La Principessa Belgiojoso - 21

a uno a uno, li scannano colle bajonette, per vendicare il loro
comandante. Ferocie inenarrabili divampan fra i soldati irruenti,
selvaggi dell'Africa. È un correre di zuavi dai larghi pantaloni rossi;
è un rosseggiar d'Algerini e di sangue. Un torrente di sangue scende
dai gradini d'una angusta, rustica scala dove gli Algerini son volati
all'assalto; e il generale Auger, comandante l'artiglieria del 2º
corpo, fa collocare in batteria sulla strada ferrata quaranta cannoni,
che vomitan di fianco e di traverso lo sterminio sugli Austriaci
fuggenti: è un tuonare d'inferno, è una strage orrenda e inutile;
perchè Mac-Mahon già in pugno stringeva la vittoria e i fuggiaschi si
potean rendere facilmente prigionieri!... Ma all'Auger, geloso degli
allori di Mac-Mahon, premeva d'acquistare anch'egli la sua corona; ed
è corona di barbaro. Già, all'attacco della fattoria di Cascina Nuova,
che precede il villaggio, millecinquecento Austriaci, dopo un leonino
combattimento d'ambe le parti, avean cedute le armi; e la loro lacera
bandiera era stata presa sul cadavere del colonnello.... Squillano
ancora le trombe, ancor rullano i tamburi annunciando la vittoria
latina. Le tricolori bandiere francesi corrono insieme colle tricolori
bandiere italiane; perchè il nono battaglione dei bersaglieri, che
forma la testa della divisione Fanti, e quattro pezzi di cannoni
nostri, arrivati a Magenta sul tramonto, son tornati d'ajuto possente;
onde Mac-Mahon invia dal suo cavallo al nostro Manfredo Fanti (che
passa silenzioso) un nobile saluto.
L'imperatore Napoleone III rimane rattristato a tanto olocausto di
vite; e sale pensoso su un campanile per esplorare la campagna che deve
essere irrigata ben presto da nuovi torrenti di sangue.
A Magenta, e nei dintorni, ben novemilacinquecento caduti seminano dei
loro cadaveri il suolo; e Milano riceve dal generoso soccorso delle
spade francesi e dal Fanti la luce della libertà sospirata.[147]

Durante la battaglia, i Milanesi avevano udito un rombo lontano....
Alcuni eran saliti sulle guglie del Duomo.... La trepidazione,
l'angoscia, agitava tutti.... Sulla sera, un uomo a cavallo comparve a
Porta Vercellina, e lanciò a un gruppo di gente che gli corse incontro
queste parole: “Gli Austriaci son vinti!...„
Verso le otto della sera, cominciano ad apparire nel sobborgo milanese
di San Pietro in Sala i primi carri di feriti; mucchi di Austriaci e di
Francesi, convogli che tracciano il loro cammino con strisce di sangue
sulla polvere della via. E la processione lugubre dei carri continua
e dura tutta la notte nelle tenebre, rotte appena da pochi lumi
semispenti, difesi da carte oliate e pendenti dai carri lenti, lenti.
E la processione dura tutta la mattina dopo; ed è accompagnata dai
gemiti dei feriti, degli amputati. Arrivano pesanti _omnibus_ carichi
di feriti; e i soldati meno colpiti vengono a gruppi, o soli, a piedi,
colle pallide teste, colle mani, col petto a mala pena fasciati dai
contadini: alcuni procedono sorretti dal braccio d'erculei popolani,
che sotto la scorza del loro schietto carattere lombardo, celano
commozione profonda.
Nei sobborghi e nella città, è una grande compassione, pur in mezzo
al giubilo delirante per la vittoria. Molte famiglie accolgono
i feriti francesi, e più di qualche sala è tramutata in corsia
d'ospedale: i feriti austriaci vengono portati all'Ospedale Maggiore.
