La plebe, parte IV - 48

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principii ne' suoi dogmi, nel suo culto e nella sua disciplina (tutte
cose che si tengono) la religione cattolica. La sostanza fondamentale di
tutti quegli argomenti era quella medesima che abbiamo visto nelle
parole di Don Venanzio, allorchè ebbe luogo tra lui e Maurilio la
discussione religiosa che fu riferita per sommi capi; con questa
differenza però, che dalla parte del parroco di villaggio v'era maggior
bonarietà e vi si sentiva più profonda convinzione e più sincerità di
buona fede; in Padre Bonaventura erano invece maggior quantità di
arzigogoli d'argomentazione scolastica da teologia di seminario, ed
abbondosi quegli ornamenti (che nel discorso dell'umil prete mancavano
affatto) dell'eloquenza gesuitica carezzevole, untuosa e sdolcinata.
Gian-Luigi oppose con acerbo disdegno tutte le difficoltà che suole
affacciare il materialismo alle idee spiritualiste da Lucrezio in poi,
rincalzate dall'aiuto potente che gli vennero a dare le scoperte della
scienza moderna; ma il gesuita non solo condannava, sì ancora negava la
scienza, non si contentava di cercare ai progressi positivi della
medesima un'interpretazione che si potesse accordare coi principii da
lui sostenuti, ma que' progressi contestava addirittura coll'ignoranza
superba di chi nei quattro _cujus_ della sua teologia vede racchiuso
tutto lo scibile umano, e pretendeva disfare ogni argomento avversario,
scombussolare la dialettica delle deduzioni oppostegli colla
indiscutibile autorità della rivelazione. Que' due individui
rappresentavano due estremi opposti dell'umana ragione uscita dalla
strada normale della sua vera capacità; il gesuita era di quelli che la
volevan trarre all'eccesso dell'abdicazione, Gian-Luigi apparteneva allo
stuolo temerario di coloro che per troppo orgoglio della medesima, per
volerla fare troppo assoluta sovrana sono costretti a degradarla sino
alla compiuta dipendenza di lei dalla materia. Era impossibile che
s'intendessero.
— Oh sentite: disse ad un punto il giovane impazientito: mi è avviso che
voi sciupate il vostro tempo, e che a me, quel poco che mi rimane, non
me lo lasciate così piacevolmente occupare come si potrebbe. Io non
credo a nulla, nè a Dio, nè a diavolo, nè alla mia anima, nè alla
vostra, e non credo neppure al vostro zelo, nè alla vostra buona fede.
Quello che voi volete si è conseguire il vanto di aver ottenuta la
meravigliosa conversione del famoso scellerato di cui parla tutta la
città. Bene, facciamo un patto. Tutto a questo mondo è finzione; ed ogni
uomo sostiene una parte mostrandosi diverso da quello che è: io non ho
fatto altro nella mia vita che rappresentare la commedia, posso bene
terminarla acconciandomi ad un'ultima finzione in un ultimo episodio.
Gli uomini che tutti non vogliono altro che ingannare altrui, non
meritano altro che di essere ingannati. Lasciatemi tranquillo ed io farò
da convertito, e domattina mi adatterò a tutte le scioccherie che voi
vorrete. Il mondo sarà edificato, e la brava ignoranza del volgo
popolerà il paradiso d'un beato di più.
Il gesuita non rispose; pareva che pensasse ad altro; quando verso
l'uscio fu udito uno scalpiccio ed un bisbiglio; i due personaggi di
questa scena rivolsero a quella parte un'occhiata e videro due persone
che volevano entrare, ed a cui i fratelli della _misericordia_
impedivano il passo, dicendo:
— Pel momento non si può; sta col confessore.
Padre Bonaventura vide una di quelle persone vestita de' panni neri del
prete, e parlò ad alta voce, tanto da essere udito anche da chi stava
sulla porta:
— Diletto figliuolo, oh come benedico Iddio di aver data alle mie povere
parole tanta forza da avervi tocco il cuore, sgombrata la nebbia dalla
mente, e fattavi scorgere la luce sublime della nostra santa
religione!...
Gian-Luigi represse una risatina, scambiò col frate uno sguardo profondo
in cui quelle due anime si penetrarono, e disse sottovoce:
— Ad impostore, impostore e mezzo.... Il patto è dunque accettato.
— Volete ch'io dica qualche cosa al marchese di Baldissero?
