La Principessa Belgiojoso - 17

Nazionale e _maire_ di Parigi; egli è quello che ha proclamata in
piazza della Concordia, la costituzione, che il colpo di Stato di
Luigi Napoleone Bonaparte annienterà domani; ed egli, il festeggiato,
l'adorato d'oggi, morirà domani povero e abbandonato.... Una delle
tante meteore della politica! — La principessa Czartorisky teneva a
Parigi un _salon_ singolarissimo, perchè (se dobbiamo credere a Madame
Ancelot) vi si respiravano “des émanations du siècle de Louis XIV„ e vi
s'imbandiva, a Pasqua (secondo l'uso polacco), un banchetto al quale
interveniva colla sua solenne benedizione l'arcivescovo di Parigi in
persona.[121]
Nella festa di ballo in costume, brillavano il Consiglio di Stato,
il corpo diplomatico, dieci generali. “La principessa di Belgiojoso
e la principessa Czartorisky — l'una rappresentante l'Italia, l'altra
rappresentante la Polonia — s'aggiravano insieme con dame e cavalieri
dell'aristocrazia inglese dimorante a Parigi„ — scrive l'_Evénement_. I
costumi alla Pompadour si mescolavano coi costumi dell'Ottantanove....
Ed ecco un accidente curioso, che dà un'idea di quel tempo. Mentre il
signor Marrast, il repubblicano del Quarantotto, balla gravemente una
sarabanda, viene interrotto da una folla di guardie nazionali, fabbri
ferraj, calzolaj, muratori, inverniciatori d'imposte, tosacani, i
quali, sicuri dell'ospitalità del cittadino Marrast, han creduto bene
di presentarsi senza invito ufficiale. Il signor Marrast, in mezzo
a tanti principi e principesse, si scorda, d'un tratto, i proprii
dogmi d'eguaglianza solennemente proclamati davanti al popolo sulla
piazza della Concordia, e a' quali i suddetti fabbri ferraj, calzolaj,
muratori, inverniciatori d'imposte e tosacani hanno in buona fede,
naturalmente, creduto; e il cittadino Marrast fa esprimere alle guardie
nazionali il dispiacere di non poter fare un'eccezione in loro favore.
Ma come?... protesta qualcuno della massa respinta. “Ma come?... Se
alla corte di re Luigi Filippo, che voi ci avete fatto licenziare, noi,
guardie nazionali e Palladio della nazione, intervenivamo in tal numero
da riempire le sale e da spadroneggiarle?... E voi, repubblicano, ci
respingete!...„
La _Gazzetta privilegiata di Milano_ (tornata a uscire con tanto
d'aquila austriaca in fronte sotto gli auspicii del vecchio e
soddisfatto maresciallo Radetzky) raccontava, il 2 ottobre di
quell'anno 1848, il leggiadro accidente di Parigi, che deve aver fatto
ridere gli ufficiali dalle giubbe candide; candide come la neve, non
come le intenzioni dei loro superiori.
Ma la Repubblica Francese commetteva intanto un esecrabile fratricidio.
Essa aveva lanciato il generale Oudinot per soffocare nel sangue la
Repubblica Romana.... Poteva soffrirlo il cuore italianissimo della
Belgiojoso?... Indignata, la principessa, abbandona il suo _hôtel_
della via di Montparnasse, abbandona la Francia; e noi la troviamo
a Roma fra le palle roventi dell'assedio, come suora di carità dei
feriti, come direttrice degli ospedali, dove tanto fiore di giovani
eroi italiani spasima e muore.


XVI.
Nel 1849. La Principessa all'assedio di Roma.
Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi a Roma. — Giovani eroi. —
La Belgiojoso al letto dei feriti. — Giulia Modena. — Fortezza e
sventure di Margherita Ossoli nata Fuller. — La strage di Villa
Corsini. — La Belgiojoso accoglie Goffredo Mameli ferito a morte. —
Suo carteggio coi Triumviri. — Suo talento d'amministrazione e sua
generosità negli ospedali. — Sua terribil lettera a un francese. —
Parte per l'Oriente.

