La Principessa Belgiojoso - 23

beneficare silenziosa, specialmente vecchi maestri di musica senza
lavoro, senza pane, senza speranze; miserie velate di decoro. Ella
sapeva leggere (al dire di Filippo Filippi) qualunque pezzo di musica
a prima vista; sapeva eseguirlo sul pianoforte; non avea certo bisogno
d'altre lezioni di musica; e a quell'età!... Eppure, sulle soglie della
morte, ella volle che un povero vecchio maestro le insegnasse ancora
la musica, che le impartisse lezioni di contrappunto, per cogliere un
nobil pretesto di beneficare quell'infelice, il quale, forse, non avrà
capito la delicata intenzione della dama generosa.

Negli ultimi anni, Cristina Belgiojoso Trivulzio vide compiersi il gran
sogno di tutta la sua vita di patriottici sacrifizii e di pericoli.
Ella vide l'Italia libera con Roma capitale, con un re conclamato
dal popolo. Tante patite peripezie aveano, alla fine, un fulgido
compenso!... Quel giorno che salutammo Roma capitale, più di qualche
amico della Belgiojoso dee averne scritto a lei, che continuava assidua
corrispondenza coi personaggi più eminenti. Ma la marchesa Maria
Trotti, eletta dama di Sua Maestà la regina Margherita, cortesemente
mi affermò che la venerata madre sua non conservava le lettere che
riceveva. Si può aggiungere che non conservava neppure i proprii
volumi e opuscoli: immaginarsi la folla d'articoli patriottici da lei
disseminati per sì “lungo ordine d'anni„ su tanti giornali francesi,
italiani, inglesi!... Nulla di più arduo che il rintracciare certi
scritti dell'infaticabile autrice, ignorati persino dai più solleciti
congiunti di lei; nulla di più penoso che il ricercare precisi,
coscienziosi particolari d'una vita così varia, così tumultuosa in
mezzo a mortali e ad immortali, a piccoli e a grandi, in Italia,
nella Svizzera, in Francia, in Inghilterra, in Grecia, nell'Asia....
Cinque anni di ricerche, di studii, di carteggi, di gite, di
viaggi.... saranno stati sufficienti per comporre degnamente questo
libro?... Quali difficoltà, estranee allo stesso lavoro, per sè stesso
difficile!... E come viene saccheggiato, anche questo, da impudenti
scribacchini, persino americani!

Il 5 luglio del 1871, spuntò l'ultima alba della donna singolare. E
venne la morte ch'ella non voleva; la morte che temeva tanto; la morte,
il cui pensiero la facea tremar tutta. Del giorno ultimo scriveva una
volta: “Non so come volano i giorni; e si avvicina quel terribile al
quale non si guarda senza tremare!„
Sentì ella avvicinarsi il passo dell'inesorabile dea, che tante volte
arriva come un assassino, e che, altre volte, invece, giunge invocata
come un'amica sorridente, come una liberatrice pietosa e gentile?...
Appena sentì aggravarsi, la principessa non volle giacere sul letto: si
levò risoluta, e si pose su una poltrona, circondata da paraventi....
Soffriva assai.
Venne a chiedere notizie nella lugubre stanza un giovane amico:
Giovanni Visconti-Venosta. Ella ne udì la voce sommessa, e gli chiese
subito, levando il volto diventato dei color della creta:
— Gino, abbiamo buone notizie sull'Italia?...
E il giovane, che sapeva come a Cristina Belgiojoso bisognava dir
sempre sull'Italia le cose più consolanti e più belle, le rispose
pronto:
— Buonissime notizie, principessa! Buonissime!
Così Cristina Belgiojoso Trivulzio moriva colla lieta immagine
d'un'Italia avviata a quella grandezza per la quale tanto ella s'era
agitata in patria e nell'esilio.