— Ditegli che ho tenuto parola....
Ma in quella il condannato riconobbe quali erano le persone cui i
confratelli della _misericordia_ impedivano dall'entrare, e si slanciò
vivamente verso di essi.
— Lasciate, lasciate passare.... Madre mia! Mio buon Don Venanzio,
venite, venite.
Entrarono la vecchia contadina ed il vecchio parroco del villaggio. Il
gesuita, dritto in piedi, si trasse un poco da un canto, e rimase lì ad
osservare.
Margherita non pronunziò parola: il suo non fu che un gemito: si gettò
al collo del giovane e scoppiò in pianto dirotto, quantunque a vederne
le ciglia rosse, le occhiaie infossate, le pupille spente si sarebbe
detto che quella donna aveva già pianto tante lagrime da esaurirne la
fonte.
Il condannato la guardava e l'accarezzava con aria di profonda e tenera
compassione.
— Via, via: diss'egli poi con voce commossa: fa cuore, povera donna!...
Dovresti tu piangermi così? Dovresti tu ancora amarmi cotanto?..... No
certo. Io sono stato per te il più sconoscente dei figliuoli: mi avresti
dovuto cancellare dalla tua memoria e dal tuo cuore. Gli è dunque che tu
sei organicamente costituita per amare, come la pianta per fiorire e
l'ape per raccogliere miele.
La povera vecchia non capiva nulla, non dava retta a nulla, non faceva
che piangere e stringere a sè il giovane, come se temesse venissero
allora a strapparglielo dalle braccia, ed essa lo volesse difendere
contro tutti e contro tutto.
— Oh quanto ora mi duole, soggiunse Gian-Luigi, di non averti rimeritata
come avrei dovuto.
Don Venanzio, che aveva udito entrando le parole di frà Bonaventura ed
aveva sentito allietarsi il cuore nella credenza della conversione
religiosa del giovane, prese le ultime parole di costui come
un'espressione parziale di quel pentimento che la nuova fede
riacquistata aveva suscitato nell'anima del reo, e si confermò nella
lusinghiera opinione da lui concepita del ravvedimento di Gian-Luigi e
della sua acquiescenza alle verità della fede.
— Giovanni: disse il buon vecchio commosso; riconoscere i proprii falli
è il primo atto di chi si pente e sta per purgarne l'anima sua. Quella
medesima ingratitudine che ora confessi verso la donna che ti fu
amorosissima madre di adozione, l'hai avuta verso la Provvidenza che ti
fu larga di tanti doni.....
— E sopratutto d'una così bella sorte: soggiunse amaramente Gian-Luigi.
— Ella volle colla medesima porre al cimento l'anima tua: riprese
vivamente il parroco, a cui le parole del giovane tornarono di botto il
timore che la conversione di lui non fosse così certa come s'era
lusingato. Ma il _medichino_, che non bramava ricadere in quei discorsi,
si affrettò ad esclamare con tono d'ipocrisia che la sua abitudine di
fingere faceva naturalissimo:
— Lo so, lo so; e benedico appunto quella buona Provvidenza, che
traverso tanto succedersi di vicende mi ha menato a questo punto. La si
rallegri anco Lei, caro Don Venanzio, che ha la bontà d'interessarsi
alla salvezza della miserabile anima mia: io ho aperto gli occhi alla
luce della verità, ed ecco il benemerito che colla sua dialettica, colla
sua eloquenza veramente ispirata da lassù, ha eseguito su di me questa
operazione di cataratta morale.
Accennava ciò dicendo a Padre Bonaventura, il quale nell'angolo dove
s'era ritirato e stava ad osservare ogni cosa, prendeva una mossa tutto
modesta, avvolgendo in un'ostentata umiltà di cristiano e di frate il
merito e il vanto dell'allegata sua vittoria sull'errore. Nelle parole
del condannato c'era una finissima beffa, e nell'accento una velata
ironia, cui ben sentì lo spirito arguto del gesuita, ma di cui non
s'accorse menomamente la bonaria semplicità e la buona fede della
candida anima di Don Venanzio.