Duemilaquattrocento feriti!... E, in pochi giorni, arrivano a
diecimila: perchè molti sono inviati dalle cascine suburbane
dove, sulle prime, son stati accolti alla peggio. Nell'ospedale di
Sant'Angelo, i feriti austriaci devono essere portati via dalle stanze
dove giacciono i feriti zuavi, perchè questi, di notte, si alzan dal
letto e vanno a percoterli. Lungo è l'elenco dei morti, assai lungo!...
I soldati morti nell'ospedale di Sant'Angelo, vengon registrati nei
volumi della parrocchia di San Marco. Quanti nomi di caduti, francesi
ed austriaci! Quanti nomi di lontani, ignoti villaggi dei due vasti
imperi in quei funebri registri!... D'un cadavere, nulla si sa: non il
nome, non il reggimento, non la nazione. È stato trovato tutto ignudo
(il solo così) sul campo di battaglia.
I soldati austriaci, rimasti a Milano, si schierano in Piazza Castello:
in fretta, agglomerano insieme i loro bagagli e fuggono.... È il _5
giugno_: data memoranda, che segna la fine di tanti dolori, di lunga
schiavitù; e il municipio di Milano, alle ore due pomeridiane di quel
giorno stesso, proclama con un manifesto l'annessione della Lombardia
al Piemonte. Per l'aria risuonan canti, risa, discorsi concitati
di giubilo tra uomini che prima d'allora non si eran mai visti, e
diventati amici, fratelli in un lampo. I Milanesi sono tutti sulle
strade, come nelle Cinque Giornate; e, nella mattina dell'8 giugno,
per il maestoso Arco del Sempione (degno di Roma) e per l'ampio Foro
Bonaparte, che ricorda il primo Napoleone, ecco entrano solennemente
a Milano, al suon delle campane, fra grida d'entusiasmo indicibile,
l'imperatore dei Francesi e re Vittorio Emanuele II a cavallo, seguiti
dal secondo corpo d'esercito e preceduti dal distaccamento delle
cento guardie e dagli zuavi, la cui musica suona, in cadenza dei
passi trionfali, un inno. Vittorio Emanuele II cavalca alla sinistra
del formidabile alleato, ed è lieto: Napoleone III è triste in mezzo
al trionfo e alle rose che piovono sul suo cavallo. Il vincitore
della battaglia, Mac-Mahon, nominato sul campo duca di Magenta (e se
avesse perduto sarebbe stato fucilato perchè fece tutto il rovescio
degli ordini ricevuti!) è anch'esso coperto di fiori che volan dalle
finestre, dai balconi fra grida di _Viva l'Italia! Viva la Francia!_
Appresso a Mac-Mahon, cavalca il generale Mellinet, colui ch'ebbe due
cavalli uccisi sotto di lui. Egli reca alle gote la cava traccia d'una
palla che a Sebastopoli gliele trapassò da parte a parte....
Ma in quello stesso giorno, gli Austriaci, vinti, si fortificano
a Melegnano. E il duca di Magenta vi manda subito, per ordine
dell'imperatore, il primo corpo d'esercito, comandato dal maresciallo
Baraguey d'Hilliers, quello che non avea avuto l'onore di prender parte
alla battaglia di Magenta. E, a Melegnano, ecco un'altra vittoria!

Quale spettacolo al teatro alla Scala nella sera del 10 giugno!... Un
ricordo quasi fantastico. Nel palco reale, si presentano Napoleone
III e Vittorio Emanuele II, col podestà dalla fascia tricolore,
nominato il giorno innanzi, conte Luigi Barbiano di Belgiojoso. Al
loro apparire, tutti, tutti nella vasta sala prorompono in un applauso
frenetico, interminabile. Le signore, nei palchi, in abbigliamenti
di suprema eleganza, risplendenti di giojelli e di sorrisi, tutte in
piedi. Le acclamazioni, le grida: _Viva la Francia! Viva l'Italia!_
continuano a lungo, mentre l'orchestra suona la fanfara reale e l'inno
imperiale francese. Vittorio gira intorno lo sguardo imperioso e
audace, infondendo in chi lo ammira l'impressione del vero re-soldato:
Napoleone III, impassibile a tanta festa dei cuori riconoscenti,
guarda con occhio velato e obliquo, rivolgendo solo qualche buona
parola al nuovo podestà, Luigi Barbiano di Belgiojoso, che, in piedi,
sta attendendo gli ordini. Nei palchi, colle nostre dame, si vedono
parecchi ufficiali francesi, nuovi alle bellezze italiane.... Chi bada
allo spettacolo, ai cantanti dell'opera?... Di tratto in tratto, nel
silenzio dell'assemblea, scoppia irrefrenabile, unanime, un grido di
gioja.
