La plebe, parte IV - 49

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intelligenza, dall'intelligenza al sapere che forse non si arriverà mai,
quel grandioso quadro dell'universo in cui la vita umana non è centro,
non è principale, non è prova unica, nè definitiva, nè ultima, sibbene
un lieve e fugace episodio, un passo, un grado, una fase di svolgimento,
come il globo che ci sostiene è nel mondo astronomico non altro che un
granello della sabbia infinita de' mondi seminati traverso lo spazio
senza limite; svolse tutte quelle idee, insomma, che lo udimmo già
adombrare nella prigione del Palazzo Madama al suo amico e compagno,
Giovanni Selva, e che qui non si ripetono per evitare accrescimento di
fastidio ai buoni lettori. Era tanto felice che poteva dirsi ispirato;
le sue idee e il modo ond'erano espresse si presentavano di tal guisa da
afferrare l'attenzione di qualunque, da vincergli la mente e scuotergli
l'animo. La sua era in quel momento una vera eloquenza, dal cui fascino
ogni intelligente doveva restar preso; parlava nello stesso tempo al
cervello ed al cuore, trascinava la parte effettiva e convinceva la
ragione dell'uomo. Le sue stesse sembianze, la sublime dignità che alla
sua faccia volgare dava l'impronta della morte, cui già vi aveva
impresso il morbo, quasi una preoccupazione del mondo superiore a cui
era chiamato, il fulgore dell'anima traverso gli occhi, la voce
cavernosa e pur vibrante con inesplicabile efficacia, tutto concorreva a
dare alla sua intraducibile eloquenza una quasi irresistibil forza. Il
sentimento della superiorità di quello spirito sopra il suo, sentimento
che Gian-Luigi aveva pur sempre avuto in fondo all'animo, senza
confessarlo a se stesso si spiccò più netto e più potente nel condannato
e represse quella empia ironia onde aveva egli accolte le precedenti
esortazioni religiose. In fra' Bonaventura era a parlargli l'interesse
di dominazione umana che s'ammanta di religione e non fa capo che ad una
superstizione che si vuole imposta allo spirito dell'uomo come freno e
impedimento; in Don Venanzio era una sublime ignoranza affermativa alla
quale ei credeva sovrastare per intelletto e per dignità l'audace
negazione del suo orgoglio; ma qui era il genio con tutto l'ardore del
suo intimo fuoco, con tutta l'azione e il prestigio della sua potenza,
con tutto il peso e l'efficacia d'una vera scienza acquistata mercè lo
studio e la meditazione. Gian-Luigi rimase sovraccolto, fu come
sbalordito; gli parve che qualche cosa più che una ragione umana gli
parlasse; ebbe primamente sentore d'una intelligenza superiore a quella
onde si vantaggia l'uomo in questa vita. Quando Maurilio si tacque
affranto dallo sforzo fatto pel lungo parlare, tornato nella sua
primiera debolezza, anzi accresciutasi, accasciato come se la forza
interiore che lo aveva sostenuto sino allora si fosse esaurita, o da lui
dipartitasi, Gian-Luigi stette un istante immoto, in silenzio, gli occhi
volti alla terra, pallido, le ciglia aggrottate, le guancie contratte
dalla forza con cui l'intentività della sua meditazione gli faceva
serrar le mascelle.
— Ebbene? diss'egli poi levando con moto brusco il capo, stringendo
forte al petto le sue braccia incrociate, e saettando sul suo compagno
d'infanzia uno sguardo in cui c'era un raggio quale forse non vi era mai
brillalo per l'innanzi: che cosa conchiuderne a mio riguardo? che devo
fare? che deve esser di me?