Il sogno di Giuseppe Mazzini — la repubblica — si compiva nella Città
eterna; in quella stessa Roma che, nei secoli antichi, avea retta la
repubblica più gloriosa del mondo; e là, l'agitator ligure bramava di
acclamar Roma capitale della nuova Italia!...
Pio IX era fuggito di notte a Gaeta; nell'8 febbrajo 1849 la Repubblica
Romana veniva proclamata dall'Assemblea costituente: e Giuseppe
Mazzini, Carlo Armellini, Aurelio Saffi eran salutati triumviri.
Garibaldi, ecco, offre la sua spada, che nell'America brillò al sole
delle vittorie, e tutta una schiera di giovani freme d'intorno all'Eroe
e ne sente nel cuore lo spirito: l'impetuoso Nino Bixio, Luciano
Manara, cuor di leone, mente di saggio, il Daverio, i fratelli Emilio
ed Enrico Dandolo, il diletto loro amico Morosini; ed Enrico Cernuschi,
un lombardo che alle barricate delle Cinque giornate di Milano ha
combattuto in scarpine da ballo, colla cravatta bianca e coi capelli
profumati; e Carlo Pisacane di Napoli, che, morendo a Sapri sotto il
piombo borbonico, salirà immortale nella storia.
Vi è il medico Agostino Bertani, un repubblicano dai modi
elegantissimi; e Giacomo Medici, l'indomito Medici, destinato alla
gloria del _Vascello_; e Ugo Bassi, il pio, ardente sacerdote di
Cristo; il poeta Goffredo Mameli; il pittore Gerolamo Induno; Carlo
Gorini.... tutti pronti a difender Roma col proprio sangue; poichè i
Francesi voglion strapparla alla loro bandiera. La Repubblica Francese,
presieduta da Luigi Bonaparte, lancia infatti il generale Oudinot a
distruggere la Repubblica Romana; lotta fratricida, macchia sanguinosa,
orrenda, nella storia della razza latina. _Les Italiens ne se battent
pas_, disse l'Oudinot; e ben vede se questa sacra primavera d'eroi si
batte!... La compagnia Medici vien subito inviata alla villa Corsini
fuori di Roma, agli avamposti: poi il Medici si chiude in quella villa
memoranda, che per la sua forma è detta il _Vascello_. Trapassato
da una palla di carabina, cade Luciano Manara, mentre sta osservando
alcuni soldati francesi che appostano un cannone; Luciano Manara, che
Garibaldi ha voluto suo capo di stato maggiore; il Manara che metteva
nelle controversie fra l'Eroe dei due mondi e il Mazzini la buona
parola. A villa Spada, quartier generale di Garibaldi, cade il Morosini
con una palla al ventre e un colpo di bajonetta al petto. E cadono i
colonnelli Daverio, Masina e Pallini, i maggiori Ramorino e Peralta,
i capitani Scarini, David, Sarete, Cazzaniga, i tenenti Cavalieri,
Grassi, Enrico Dandolo e quant'altri mai!...
Ne _Lo Assedio di Roma_, il Guerrazzi ha calde pagine sugli eroi
lombardi; e come ben raffigura Enrico Dandolo!