Una simile festa, nello stesso teatro, dopo una battaglia simile a
quella di Magenta, era stata celebrata in mezzo a clamori di gaudio, il
16 giugno 1800, con un altro Napoleone Bonaparte: coll'“inclito eroe e
liberatore dell'Italia„ come lo chiamava il Marliani, in un manifesto
ai Milanesi. Il nemico sconfitto dalle armi francesi nel 1800 era lo
stesso: l'austriaco. La battaglia: Marengo. E Napoleone III, col nobile
ajuto prestato agl'Italiani, riparava in parte alle colpe, ai delitti
commessi dallo zio verso di noi: dello zio che avea venduto il Veneto
all'Austria, che avea sacrificato alle proprie ambizioni sanguinarie,
migliaja di giovani vite italiche nella Spagna, fra i ghiacci della
Russia, dovunque il despota avea bisogno di “carne da cannone„ onde il
lamento e lo sdegno del Leopardi:
Pugnan per altra terra itali acciari!
Napoleone III, presidente della repubblica francese avea fatto spegnere
tante nobili giovinezze italiche nella repubblica romana, per ridonare
il poter temporale al conte Mastai Ferretti, che nella disgraziata
insurrezione di Romagna del 1830 gli avea salvata la vita facendolo
fuggire; ma sui campi lombardi, il sovrano francese riparava a quella
strage.
La principessa Cristina Belgiojoso non si trovava nella storica serata
della Scala: era ancora a Parigi. Ma ben presto venne a salutare la
bandiera italiana nella gioconda, libera Milano sua.
Ell'avea raccomandato, ai congiunti qui rimasti, un ufficiale francese
suo amico: il visconte Raimondo de Rivière, capo squadrone nel genio.
“Il solo pensiero che mi amareggia questa guerra (scriveva ella al
marchese Alberto suo fratellastro) è il timore che gli accada una
disgrazia; e il pensiero di ciò che sarebbe di sua moglie e de' suoi
tre bambini, se fosse ad essi tolto. Basta: spero in Dio che ci sarà
serbato; e mi conforta il saperlo in parte dove ho parenti, e dove non
sarà trattato come straniero!„
Alla principessa premeva di rivedere Napoleone III e di ringraziarlo
della promessa di Londra, ora splendidamente mantenuta. Sì,
splendidamente, chè, ben presto, un'altra battaglia sanguinosa si
combatte dai Francesi e dai nostri a Solferino e a San Martino. Dopo
la battaglia, altri settemila dugento feriti arrivano a Milano! La
cittadinanza ne è avvertita; e più di trecento carrozze, riccamente
allestite, rischiarate da fanali, e alcune condotte da gentiluomini
della più antica aristocrazia, stanno alla stazione per raccogliere i
feriti e portarli agli ospedali o alle loro proprie case. Una doppia
ala, formata da guardie civiche impedisce la ressa, la confusione,
protegge il libero cammino degli equipaggi: di questi, molti vanno
lenti lenti, per non offendere con brusche scosse i moribondi. Ecco
sfilano.... passano.... e la folla prima rumoreggiante, ora tace
impietosita.... Le torcie, tenute dalle guardie civiche, rischiarano la
tragica scena.