Maurilio così rispose:
— L'esistenza del nostro spirito immortale è un avvicendamento di vita
organica quando unito colla densa materia, e di condizione immateriale,
quando traverso la morte del corpo passa ad uno stadio di essere appena
forse se cinto di fluidi imponderabili. Ogni vita organica ha da essere
un travaglio in cui lo spirto si affina, ogni morte un salire nella
scala del progresso indefinito. Chi manca alla sua missione, chi
tradisce il suo debito rifarà forse e con più travagli il cammino. Nel
periodo di esistenza oltre umana a cui stai presso, tu avrai da far
provvista di forza morale per ricominciare forse con ancora più
difficili condizioni la prova. Questa forza alla tua intelligenza già
avanzata nel suo svolgimento te l'ha da concedere la luce della scienza
dell'infinito a cui durante questo stadio che stai per finire, hai
chiuso ostinatamente gli occhi. Sarà quello un lavorìo di
perfezionamento a cui dovrai la capacità di riconoscere ed amare la
virtù nella vita terrena avvenire; quel lavorìo cominciato fin d'ora sul
limite di questa esistenza, e ne avrai tanto di guadagno nell'anima tua.
Riconosci la legge suprema dell'universo; confessa l'intelligenza ultima
verso cui camminano vacillando ed inciampando le deboli nostre; e credi
in Dio.
Che fu? Qual raggio di fiamma divina come saetta penetrò nell'intimo di
quel petto, squarciandolo? Il condannato era seduto, immobil sempre; a
quelle ultime parole si riscosse come crollato da una mano potente, una
ondata di rossore gli corse alle guancie ed un calore inesplicabile,
subitaneo, invadendolo tutto, gli fece spuntare a goccioline sulla
fronte il sudore; mandò un grido che pareva di dolore come uomo
trafitto; sorse in piedi come per rispondere ad un subito appello a cui
non si resiste.
— Dio! Dio! esclamò egli, cacciandosi le mani entro i capelli come un
pazzo. L'infinito, l'assoluto, il vero, la realtà! Mistero, mistero che
ho odiato, perchè non ti ho potuto stringere coll'audacia del mio
pensiero, possedere coll'ansia desiosa dell'anima mia!.... Parlami nella
mia debolezza, parlami nella mia impotenza, parlami nella morte....
Rivelami questa sostanza che non so capire nelle manifestazioni delle
sue parvenze. Se il velo della carne mi offusca l'intelletto, mi fa
ostacolo ai raggi del vero, sono lieto che tu me lo strappi. — Voglio
contemplar la luce, dovessi consumare a quella fiamma il mio spirito, e
distrurlo.... Dio! Dio! ti sento, e vo' comprenderti.
Ricadde come spossato. Maurilio rispettò col silenzio la stanchezza di
quella crisi. Dopo un poco Gian-Luigi tese una mano al suo compagno
d'infanzia, e disse modestamente:
— Credo alle tue parole, e ti ringrazio.
Stettero un pezzo seduti vicino, tenendosi per mano, discorrendo sotto
voce soavemente. Quando la notte era già di molto inoltrata, Maurilio
s'alzò per recarsi presso suo padre.
Gian-Luigi lo abbracciò strettamente.
— Non ci rivedremo dunque più: diss'egli con una emozione contenuta, ma
quale non aveva forse avuta ancora per l'addietro: forse mai più!
— Con questo corpo, rispose Maurilio, sotto questa forma, di certo
no.... La forma?... Chi può immaginare quella che vestiremo nelle
esistenze avvenire; qual sia quella che corrisponde allo spirito nostro?
Ma quanto a trovarci ancora nel mondo illimitato degli spiriti e nella
infinitezza del tempo, ciò avverrà, lo spero, ne sono anzi sicuro, e
forse fra non molto. (Sorrise mestamente, soggiungendo:) Picchio ancor
io alla porta del sepolcro, e tu mi precederai di poco nel regno dei
morti. Sta pur certo, che vi ci riconosceremo, e forse ci riconosceremo
avvinti l'uno all'altro dalle memorie di chi sa quali vite anteriori in
questo od in altri mondi; memorie che si ridesteranno al nostro spirito
ora offuscato, al cadergli intorno della carne che gli fa velo.