Ricevette tutti gli estremi sacramenti della Chiesa cattolica. Ella,
che un giorno a Parigi temeva d'essere messa all'indice dal Vaticano
per la sua pubblicazione sul dogma (come Camillo Cavour narra nel
_Diario_ inedito più volte citato) fu contenta quando apprese che quel
libro era uscito incensurato dall'esame di Roma.
La principessa spirò per “ipertrofia di fegato„ alle ore dieci e mezza
della sera del 5 luglio del 1871, nell'amatissima sua Milano, dov'era
nata il 1808. Contava, adunque, sessantatre anni.[158]

La salma venne benedetta nella chiesa di San Tommaso, piccola chiesa
dall'atrio greco, e fu sepolta nel centro del romito cimitero di Locate
sotto una tomba di marmo bianco, simile alle tombe antiche, e fregiata
di questa epigrafe dettata da Giovanni Visconti-Venosta:
Da un lato:
ALLA PRINCIPESSA CRISTINA BELGIOJOSO-TRIVULZIO — CHE IL VASTO
INGEGNO LA VIGORIA DELL'ANIMO LA DEVOZIONE ALLA PATRIA — FECERO
BENEMERITA, ILLUSTRE — NEGLI STUDII, NELLA POLITICA, NELL'ESILIO,
NEI VIAGGI — TRAVERSO I TEMPI FORTUNOSI E D'ALTI DESTINI IN CUI
VISSE — MDCCCVIII — MDCCCLXXI.
Dall'altro lato:
QUI DEPOSE LA SALMA DELLA MADRE AMATISSIMA — LA MARCHESA MARIA
TROTTI BELGIOJOSO — INVOCANDO A LEI — CHE FU COSTANTE E GENEROSA
SOCCORRITRICE DEI POVERI — QUELLA BENEDIZIONE DI CUI DIO CORONA
LA CARITÀ.
I funerali religiosi furono solenni nella chiesa dl San Tommaso; più
semplici e più affettuosi, forse, a Locate; in quel borgo, che ora dal
nome dei Trivulzio, antichi feudatarii di quel territorio, si chiama
Locate-Triulzi. Si era nell'estate; e molti amici della defunta non
si trovavano allora in Lombardia, per tributarle l'ultimo omaggio.
Qual differenza fra il 1848 e il 1871, fra quel giorno in cui tutta
Milano andò incontro alla Belgiojoso, ch'entrava fra gli applausi e i
frenetici evviva in città, a capo d'una colonna di giovani volontarii,
e il breve corteo d'amici, che dall'angusta via de' Bossi, accompagnava
alla chiesa di San Tommaso il feretro della principessa!
Tranne alcune reverenti parole di Filippo Filippi sul giornale _La
Perseveranza_ di Milano, ben rari furono i cenni necrologici pubblicati
nel resto d'Italia sulla morte d'una donna che avea riempito un giorno
l'Italia e Parigi del suo nome. E l'oblio, profondo oblio, coprì
quel nome fino al punto che un dotto francese domandò un giorno allo
scrittore di questo libro se la principessa Belgiojoso era vissuta
nel secolo di Maria Antonietta! Si scordarono _persino_ le cattive
pagine, che una sedicente amica d'Italia, Luigia Colet, stampò contro
la principessa in un certo libro sugli avvenimenti e sui personaggi
nostri, seminato delle più sfacciate, amene bugie: dico persino, poichè
il mondo dimentica più presto le lodi meritate che il biasimo maligno,
lanciato dall'invidia. Eppure dovrebbe tornar dolce al pensiero il
ricordo degli atti generosi compiuti dagli altri; atti che col loro
fulgor vittorioso fanno sparire le ombre di possibili errori; sì, tanto
possibili nella fragile creta umana!... È così consolante scoprire il
merito! È così bello l'ammirare!

Con la morte di Cristina Belgiojoso-Trivulzio, sparve dalla scena del
mondo una delle più forti e singolari donne d'Europa. E dopo molti anni
dalla morte, era tempo e dovere che una penna veridica ma rispettosa
facesse noto ai più il sentimento, l'invitto sentimento italiano
di colei che non è un'onta da nascondere, bensì una gloria da far
risplendere.
