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La plebe, parte IV - 46
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La cortigiana lo guardò con un superbo disdegno.
— Voi volete per un picciol merito un troppo ghiotto compenso.
Ad un tratto cambiò espressione di fisonomia e d'accento, prese
vivamente le mani di Barnaba, le strinse forte, ed accostando a quella
di lui la sua faccia illuminata dal più vivo riflesso d'una fiamma che
parea quella dell'amor sensuale, le sue pupille brillanti d'una luce
diabolicamente affascinante, gli susurrò con tono di violenta passione:
— Salvatemelo..... fatelo fuggire..... ed io vi darò tutte le voluttà
del paradiso... e dell'inferno...
Barnaba chiuse gli occhi per sottrarsi all'ardenza di quella vampa
seduttrice; tutto l'esser suo fu riscosso fino nell'intimo; le guancie
gl'impallidirono per la soverchia emozione. Liberò quasi con isgomento
le sue mani da quelle di lei, e se ne allontanò palpitante senza avere
per un poco fiato e forza a rispondere. Ella accennò voler muovere un
altro assalto e rinnovare la sua tentazione; ed allora egli con un gesto
le comandò si ristesse e con voce commossa, senza guardare verso la
donna, così parlò:
— Codesto è inutile mi domandiate... Non posso acconsentirvi..... e non
voglio..... E voi sarete mia pur nullameno.
Zoe fece un risoluto segno di diniego: ed egli con forza:
— Sì, sarete mia, ripetè, se pur non volete vedere salire sul patibolo
infame l'uomo che amate, se pur volete mantenere il solenne giuramento
che a lui avete fatto qui stesso testè.
Quell'uomo in dire queste parole s'era tutto trasmutato: l'incertezza,
quell'esitazione che pareva una timidità, quella specie di contegnoso
riserbo che aveva avuto sino allora, erano affatto spariti; la maschera
di umiltà, di sommessione e di apatia che soleva tenere sul volto eragli
caduta, e nei lineamenti, che direi commossi e frementi, appariva pur
finalmente la violenza della passione tanto tempo contenuta e soffocata.
La _Leggera_ fu sovraccolta, quasi sbigottita da questo cambiamento, da
questa rivelazione d'un uomo nuovo in colui, d'un uomo, quale ella non
aveva ancora mai sospettato sotto quelle fredde apparenze.
— Qual giuramento? balbettò ella, quasi non sapendo che dirsi nella sua
attonitaggine.
— Avete giurato di recargli la morte per sottrarlo alle mani del boia...
E s'io voglio che queste mani infami si prendano la vita di
quell'avvenente che voi amate, nulla lo potrà sottrarre a tal
destino..... Che voi possiate penetrare ancora presso di lui dipende in
tutto e per tutto da me.
— Voi ci avete spiati! esclamò la donna, che si sentiva dominare da
quella nuova forza che le si rivelava.
Barnaba contrasse la faccia turbata in un amarissimo sogghigno.
— Sì: rispose crudamente: è il mio mestiere..... E voi gli è da anni che
seguita cautamente il mio spionaggio... Dacchè, tornato in paese, mi
avvenne di vedervi... bella, più bella e desiderabile che mai...
brillante, famosa, corteggiata da tutti, comperata dai più ricchi.....
— Signore!
— Oh quante volte volli presentarmi a voi, e mai non n'ebbi ardimento:
quante volte volli venirvi a dire come vi amassi e vi odiassi, quanto vi
desiderassi e vi disprezzassi, e nol feci, sapendo mi avreste fatto
scacciare come un miserabile... Allora sognai meco stesso di far
giungere un momento, in cui voi avreste avuto bisogno di me, avreste
dovuto supplicarmi, dipendere dal mio volere.... E questo momento è
venuto.
Zoe guardava quell'uomo con uno stupore che toccava alla paura.
— Ma chi siete voi? domandò. Che cosa vi ha di comune fra noi? Che
pretendete da me?
— Chi son io? esclamò l'uomo. Guardatemi bene!
Diede un colpo al coprilume e lo fece cadere per terra: tutta la luce
della lampada percosse la faccia tormentata di quell'individuo, a cui
sarebbe stato impossibile assegnare un'età precisa.
— Mi riconoscete? domandò egli, avanzando il suo volto verso di lei.