— Tal sia di noi! esclamò Gian-Luigi, abbracciando un'altra volta
Maurilio. Perchè mi sono io disgiunto da te nella vita? Le tue parole mi
avrebbero salvo. In questi momenti che l'approssimarsi della morte fa
solenni, vedo con più chiaro sguardo in me stesso; una gran qualità è
mancata al complesso delle mie forze: quella dell'amore. Sento ora tutta
la pochezza e l'impotenza dell'egoismo.... Sì; nel mio intimo c'è una
energia che non si può consumare colla morte di questo corpo; bisogna
che ci sieno altre vite in cui impiegarla e svolgerla, farla servire a
qualche cosa, in cui riparare agli errori della presente. Avrò in esse
la facoltà che qui mi è mancata; lo voglio, ed alla possa
dell'intelletto, congiungerò l'intelletto d'amore. Ora vanne; addio! Ed
a rivederci nell'eternità!
Si separarono con occhi asciutti e con un sorriso pieno di speranza sul
labbro; Maurilio entrò nella cella in cui russava ancora
_Stracciaferro_.
L'alba fatale non era lontana che di poche ore; ed un sacerdote che era
accorso a confortare il condannato, volendo approfittare di quel po' di
tempo che ancora rimaneva, svegliava il misero su cui così imminente
incombeva la vendetta sociale. _Stracciaferro_ girava intorno
stupidamente il suo sguardo avvinazzato, e per prima cosa diceva:
— Da bere..... Quell'acquarzente era buonissima.... To' la caraffa è
finita..... La era troppo piccolina..... Me se ne porti un'altra.
Il sacerdote incominciava le sue esortazioni religiose; ma l'assassino,
guardatolo alquanto di quella guisa con cui un lupo preso in trappola
deve guardare il cacciatore che lo viene a spacciare, lo interruppe con
mal piglio.
— Che storia la mi viene a contare Lei? La sappia che a me non piace
quella musica, e che non intendo di quell'orecchia..... Invece di tante
fanfaluche, se la è un brav'uomo, mi faccia dar da bere.... Non mi
occorre altro.
Avendo quell'altro voluto insistere, il condannato entrava in una specie
di furor bestiale.
— Da bere, da bere: gridava egli strepitando. Voglio dell'acquavita.....
Me se ne dia.... Ci ho diritto..... La voglio, dico.
E con un'orrenda bestemmia, poichè aveva afferrata la caraffa, che già
era vuota, la scaraventò con tanto impeto sul pavimento, a dispetto
della _camicia di forza_ onde aveva impacciati i movimenti, che la mandò
in mille frantumi. Il prete si allontanò da lui spaventato: i due
fratelli della _misericordia_ si accostarono per tentar di capacitare
quel forsennato; ma egli strepitava sempre più forte. Ad un punto il
prete, che s'era avvicinato e stava recitando esorcismi in presenza del
parosismo di quel miserabile, sentì un respiro affannoso dietro le sue
spalle ed una voce, che gli disse:
— Mi lascino solo con quest'uomo, li prego.... Me gli è Dio che mi manda
in questo momento presso di lui.
L'aspetto di Maurilio aveva tale imponenza d'autorità che tutti si
ritrassero senza domandargliene altra spiegazione. Egli si avvicinò al
condannato che urlava tuttavia, gridando colla schiuma alla bocca:
— Da bere! da bere!
Gli pose tutte due le mani sulle spalle e si chinò verso di lui,
facendogli piombare addosso uno sguardo da domatore.
— Tacete ed ascoltatemi: gli disse con un accento di comando insieme e
di esortazione.