Questi si rivolse adunque verso il frate, e con vera espansione di
affetto ammirativo, quasi di riconoscenza, gli disse:
— Permetta che anch'io, il più umile dei servi del Signor nostro che è
ne' cieli, la ringrazi e la benedica per questa sua così bella e felice
opera di carità. Io veniva qui piegando sotto il grave carico che
credevo Dio mi avesse imposto: quello di condurre alla verità
quest'anima miseramente traviata, e sentendo impari al còmpito le deboli
mie forze. Ecco che pietoso Padre di lassù ha suscitato a tempo Lei per
ottenere questa difficile vittoria, ch'io avrei forse invano cercata.
Sia lodato e benedetto il Nome dell'Altissimo, e lasci ch'io nell'opera
sua, reverendo, riconosca ed adori la clemenza e l'onnipotenza divina.
Tese una mano al frate, il quale pose in essa la punta delle sue dita.
— Sì: disse poi Padre Bonaventura con maggiori le mostre della sua
ipocrita umiltà, torcendo il collo, serrando le labbra, alzando di
traverso gli occhi al soffitto: io non sono che un misero stromento di
cui piacque servirsi al Signore. Io non riconosco altro merito in me, ed
innalzo al trono del Creatore i più fervidi rendimenti di grazie.
Il _medichino_ ebbe di nuovo sulle labbra il più perfido sogghigno
mefistofelico: ma per fortuna Don Venanzio non lo vide.
— Ella ha forse già udito in confessione questo infelice? domandò il
parroco al gesuita.
— Sì: rispose quest'ultimo scambiando uno sguardo d'intelligenza col
condannato: e domani prima dell'alba tornerò per recargli il santo
viatico ed accompagnarlo fino all'ultimo passo tremendo.
A questo ricordo dell'orribile fatto che attendeva Gian-Luigi, Don
Venanzio ebbe un brivido in tutta la persona, Margherita mandò un
gemito, il condannato solo stette impassibile, ma un sospetto gli
attraversò la mente.
— Che costui sia mandato dal marchese per custodire sulle mie labbra il
suggello affinchè non ne sfugga il segreto della mia nascita? Pensò
egli, e un vivo interno dispetto diede uno speciale bagliore allo
sguardo con cui ricevette l'addio affettatamente affettuoso con cui lo
salutava il gesuita; il quale saputo ciò che lo interessava, si sentiva
ora disagiato a star lì fra l'ironia diabolica del condannato, e
l'angelica buona fede del parroco del villaggio.
— Questo taumaturgo convertitore: disse il _medichino_, senza più
dissimulare la sua malvagia beffa, quando il frate fu partito: è dunque
molto famigliare del marchese di Baldissero?
— Sì: rispose il buon prete che non capì la ragione di questa domanda:
aveva già molta attinenza con quella famiglia fin dal tempo del fu
marchese padre dell'attuale.
— Gli è perciò che questi volle affidata a lui sì nobile missione.....
Lei, Don Venanzio, è troppo buono e troppo onesto perchè l'accettasse e
fosse capace di compirla.
Il parroco allargò tanto d'occhi.
— Che missione? domandò egli: quella di convertirti?... Ah! gli è lungo
tempo che pregavo il Signore me ne rendesse degno e mi accordasse la
forza e l'abilità di sostenerla....
— No: disse bruscamente Gian-Luigi: si tratta d'una missione meno nobile
a cui la sua delicatezza avrebbe disdegnato, caro Don Venanzio; il
marchese non si fida della mia parola e mi ha mandato intorno
quell'ipocrita d'un frate a sorvegliarmi, perchè io non racconti a
nessuno il segreto dell'esser mio.
— Che di' tu mai? esclamò il parroco in una meraviglia che pareva quasi
spavento. Il marchese, sappilo, è incapace di un simile tratto, e quel
santo religioso non si assumerebbe mai una tal parte.
— Quel santo religioso! interruppe con un ghigno il condannato a cui
scappò la pazienza. Quel birbo d'un gesuita, mio caro Don Venanzio, è il
più matricolato impostore che sia stato mai sotto la cappa del cielo.
E raccontò in breve con parola vivace e risentiti colori ciò che
poc'anzi era intravvenuto fra lui e il frate.
A Don Venanzio, cui questa cosa tornava incredibile, parve di fare un
brutto sogno.
— È impossibile! andava egli esclamando, le mani levate in alto
nell'espressione dell'orrore da lui provato a siffatta rivelazione: non
può un ministro di Dio scendere sì basso, tradire così il suo dovere,
mentire nella più sacra cosa ch'egli abbia!
