La spada di fuoco : racconto - 22
e temo che sia ancora gran noia. Ma io penso, signora, che se egli
è ricco di casa sua, la sposa lo è più di lui. Voglia considerare
questa circostanza. Aggiunga poi che l’ozio non gli conviene. È
giusto che l’uomo lavori; per un uomo come lui, la cosa è più che mai
necessaria. Obbligo di buon cittadino e ragionevole amore di gloria
debbono sconsigliargli questa rinunzia ad un modo. Ella non crederà,
signora, che l’amor della gloria faccia contro all’amore di una donna.
Sono due amori che possono vivere insieme, rinvigorirsi l’un l’altro
e confondersi. Io non ho lavorato mai così bene, come quando ero
innamorato. Tra un periodo e l’altro delle mie faticose scritture,
mormoravo un nome, e ciò mi dava forza; tra una frase e l’altra de’
miei troppi discorsi mi balenava davanti agli occhi una immagine cara,
e ciò mi dava coraggio.
— Qual poeta, Eccellenza! — esclamò la duchessa.
— Non se ne maravigli, la prego; — ripigliò il ministro. — Guai a chi
non lo è un pochettino. La poesia è il «granum salis» della vita. Ma
scusi! ora parlavo latino.
— E con queste idee, come è rimasto solo?
— Necessità! ferrea necessità, che comanda a tutti, e a cui non può
sottrarsi nessuno. Ella conoscerà la teorica delle anime gemelle.
Quando si ritrovano, e libere, che gioia! Ma se una delle due non è
libera, addio felicità! son condannate ambedue alla condizione delle
due parti della cometa di Biela, che corrono la medesima via nello
spazio, senza potersi mai ricongiungere; e l’una dice buon giorno
all’altra, e sospira.
— È triste; — mormorò la duchessa.
— Sì, molto triste; — continuò il ministro. — Ma si spera in un mondo
migliore, dove tutti i contrasti si comporranno. È opinione degli
astronomi che tutti gli avanzi delle comete debbono essere attratti dal
sole, e finire insieme nel sole. —
Ommettiamo, e sempre per amore di brevità, anche il resto della
conversazione. La cui conseguenza fu questa, che il conte di Montegalda
accettò la sua destinazione, preceduta da due mesi di congedo.
— La duchessa mi ha chiamato poeta; — pensò quel giorno il ministro. —
Ritorniamo ora alla prosa. —
Proprio allora, nel bel mezzo di giugno, si discuteva a Montecitorio
il suo disegno sulle nuove circoscrizioni giudiziarie: grossa riforma,
peggio della perequazione fondiaria e della nuova legge comunale e
provinciale. I colleghi lo sostenevano; il presidente del Consiglio
aveva giurato di vincere o di morire con lui. La Camera non approvò;
il ministro cadde, e il gabinetto rimase. Il caduto n’ebbe a tutta
prima un po’ di stupore; ma tosto si rinfrancò, vincendo in lui l’amor
della pace, così propizia ai suoi nervi. E uscito dal gabinetto, e
allontanatosi da quel toro di Falaride che incominciava ad esser la
Camera, se ne andò prima del tempo in villa, compatito dagli sciocchi,
deriso dai cattivi, invidiato dai saggi.
E il conte Massimo? Non ci pensavamo più, noi; ma ci aveva pensato
Almerico. Il quale, uno di que’ giorni, ebbe dal suo Buonsanti una
ramanzina coi fiocchi.
— Ma che? davvero hai deciso di farmi disperare fino all’ultimo? Che
cosa hai tu scritto al conte di Riva? Taci, ora, stai zitto e non
rispondi! Ma io lo so, quello che hai scritto; eccola qui, la gran
lettera, in cui ti metti a sua disposizione, se egli ha il menomo
dubbio sulla tua lealtà. Ed ecco anche la sua risposta. Leggi! —
Almerico prese il foglio, che il Buonsanti gli offriva, e lesse:
«_Cavaliere stimatissimo_,
«Quello che voi prevedevate è avvenuto: il conte di Montegalda
mi ha scritto, ed io vi mando la lettera sua. Per la promessa
che vi ho fatta, non posso rispondere a lui. Ditegli, se vi
pare opportuno, che io ho già fatto molte sciocchezze in mia
vita. Ne faccio ancor una, che non sarà la peggiore. Appena
sarò ristabilito, andrò in Africa, e prenderò parte alla prima
spedizione che si farà per l’interno del paese. Quando avrò sposata
la regina di Ghera, e se il mio matrimonio spiacerà al conte di
Montegalda, me lo mandi a dire; sarò allora, con vostra licenza, il
suo uomo».
Sempre un pochettino smargiasso, il signor conte di Riva! Ma di quella
smargiassata poteva ridere Almerico. E se non rise di quella, bene ebbe
a ridere del commento che le faceva il cavaliere Buonsanti.