_Stracciaferro_ lo guardò un istante, stupito, quasi non comprendendo
tanta audacia, nè sapendo immaginarsi ciò che quello sconosciuto gli
volesse; poi una fiamma selvaggia si accese in que' suoi occhi
intorbidati, ed egli parve raccoglier le forze per iscuotere da sè
quell'importuno, come fa il toro de' cani da presa che gli si attaccano
alle tozze membra coi denti nelle così dette _corse_ in Ispagna. Ma
prima che avesse tempo a compir l'atto, il giovane si era chinato
vieppiù verso la faccia bestiale e gli aveva detto con forza:
— Michele Luponi: io son vostro figlio.
La fiamma si spense nelle pupille del condannato, che diventarono
attonite. Stette un poco immobile, evidentemente senza aver compreso il
senso delle parole, ma pur tuttavia colpitone, forse dall'accento con
cui erano state pronunciate.
— Sono vostro figlio: ripetè il giovane: e vengo a voi guidato dallo
spirito di mia madre.
Il miserabile crollò le spalle ed ebbe una ferina occhiata che
annunziava prossimo uno scoppio d'ira.
— Figlio! disse. Che figlio d'Egitto?... Io non ho figli... Non mi
rompere le tasche... Voglio da bere.
— Ricordatevi una notte tremenda a Milano..... la notte dei morti...
Sono ventiquattro anni... Una povera madre vegliava sulla culla del suo
bambino... Due uomini entrarono e fecero a strapparle il nato delle sue
viscere... Ella volle difenderlo, e s'afferrò colla forza disperata
d'una madre che non ha soccorso ad uno dei rapitori: e quell'uomo per
liberarsene le piantò un coltello nel seno.
Gli occhi di _Stracciaferro_ sbarrati avevano presa l'espressione del
più alto spavento.
— Che sapete voi?... Che volete voi?... gridava egli: e pareva che
l'ebbrezza, sotto l'azione del commovimento destato da quel ricordo,
sparisse dal suo ottuso cervello.
— Quell'omicida eravate voi, e il bambino era vostro figlio.
— No, no, non è vero: urlò il condannato cui le chiome arruffate si
drizzarono in capo. Chi ha parlato mai di ciò? Nel processo non se n'è
trattato... Nessuno lo sa, nessuno l'ha da sapere. È forse _Graffigna_
che mi ha tradito?... Io lo ammazzerò come egli ha ammazzato
_Macobaro_... Sono già condannato a morte: che cosa mi si vuole di
più?... Lasciatemi stare; lasciatemi stare; ch'io passi almeno in pace
questi pochi momenti che mi rimangono. Datemi da bere, che il diavolo vi
porti!...
Le nebbie dell'ebrietà tornavano ad invadere quella già mezzo estinta
intelligenza; egli era ricaduto nel suo imbestiamento peggio di prima.
— Da bere! da bere! ripeteva coll'accento, collo sguardo, colla mossa
d'uno scemo.
Maurilio lo scosse con una emozione che pareva di rabbia.
— Ma quel bambino che avete rubato, cui la povera madre ha difeso
inutilmente a prezzo del suo sangue, quel bambino che avete venduto ed
era vostro figlio — quel bambino sono io. — Io sono vostro figlio e
vengo in queste vostre ore d'agonia a recarvi il mio perdono, il perdono
di mia madre.
E il miserabile ormai dissensato del tutto:
— Figlio: balbettava con lingua grossa: non ho figli, io..... Non mi si
venga a seccare..... Vo' da bere..... In _confortatorio_ ci si deve dar
tutto quello che domandiamo..... Io domando dell'acquavita..... Od
almeno mi si lasci dormire... Ho un sonno che non posso tener gli occhi
aperti... Ho una sete che mi divora la gola... Ah! se non avessi le
braccia in queste maniche d'inferno, vorrei ben io mettervi alla ragione
tutti.
— Io non v'abbandonerò, padre mio: disse con mestizia, ma con
risoluzione Maurilio: è mia madre che mi ha mandato presso di voi; lo
sento, lo so; non vi abbandonerò più fino all'ultimo fatale momento...