La principessa Cristina Belgiojoso-Trivulzio, questa donna d'istinto
e di ferrea volontà dominatrice, che fa pensare a Caterina Sforza;
questa fantastica figura dai nivei pepli come una regina delle tragedie
di Eschilo; dai severi turbanti come una sibilla del Domenichino....
irrita talvolta come un enigma; ma le linee della sua figura sono
le linee d'un monumento, ch'ella stessa, nella sua vita liberamente
vissuta dinanzi agli sguardi di tutti, si elevò con le proprie opere
di carità e di sociale giustizia precorrendo i tempi; — con le proprie
opere d'un patriottismo coraggioso, d'una inesauribile sorgente
di magnanimi pensieri. In lei, stranezze, audacie, errori; mai la
piccolezza!
Ella fu una dea, che sedusse mille: ella regnò. Una grandiosa figura di
donna italiana, sorta in un'epoca di grandi.

FINE.


APPENDICE
DI DOCUMENTI.

I.
LETTERA DEL GENERALE LA FAYETTE ALLA PRINCIPESSA BELGIOJOSO.
A documentazione di notizie inserite nel luogo opportuno in
questo libro, (sulla confisca dei beni della principessa Cristina
Belgiojoso, perpetrata dal Governo di Vienna, e sui conseguenti
imbarazzi finanziari della profuga, ecc., ecc.) valga una lettera
inedita del _generale La Fayette_ alla _principessa_.
Nel luglio del 1832, — circa due anni prima della morte, — il
generale La Fayette, da quella La Grange, dove gli erano giunti i
primi rumori della rivoluzione del luglio 1830, mandò alla nobile
profuga una lettera indirizzandola a Ginevra. Questa lettera
particolareggiata, piena di saggi consigli premurosi, consigli di
padre, e qual padre! rivela sopratutto l'affetto del La Fayette
per la bella patriota italiana, il cui slancio per la redenzione
della patria si accordava con quello magnifico ch'egli ebbe alle
prime notizie dell'insurrezione delle colonie americane contro
gli inglesi. Parlando alla principessa degli avvenimenti politici
del giorno, il La Fayette mostra quale considerazione egli le
tributi. Il grande e candido liberale tocca del conte Carlo di
_Rémusat_, il biografo di Bacone, di Channing, ecc.; lo stesso
che dopo la rivoluzione del 1830 s'accostò al Guizot, e che fu
poi, nel 1871, chiamato dal Thiers, presidente della Repubblica
francese, al ministero degli affari esteri, e morì nel 1875.
Parla del _Sismondi_, l'illustre ginevrino, lo storico delle
Repubbliche italiane, e amico anch'esso di Cristina Belgiojoso.
— _Anastasia_ e _Virginia_, nominate dal La Fayette, ne erano
le due figlie; la prima sposata a Carlo di Latour-Maubourg, la
seconda al colonnello di Lasteyrie. Il signor _Bianchi_ era un
agente della Belgiojoso. Superfluo ripetere che la madre di
Cristina, marchesa Vittoria Gherardini, in prime nozze aveva
sposato il marchese Girolamo Trivulzio, e in seconde il marchese
Alessandro Visconti d'Aragona; e che le sorelle di Cristina,
alle quali pure allude il La Fayette, erano: Teresa, che sposò
in Francia il marchese d'Aragon, Virginia, che sposò il marchese
Bonifazio Dal Pozzo di Milano, e Giulia che sposò il marchese
Rorà di Torino. Qualche altra allusione torna dubbia e oscura.
Non così quella sul Portogallo, dove allora ferveva la guerra tra
il principe Don Pedro e il fratello Don Miguel per ristabilire
sul trono donna Maria da Gloria, figlia del primo e nipote del
secondo che l'aveva privata del regno di Portogallo. Vedi anche i
_Mémoires_ del La Fayette, pubblicate dalla famiglia in 6 volumi
(1837-1840).