Dopo Solferino, Napoleone III troncò, purtroppo, la guerra
dell'indipendenza italiana ch'egli avea solennemente promesso di
condurre _fino all'Adriatico_ per liberare Venezia; pur troppo, firmò
la pace di Villafranca, che gettò nella desolazione i Veneti e i
Lombardi stretti in un solo, forte nodo d'affetto fraterno. Perchè
quella pace frettolosa, dopo tanta vittoria?... Ora sappiamo ciò
che allora i più ignoravano del tutto: Napoleone III fu costretto a
troncare, d'un tratto, la guerra contro l'Austria e rimandar sollecito
le truppe in patria perchè i Prussiani, approfittando del momento,
minacciavano le frontiere francesi.
Parton da Milano le truppe alleate, e sono affettuosissimi addii!...
Interprete del sentimento cittadino, Tullo Massarani scrive in
idioma francese un caldo saluto ai partenti su foglietti che vengono
distribuiti a migliaja, e accolti con festa. E un povero soldato
francese dell'89º reggimento di linea, Emanuele Augusto Roche, manda
alla luce un opuscolo poetico: _Le passé, le présent et l'avenir, dédié
aux Milanais_. Non sono precisamente versi sfolgoranti come quelli
di Vittor Hugo; ma che importa?... Come vibran d'onor militare! come
ardono d'affetto verso l'Italia! Alla povera Venezia, lasciata in
catene colla pace di Villafranca, il poeta-soldato esclama commosso:
La paix de Villefrance a laissé dans les fers
Le Lion de Saint-Marc, cet époux de la mer.
O Venise! Tu pleures et ton indépendance
Et ta splendeur passée! Tes rêves d'espérance
Semblent évanouis! Relève ton courage,
Regarde l'avenir!...
Compte aussi sur les fils de cette noble France!
Tu possèdes déjà tous les vœux de leur cœur![148]
Nobile e caro fratello! O soldato dell'89º reggimento di linea,
Emanuele Augusto Roche, non solo combattente per noi, ma anche poeta
per noi!... Che ne è avvenuto di te, o gentil valoroso, dopo qual sacro
anno di vittorie latine? dopo il 1859?...
Altri canti di muse straniere si elevarono allora per noi, ch'eravamo
elemento di generosa commozione nei cuori sublimi. Elisabetta Barrett
Browning, la poetessa inglese che chiama Italia “_our Italy_„ la nostra
Italia; colei che pianse in _Mother and Poet_ (_Madre e poetessa_) i
due ricordati figli di Olimpia Savio, ufficiali d'artiglieria, morti
l'uno a Gaeta, l'altro ad Ancona, e cantò di loro: “Morti! uno d'essi
ucciso presso il mare a oriente — l'altro ucciso all'occidente presso
il mare„; quella appassionata, libera Browning, “il cui aureo verso
(come disse il Tommaseo) fu anello fra Italia e Inghilterra„; inneggiò
a Napoleone III in Italia; fremette in versi di fuoco alle “prime
notizie di Villafranca„; e delineò una fulva lombarda, “dama di Corte„
del 1859, al letto dei feriti in un ospedale; innocuo errore, perchè
in quell'anno, in quei momenti, non v'eran dame di corte lombarde
(nominate dopo); ma è vero (e quanto!) il fondo della lirica, eco del
tempo. L'anima di quella dama immaginata dalla Browning rispondeva
all'anima delle nostre dame. Eccola in un ospedale (forse nell'Ospedale
Maggiore, sì orribile?...); eccola tra i feriti nei giorni della pace
di Villafranca:
E andando andando, venne a un letticciolo
Dove pena un garzon, veneto sangue:
Ahi, non dice soltanto il proprio duolo,
Ma il fallir d'una speme il volto esangue!
Stette ella un pezzo, e in lui fiso lo sguardo,
Un nome iva cercando, che non venne:
Se non che il ciglio, men del labbro tardo.
Due gran lagrime amare non rattenne.