— No: rispose la cortigiana, che lo guardava con occhi sbarrati e con un
segreto turbamento che non sapeva spiegare a se stessa.
Barnaba sorrise amaramente.
— È giusto... Che cos'è un uomo che per voi ha commesso un delitto, che
ha affrontato la forca per voi, che si è condannato ad un'intera vita
d'abiezione per voi?... Egli non merita pure un posticino di memoria
nella vostra anima di donna.... Non è vero, Martuccia?
All'udire questo suo antico nome, da lei medesima quasi obliato, fu un
vero spavento che assalse la cortigiana, come se vedesse innanzi a sè
sorgere uno spettro: ed era in vero lo spettro del suo lontano passato
che le compariva in quell'enimma di uomo.
— Voi conoscete quel mio nome!... Ma chi siete dunque?
— Mi domandaste che cosa vi ha di comune fra di noi? C'è un orribile
vincolo che ci lega: un delitto, il sangue d'un uomo ucciso per vendicar
voi e me...
Allora essa lo riconobbe finalmente; gettò un grido e chinandosi verso
di lui a guardarlo meglio, esclamò:
— Gran Dio! Voi siete _Pagliaccio_?
— Son quello... Sono il compagno della vostra infanzia, il compartecipe
dei vostri tormenti d'allora; il testimonio all'assassinio della vostra
innocenza.
Quella donna indurita al vizio, incallita oramai alla corruzione, al
rievocare di tal memoria si coprì colle mani la faccia.
L'antico pagliaccio continuava:
— Che cosa pretendo da voi?... Voglio della vostra beltà che fino dalla
prima giovinezza, fino dall'adolescenza ha posto nel mio sangue un
ardore insensato di desiderio... Voi non sapete, non potete pure
immaginare quanto io vi amassi fin d'allora, quanto io vi abbia sempre
amata di poi, quanto vi ami tuttora!..... Nelle taciturne meditazioni a
cui m'abbandonava durante la nostra miserabile vita nomade di
saltimbanco, quai sogni di felicità io faceva con un destino che ci
fosse comune, in cui tutte avrei impiegate le forze dell'anima mia a
procurarvi una tranquilla esistenza!... Quando lo scellerato nostro
padrone vi fece quell'empio oltraggio, l'amor mio non isminuì di forza,
ma cambiò natura: diventò men puro e forse anche più violento... Avrei
voluto dapprima che voi foste morta di dolore e di vergogna per
quell'orribile attentato... Vi avrei seguita ancor io nel mondo dei
morti, ve lo giuro..... Poi venni a desiderarvi con furore, con
frenesia.... Quante volte non pensai ricorrere ancor io alla violenza, e
poi uccidervi ed uccidere me sul vostro corpo palpitante!.... Il
pensiero dell'omicidio era entrato nell'anima mia, e mi possedeva come
uno spirito maligno: non potevo sottrarmegli.... Quel che avvenisse
spero non avrete obliato..... Quando vidi precipitare a terra morto
quell'uomo, non un rimorso, non un rincrescimento mi nacque nell'anima;
non pensai che a te! Fu allora soltanto che il tumulto della passione
che mi fremeva nell'anima ebbe un primo, solo e fuggitivo sfogo: corsi
da te, ti afferrai, ti strinsi in un amplesso fremente, ti baciai sulle
labbra. Tu non te lo rammenti più quel bacio!.... Io l'ho portato meco
come una sacra reliquia, come l'unico dolce tesoro della mia vita... Se
tu allora fosti venuta meco, com'io ti dissi, che sarebbe stato di me,
di noi? Chi lo sa? Forse ora tu non avresti l'infamia della cortigiana,
ed io quella della spia..... Ah! non ti accuso, nè mi lamento, nè
rimpiango nulla.... Se più non t'avessi rivista, sarei forse vissuto
tranquillo nella ignominia del mio mestiere..... Ma la fatalità volle
mettermi di nuovo fronte a fronte con te.
Tacque un istante, come oppresso dal peso di queste memorie: essa, la
Zoe, nella quale un'ardente curiosità, un vivo interesse s'erano desti,
afferrò il braccio di lui e dissegli con calda sollecitazione:
— Dove? dove? dove e quando mi hai tu riveduta? E nel frattempo che era
egli avvenuto di te?.... Oh dimmi tutto..... Non è vero ch'io ti abbia
obliato, povero mio Pagliaccio: tu fosti l'amico della mia infanzia, un
fratello per me, fosti l'unico amico ch'io abbia avuto nella vita....