E poichè Gian-Luigi ebbe confermato con solenne asseveranza il suo dire,
il vecchio sacerdote, dolorosamente sbigottito, uscì a domandare:
— Ma dunque non è punto vera la tua conversione? Non è punto vero il tuo
pentimento?
— Conversione! Pentimento! disse il condannato con amarissima ironia. Mi
lasci esser sincero, Don Venanzio: è nel mio carattere, e mi è debito in
queste ore supreme il dire audacemente la verità. S'io fossi riuscito
nell'opera che avevo intrapresa — opera assai più vasta e terribile di
quanto il pubblico crede e i giudici hanno appurato; — mi sarei io
pentito? avrei avuto rammarico dei mezzi adoperati? No certo! Ho comune
con quella setta di cui veste la tonaca ed ha i pensieri ed usa gli
accorgimenti quell'ipocrita che è testè uscito di qua, ho comune coi
gesuiti, dico, il principio che qualunque sieno i mezzi, poco importa,
purchè si arrivi alla meta... Mezzi buoni e mezzi cattivi... Ma nulla è
di assoluto per l'uomo, e il male non è che un particolar modo di vedere
e di sentire secondo le epoche, l'educazione, le diverse qualità di
razza, di temperamento, d'intelligenza. Quando la maggior parte degli
uomini si accorda a dir male una cosa, ha il diritto colla forza che dà
il numero di imporre la sua credenza altrui. Sia: tutto è dominio della
forza quaggiù e finchè un'altra forza non la vince, governi il mondo
morale quell'opinione e punisca i violatori della sua ortodossia: ma il
vinto, il punito, ha pur diritto nel suo foro interiore di protestare,
di serbare la sua credenza, di pensare come vuole. Me colpisca pure la
dominante prepotenza sociale, ma la non può farmi da me rinnegare me
stesso, condannare il mio fatto, smentire la mia individualità. Io non
mi converto e non mi pento.
Don Venanzio levò al cielo le palme con mossa d'uomo inorridito.
— Oh sofismi orgogliosi dell'errore! esclamò egli. Ma sventurato che tu
sei!... Ciò che è male non ti accusa e denunzia la tua stessa coscienza?
— Che cos'è che chiamano coscienza gli uomini? Per molti — per quasi
tutti — è un'intima, inconscia viltà; è il residuo di vane credenze e
paure istillate nell'animo umano dalla presente educazione infantile e
delle quali, tanta è l'impronta, rimane pur sempre in ognuno, checchè si
faccia, un ricordo. La coscienza del cristiano è diversa da quella del
musulmano, questa da quella del buddista, e diversa da tutte è quella
del selvaggio che non ha punto, od appena se un adombramento d'idee
religiose. È dunque la nostra coscienza l'arbitro per ciascuno del bene
o del male? E se la mia coscienza mi lascia tranquillo, egli è segno
quindi che non è male quel ch'io ho fatto?
— Perchè tu l'hai pervertita dall'influsso delle inique passioni, dai
sofismi del tuo intelletto, ribelle al suo Creatore.
— E perchè le passioni non sarebbero esse una scorta verso il vero fine
dell'esser nostro?
— Lo sono, quando contenute nei limiti dal timor di Dio e dall'amor del
prossimo.... L'idea del bene non è una chimera, perchè trovasi in tutto
il genere umano, a qualunque grado di coltura sia giunto. Anche il
selvaggio che tu citavi poc'anzi, ha in fondo in fondo alle poche sue
idee una nozione confusa, incerta, ma pure essenziale, del bene e del
male. A seconda che l'uomo progredisce, quest'idea si fa più netta, più
complessa insieme e più giusta; finchè la nostra santa religione ce ne
dà la più compiuta e perfetta, perchè l'ultima espressione del vero,
perchè rivelata da Dio.
— E chi non ci crede è dannato! esclamò con diabolico sogghigno il
_medichino_.