Lagrime sole per Venezia? Un detto
Non le uscì, no, ma fremebonda, in fronte
Stampò un bacio piangendo al giovanetto,
Come baciasse del Signor le impronte.[149]
La principessa Cristina accorre da Parigi a Milano, e trova
nell'ospedale di Sant'Angelo colui che avea raccomandato con tanto
calore ai parenti, il suo amico di vent'anni, il visconte Raimondo de
Rivière. Egli è ferito gravemente, per una palla toccata a un ginocchio
nella battaglia di Melegnano. I chirurghi temono di doverlo amputare;
ma l'operazione, per fortuna, è scongiurata; e l'infermo a poco a poco
guarisce, felice di vedersi vicina al proprio letto la principessa,
ch'egli avea per tanti anni visitata, e chi sa? forse adorata
anch'egli, a Parigi, nel celebre salotto di lei! La principessa gli
sorride; lo conforta con parole amorevoli; lo rallegra con celie. La
consolatrice non è più seducente come un giorno. Eppure l'incesso della
gran dama si serba squisitamente signorile e dignitoso. I grandi occhi
lanciano ancor lampi alteri; e le linee del volto, ancor più accentuate
che nel passato, dinotano pur sempre la tenacità del volere.
Le feste succedevano intanto alle feste. Frequenti i sontuosi balli in
patrizie famiglie. Spettacoli magnifici alla Scala. Enrico Heine non
avrebbe trovato nel fulgido teatro neppure uno dei pallidi cospiratori
d'un giorno, da lui descritti nei _Reisebilder_.[150] Tutti sembianti
giulivi.... e cuori espansivi! Non più ufficiali austriaci, guardati
come irreconciliabili nemici, ma ufficiali italiani, corteggiatori....
e corteggiati.
A tante feste, la Belgiojoso di rado partecipava. Una sera, comparve
colla figlia Maria nel salotto affollatissimo della contessa Maffei,
in una di quelle elette riunioni, dove la maldicenza era vietata, dove
l'ingegno otteneva un culto elevato.... Ivi tornavano molti esuli....
Quando Vittorio Emanuele II, il vincitor di San Martino e di Palestro
tornò a Milano e aprì le sale del Palazzo reale a ufficiali feste di
ballo, la principessa Belgiojoso, l'illustre patriota, non venne neppur
invitata. Fu un errore del cerimoniere di Corte?... Ella ne sorrise; e
fu subito compensata della visita che le fece Camillo Cavour nella casa
Antona-Traversi (in via del Giardino), dove allora ella avea preso in
affitto un appartamento. Invitò ivi a pranzo il Cavour che si mostrò
graziosissimo e spiritoso colle signore; fra esse la marchesa Luigia
Visconti d'Aragona. Pareva, che l'anima di Cavour brillasse tutta ne'
suoi occhiali, tanto impassibile era quel volto; pure, di tratto in
tratto, un geniale sorriso si disegnava su quelle sottili labbra come
nel ritratto che l'Hayez dipinse e che oggi si ammira nella Galleria
municipale d'arte a Milano.
Camillo Cavour disse alla marchesa Luigia Visconti d'Aragona:
— Sa, marchesa? Io ho letto parecchie sue lettere.
— Come, Eccellenza?... Io non ho mai avuto l'onore di scriverne a
Vostra Eccellenza.
— Non a me, ma a sua cognata la marchesa Giulia Rorà, di Torino. Quelle
sue lettere parlavano della società milanese.
— Mio Dio?... Se avessi saputo che un Camillo Cavour le avrebbe lette,
avrei cercato di scriverle un po' meglio....
— M'interessavano molto.
Parlavano, infatti, della società milanese, circuita dalle cortesie
dell'arciduca Massimiliano. Nulla sfuggiva al sommo ministro. Anche,
a Milano si metteva, prima dell'alba, allo scrittojo e segretamente
riceveva egregi gentiluomini milanesi, che interrogava sul passato e
sul presente,
Massimo d'Azeglio ammirava anch'egli Camillo Cavour; ma ne approvava
in tutto la politica?... L'autore dell'_Ettore Fieramosca_, dopo il
disastro di Novara, aveva spianata la via al Cavour, ma non s'accordava
sempre colle vedute di lui, specialmente per la questione romana.
