglia.
— Voi, conte? — esclamò. — Come qui?
Egli le rispose con voce soffocata, coi denti stretti:
— Io... vi ho spiata... bisogna che vi parli.
— Perchè?... Che cosa mi volete?... Chi, che cosa vi mosse a spiarmi?
Un lampo di fiera soddisfazione guizzò nei suoi occhi.
— Ah! siete geloso? — soggiunse abbassando la voce e chinandosi verso
il giovane così che le sue labbra gli toccarono quasi l’orecchio.
— Sì! — ruggì Alfredo a cui il caldo soffio della donna che gli
sfiorava la guancia metteva l’incendio addosso.
— Va bene, va bene, — proruppe essa con una strana gioia, stringendogli
a sua volta le mani, occhieggiando più seducente che mai. — Vi
ringrazio!... E se fosse ciò appunto ch’io desiderava da voi?... Oh
anch’io bisogna che vi parli... Ma non ora, non qui... Domattina alla
Montagnola... Veniteci pur presto. Ci sarò. Oh ci sarò!
Gli scoccò uno sguardo che era una carezza, un sorriso che era un
bacio, e approfittando della scossa che Alfredo ne ebbe, per cui diede
indietro d’un passo, saltò nella carrozza, rinchiuse lo sportello,
gridò al cocchiere: «avanti» e partì.
La vettura era già sparita al canto della strada che il giovane
rimaneva ancora là intento, sbalordito, cogli occhi abbacinati,
coll’anima commossa da quello sguardo, da quel sorriso.
Il domattina fu per tempo al luogo assegnato, e questa volta non ebbe
da aspettare dimolto. La baronessa scese di carrozza al solito posto e
venne su con passo più affrettato del solito, il velo alzato dal viso,
e l’aspetto animato, e sola affatto, non più seguita dal domestico.
Alfredo aveva creduto fino allora che al vederla egli sarebbe scoppiato
in rimproveri, in lamenti, in imprecazioni, in isfogo rabbioso dei
tormenti che aveva sofferto per lei il giorno precedente e tutta la
notte trascorsa. Invece non fu buono a dir nulla: si lasciò pigliare
le mani da lei, che gliele strinse forte; sentì una grande amarezza,
un grande scoraggiamento, e gli occhi pieni di lagrime, indispettito
di piangere, mordendosi fino al sangue le labbra per vincere la sua
commozione, impacciato, tormentato sotto lo sguardo ardente, fisso di
lei, non riuscì che dopo un poco a balbettare:
— Voi ne amate un altro, voi siete d’un altro... Tutto è finito per
me... Perchè non dirmelo?...
Essa gli stringeva sempre forte forte le mani, gli stava lì al petto
vicina da toccarlo, lo guardava fiso con quelle pupille che emanavano
luce e calore. Taceva, ma sembrava fremere d’una potente emozione. Il
luogo era deserto; un leggero venticello faceva frusciare i rami secchi
degli alberi; qualche passero in cerca di cibo gettava in mezzo a quel
silenzio una nota stridente che pareva una voce di dolore: ma il sole
già alto sull’orizzonte rallegrava il paesaggio con una larga ondata
di luce giallastra. La donna guardava sempre Alfredo a quel modo. Un
raggio di sole veniva a scherzare coi capelli di lei che parevano
indorati, le metteva una fulgida striscia sulla fronte di marmo,
suscitava scintille nella piccola pupilla profonda. Il cuore di lui
batteva da fargli male.
Liberò le sue dalle mani della donna, si trasse in là, si coprì colla
destra gli occhi e susurrò:
— Ah! voi mi fate soffrire.
— Alfredo! — disse ella finalmente e con voce in cui vibrava
un’emozione quale egli mai non aveva in essa avvertita. — Alfredo! Tu
hai dunque tutte le buone qualità? Sei geloso!... Ieri sera traverso
lo sconvolgimento de’ tuoi tratti, nel lampo feroce de’ tuoi occhi,
ti ho letto finalmente nell’anima come non avevo ancor fatto mai...
Tu sei geloso tanto da essere capace di piantare un pugnale nel cuore
alla donna che ti tradisse, di ammazzare colle tue mani l’uomo che ti
rapisse il cuore, il possesso della donna che tu ami!... — Il giovane,
a quelle parole sentì ridestarsi più vivo l’impeto della gelosia.