Ecco ora la lettera dell'immortale guerriero della libertà
americana.
La Grange, 28 Juillet 1832.
Il est bien vrai, chère amie, que nous nous faisions une féte de Vous
voir ici; mais la lettre, qui confirme notre désappointement, est fort
loin de m'avoir causé de la peine; elle a même soulagé mon inquiétude.
Déjà, lorsque Octavie m'a dit qu'au lieu de Vous reposer à La Grange,
Vous partiriez le soir même, je me reprochais d'être cause d'une
fatigue de plus. La tendresse filiale, le besoin d'embrasser M.me Votre
mère e Vos sœurs ont triomphé des exhortations et des menaces de Vos
médecins. Mais vos amis, tout en rendant hommage à Votre impatience et
à Votre révolte contre les conseils de docteurs plus habiles que nous,
ne peuvent se défendre, dans l'état précaire de Votre santé, d'une
vive anxiété pendant le voyage. Vous avez les sermons de la prudence,
et j'espère bien que les fâcheuses prédictions ne s'effectueront pas.
J'ai pourtant grand besoin d'avoir des nouvelles de Votre arrivée
à Génève. Il serait bien fâcheux que Vos souffrances revinssent en
route, dans une auberge, et loin des médecins. Au reste, le danger
sera passé lorsque Vous recevrez cette lettre. Puisse-t-elle Vous
trouver en bonne santé, et en pleine jouissance de Votre réunion aux
objets de Votre tendresse! Vous jugez, ma chére amie, que dans cette
disposition d'anxiété pour Votre voyage, j'ai plutôt à Vous remercier
qu'à Vous reprocher de n'avoir pas fait le petit détour de La Grange.
Vous nous en dédommagerez, après Votre retour; je me flatte encore
que Vous pourrez obtenir de M.me Votre mère ce que Vous avez tant
souhaité, et qu'elle voudra bien venir à Paris. Il n'y aura plus alors
de choléra; j'ai un grand desir de lui être présenté, ainsi qu'à Vos
sœurs. Elle apprendra par Vous la très grande liberté que je pris de
lui écrire dans les premiers temps de Votre arrivée. Donnez-moi des
nouvelles de Votre colonie de Genève, et des progrès de Votre grande
affaire. Je Vous dirai que, tout en admirant le noble caractère de ma
chère et filiale amie, et persuadé comme je l'étais de la sagesse du
parti qu'elle avait pris, j'ai plus souffert que je ne Vous le disais,
des embarras de Votre situation; personne n'appreciant mieux que moi
tous les mérites de Votre pauvreté, et d'après ce que je savais par le
ministre français, l'ambassade autrichienne, Vos compatriotes et Vous,
j'eusse été bien fâché de Vous voir partir pour Milan, ou pour Vienne.
Néanmoins, j'ai senti, pendant ce long espace de temps, et malgré Votre
aimable et généreux caractère, que d'après Vos habitudes de richesse,
il êtait bien pénible de Vous trouver réduite à d'étroites privations.
Il me semble, ma chére amie, que lorsque Vous vous retrouverez en
possession de Votre fortune, il serait raisonnable d'en mettre une
partie à l'abri des caprices d'un gouvernement arbitraire. Cet avis
n'est pas seulement le résultat des préventions mutuelles, qui depuis
longtemps existent entre la Cour de Vienne et le fermier de La Grange.
J'aime à penser qu'il sera partagé par tout le monde, et surtout par
madame Votre Mère, et quoique il soit beaucoup plus agrèable de jouir
ensemble de Votre réunion que de parler d'arrangements pécuniaires,
je crois que Vous auriez grand tort, l'une et l'autre, s'il m'est
permis de le dire, de ne pas Vous en occuper sérieusement, et d'une
maniére positive. Il ne faut pas Vous exposer à voir, dans les futures
contingences, recommencer l'état de gêne et d'embarras, que Vous avez
admirablement supporté, mais dont je m'affligeais beaucoup plus que
Vous.