— Quando avrà sposata la regina di Ghera!... Non si riscaldi troppo
presto! Brutta com’è, giuoco che gli portano via anche quella. —
FINE
è ricco di casa sua, la sposa lo è più di lui. Voglia considerare
questa circostanza. Aggiunga poi che l’ozio non gli conviene. È
giusto che l’uomo lavori; per un uomo come lui, la cosa è più che mai
necessaria. Obbligo di buon cittadino e ragionevole amore di gloria
debbono sconsigliargli questa rinunzia ad un modo. Ella non crederà,
signora, che l’amor della gloria faccia contro all’amore di una donna.
Sono due amori che possono vivere insieme, rinvigorirsi l’un l’altro
e confondersi. Io non ho lavorato mai così bene, come quando ero
innamorato. Tra un periodo e l’altro delle mie faticose scritture,
mormoravo un nome, e ciò mi dava forza; tra una frase e l’altra de’
miei troppi discorsi mi balenava davanti agli occhi una immagine cara,
e ciò mi dava coraggio.
— Qual poeta, Eccellenza! — esclamò la duchessa.
— Non se ne maravigli, la prego; — ripigliò il ministro. — Guai a chi
non lo è un pochettino. La poesia è il «granum salis» della vita. Ma
scusi! ora parlavo latino.
— E con queste idee, come è rimasto solo?
— Necessità! ferrea necessità, che comanda a tutti, e a cui non può
sottrarsi nessuno. Ella conoscerà la teorica delle anime gemelle.
Quando si ritrovano, e libere, che gioia! Ma se una delle due non è
libera, addio felicità! son condannate ambedue alla condizione delle
due parti della cometa di Biela, che corrono la medesima via nello
spazio, senza potersi mai ricongiungere; e l’una dice buon giorno
all’altra, e sospira.
— È triste; — mormorò la duchessa.
— Sì, molto triste; — continuò il ministro. — Ma si spera in un mondo
migliore, dove tutti i contrasti si comporranno. È opinione degli
astronomi che tutti gli avanzi delle comete debbono essere attratti dal
sole, e finire insieme nel sole. —
Ommettiamo, e sempre per amore di brevità, anche il resto della
conversazione. La cui conseguenza fu questa, che il conte di Montegalda
accettò la sua destinazione, preceduta da due mesi di congedo.
— La duchessa mi ha chiamato poeta; — pensò quel giorno il ministro. —
Ritorniamo ora alla prosa. —
Proprio allora, nel bel mezzo di giugno, si discuteva a Montecitorio
il suo disegno sulle nuove circoscrizioni giudiziarie: grossa riforma,
peggio della perequazione fondiaria e della nuova legge comunale e
provinciale. I colleghi lo sostenevano; il presidente del Consiglio
aveva giurato di vincere o di morire con lui. La Camera non approvò;
il ministro cadde, e il gabinetto rimase. Il caduto n’ebbe a tutta
prima un po’ di stupore; ma tosto si rinfrancò, vincendo in lui l’amor
della pace, così propizia ai suoi nervi. E uscito dal gabinetto, e
allontanatosi da quel toro di Falaride che incominciava ad esser la
Camera, se ne andò prima del tempo in villa, compatito dagli sciocchi,
deriso dai cattivi, invidiato dai saggi.
E il conte Massimo? Non ci pensavamo più, noi; ma ci aveva pensato
Almerico. Il quale, uno di que’ giorni, ebbe dal suo Buonsanti una
ramanzina coi fiocchi.
— Ma che? davvero hai deciso di farmi disperare fino all’ultimo? Che
cosa hai tu scritto al conte di Riva? Taci, ora, stai zitto e non
rispondi! Ma io lo so, quello che hai scritto; eccola qui, la gran
lettera, in cui ti metti a sua disposizione, se egli ha il menomo
dubbio sulla tua lealtà. Ed ecco anche la sua risposta. Leggi! —
Almerico prese il foglio, che il Buonsanti gli offriva, e lesse:
«_Cavaliere stimatissimo_,
«Quello che voi prevedevate è avvenuto: il conte di Montegalda
mi ha scritto, ed io vi mando la lettera sua. Per la promessa
che vi ho fatta, non posso rispondere a lui. Ditegli, se vi
pare opportuno, che io ho già fatto molte sciocchezze in mia
vita. Ne faccio ancor una, che non sarà la peggiore. Appena
sarò ristabilito, andrò in Africa, e prenderò parte alla prima
spedizione che si farà per l’interno del paese. Quando avrò sposata
la regina di Ghera, e se il mio matrimonio spiacerà al conte di
Montegalda, me lo mandi a dire; sarò allora, con vostra licenza, il
suo uomo».
Sempre un pochettino smargiasso, il signor conte di Riva! Ma di quella
smargiassata poteva ridere Almerico. E se non rise di quella, bene ebbe
a ridere del commento che le faceva il cavaliere Buonsanti.
— Quando avrà sposata la regina di Ghera!... Non si riscaldi troppo
presto! Brutta com’è, giuoco che gli portano via anche quella. —
FINE
- Parts
- La spada di fuoco : racconto - 01
- La spada di fuoco : racconto - 02
- La spada di fuoco : racconto - 03
- La spada di fuoco : racconto - 04
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- La spada di fuoco : racconto - 07
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