— Sì! — gridò con veemenza.
— E tu sei quale appunto io ti desiderava... Supponi ch’io cercassi un
uomo di questa tempra!... Forse è la Provvidenza che ti ha messo sul
mio cammino... Forse tu sei quello che ha da aiutarmi a compire un gran
fatto.
S’interruppe: evidentemente si pentì di quelle parole, a cui si era
lasciata trascinare da una subita, potente emozione; si calò il velo
innanzi alla faccia e soggiunse colla calma freddezza delle altre
volte:
— Credetelo, conte, per una donna che comprenda veramente l’amore, una
reale, profonda, potente gelosia è l’argomento più sicuro della forza
dell’affetto... Questo ho voluto dirvi e null’altro.
— No, no: — proruppe Alfredo. — Voi avevate già cominciato a lasciarmi
penetrare nell’anima vostra, e ora me ne volete di nuovo respingere, e
me ne volete richiudere da capo. No, Zoe, non essere così crudele con
me... Mi hai fatto tanto bene parlandomi coll’abbandono del tu: perchè
ritogliermi la soavità di quella domestichezza?... Te l’ho già detto
altra volta. Io per te sono capace di qualsiasi cosa. Dimmi, comandami,
accennami.
La baronessa prese con fare scherzoso il braccio del giovane e
facendolo camminare di conserva gli disse:
— Vieni qui, ragazzo, e passeggiamo discorrendo tranquillamente. Sono
incredula all’amore degli uomini: comincio a credere al tuo: è già un
gran fatto: non ti basta? Non amo nessuno: te l’ho detto e giurato;
te lo ridico e te lo rigiuro... Veggo sulle tue labbra prepararsi
le parole con cui vuoi interrompermi: E l’uomo di ieri? E le lunghe
conferenze? Ebbene, Alfredo, per davvero, su tutto quello che io
possa amare e sperare su questa terra, ti protesto che non si tratta
menomamente di amore, nè di galanteria... Non cercare di sapere di più,
e non volerti incontrare con quell’uomo, nè tentare di scoprire chi
egli sia, e Dio voglia che tu non abbia mai da fare con lui... Per me
è uno strumento, necessario, potente, ma che profondamente disprezzo.
Ti fidi alle mie parole?... Se sì, potremo continuare a vederci come
ora...
— E non di più? — non potè trattenersi dall’esclamare Alfredo.
— Indiscreto, — disse la baronessa sorridendo. — Per ora, no, non
di più... Se non mi credi, allora sarà meglio che ci separiamo
addirittura.
— Oh questo no... Ti credo, ti credo.
In realtà la sua fede non era molto robusta e radicata, perchè pochi
minuti dopo finito il colloquio colla baronessa, egli correva a quella
locanda dove era alloggiato l’uomo misterioso e ne apprendeva che
colui era ripartito quella stessa mattina per Parma. Nel libro dei
viaggiatori aveva scritto come suo nome quello di Ambrogio Denti,
negoziante.
Colla baronessa, il conte di Camporolle seguitò ad avere sempre più
frequenti colloqui, ma tutti nella deserta passeggiata. Per quanto il
giovane pregasse e insistesse, la donna mai non acconsentì a riceverlo,
mai neppure a lasciarsi accostare, accompagnare in teatro, nelle rare
riunioni sociali in cui ella interveniva. Qualche cosa però Alfredo
aveva guadagnato: la famigliarità fra lui e la baronessa era sempre
venuta crescendo; le espansioni dell’amore di lui, essa le ascoltava
con più interessamento, con più incoraggianti sorrisi; non aveva
lasciato sfuggire ancora una parola che includesse il menomo impegno
da parte sua, ma ne aveva profferite molte che potevano dar ragione a
remote speranze.
Quand’ecco a un tratto tutto questo fu troncato: e il povero giovine
potè credere che al suo romanzo, prima del tempo, venisse a strozzarlo
la crudele parola _fine_. La baronessa gli annunziò una mattina che
il domani sarebbe partita da Bologna per non tornarci più almeno
chi sa fino a quando. Alfredo propose subito di partire con lei, di
seguitarla. Essa lungamente rifiutò di dire perfino dove fosse per
recarsi: finalmente, come vinta dalle supplicazioni e dal dolore del
giovane, consentì a dirgli che la avrebbe ritrovata poscia a Parma.