Questo momento si appressa: e come ci siete voi preparato?... Dite,
dite: non vi ricordate voi che qualcuno vi parlasse un giorno della vita
futura, e di Dio?..... Di certo nella vostra infanzia ve ne ha parlato
vostra madre, perchè voi non foste tolto all'amor suo... Oh richiamatevi
alla memoria quegli anni. La madre vi ha fatto inginocchiare, stringer
le mani e pronunziar parole che avevano una misteriosa virtù di
confortarvi... Ricordatevi! Ricordatevi!... Quel qualche cosa che allora
si rasserenava, si calmava, si consolava in voi, non era questo corpo
che il cibo satolla ed il liquore assonna; quegli intimi, ineffabili
diletti toccavano ben altra parte di voi che quella cui solletica il
vizio... V'è alcun che in voi diverso da quelle membra dallo stravizzo
intorpidite: questo che fu assopito in voi dalla sciagurata vita
materiale, ma non è estinto, perchè non può estinguersi, perchè è
immortale. Cercatelo in voi con uno sforzo di volontà e ce lo troverete,
e potrete ridestarlo. È immortale, vi dico, è quello che chiamiamo
l'anima; e che la distruzione del corpo non distrugge. Voi dovete
morire... perchè lo sapete bene che dovete morire, non è vero?... non
dimenticatelo... Dovete morire tra poco: ma dovete morire voi, uomo qual
siete adesso, voi Michele Luponi, voi _Stracciaferro_; ma quella parte
intima di voi non morrà... quella parte che si commoveva alle dolci
parole materne, alle preghiere infantili,..... quella parte vivrà
ancora, vivrà sempre, vivrà secondo la sorte di cui si è fatta degna.
Parlò a lungo in cosiffatta maniera; parlò della virtù del pentimento;
parlò del riscatto possibile di ogni colpa coll'espiazione e colla
volontà; cercò tutte le fibre del cuore umano per farne vibrar una in
quello del condannato; si commosse fino alle lagrime, fino a quel
trasporto onde pare che un'anima effonda il più intimo di sè nell'anima
d'un altro; aspettò con quell'intensità di desiderio che è tanta da
farci credere impossibile venga delusa, che un cenno, un cenno solo si
manifestasse del ridestarsi dello spirito in quella massa di carne
caduta al di sotto dell'umanità.
_Stracciaferro_ aveva appoggiato un braccio all'inginocchiatoio presso
cui stava seduto e sul braccio aveva reclinata la testa; poteva la sua
mossa esser creduta quella d'un uomo cui le cose udite fanno
profondamente meditare. Maurilio si chinò palpitante su di lui. Il
miserabile, al suono delle parole di suo figlio, cui non aveva
riconosciuto, cui non avrebbe riconosciuto, s'era riaddormentato. Anche
questo massimo dolore era riserbato a Maurilio: percuotere su quel masso
e non poterne sprigionare pur una scintilla della divina fiaccola;
cercare in quella corrotta macerie d'uomo l'anima e non trovarla; e
quello era suo padre! Provò uno spasimo così acuto che minore certo
giudicò dover essere quello della morte; strinse le mani con atto
convulso, torcendosi le dita da rompersele, e levò verso il cielo gli
occhi ardenti di febbre con uno sguardo disperato che pareva un'accusa.
— Madre mia! Madre mia! Esclamò egli come un'invocazione, come un
rimprovero, come uno sfogo.
— Da bere! ripetè l'ebbro, facendo un movimento per cui ebbe a destarsi.
Maurilio voleva parlare ancora; ma erano tornati nella cella e stavano
sulla soglia i fratelli della _misericordia_, il sacerdote ed un uomo
dalla faccia pallida e mesta che teneva in mano una corda a nodo
scorsoio.