“A lui nocque la troppa fidanza; imperciocchè avendo visto una
compagnia di Francesi sbucare da un lato del palazzo Corsini, si mise
in procinto di combatterla, ma si trattenne; e la cagione ne fu il
capitano francese, il quale sollevata la sciabola gridava con parole
italiane: _Siamo amici!_ Il Dandolo e i suoi, allora, accostansi come
chi sa e desidera avere amplesso fraterno; e l'amplesso fraterno fu
che il capitano di Francia, di un tratto saltato da parte, ordinava
a' suoi scaricassero l'arma, a trecento passi di distanza: un terzo e
più della compagnia Dandolo giacque spenta: degli ufficiali, Lodovico
Mancini ebbe forata una coscia; alcuni soldati accorsi a sollevarlo
riportarono gravi ferite, e lo stesso soccorso fu da capo trapassato
nel braccio. Silva lamentò una mano lacera; a Colombo toccava una palla
in bocca, che, stracciata tutta la carne, gli uscì dalla guancia. Al
Dandolo una palla traditora trapassò il corpo dal petto ai reni; i
suoi, rincalzati dai Francesi, lasciarono solo; ma solo non si poteva
dire, perchè rimase al morente il Morosini, gentile sangue latino. Dopo
breve intervallo, i soldati nostri ripresero animo e irruppero a corpo
perduto contro i Francesi.„[122]
E le palle dei cacciatori di Vincennes percotevano gli affreschi
di Raffaello; le palle grandinavano nella basilica di San Pietro e
all'ambulanza di San Pietro in Montorio, dove i feriti e i moribondi
venivan portati alla peggio sulle barelle; e feriti e moribondi, sotto
il sole cocente, o fra le ombre notturne, dopo un disperato conflitto
venivano portati su su, nelle corsie dell'ospedale dei Pellegrini; e là
una dama milanese, vestita di nero, li accoglieva infaticabile: era la
principessa Cristina Belgiojoso.
Al letto dei feriti e dei malati negli ospedali di Roma, altre signore
s'appressavano premurose. Il colonnello Enrico Guastalla, che si trovò
alla difesa del _Vascello_ col Medici, ai bastioni di San Pancrazio,
alla cascina de' Barberini, e che disputò coll'arme in pugno ai
Francesi il pittore Gerolamo Induno, crivellato da ventisette ferite
di bajonetta, strappandolo alle loro ire e portandolo sulle spalle alle
ambulanze, — mi narra d'aver veduto all'Ospedale dei Fatebenefratelli,
al letto dei feriti, Giulia Modena e Margherita Fuller. Giulia
Modena, nata Calame, della famiglia del celebre paesista svizzero,
era moglie di Gustavo Modena di Venezia, il mazziniano tenacissimo, lo
spirito indipendente e caustico, il sommo attore. Rosea, paffutella,
Giulia sembrava ai feriti una buona mamma sorridente. Insuperabile
nel porgere conforti, invitta nelle fatiche. — Margherita Fuller,
scrittrice americana, innamoratasi a Roma del marchese Ossoli, lo sposò
di nascosto stillandogli nelle vene il proprio ardor repubblicano:
di nascosto lo sposò, perchè la famiglia del marchese, tutta devota
al Vaticano, avrebbe maledetta quell'unione. Margherita Fuller avea
stretta amicizia con Giuseppe Mazzini, da lei conosciuto la prima volta
a Londra, e ne divenne seguace e ammiratrice fanatica. A dieci anni,
quando dimorava ancora a Cambridge-Post nel Massachusetts, leggeva i
poeti italiani nell'originale. Nulla per lei di più sacro che l'Italia;
nessuno più geniale degl'italiani! Diceva che era venuta al mondo
un'altra volta... ma in Italia! Perciò quando giunse a Roma disse (e
lasciò scritto nelle sue pagine autobiografiche): “Questi monumenti
mi sembrano una luminosa ghirlanda alla mia vita anteriore.„ Parlava
dell'Italia e di Roma con tal torrente di calde parole da rimanerne
stupefatti. “L'Italia (ella scrisse ancora) mi riceve come una figlia
lungamente smarrita, e qui mi sento a casa mia.„ Ora si pensi con quale
affetto ella curasse i feriti della difesa di Roma!