Margherita non aveva parlato più, non s'era nemmeno mossa più sino
allora; la teneva fra le sue una mano del giovane, e cogli occhi umidi
lo stava contemplando, mentre il suo povero vecchio capo tremolava sul
suo collo magro e in giù chinato dal peso degli anni. Ella non capiva
molto le cose che dicevansi fra il parroco e il suo figliuolo
d'adozione: la sua mente era troppo oppressa perchè potesse afferrare
quelle idee, che in realtà eccedevano eziandio l'arrivo della sua
intelligenza, e l'unico pensiero immanente, incessante che la possedeva
era quello della morte incombente sul capo del suo caro. Ma a quella
esclamazione di Gian-Luigi un raggio le penetrò di botto nel cervello
abbuiato, e le fece scorgere la sostanza dei discorsi cui non aveva
capito. Si trattava della salvezza del suo Giannino, e di una salvezza
ben più importante di quella della vita, della salute eterna. L'idea che
il dilettissimo giovane avrebbe potuto essere colpito da
un'irrimediabile eternità di pene la colse allora per la prima volta, e
spaventò a dismisura la sua cieca e fervente fede di cattolica.
— No, dannato: gridò ella con indicibile sbigottimento: no, Giannino, tu
non hai da essere dannato! Non voglio saperti nel fuoco dell'inferno....
Pazienza io!... Darò piuttosto la mia anima al demonio, in cambio della
tua.... Ho già meritato la collera di Dio con un falso giuramento per
giovarti: Don Venanzio mi disse che il Signore, mercè un buon
pentimento, mi avrebbe perdonata.... Perdonerà anche te, figliuol mio: è
così buono e clemente il Signore!... Domandane al nostro parroco: dà
retta a quel che ti dice: pentiti e Dio ti accoglierà, anche te, nel suo
regno.... Pentiti, te ne prego, pentiti per amor mio, se non vuoi farmi
dannata anche me.... Io già nel paradiso non ci vo' stare, se non vieni
anche tu.... Vuoi tu farmi precipitar nell'inferno?
E stringeva le mani del giovane, e pregava oltre che colle parole, collo
sguardo, e singhiozzando, agitava più che mai nel suo tremolìo della
vecchiaia il povero capo canuto.
Il condannato le fece una carezza.
— Sta tranquilla, povera donna! Nel mondo di là, non avrai niun
dispiacere da me per questa — nè per altra cagione, te ne assicuro io. E
tu ed io, non dubitare, saremo tutti salvi ad un modo.
Poi si rivolse al prete.
— Una buona confessione adunque, l'assoluzione datami da un uomo mio
pari scancellano agli occhi di Dio ogni colpa e mi farebbe degno della
beatitudine eterna. E così quello che fu uno scellerato tutta la sua
vita — Nariccia per esempio — con dieci minuti di pentimento, quando
sente la vita sfuggirgli, e con qualche cerimonia, ricompra tutto il suo
passato, compensa tutto il male che ha fatto e va dritto a prender posto
in mezzo ai santi, mentre l'uomo che per tutta la vita fu saggio ed
onesto, anche secondo quei dettami di morale di cui la maggioranza
dell'umanità ha idea, se muore negando fede, oppur serbando un dubbio
soltanto a qualcheduna di quelle assurdità che il sacerdozio vuole
imporre alla sua ragione come dommi indiscutibili, si trova eternamente
dannato.
— Questo chi lo può assicurare? disse il parroco tanto mite d'indole e
d'anima sì generosamente pietosa che sentiva non dover metter limiti
alla clemenza di Dio. Quel di lassù vede meglio di noi lo stato
dell'anima che si presenta al suo giudizio e sa adattare ai meriti di
essa la sorte che le conviene. Infinita inoltre è la sua bontà.....
— Ah non dica: interruppe il _medichino_ uscendo da quella ironica
freddezza con cui aveva parlato sino allora, e dando al suo accento una
vivacità che toccava all'indegnazione: infinita bontà la sua, mentre è
articolo di fede la eternità delle pene! È una crudele contraddizione.
Come! Per gli errori di una vita che è un soffio, che è un nulla al
cospetto del tempo senza fine, la mia anima immortale sarà perduta
eternamente, senza più rimedio, senza possibilità nessuna di
riabilitarsi; il destino della mia immortalità sarà deciso dal breve
esperimento d'un attimo ed irrevocabilmente. Dopo un passaggio nella
volgare esistenza terrena, le anime piomberanno nell'inerzia eterna,
queste — le poche — felici sempre, quelle — le moltissime — sempre
tormentate? Un istante d'operosità senza causa in mezzo al nulla da una
parte, all'ozio infinito dall'altra. E sopra i dannati a cui si
rinnovano sempre più crudeli i dolori, Dio immutabile e compiacentesi,
autore del male. E questa è per loro la suprema bontà?