Maurilio sentì agghiacciarsi il sangue. Il condannato vide que' nuovi
personaggi e si riscosse; fermò la sua attenzione su quell'uomo pallido,
dalla faccia mesta, che teneva la corda in mano, e conobbe chi fosse ed
a quale scopo venuto, perchè lo saettò di uno sguardo che pareva quello
d'un infelice che tutto è invaso dal veleno della rabbia canina, e si
drizzò di scatto, come per fuggire, o per opporre resistenza al fero
atto che veniva a compiere presso di lui quel ministro della umana
giustizia.
Il primo di quegli uomini che giungesse accosto al condannato fu il
sacerdote.
— Coraggio! gli disse. Il momento fatale si appressa. Nulla più di bene
o d'aiuto avete da sperare nella terra: rivolgetevi a Quel di lassù che
accoglie ogni sincero pentimento, che perdona a qualunque peccatore a
Lui di cuore si raccomandi.
_Stracciaferro_ guardò il prete che gli parlava, mandò un grugnito
soffocato, e dall'espressione di ferocia la sua faccia e il suo sguardo
passarono a quella d'una stupidità bestiale che non capisce. Il fugace
baleno d'intelligenza, che era corso nella sua mente ottusa, erasi già
dileguato, ed egli ricaduto nella tenebra. L'uomo dalla corda gli si era
accostato e dicevagli con voce sommessa e priva affatto d'ogni sonorità:
— Perdonatemi, fratello mio, se io vengo a compiere questo doloroso
uffizio presso di voi; ma il mio dovere me lo comanda.
Ed alzò le mani e le braccia per fargli passare dal capo intorno al
collo il laccio fatale.
Maurilio a quella vista mandò un gemito e fece un passo innanzi, senza
sapere pur egli che si volesse fare.
— Lasciateci: gli disse il sacerdote arrestandolo: ora non tocca più che
a me lo star presso a quell'infelice a compire il debito del mio
ministero.
Maurilio si nascose la faccia tra le palme delle mani, e fu preso da un
tremito universale. Il condannato aveva tentato levar le mani per
allontanare da sè la corda che gli si alzava sul capo; ma la _camicia di
forza_ gli aveva impedito tal mossa; allora, come affranto di colpo,
s'era lasciato ricader seduto colà dove stava dapprima, e non aveva
mostro più che una completa apatia. Suo figlio, sollevando dalle mani il
viso, lo vide colla ignominiosa corda pendente dal collo, il corpo
accasciato in uno svigorito abbandono, e vicino a lui il prete che gli
susurrava parole cui il misero non pareva udire nemmanco. Non resse a
quella vista: uscì barcollando di quella cella, e sorreggendosi alla
fredda parete umidiccia, venne lungo quei cupi corridoi in cui densa era
la tenebra entro la quale appena parevan macchie rossigne i fumosi
lucignoli di rade lanterne che stavano per ispegnersi. Aveva egli
tracannato sino alla feccia del suo calice; aveva tutta consumata la sì
gran parte dei dolori assegnati all'anima sua nella vita terrena; aveva
il cuore infranto; sentiva esser compita la sua infelice giornata:
camminava come il gladiatore antico che aveva ricevuto il colpo mortale
e andava cercarsi un angolo nella sanguinosa arena, in cui sdraiarsi e
morire.
Ad un tratto udì a pochi passi innanzi a sè un accorrer di gente, un
susurro di persone, un agitato scambiarsi di domande, di risposte e
d'interiezioni; vide un venire, un aggrupparsi, un muoversi irrequieto
di lumi. Era giunto presso la cella in cui era stato posto a passare le
ventiquattr'ore d'agonia il _medichino_. Maurilio non ebbe bisogno di
chiedere che fosse avvenuto: le parole che udiva incrociarsi nel
capannello raccoltosi sulla soglia di quella cella ebbero pure la forza
di penetrare sino alla sua mente, richiamarne l'attenzione ed
apprenderle la causa di quella emozione: il _medichino_ era caduto a un
tratto come colpito da un fulmine; la subita, misteriosa morte lo aveva
salvato dal patibolo.