Durante l'assedio, Margherita Fuller Ossoli spiegò attitudini, attività
prodigiose; fu posta a capo dell'ospedale de' Fatebenefratelli. In
una lettera essa dice: “Domenica, dalla loggia, fui testimone d'una
terribile, d'una vera battaglia. Cominciò alle quattro del mattino e
durò fino a che vi fu un raggio di luce. Il fuoco dei fucili non fu
mai interrotto: il tuono del cannone, specialmente da Sant'Angelo,
era tremendo. Siccome il fatto aveva luogo a Porta San Pancrazio ed
a Villa Panfili, io vedevo il fumo d'ogni scarica, il luccicare delle
bajonette, e col cannocchiale distinguevo gli uomini.„
Caduta la Repubblica Romana, Margherita Fuller s'imbarcò a Livorno
col suo povero bambino e col marito, buon uomo, entusiasta di quella
donna singolare, per far ritorno in America; ma, poco lungi dalla
spiaggia americana, l'infelice naufragò miseramente col marito e col
figlio. I particolari di quel naufragio (i poveretti viaggiavano per
economia su un bastimento a vela, _Elisabetta_) destano raccapriccio.
Lunga, straziante fu la lotta colla burrasca e colla morte. Il naviglio
s'incagliò colla prua, alle quattro del mattino del 16 luglio 1850, sui
banchi sabbiosi dell'Isola del Fuoco; e rimase lunghe ore al flagello
orrendo dei venti, delle onde. Gli abitanti dell'Isola del Fuoco
potevano salvarli; ma essi erano pirati e attendevano lo sterminio
per impossessarsi delle spoglie dei naufraghi, de' quali solo qualcuno
si salvò e potè narrare con qual disperato affetto Margherita Fuller
si stringesse al cuore il suo bambino.... Gloria a lei, vera amica
d'Italia nostra!... Gloria, o fortissima!... Nel 1852 furon pubblicate
postume a Boston le sue _Memorie_. Pasquale Villari, negli _Scritti
varii_, ne parla e ne traduce alcune pagine pittoresche.[123]
Negli ospedali di Roma, durante l'assedio, prestavano la santa opera
loro anche Enrichetta Pisacane e la contessa Costabili moglie a
Giovanni Costabili di Ferrara, membro della commissione per le finanze.

Alla Belgiojoso (ormai quarantenne) venne affidata la direzione suprema
di tutti gli ospedali di Roma durante l'assedio, assegnandole qual
dimora l'Ospedale dei Pellegrini. In quell'ospizio, fondato nel 1551
dal santo più gioviale della terra, san Filippo Neri, giacevano molti
malati, feriti e moribondi; e la Belgiojoso accorreva ad ogni momento
ai loro giacigli. Non v'era ferita spaventevole, non piaga ributtante
che la trattenesse: anzi, più eran orridi e più compassionevoli i casi,
e più ella prodigava sè medesima a lenirli. E a sue spese faceva venir
farmachi; i cibi che mancavano, e bevande (latte, sopratutto) e bende,
lenzuola, letti.... La principessa aveva istituito un Comitato di
soccorso pei feriti; ma i soccorsi scarseggiavano in quei frangenti, in
quella lugubre confusione, mentre la Repubblica romana, affranta, stava
per cadere; ed ella, la “cittadina„, com'ella stessa si chiamava, come
la chiamavano, — pensava a tutto. Nata all'imperio, anche là dominava,
e, co' suoi occhi fatali, turbava talvolta, senza saperlo, la pace di
qualche giovane infermo.... Il dottor Bertani, che nell'ambulanza di
San Pietro in Montorio e all'ospedale dei Pellegrini prodigava cure
di medico e di chirurgo, accorgevasi che l'ammaliante vicinanza della
Belgiojoso faceva aumentare a qualche giovane ferito la febbre....
Giulia Modena ne era addolorata.... Fra le due pietose infermiere
spuntò qualche dissapore; ma in quella sala, popolata di pallide teste
bendate, che a mala pena si ergevano sugli origlieri improvvisati con
gli abiti stessi dei feriti o dei morti, le due signore frenavano i
risentimenti, gareggiando nella carità.