Nel 13 febbrajo del 1860, Massimo d'Azeglio venne mandato governatore
a Milano, nella cara città che, negli anni più baldi e più felici, gli
aveva elargito due allori in una volta: di romanziere e di pittore.
Oggi, i romanzi e le pitture del d'Azeglio hanno perduto di pregio; ma
valgono quali documenti d'un'epoca, nella quale la penna e il pennello
lavoravano concordi a servigio de' patrii ideali.
Massimo d'Azeglio, in conversazione, non rideva mai. Lasciava cader
qua, là, le sue ironie, le sue facezie più o meno pungenti, rimanendo
impassibile. Era amico della Belgiojoso, che lo stimava grandemente
per il suo fermo carattere, e non si sarebbe mai permessa con lui gli
sprezzanti atteggiamenti che adoperava con altri, i quali pretendevan
di sfoggiare con lei lo spirito.... che non possedevano.

Dinanzi ai rapidi, grandiosi fatti, che si svolgevano nel nostro paese,
la Belgiojoso palpitò ancora dell'antica passione: della politica.
Troppe questioni capitali (come quella del papato) sorgevano nel
tumultuoso formarsi dell'unità italiana; e la principessa sentiva il
bisogno di esprimere le proprie idee; sopratutto, sentiva il dovere,
come italiana della vigilia, di continuare l'opera sua fra le classi
dirigenti. Fondò allora un grande giornale politico quotidiano,
_L'Italie_, che cominciò ad uscire nel martedì 2 ottobre del 1860
a Milano (presso la tipografia Boniotti), avendo per redattore-capo
Léonce Dupont, fino giornalista, che scriveva gli articoli di fondo,
i così detti _primi Milano_, saturi di senno e di quell'erudizione
storica, indispensabile pei raffronti dei fatti e per le origini
di tante questioni. Svolgendo la raccolta di quella prima annata
dell'_Italie_, troviamo lunghi e frequenti articoli firmati: “Cristina
Trivulzio Belgiojoso„. Qualche volta, fra la principessa e il suo
redattore-capo sorge cortese polemica sulle questioni capitali, come
si può vedere nei primi numeri dell'ottobre riguardo alla necessità
dei congressi europei in luogo di guerre devastatrici. Léonce Dupont
risponde all'illustre collega che non sempre i congressi sono efficaci:
se si fosse riunito un congresso avanti la guerra del 1859, si avrebbe
avuta, forse, la liberazione della Lombardia?... E se si fosse riunito
un congresso dopo la pace di Villafranca, si sarebbero ottenute le
annessioni?
L'_Italie_ (nelle cui colonne la Belgiojoso emulava, con minor brio,
ma con più compostezza e saggezza, la prosa dell'antica sua rivale
madama de Girardin) aveva l'aspetto e il contenuto dei grandi giornali
di Parigi. Ricco il notiziario di tutti gli Stati d'Europa; ma neppure
una parola di cronaca milanese, tranne i manifesti del municipio e
l'annuncio degli spettacoli teatrali: le bazzecole municipali non
erano, infatti, assorbite dagli avvenimenti prodigiosi e febbrili di
quei giorni? Nella sera del 2 ottobre 1860, uscì a Milano (e anch'essa
per cura principale della Belgiojoso) un'_Italia_, ridotta di formato,
e in italiano. L'edizione francese parlava all'Europa; l'edizione
italiana parlava ai Milanesi.
Chi può pensare che l'intrepida pubblicista trattò sull'_Italie_
persino l'arduo tema della legge dei Comuni, e quello sulla convenzione
franco-italiana, che nel 1864 agitava gli animi e le penne?...
Ma l'_Italia_, sopraffatta à Milano da altri giornali cittadini in
italiano, languì presto: e il 15 ottobre dello stesso anno, scomparve.