Il figliuolo di _Stracciaferro_ si spinse innanzi entro la carcere che
era divenuta la camera mortuaria del suo compagno d'infanzia, e
contemplò tremando lo spettacolo che gli si offerse alla vista.
Gian-Luigi giaceva lungo e disteso per terra, le braccia larghe, le mani
mollemente ripiegate, la testa un po' tirata all'indietro e quindi la
faccia volta verso il soffitto: nei suoi lineamenti v'era una placidità,
a cui però faceva contrasto la ruga caratteristica della fronte che era
disegnata nettamente nella pallidezza d'avorio, ma che andava via via
spianandosi, come se a poco a poco scancellata dalla mano della morte.
Era forse la traccia dell'ultima lotta di quell'organismo contro la
volontà, e forse meglio, di quell'anima contro l'idea; dell'ultimo cozzo
dei pensieri, in mezzo a cui quello spirito inquieto e superbo, si era
violentemente sottratto ai dubbi della vita per fuggire l'ignominia, per
precipitarsi avidamente nel mistero della tomba, ansioso di trovarci il
motto dell'enimma.
Maurilio stette mirandolo alquanto. Ad ogni momento cresceva la calma
nelle sembianze del cadavere: e con questa calma veniva fuori agli occhi
del giovane che lo contemplava una rassomiglianza di quei lineamenti con
altri che gli erano impressi da lungo tempo nell'animo: il dolce viso
leggiadro di Virginia. S'inginocchiò presso di lui, e depose un bacio su
quella fronte che già era diventata ghiaccia.
— Addio per sempre, corpo che hai chiuso quella misera anima combattuta;
ritorna i tuoi elementi al gran serbatoio della natura, e possa fin la
memoria distrursi della tua vita. Tu spirito, che ora te ne sei sciolto,
possa arrivare nella nuova esistenza immateriale a tanto progresso da
essere poi, in altra prova terrena, oltre che un intelligente, un
onesto.
Quanto più s'avvicinava l'alba e tanto più cresceva nel _medichino_
l'agitazione ch'egli aveva dapprima dissimulata, ma cui ora non poteva
nascondere più. Se la Zoe mancasse all'assunto impegno e fosse in
qualunque modo impedita di recargli, come aveva promesso, la morte! Gli
toccherebbe percorrere le strade della città sull'infame carro,
coll'infame accompagnatura, in mezzo all'infame curiosità del volgo; gli
toccherebbe salire gl'infami scalini del patibolo e pendere dal legno
infame, ignominioso spettacolo ad una vil turba che ne prenderebbe
codardo diletto. Questo pensiero tanto lo tormentava da toglierlo quasi
di senno, sentiva sfuggirgli il dominio che aveva conservato sino allora
su sè stesso; la volontà pareva sul punto di cedere travolta dall'impeto
della passione e dell'istinto. Guardava intorno a sè con occhio
smarrito, come per cercare un mezzo di morte, poichè quello invocato e
sperato non gli giungeva; aveva già entro sè maledetta e sacrata al
demone della vendetta la cortigiana da cui si credeva ora abbandonato.
Quando udì all'orologio d'una chiesa vicina suonare le cinque ore, ogni
speranza fuggì da lui: digrignò i denti, si morse le mani, e guatò
intorno con tanta ferocia che i fratelli della _misericordia_ se ne
allontanarono impauriti. Due ore appena lo separavano dal supplizio;
anche presentandosi tuttavia la Zoe, egli temeva che non le sarebbe più
stato concesso giungere sino a lui. Ma allora appunto ch'egli si
riteneva perduto, la salvezza arrivava. Un uomo dalla faccia scialba,
con una strana espressione di stanchezza nelle sembianze, che parevano
d'infermo, si presentò, accompagnato da una donna velata, alla porta del
_confortatorio_ e disse con accento di comando:
— Lasciate penetrare questa signora presso il condannato.