La société, que Vous retrouverez, absorbera votre temps et vos pensées.
Il est probable néanmoins que Vous verrez M. le comte de Sismondi.
Je Vous pris de lui parler de moi. M. de Sismondi serait fort touché
d'apprendre que son _Histoire des Français_ est le seul emprunt que
Vous ayez fait à la Bibliothèque de La Grange. Je voudrais répondre à
l'aimable lettre que j'ai reçue des trois prisonniers de Venise. Il
me semble que le meilleur moyen est d'envoyer ma réponse à Lyon, où
le père de notre ami doit se trouver à présent. Chargez-Vous de mes
tendres amitiés pour notre excellent Bianchi; j'espère qu'il reviendra
avec Vous; j'ai une si douce habitude de mes rapports avec lui, que
j'éprouverais une grande peine de les voir interrompus par son absence.
Nous n'avons point de nouvelles de Portugal: je continue à bien augurer
de l'expédition. Vous compatissez, j'en suis bien sûr, à l'anxiété
de Virginie. Elle est ici avec ses filles, Rémusat et Octavie. Le
ménage Corcelles pourra revenir dans dix ou douze jours. Anastasie et
Jenny iront bientôt passer quelques semaines avec Célestine Brigode en
Fiandre. George est venu célébrer le 29 Juillet avec son bataillon:
il se partage entre Passy et La Grange. Les nouvelles de Clémentine
sont meilleures: elle éprouve encore des crampes, mais ses forces
reviennent; ses promenades réussissent mieux. On s'occupe du retour
à La Grange où Vous nous trouverez, en grande partie, réunis. Et Vous
aussi, chère Amie, Vous êtes bien partie de cette famille qui compte
sur Vous pour obtenir de M.me Votre Mère et de Vos sœurs le bonheur que
nous nous promettons, si elles reviennent avec Vous, de les recevoir
à La Grange. Je pense que Votre mari est avec Vous, ou du moins en
Suisse: chargez-Vous de mes amitiès pour lui, et tout en le remerciant
de sa bonne intention de passer à La Grange en quittant Paris, dites
lui que j'en attends l'éxécution à son retour.
Les anniversaires seront moins animés que l'année dernière.
Vous savez par les journaux tout ce que j'aurais à Vous dire. La
pluie des protocoles de Londres ne cesse pas encore. Il en est
de même des ajournements hollandais et belges. L'Allemagne se
refuse à la discipline de la Diète de Francfort et du Triumvirat
contrerévolutionnaire. On dit que l'Autriche veut voisiner par
Constance avec le pays que Vous habitez. Quant à la France, carliste,
juste milieu, et patriotique, Vous savez où nous en sommes.
La famille me charge de ses tendresses pour Vous. Rèmusat nous arrivera
demain. Nous avons eu ces jours ci plusieurs visites polonaises. Adieu,
ma chère Amie. Votre chère et filiale lettre m'a vivement touché.
Tous mes vœux, toutes mes bénédictions Vous accompagnent, en attendant
l'inexprimable bonheur de Vous revoir.
LA FAYETTE.
À madame la _Princesse de Belgiojoso_
poste restante à GENÈVE
(Republique Helvetique).

II.
LA PRINCIPESSA BELGIOJOSO ALL'ASSEDIO DI ROMA.