Quante volte t'ho ricordato, sai, e desiderato rivederti, od almeno
sapere di te!
— Ebbene sì, ti dirò tutto: rispose Barnaba dopo un istante di silenzio
in cui parve occupato a domare la sua emozione e concentrare le sue
memorie. Questo mio passato l'ho tenuto chiuso finora sempre nell'anima
mia, senza lasciarne scorgere pure un segno, pure una traccia ad occhio
altrui. Ora in tua presenza, insieme colla passione, lo sento
traboccare. Ascoltami e impara a conoscermi.
«Fuggii senza saper dove.... Non recavo impresso nel mio cervello il
grido soffocato dalla morte dell'assassinato padrone, ma quello di
stupore uscito dalle tue labbra rosse quando t'afferrai ad un tratto
nell'amplesso violento: non avevo nella mente e nell'anima il ricordo
del mio delitto, ma quello del bacio ardente che ti aveva stampato sulla
bocca.... L'istinto non la ragione mi faceva nascondere la mia persona e
i miei passi ad ogni vista d'uomo. La ragione in me era compiutamente
smarrita in quel tempo: vivevo come in un delirio continuo. Mi
nascondevo il giorno, viaggiavo la notte: i miei alimenti li rubavo con
miracoli indicibili di audacia e di destrezza. Venni giù lungo il Po,
seguitandone il corso, ignaro de' luoghi, senza scopo altro che quello
di fuggire. Alla fame che mi toccava sopportare, ero già da tempo
avvezzo. Giunsi finalmente presso Ferrara, e là fui arrestato. La
polizia pontificia nelle cui mani caddi, sfinito, affamato, presso a
terminare i miei guai colla vita, mi tenne parecchi mesi in carcere
senza curarsi altro di me; un giorno il carceriere annunziò ai suoi
superiori ch'io stava per morire, e in un momento di pietosa ispirazione
di qualche direttore fui trasportato all'ospedale.
«Ad un prete che mi venne intorno per farmi pensare all'anima, dissi
tutto. Questo tale che aveva ingerenza nella Polizia vide in me una
certa tenacia di propositi, una forza di volontà, onde avrebbe potuto
vantaggiarsi il Governo papale; ne parlò al cardinale legato, e quando
la robustezza della gioventù e la mia cattiva sorte mi trassero a
risanare, venne dalla parte dell'autorità a farmi la proposta seguente:
«mi mettessi al servizio della Polizia pontificia e sarebbesi ignorato
sempre il mio passato e datomi i mezzi di vivere agiatamente; se
rifiutassi sarei cacciato di là della frontiera e consegnato, come
micidiale che ero, al Governo Sardo.»
«Non mi venne pure in mente di rifiutare: ed anzi mi parve quella una
ventura. La mia vita anteriore non era tale da darmi scrupolosità
nessuna circa i mezzi di guadagnarmi la vita. Il nostro padrone m'avea
ispirato un tal odio contro gli scellerati miserabili, che mi sorrideva
in pensiero di dar loro la caccia, parendomi che col perseguitare altri
sciagurati uguali al saltimbanco, avrei continuato ancora la mia
vendetta. Fui accanito nemico di ladri, assassini e liberali; fui
tutt'insieme spia, sgherro, agente provocatore....
Zoe fece un moto quasi di ribrezzo.
— Ah! non inorridire.... e non meravigliare se io ti dico ciò senza la
menoma vergogna.... Abbandonati a noi, coll'infanzia che avevamo
passata, che cosa si poteva diventare se non quello che siamo?... Tu una
meretrice, io.... quel che dissi.... E di me non ho vergogna, e te non
accuso. Siamo un effetto fatale delle circostanze.
«Ebbi la fortuna di rendere importanti servigi e progredii nella
intrapresa carriera. Fui chiamato a Roma a quell'uffizio centrale, e
colà sarei rimasto assai facilmente per sempre, se tu non ci fossi
venuta, se non ti avessi rivista.
«Entrai un giorno nell'anfiteatro dove avevano luogo le rappresentazioni
d'una compagnia equestre venuta dall'Alta Italia. Avevo udito parlare
come di una vera meraviglia dell'agilità, della grazia e insieme della
forza e del coraggio d'una saltatrice, fra le attrattive della quale non
era ultima e meno efficace quella d'un'originale e potente bellezza.