Il buon parroco, a questo punto, tacque un poco, non senza qualche
imbarazzo. Era questo un argomento che agiva di molto, non tanto sulla
capacità del suo intelletto, quanto sulla bontà del suo cuore.
— Vogliamo noi, misere, deboli, insipientissime creature che siamo,
comprendere, giudicare, misurare alle povere idee che possiamo aver noi
l'Ente supremo, infinito, assoluto, il Creatore di tutto, e le sue
qualità, e, mi perdoni l'Altissimo, i suoi doveri?
Troppo lungo e fastidioso sarebbe riferir tutte le parole che intorno a
questo argomento si scambiarono tra il prete e il perverso spirito
impenitente dell'assassino, in mezzo a' quali frappose le sue
lamentazioni anche la povera Margherita. Ma nè le ragioni e le
esortazioni del sacerdote, nè le preghiere della vecchia contadina
valsero a smuovere pur di un punto la pertinace incredulità di
Gian-Luigi, quando, verso sera, un altro personaggio entrò nella cella
che serviva di _confortatorio_ al _medichino_: Maurilio.
Era un moribondo che camminava: le sue membra tremavano, e il passo
vacillava come quello di un ebbro. Era la forza della volontà, avreste
detto anzi che era una potenza superiore, estrinseca all'individuo, che
reggeva quel corpo sfibrato, che conteneva e faceva funzionare
quell'organismo. Aveva dei movimenti automatici, ora bruschi, ora
incerti come se determinati da molle e da suste di un meccanismo
guastatosi. Recava seco nel color delle guancie, nella macilenza del
viso qualche cosa di sepolcrale, quasi avreste detto un odore di fossa;
il dito della morte era chiaramente impresso su quella fronte che pareva
diventata più ampia, su cui parevano drizzarsi più irti e stecchiti i
neri capelli. Eppure dal fondo di quelle occhiaie più infossate,
raggiava una luce d'intelligenza che era maggiore di quanta possa
brillare in occhio umano; e sulla grossolana volgarità di quelle
sembianze plebee era sparsa come una fosforescenza, quasi pareva
distesavi intorno un'aureola.
Chi lo aveva avvisato di ciò che succedeva, e che quello era l'ultimo
giorno dei condannati? Non una voce umana di certo. Tutti gli amici che
lo visitavano avevano cura grandissima di non parlargliene, credendo con
ciò aggravare e la passione dell'animo suo, e quindi il suo male; ned
egli aveva interrogato nessuno: ma ad un punto, dopo circa mezz'ora
d'uno di quei sopori in cui cadeva di quando in quando, Maurilio s'era
ridesto con una scossa e senza dire pure una parola, disceso
stentatamente dal letto, aveva cominciato a vestirsi. A chi ne lo volle
impedire e gli fece presente la sua debolezza che non lo avrebbe
lasciato reggersi in piedi, il danno maggiore cui questo sforzo avrebbe
recato alla sua salute, egli aveva risposto con una fermezza che in lui
non era molto abituale:
— Debbo far così — e lo voglio. Ho un gran dovere da compiere. Lo
spirito mio protettore mi vi spinge e mi guida e mi sorregge. Esso mi
darà la forza. Lasciatemi andare.
Nulla valse a rimuoverlo dalla sua volontà, e il marchese, che dovette
acconsentirvi ancor egli, ottenutagli quella licenza, ch'ei desiderava,
di visitare i condannati a morte, lo faceva condurre in carrozza fino
alla porta della carcere. Per primo domandò vedere _Stracciaferro_.
L'assassino, riempitosi a spavento di cibo e di bevanda, erasi
addormentato e russava fragorosamente in una impostatura, con tutte le
apparenze d'un uomo briaco morto.
Maurilio si fermò innanzi a lui a contemplarlo, ed una indicibile
amarezza gli occupò con forza maggiore di prima l'animo addolorato. Che
cosa c'era ancora d'umano, d'intelligente in quella massa di carne
abbandonata soltanto agli istinti brutali, alle leggi della materia? Che
faceva lo spirito immortale dentro quell'organismo degradato? E quello
era suo padre! La fiamma di vita che ardeva in lui s'era accesa a quel
focolare; da quel sangue era stato originato il germe ond'egli era
prodotto, era carne di quella carne il corpo che ospitava la sua
intelligenza, il suo pensiero. Se l'opera educativa di Don Venanzio non
avesse cominciato dapprima a far entrare qualche po' di luce superiore
nelle tenebre del suo cervello; se la fortuna non gli avesse messo a
disposizione i libri del signor Defasi dove il suo spirito s'era
affinato, afforzato, innalzato, avrebb'egli resistito alle infami
seduzioni del carcere in cui l'avevano fatto precipitare, alle
scellerate lusinghe di _Graffigna_, ai più scellerati consigli della
miseria? Figlio di quell'assassino, sarebbe diventato come suo padre:
ecco quello che la società avrebbe avuto di lui, se il destino alla
tutela di lei soltanto l'avesse affidato.