Invece, la maestosa _Italie_ vigoreggiò a Milano sino a tutto il 13
febbrajo del 1861; nel qual giorno si trasferì a Torino, sede, allora,
del Parlamento. Infatti, non più nella liberata Milano, bensì a Torino
ferveva ormai, di nuovo, il centro della vita politica italiana; ed ivi
l'_Italie_ continuò ad uscire ogni giorno, trasportando poi i penati
nelle capitali di Firenze e Roma. E, a Roma, l'_Italie_ vive tuttora.
Nessuna difficoltà spaventava la principessa. Nessuna meraviglia,
adunque, se pubblicò anco un lavoro sulla politica europea. L'opuscolo
_Sulla moderna politica internazionale, osservazioni di Cristina
Belgiojoso_, dimostra la necessità che, in Italia, si formino abili
diplomatici.[151]
Prima di quell'opuscolo, l'enciclopedica donna ne avea pubblicato un
altro, scritto in un'estate nella pace di Venezia: _Osservazioni sullo
stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire_.[152] La Belgiojoso non
si preoccupa degli errori e delle sventure della patria; ella confida
nell'avvenire con una fede che nessuno de' suoi amici poteva neppure
tentar d'offuscare con un solo dubbio; altrimenti, com'ella lo feriva
d'acerbe canzonature! La stessa disfatta di Lissa (sulle prime non
creduta da lei, come impossibile, poi ammessa nel silenzio del più
cocente dolore e fra lagrime amarissime ben rare nelle sue pupille)
quella stessa atroce disfatta navale finisce.... col rassicurarla
perchè (ella dice) “già l'Italia è corredata d'una forte marina!„ La
pittura che la Belgiojoso (con istile bonario) fa delle varie provincie
italiane, prima dell'unità, è triste, ma vera.


XXI.
A Blevio sul Lago di Como.
Storia del villino della Principessa a Blevio: un frate. — Le
grandi beneficenze della duchessa de Plaisance. — Vincenzo Bellini
e Giuditta Pasta. — Abominevoli memorie della moglie di Giorgio IV
d'Inghilterra. — Maria Letizia Solms-Wyse e Urbano Rattazzi nella
_Villa Maria_. — Il prete mazziniano Tommaso Bianchi. — Nuovo stato
psicologico della Principessa e strani fenomeni da lei sofferti. —
Le sue lettere al dottor Màspero. — Dame di spirito. — La vedova
del conte Federico Confalonieri. — Matilde Juva-Branca e il suo
canto. — Un'inondazione notturna.

Un principe moscovita, Schuwaloff, possedeva sulla riva destra del
primo bacino dell'incantevole lago di Como — a Blevio — un grazioso
villino di stile nordico. Un giorno, desolato per la morte d'una
cara, bellissima amica, abbandonò la religione degli avi, si convertì
al cattolicismo e si fe' monaco, lasciando in eredità all'ordine
dei Barnabiti quel villino, testimone della sua felicità per sempre
distrutta. E la Belgiojoso acquistò dai Barnabiti il villino, sorgente
a' piedi del lago e mezzo nascosto tra la folta verzura, per passarvi
parte de' suoi ultimi anni in pace.
Senza rancori verso la duchessa de Plaisance, la principessa andò ad
abitare quasi di fronte all'antica rivale; e non lungi dalla villa
Pliniana, eremitaggio della fuggitiva e del principe Emilio Belgiojoso.
Era passata molta acqua sulle rive, ridenti di ville e di giardini;
eran passati molti falchi sulla severa Pliniana da quella notte famosa
in cui la duchessa de Plaisance, in mezzo al fulgor d'una festa di
ballo a Parigi, scomparve vestita di bianco col principe. Emilio
Belgiojoso era morto; ma alcuni ricordavano quella voce che cantava nei
silenzii delle notti stellate sul lago; e rammentavano qualche aneddoto
grazioso di quel gentiluomo raffinato e di spirito. Eccone uno: Una
sera, l'antico mazziniano cantava in un'adunanza signorile, dinanzi
alla principessa di Metternich, moglie del gran cancelliere austriaco,
la quale profondea lodi, deliziata di quella voce. E il principe
Belgiojoso:
— Che peccato, è vero, principessa, se Sua Altezza vostro marito mi
avesse fatto impiccare?...