Cristina Belgiojoso, nell'assedio di Roma nel 1849, diresse
l'ospedale dei feriti, avendo seco l'unica figlia sua, Maria,
che divenne poi marchesa Trotti. Ciò è ricordato anche in una
lettera che il marito della marchesa, Lodovico Trotti, diresse al
senatore Tulio Massarani in seguito a una patriotica richiesta
di S. E. il senatore Gaspare Finali. Nel 1886, l'insigne
patriota, statista e letterato Finali desiderava avere l'elenco
preciso dei valorosi feriti all'assedio di Roma nel 1849, i
quali furono ricoverati in quell'ospedale dei Pellegrini diretto
dalla principessa: voleva far scolpire quei nomi gloriosi in una
lapide. Era diffusa opinione che il registro di quei feriti e dei
morti fosse stato portato con sè dalla principessa Belgiojoso
dopo la caduta di Roma; Gaspare Finali si rivolse all'uopo a
un amico illustre, al senatore Tullo Massarani di Milano, per
saperlo con esattezza. Il Massarani ne scrisse al consorte della
marchesa Maria Trotti, e n'ebbe da Olgiate Molgora, risposta
negativa in una lettera. Di questa, si reca qui la parte che
riguarda la Belgiojoso:
“Mia moglie si rammenta perfettamente del tempo passato a Roma
nel 1849 quando sua madre dirigeva l'ospedale destinato ai
feriti. Essa ricorda la catastrofe in seguito alla quale esse
furono costrette a lasciar Roma precipitosamente, e non senza
pericolo, per andare ad imbarcarsi a Civitavecchia; ma essa è
convinta che i registri dell'ospedale non facevano parte del
loro pericolosissimo bagaglio. Da Civitavecchia si diressero
verso l'Oriente, per rimanervi alcuni anni, durante i quali, come
durante tutti i successivi, essa non vide nè udì mai accennare a
simili registri.„
Quei preziosi registri andarono perduti.

III.
IL TENTATO ASSASSINIO DI CRISTINA BELGIOJOSO.
Sul tentato assassinio, sulle sette stilettate, di cui fu vittima
Cristina Belgiojoso nel 1853 in Asia, e di cui parla questo
libro alla pag. 345, la stessa Principessa inviò una lettera alla
sorella marchesa Giulia Rorà, allora a Torino, narrando tutt'i
particolari del delitto. L'autografo di questa lettera, che
l'autore del presente volume ebbe dalla cortesia della marchesa
Luigia Visconti d'Aragona, ora è conservato nella Biblioteca
Ambrosiana. Qui testualmente si riproduce il drammatico racconto
della intrepida dama: più avanti, riproduciamo in _fac-simile_,
un'altra lettera da lei scritta al fratellastro marchese Alberto
Visconti d'Aragona da San Giovanni di Bellagio sul Lago di
Como, dove la Principessa dimorava accanto alla figlia marchesa
Maria Trotti; lettera molto notevole perchè, mentre parla delle
sofferenze nervose della Principessa, ne spiega, tacitamente, in
certo modo, le anomalie. Questa lettera, il cui autografo è ora
presso l'autore di questo libro, gli fu favorita anch'essa dalla
gentil marchesa Visconti d'Aragona. Ed ecco prima la narrazione
del delitto. _Maria_ era la figlia giovinetta che la Principessa
aveva condotto con sè in Asia. M.r Méon e il signor Pastori, a
cui la lettera accenna erano (specialmente il secondo) agenti
della Principessa, la quale, non ostante le stremate fortune,
viveva anche in Asia fra varii agenti, servi turchi, servi
cristiani e un farmacista.
_Da una montagna del mio Tchifflik._
30 agosto 1853.
_Cara Giulia,_
Da tanto tempo senza tue notizie, e non sapendo ove trovarti in
questa stagione, mi era impossibile di annunziarti direttamente la
disgrazia accadutami, nè di riconfortarti sulle conseguenze di esse.
Mi limitai dunque a pregare M.r Méon come Pastori, a fare in modo
che la notizia non vi giungesse esagerata, nè per la voce pubblica.