Il 3 giugno si combattè a Villa Corsini. Tutta un'onda di giovani
lanciata da Garibaldi a disperatissima battaglia, a corpo a corpo,
contro il nemico accampato fra gli alberi, i cespugli, le statue, i
terrazzi, i parapetti.... Per primi si scatenano gli ammirabili Masina,
Leggero ed altri, irrompendo entro il cancello della villa: il Masina,
ferito al petto, sprona il cavallo su su per una ripida gradinata, ed
ivi, colla carabina in pugno, coi piedi ben fermi nelle staffe, eroe
magnifico, cade morto trafitto al cuore. Di tanti giovani nostri, uno
solo uscì incolume![124]

La principessa Belgiojoso vide giungere all'ospedale della Trinità
dei Pellegrini, su due barelle, due giovani feriti: Goffredo Mameli e
Nino Bixio. Tutti e due liguri; entrambi fratelli d'ideali; entrambi
compagni nella voluttà della lotta. Nino Bixio, non gravemente
ferito, guarì: Goffredo Mameli, ferito alla gamba sinistra da palla
che gli perforò l'osso nella parte superiore della tibia, non ostante
la fasciatura, perdette a torrenti il sangue, tanto che, dopo tre
ore, rimase privo di sensi. Così passò il novello Teodoro Körner, il
poeta-soldato, il cui inno
Fratelli d'Italia,
L'Italia s'è desta,
musicato dal maestro Novaro con note più meste che guerriere (quasi
elegia sulle sciagure della patria), veniva cantato lontano, sulle
fulminate lagune di Venezia, dai difensori della sventurata, divina
città. L'ultimo canto del Mameli fu _Milano e Venezia_. — Il poeta
accarezzava nel cuore un sogno sublime: Roma centro delle genti umane,
unite in fratellanza d'amore, in armonia di pace:
Ove del mondo i Cesari
Ebbero un dì l'impero,
E i sacerdoti tennero
Schiavo l'uman pensiero;
Ove è sepolto Spartaco
E maledetto Dante,
Ondeggierà fiammante
L'insegna dell'amore....
Più di qualche intiera notte, la Belgiojoso sedeva, al chiaror d'una
lucernetta a olio, accanto al letto di povero infermo per essere pronta
ai soccorsi; e quando il giacente dormiva tranquillo, leggeva i romanzi
inglesi di Carlo Dickens; romanzi che si faceva mandare dal buon
Vieusseux di Firenze, e al quale scriveva: “Quando comincio a leggere
qualcosa di Dickens, non posso più staccarmene, se non l'ho letto
dieci volte.„[125] Ma quante volte, invece, doveva staccarsene per
soccorrere e consolare con dolci parole, con sicure premesse di gloria,
il malato! Non rimaneva certo ella lontana dai pericoli, ed esultava
nell'apprendere gli atti di valore dei nostri. Allo stesso Pietro
Vieusseux scriveva allora:
“Sebbene affaticatissima ed anche esposta a qualche pericolo, pure
mi sento bene e contenta, perchè non ho assistito a viltà italiane.
Potremo soccombere, ma disonorarci, spero, no. Salute e fratellanza.
“CRISTINA TRIVULZIO DI BELGIOJOSO.„
E, in un poscritto dello stesso biglietto:
“M'accorgo d'aver finito romanamente. È l'effetto d'abitudine.„[126]
In un'altra lettera allo stesso Vieusseux, esprime la propria poca
fiducia nei triumviri:
“I triumviri fanno minchionerie molte e varie. Il popolo tace, perchè
un movimento contro i triumviri potrebbe essere interpretato come
contrario alla Repubblica. Certo è però che si raffredda, e non si
adopera attivamente per sostenere questi uomini di cui non è contento.
Innanzi all'intervento, il popolo romano starà, temo, immobile, non già
per indifferenza come si dice d'alcuni, ma per poca fiducia in chi gli
è capo.„[127]
Come fu profetessa!...