Uno dei fratelli della _misericordia_ che assistevano il condannato, non
sapendo quali attinenze corressero fra questo giovane e l'assassino,
attribuì a sola curiosità lo sguardo cui Maurilio fissava
sull'addormentato prigioniero, e gli disse:
— Questa è proprio una bestiaccia senza lume di ragione: non ha fatto
che mangiare a quattro ganascie, ingoiar vino e grugnire: non si è stati
capaci nessuno di fargli pronunziare due parole che avessero senso.
Maurilio volse verso colui che gli aveva parlato la sua faccia di
cadavere, e rispose mestamente:
— Egli è mio padre.
Il fratello della _misericordia_ fu tanto confuso e mortificato che non
seppe aggiunger sillaba: mandò un'esclamazione, e ritraendosi quasi
nella sua gran cappa bianca, come se tutto volesse nascondervisi al par
della lumaca nella sua conchiglia, si ridusse nell'angolo il più lontano
che potè.
Maurilio contemplò ancora un istante suo padre addormentato. Su quella
faccia ebriosa, color del mattone troppo cotto, non un'espressione, non
un movimento che accennasse soltanto ad una morale sensibilità
qualunque: i lineamenti fattisi vieppiù grossolani, che parevan gonfi,
che si sarebbero potuti dire turgidi di vino, avevano una placidità
stupida da animale bovino che sta ruminando: un respiro grave e
romoroso, ma tranquillo e regolare, dinotava in quel quasi mostruoso
ammasso di carne una straordinaria potenza di vita organica, materiale.
Il nostro giovane guardava quella faccia, ascoltava quel respiro con
cuore palpitante, con una ansia angosciosa: ardeva dal desiderio, e
raccapricciava per paura d'interrogare quella sfinge imbestialita e di
sentirla rispondere; di cercare in mezzo a quella corruzione, a
quell'orrore, a quell'ignobile lezzo l'anima d'un padre. Allungò la mano
per iscuoterlo ad una spalla, ma se ne trattenne.
— Perchè svegliarlo? si disse. Egli ora è tranquillo e non ha un
pensiero che lo crucci: gode già tutti i benefizi della morte senza i
dolori dell'agonia. Ch'io aspetti che la natura medesima o la necessità
lo richiami al sentimento della sua condizione.
Abbandonò quella cella e domandò di essere introdotto presso Gian-Luigi.


CAPITOLO XXXII.

Il _medichino_ s'era trovato a fronte all'ipocrisia gesuitica, colla
fede sincera ma cieca e condannante la ragione; ora si trovava innanzi
una credenza che si appoggiava del pari sopra le aspirazioni più nobili
dell'anima umana e sopra le deduzioni del ragionamento, sostenuta dai
misteriosi impulsi della natura e dalle verità scoperte dalla scienza
moderna. Il grande intelletto di Maurilio, tutto questo aveva raccolto
in una sintesi potente, e creatone l'edificio monumentale d'una
grandiosa percezione dell'universo. Mai l'ingegno del figliuolo della
plebe non era stato così eccitato nella forza della sua comprensione:
mai la parola non aveva nel suo linguaggio così giusto e così vivamente
tradotto il suo pensiero. Senza indugio, senza preamboli egli aveva
affrontato il ponderoso argomento.
— Tu, non è guari, disse al condannato, sei venuto da me, per iniziarmi
a certi tuoi concetti affine di conquistare insieme questo povero mondo
terreno: io vengo da te in questi supremi istanti, per farti brillare
quella luce dell'intelletto onde tu puoi conquistare il mondo dell'idea,
del vero e dell'eterno.
Svolse senz'altro quelle sue teorie di cosmogonia del mondo invisibile,
compagno ed anima del mondo materiale, quell'indefinito e forse infinito
progresso dalla materia alla sensazione, dalla sensazione alla
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