Ma nessuno, che non fu testimonio del fatto, può conoscere come io
sia stata miracolosamente salvata. L'assassino è di Bergamo; era al
servizio austriaco nel 48; disertò (così diceva almeno); combattè
cogli italiani, indi emigrò a Costantinopoli, ove visse più di un
anno; poi fu a me caldamente raccomandato dal marchese Antinori di
Roma, come _onestissimo_ e _buonissimo_ giovane. Il marchese Antinori,
di cui ebbi più tardi a lagnarmi, gode di molta stima presso i suoi
compatrioti, e Pastori stesso m'invitava più volte a coltivare la
sua amicizia, che era per lui, Pastori, un motivo di tranquillizzarsi
sulla mia situazione isolata. Nei primi mesi che l'Albergoni (è il nome
dell'assassino) fu da me impiegato in qualità di magazziniere, concepii
dei forti sospetti sulla sua moralità, ed ebbi qualche motivo di
credere ch'egli avesse voluto attentare alla vita del mio farmacista.
La cosa era molto grave: io non avevo che sospetti vaghi, ed egli si
difendeva con molto calore e con delle buone ragioni. Scrissi dunque al
marchese Antinori raccontandogli l'accaduto, e pregandolo a prendere
nuove informazioni sul suo raccomandato. Il marchese mi rispose di
averlo fatto con tutto l'impegno e di non avere trovata la benchè
menoma macchia al nome, nè al carattere di quest'uomo. Che potevo io
fare? Ero allora sulle mosse per Gerusalemme e l'Albergoni era ammalato
a segno ch'io non credevo ch'egli si riavesse mai. Gli tolsi però
ogni incombenza durante la mia assenza, ma lo lasciai al _Tchifflik_
perch'egli si curasse, vivesse nella quiete e nel riposo, e guarisse,
se poteva. Lo ritrovai al mio ritorno perfettamente ristabilito, ed
informatami dagli altri della sua condotta ne ricevetti buonissimo
conto. Gli restituii allora il suo impiego di magazziniere, e sebbene
provassi per lui una invincibile avversione, pure non lasciai che
questa mia disposizione irragionevole influisse sulla di lui sorte.
Durante qualche mese si condusse bene, ma poi diede varie prove di una
somma violenza di carattere, giunta a malizia e ad animosità. Allora
lo avrei mandato via, ma il sequestro era stato posto sui miei beni;
ero da quattro mesi senza un soldo; nè potevo licenziare quest'uomo
senza pagarlo. In quel mentre, gli fu detto che io avevo scritto a
Costantinopoli per far venire un altro magazziniere, il che era falso.
Malcontenta di lui per questi atti di violenza, anzi di cattiveria,
io stavo verso di lui piucchè mai sostenuta. Egli si decise a partire
senza aspettare di essere licenziato: ma prima volle vendicarsi.
L'intenzione sua, come disse di poi, era, non solo di ammazzare
me, ma tutti quelli che sapeva mi avessero parlato male di lui, e
principalmente Maria. Nella mattina del giorno fatale, chiese più
volte di parlarmi in particolare; ma io che lo vedevo agitato, e che lo
sapevo per abitudine gran bevitore di acquavite, ricusai di ascoltarlo
dicendogli che avrebbe parlato meco quando fosse più tranquillo e più
padrone di sè. Tentò pure quell'istesso giorno di avvelenare un mio
domestico, da cui temeva ch'io potessi ricevere soccorso. A pranzo,
sembrava affatto fuori di sè e senza nissuna provocazione, mi diresse
alcune parole insolenti alle quali risposi che s'ei voleva parlare in
tal modo, escisse di casa mia.