Impossibile che Cristina Belgiojoso, così equa, non ammirasse le
continue, soavi opere di carità che santamente coronavano la vita
di passioni della duchessa de Plaisance: impossibile ch'ella non
la vedesse rendersi ancor degna dei congiunti lontani; congiunti
d'intemerato nome e virtuosi.
Vicino alla villa della duchessa de Plaisance, a Moltrasio, viveva
ancora Giuditta Turina; colei che ne' bei giorni avea condotto in
barca sul lago il suo Vincenzo Bellini. E, non lungi dal villino della
principessa, in una villa adorna d'un parco sontuoso, viveva un'altra
Giuditta — la famosa cantante Giuditta Pasta, l'appassionata interprete
del Genio catanese, il quale là, sul lago, fra i baci e le procelle
d'amore, avea create celesti melodie. Giuditta Pasta cantava ancora,
ma solo fra amici. Nella rivoluzione del Quarantotto, salì sulla cima
del monte di Brunate (_terra di santi_, dice un'iscrizione) e, su
quell'altura signoreggiante i piani lombardi, spiegò un canto colla
sua voce d'usignuolo per esprimere al cielo la propria esultanza.
Colei, che sulle scene era apparsa tante volte vestita da sovrana,
scintillante di diademi gemmati, indossava, in casa, vesti così dimesse
da sembrare non già una regina, ma una Cenerentola. Un adoratore della
“divina Pasta„ (come la chiamava il Bellini) partì da lidi lontani,
per deporre a' piedi di lei il proprio cuore; si recò nella villa
della diva sul lago di Como, ma quando se la vide venire incontro al
cancello, spettinata, e colle vesti luride, mandò un grido, fuggì, nè
fece più ritorno.

Il lago di Como è il lago dei romanzi d'amore; specialmente in quel
bacino di Blevio, che sembra chiudersi in una scena raccolta di
montagne verdeggianti. Se i robusti castani di Villa d'Este, dalle
larghe ombrie, potessero parlare, come gli alberi delle leggende!...
Fu chiamata Villa d'Este da Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick,
principessa di Galles, venuta in Italia nel 1816; la principessa, dagli
occhi stellanti, che detestava le vasche da bagno.... appunto come
l'interprete sublime della _Norma_.
Fu in quella Villa d'Este che la disgraziata s'infangò nella tresca più
deplorevole col proprio servo Bartolommeo Bergami, complice una sorella
di costui, diventata (o meglio improvvisata) _contessa Oldi_!... La
principessa di Galles poteva citare peraltro a propria attenuante....
il marito; colui che divenne Giorgio IV d'Inghilterra!... Quel
topazio di sposo nella prima notte di matrimonio dormì ubbriaco su un
tappeto.... Inutile riandare qui lo scandaloso processo della Messalina
del Lario, svoltosi a Londra collo scopo di escluderla dai diritti
della Corona; processo che si risolse in favore di lei per la debole
maggioranza dei giudici.... Inutile ricordare i turpi giuochi detti
“del turco Maometto„ che tanto divertivano a Villa d'Este Carolina,
e i balli adamitici ai quali ella assisteva con folle tripudio alla
“Barona„ presso Milano!
È meglio ricordare ch'ella, sull'esempio della regina Teodolinda, aprì
la bella via che da Como conduce a Villa d'Este; è meglio ricordare
le beneficenze che versò a larga mano; eppure ella ne raccolse
l'ingratitudine più nera, più vile; i suoi maggiori beneficati
divennero, infatti, i suoi più accaniti accusatori nel processo di
Londra!