La Belgiojoso carteggiava coi triumviri della Repubblica sulle
condizioni degli ospedali e qualche volta, ahimè! sulle discrepanze dei
signori medici. Valga questo documento:[128]
“_Cittadini Triumviri_,
“A discarico mio e del Comitato, vi mando l'avviso scritto del chirurgo
curante la terza corsìa dell'Ospedale dei Pellegrini. — Da questo
certificato, rileverete che vi possono essere delle diversità di parere
nel Consiglio medico ed altrove, ma che il Comitato non si è vôlto a
voi con una domanda, se non perchè vi fu spinto dall'uno dei principali
curanti; senza parlare dei membri dello stesso Consiglio Medico, i
quali non dividono l'opinione personale del prof.re Baroni.
“Vi preghiamo a ritornarci il qui accluso certificato. Salute e
fratellanza.
“CRISTINA TRIVULZIO DI BELGIOJOSO.„
_Trinità dei Pellegrini — 1º Giugno di sera._
Alcuni poveri feriti non ricevevano nemmen più la paga; e la Belgiojoso
si rendeva interprete delle loro nuove miserie. Al maggiore del 1º
battaglione di Luciano Manara, scrive premurosa questa lettera:
“_Cittadino Maggiore_,
“I militi Camoletti, De Vecchi, Saeti, Aretusi, Galbiati, Scarpari,
Marelli, Olivieri, Antonioli, Donati, Canetta, Lombardini, Brogini,
Barnabè e Trabattoni, feriti e trattenuti in questo spedale dal giorno
tre di giugno, non hanno ricevuto pei più la paga. Alcuni poi hanno
bensì ricevuto la paga, ma non la gratificazione, che loro si disse
essere stata pagata agli altri militi del loro corpo non feriti. Io
dunque li dirigo a voi certificandovi il sopra accennato, non dubitando
che vorrete prendere in considerazione i diritti di questi infelici,
e non aggiungere i patimenti della miseria alle pene morali che
immeritatamente li affannano. Salute e fratellanza.
“CRISTINA TRIVULZIO DI BELGIOJOSO.„
_5 luglio 1849 — Quirinale._[129]
Pei fioriti, ampii giardini del Quirinale si aggiravano i mutilati,
sorreggendosi sulle gruccie. Per rasserenarli, la principessa faceva
mettere in movimento dal giardiniere tutt'i giuochi d'acqua delle
fontane; e quelle larghe onde d'argento, quegli eleganti zampilli
di perle, quei ruscelli dall'impeto infantile riempivano l'aria di
frescura, e infondevano, forse, nell'animo di quei valorosi, appena
usciti dalla strage, dal sangue, dalle operazioni chirurgiche sostenute
senza cloroformio (allora non si usava!), un senso di pace gentile e di
gajezza.
In un libro, apparso a Londra nel 1863 collo strano titolo italiano
_Roba di Roma_ e scritto in inglese da William Story, si trova un
racconto che pone in gran luce quanto la Belgiojoso operò negli
ospedali di Roma, mettendovi ordine, disciplina e pulizia igienica
ammirabile:
“La sistemazione degli ospitali in Roma, mentre correvano i giorni
difficili dell'assedio, si dovette principalmente al triumvirato
femminile che ne assunse la direzione (la _Belgiojoso_, la _Modena_, la
_Fuller_); e di cui fu _auspice la Principessa Belgiojoso_. L'operosità
di questa eroica gentildonna e la sua instancabile carità meriterebbero
l'omaggio d'una penna assai più valente della mia; poichè non soltanto
introdusse dovunque l'ordine, la disciplina e le regole d'un'esemplare
pulizia; ma si consacrò personalmente alla cura degli ammalati e dei
feriti. Fissato che ebbe il suo quartier generale all'ospedale dei
Pellegrini, non un istante rifuggì da fatiche o conobbe stanchezza.