Si ubbidì al sotto-ispettore delle carceri; e quella donna entrò dove
stava il moribondo. Questi udì il fruscio delle vesti e sollevò il capo;
benchè velata la riconobbe; sorse di scatto con un'esclamazione di gioia
e le mosse vivamente all'incontro.
— Sei tu, Zoe? Sei tu pur finalmente?
La cortigiana levò il velo dalla faccia.
— Sono io! rispose con voce cupa, sorda, stentata.
Ah! quanto era ella diversa dalla _Leggiera_ che vedemmo lieta e procace
nel palchetto del teatro! Come l'aveva cambiata quella notte trascorsa,
stendendo sulla sua bellezza il pallore dell'angoscia, incavandovi le
rughe della vergogna! Il _medichino_ medesimo ne fu sovraccolto.
— Che hai tu? le chiese prendendola per le mani che strinse forte fra le
sue.
— Ho comperato il diritto di venirti a recare la morte; rispose
sommessamente la Zoe: e l'ho pagato molto caro.
Gian-Luigi non domandò pure spiegazione di queste parole.
— Tu hai dunque teco la mia libertà? disse con vivace èmpito di gioia.
— Sì: rispose essa tremando tutta ed atterrando quasi impaurita gli
sguardi.
— Quale io te la chiesi?
— Sì: ripetè la donna.
— Che tu sii dunque benedetta! L'ultimo favore e l'ultima gioia mi
verranno da te..... Solleva la fronte, Zoe, e guardami bene entro gli
occhi.
Ella tremava sempre più forte e le sue pupille non potevano staccarsi
dal suolo.
— No, no: disse; non son degna di guardarti.
Ma egli, stringendo nuovamente quelle mani che teneva ancora fra le sue:
— Noi siam degni l'un dell'altra, oh va!... E tu almanco avrai amato!...
Mi vai innanzi per ciò..... Guardami, Zoe, perchè tu possa leggere ne'
miei occhi la mia riconoscenza, perchè ti possa stampare un'ultima volta
nella mente le mie sembianze. Fu una vita scellerata la mia, di cui devo
desiderare si disperda presso tutti ogni memoria; ma è una strana
passione dell'uomo che, a dispetto di tutto, lo attacca a questa
miserabile esistenza terrena. Mi è di una folle dolcezza, anche in
questi momenti, il pensiero che, morto, vivrà ancora nell'anima tua lo
sparito esser mio, mercè il ricordo. Guardami adunque!... Presso te sola
vo' riviver così; da tutti gli altri non domando che oblìo: presso te
sola!... Per quanto tempo?...
— Sempre, sempre, per tutta la vita: esclamò la Zoe che affondava i suoi
negli occhi di lui, e gli pendeva palpitante dal labbro.
Gian-Luigi sorrise mestamente.
— Non ti domando l'impossibile: riprese a dire. Finchè nuove impressioni
abbastanza forti e vaste per occupar tutto il tuo animo non me ne
avranno scacciato. Non voglio che tu faccia il menomo sforzo per
ritenere la mia immagine quando accenni a dileguarsi. Obliato dai
viventi in questo mondo, chi sa che non abbia anch'io allora
tutte dimenticate le cose terrene!... E ciò avvenisse pure
sollecitamente!..... Zoe, noi abbiamo sbagliato la vita..... Auguro
anche a te di morir presto, prima che la vecchiaia t'abbia raggiunta,
prima che anche quel piccolo carbone acceso d'amore che ti rimane
nell'anima si sia spento... Ora addio!... Bisogna che io m'apra le porte
del sepolcro... Sento un palpito in me che rivela le riluttanze della
natura; ma la mia volontà è impaziente; l'anima anela di slanciarsi
nell'incognito mare. Prendi fra le tue labbra la morte, e porgimela nel
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