Rimase un momento sopra pensiero; poi rimettendosi, mangiò con molto
appetito, e si mostrò allegrissimo. Dopo il pranzo, io salii come
è mio costume, nella mia camera. Saliti alcuni gradini, mi volgo,
e me lo vedo dietro che mi faceva lume. Temendo di qualche altra
scena, e volendo impedire che mi seguisse, gli tolsi il lume di mano
augurandogli la buona notte, e proseguii per la mia strada, credendolo
ritornato abbasso. Non appena però fui nella mia stanza che udii il
suo passo nel corridoio, e tosto me lo vidi comparire dinanzi. Io stavo
presso ad una finestra, dirimpetto alla porta. Egli traversa la stanza
dicendo: signora, Ella mi ha insultato, ordinandomi di escire dalla
sua casa; e dicendo queste parole era giunto a due passi da me. Allora
gridando: _muori perfida! muori scellerata!_ mi portò varii colpi di
uno stile che teneva nascosto nella mano. I primi colpi furono tutti
diretti al basso ventre. Io, che non vedevo lo stile, nè sentivo sulle
prime il dolore, mi resi subito conto di quel che faceva, ma per un
istinto di salvezza stesi le mani dove vedevo ch'egli dirizzava le sue:
fui dunque ferita alla mano; allora vedendo egli che il ventre era
coperto, mi portò un colpo al cuore, che mi passò il seno sinistro:
vidi allora il ferro, mi scansai alla diritta, girai intorno ad un
tavolino, mi accostai alla porta e fuggii. Egli mi correva dietro, ma
solo mi raggiunse sulla scala, ove tutti i servi che accorrevano di
sopra mi fecero rallentare il passo. Ivi dunque raggiuntomi, mi vibrò
un altro colpo nella schiena, e fu l'ultimo perchè fu preso. Io ebbi la
forza di scendere tutte le scale da me, dicendo: mi ha assassinata, mi
ha ucciso. La disperazione della mia povera Maria, quella pure di tutta
la mia gente sì Turchi che Cristiani, mi straziava, ma mi sentivo una
forza e una tranquillità di mente di cui non sapevo rendermi ragione.
Risalita, rientrata nella mia camera, postami sul letto, esaminai le
mie ferite, e ne diressi la medicazione. Una era al basso ventre, una
alla coscia sinistra, una sul dorso della mano pure sinistra, una
al petto dal lato sinistro, ed una attraverso la schiena. Temendo
di una congestione o di uno stravaso interno sia al cuore, sia al
petto, e malgrado la gran quantità di sangue escito dalle ferite, mi
feci aprir la vena, coprire di mignatte, ed amministrarmi forti dosi
di aconito. Buon per me, chè, durante la notte, il respiro divenne
doloroso, difficile, quasi impossibile; ma raddoppiate le mignatte,
i sintomi allarmanti scomparvero in poche ore. Tutte le mie piaghe
si cicatrizzarono nello spazio di alcuni giorni, ed ora altro non mi
rimane che una somma debolezza, e dei dolori al basso ventre, che non
mi vogliono ancora lasciare.
Eccoti la dolorosa istoria. Lo stesso non avrebbe potuto accadermi in
Europa? Quanti delitti non vi si commettono ogni giorno! L'assassino
fu condotto in catene a Costantinopoli senza dare il menomo segno di
pentimento. Anzi disse: quando verrò fuori, toccherà a me. Io però,
s'egli riacquistasse la sua libertà, non mi fermerei un'ora in paese
ove potesse portarsi.
Addio, cara Giulia, ti lascio perchè stanca; aspetto con impazienza la
lunga lettera che mi prometti, ed intanto ti abbraccio teneramente
tua aff.ma sorella
CRISTINA.

IV.
LETTERA AUTOGRAFA DELLA PRINCIPESSA BELGIOJOSO AD ALBERTO VISCONTI
D'ARAGONA.
[Illustrazione: Pagina 1]
[Illustrazione: Pagina 2]
[Illustrazione: Pagina 3]
[Illustrazione: Pagina 4]
[Illustrazione: Pagina 5]
[Illustrazione: Pagina 6]
[Illustrazione: Pagina 7]
[Illustrazione: Pagina 8]

V.
LA MARCHESA MARIA TROTTI-BELGIOJOSO.
_Nel momento di terminare la settima edizione sulla _principessa
belgiojoso_, si diffuse per Milano la notizia della morte