Ferma al posto il giorno e la notte, non lasciava la sua cameretta
che per invigilare il servizio degli infermi o per prestar loro un
sollievo. Vedevansi infatti, al suo avvicinarsi, i volti alterati
dalle sofferenze comporsi a più mite espressione, e le membra affrante
adagiate a riposo sul letto del dolore. E ne seguivano talvolta
scene commoventissime, nelle quali la forza d'animo dell'infermo e la
pietà della consolatrice si contendevano l'ammirazione. Per quanto
poi riguardava la direzione interna dell'ospitale, la principessa
diè prova di quelle facoltà che nella donna sono specialissime e la
fanno superiore all'uomo; così l'ospitale dei Pellegrini, che prima
della sua venuta trovavasi in balia al disordine ed allo sgoverno, fu
tosto ridotto ad una disciplina mirabile, imposta con saggia fermezza.
Il colossale lavoro, al quale la principessa dovette sottoporsi per
ottenere l'intento e che avrebbe sgomentato una volontà meno tenace
della sua, non la fece deviare un momento dall'alto proposito e le
diè campo di spiegare una intelligenza dominatrice unita alla più
sorprendente attività. Una specie di cella era la sua dimora: un
materasso steso sul pavimento, il giaciglio su cui riposava poche ore;
il resto del tempo lo passava scrivendo o nel dare ordini per dirigere
e far muovere il vasto congegno che a lei doveva di poter soccorrere
grandi sventure....„[130]
Inutile tornò l'eroismo di tanti prodi. La Repubblica Romana morì
soffocata nel sangue; e il pontefice che fin dall'enciclica del 29
aprile 1848, si era apertamente ritirato dalla causa italiana, riprese
libero il triregno.
I Francesi trionfatori presero subito possesso anche degli ospedali de'
feriti. Il signor Pages, francese, nuovo intendente degli ospedali,
scacciò villanamente dai _Pellegrini_ la principessa Belgiojoso,
che tante cure vi avea profuse; scacciò le altre signore e i medici
Raimondi e Bertani, che, anch'essi, prestavano per solo sentimento
d'umanità, senza compensi, la preziosa e sacra opera loro. Il Pages
arrivò al punto da ordinare il trasporto dei feriti nella infermeria
dell'ergastolo di Termini!... Il che riempì di sdegno la principessa.
Lasciata Roma, e imbarcatasi a bordo del _Mentone_, il 3 agosto del
'49, ella inviò a un giornale di Torino, _La Concordia_, una fierissima
lettera, che flagella a sangue il Pages. _La Concordia_ (diretta allora
da Pietro Mazza, che aveva fatte le prime armi giornalistiche a Parigi
nella _Démocratie pacifique_, alla quale cooperò anche la Belgiojoso)
pubblicò la vindice lettera nel 21 settembre:
“Fin dai primi giorni del vostro ingresso in Roma, lorquando voi vi
protestavate pieno di rispetto per la situazione dei nostri feriti, e
risoluto a non renderla ancor più penosa, voi mancaste di comprendere
che la vostra presenza e d'ogni altro uniforme francese era, se non
un insulto, almeno una sofferenza che il buon senso voleva lor fosse
risparmiata. V'ebbe tra loro chi si incaricava di avvertirvene;
ed allorquando voi attraversavate le sale degli ospitali, una sola
voce avrebbero alzato a maledirvi, se colle mie preghiere non avessi
ottenuto che mi risparmiassero l'imbarazzo d'una cotal scena.
“Io non vi parlo dello strano progetto di trasportare i feriti
all'ergastolo, in mezzo a quell'aria avvelenata di Termini: io non vi
rimprovero pure il decreto pronunciato e comunicato ai direttori delle
ambulanze di trasportarvi immediatamente tutti i feriti, eccettuati
solamente quelli che già avessero ricevuta l'_estrema unzione_; voi
avete rigettata la responsabilità di siffatte determinazioni sui
vostri agenti, e sta a loro a difendersene. Ma ciò che avete fatto con
cognizione di causa voi stesso, si fu di farli rientrare nell'ospedale,
da cui noi li avevamo fatti uscire due mesi prima, perchè vi marcivano.
Voi vorrete rigettare anche questa responsabilità sul Consiglio di
medicina: ma ciò è impossibile; perchè voi siete stato avvertito
da me dell'insalubrità del locale; e se aveste degnato prendere in
considerazione la mia avvertenza, io vi avrei mostrato dei certificati
sottoscritti due mesi prima dai professori dell'ospizio, precisamente
dal professore Baroni stesso, nei quali raccomandava il trasporto dei
feriti in un luogo più sano.
“Il trasporto non vi bastò; e voi avete temuto che i feriti non
sentissero vivamente abbastanza l'amarezza della loro situazione. Sotto
pretesto di economia, voi li avete privati delle cure alle quali erano
accostumati, e che avevan loro conservata la vita. Si sa, anche in
Roma, che le donne soltanto sanno raddolcire i patimenti degli infermi
e dei morenti; voi avete proibito, discacciate le donne, e confidato
i nostri feriti a dei facchini. Sotto pretesto di economia, voi
avete soppresso due dei migliori professori dell'ospitale (Raimondi e
Bertani) che servivano gratuitamente, e li avete soppressi brutalmente;
vale a dire senza ringraziarli tampoco dei servizii resi, e senza
annunciar loro che, d'ora innanzi, non bisognavan più. Al posto di
questi due abili chirurghi, che servivano _gratis_, voi avete poi
nominato un altro chirurgo capo di sala, che non fu mai fino allora
che assistente in bassa chirurgia, ed a cui voi assegnaste gli _averi_
eguali a quelli dei suoi colleghi; parlo del signor Eugenio; voi avete
ridotto le razioni dei feriti, ordinato che non si desse più loro a
bere che acqua pura, e che il loro vitto si componesse unicamente di
carne a lesso, quando i medici aveano le cento volte dichiarato che
un tal vitto non conveniva in tutt'i casi; finalmente, voi li avete
privati delle pietose donne che da due mesi si erano consacrate alla
loro consolazione e al loro benessere. Nè ciò è tutto ancora. Voi
avete permesso che fossero allontanati da essi i cappellani, e messi,
in luogo di questi, dei cappuccini fanatici, che minacciavano i feriti
di lasciarli perire di sete e di fame, se non si fossero confessati
immediatamente, e non avessero fatto una confessione piuttosto politica
che religiosa.„
Nè la rovente requisitoria qui finisce. La principessa italiana accusa
il Pages d'essersi appropriati oggetti che pietosi cittadini aveano
offerto in dono ai malati, ai feriti; lo accusa di spogliazioni!...
Rispose il Pages?... Lo ignoro.
La nave su cui la principessa, fremente di sdegno, scrivea la lettera
punitrice, viaggiava, intanto, verso altre terre, recando un'anima
che non era vinta, nè avvilita dalle delusioni amare, dalle sciagure;
un'anima che, non ostante i lutti, gli errori e le colpe, sperava
ancora con fede incrollabile nel vicino risorgimento della patria. La
Belgiojoso viaggiava verso l'Oriente, a un nuovo esilio, incontro a
nuove durezze della sorte. Durante l'assedio di Roma ella fu grande.
L'apice della sua grandezza è là!
Ma troppa amarezza le aveva lasciato nell'animo il contegno dei
francesi. Uno di questi, il generale Espivent de la Villeboisnet,
arrivò persino a vedere politici intrighi e insidie nelle cure che la
Belgiojoso e le altre dame prodigavano con eguale carità ai feriti
francesi come ai feriti italiani. Aveva ragione la principessa di
sembrare una _tragique furie_.[131]


XVII.
La Belgiojoso in Oriente e gli arem.
Perquisizioni austriache. — La scoperta d'un cadavere. — Funebri
leggende. — La Principessa in Grecia. — Malumori fra i Greci per
alcuni articoli della viaggiatrice. — A Costantinopoli e presso
Angora. — Negli arem. — Donne d'Oriente. — Nuovi viaggi della
Principessa e peripezie notturne. — Gerusalemme. — Un servo tenta
d'assassinare la Principessa. — Le ferite. — Lavori d'ago. —