Tutta Roma se ne occupava: dicevano le male lingue che parecchi
monsignori facevano omaggio del loro cuore e dei loro denari a quella
figliuola d'Erodiade mandata dall'inferno per la loro perdizione. Io di
donne non mi davo punto pensiero. Era questa anzi una delle mie forze:
su di me venivano a spuntarsi le seduzioni delle Sirene, come le vere
lagrime delle oneste fanciulle. Era il tuo pensiero che mi premuniva. I
sensi e l'anima, tutto avevo assorto nella memoria dell'esser tuo;
nessuna mi aveva riprodotto, che? adombrato nemmeno dinanzi quel tipo di
cui mi rimanevi nella mente la più perfetta espressione. Entrai in
quell'anfiteatro affollatissimo di gente ansiosamente aspettante senza
il menomo stimolo di curiosità; quella sorta di spettacoli anzi mi
ripugnava; ogni qual volta trovavo di quei saltimbanchi ambulanti, de'
quali ero stato uno ancor io, me ne allontanavo con ripulsione; essi mi
ricordavano le mie sofferenze infantili e il mio delitto; se non ci
fossi stato tratto per ragion di servizio, forse nemmeno in quel circo
di Roma non ci sarei entrato mai.
«Il popolo della città eterna è ancora quello dell'antico tempo,
appassionatissimo per siffatti spettacoli. Una fitta immensa di teste
coronava a varii ordini l'arena su cui piovevano torrenti di luce, e
dove, per divertir quella plebe censita e non censita delle povere
creature si esponevano a rompersi il collo ogni momento nei più
arrischiati salti e giuochi di equilibrio sul dorso di cavalli correnti.
Ne li compensava un entusiasmo strepitante che si manifestava in
applausi clamorosissimi e senza fine. Io mi sentiva all'infuori di
quell'ardore comune che possedeva tutto quel pubblico; mi trovavo
isolato in mezzo a quella folla, ed anzi un velo di mestizia veniva a
stendersi sulla mia mente e sull'anima mia. Ad un tratto a quel
fragoroso pandemonio di voci, di grida, di battimani, di urla, successe
un profondo silenzio, un silenzio quasi religioso. Era stata condotta
nell'arena una cavalla bianca a dorso nudo, ornate le briglie di mappe e
nastri svolazzanti color di rosa.
« — È la _Leggera_, vien la _Leggera_: udii mormorare intorno a me, e
tutte le faccie si tesero verso il circo, e corse per tutta l'assemblea
un fremito di piacere, come in anticipazione di quello cui ognuno si
riprometteva.
«La tenda che pendeva alla porta per cui entravano nel circo gli artisti
fu vivamente scartata: la musica fragorosa di stromenti d'ottone intuonò
una marcia vivace, e con un salto prodigiosamente leggiero e grazioso si
slanciò e fu in mezzo all'arena una donna. Ebbi lo sbarbaglio negli
occhi, credetti sognare, mi dissi che quella forma che m'ero vista
volare dinanzi nello scintillio dei lustrini del suo abito elegante da
rappresentazione era una chimera della mia fantasia, era una visione del
cervello malato sempre fisso nel pensiero d'una persona. In quella
silfide avevo riconosciuto te, Zoe.
«Tutto il teatro era scoppiato in un tuono tale d'applausi, che
chiamarli furibondi è dir poco. Tu t'inchinavi sorridente con grazia un
po' superba, facendo cenni di ringraziamento col pome d'argento del tuo
frustino; poi d'un balzo, senz'aiuto, fosti seduta sul dorso del tuo
cavallo che s'impennava impaziente, contenuto al morso da uno scudiere,
raccogliesti nella tua piccola mano nervosa le briglie bianche, e colla
tua voce chiara, argentina, che giunse fino a me distinta ed armoniosa
in mezzo a tutto quel baccano, gridando: «hop! hop! lasciate andare» ti
slanciasti di botto al galoppo per l'arena.
«Avevo riconosciuto la tua persona, avevo riconosciuto la tua voce: eri
tu, ma come diversa, essendo pur sempre la medesima! Eri tu, ma completa
nella tua bellezza, perfetta nella potenza delle tue attrattive, cinta
di quell'aureola di splendore che conveniva all'esser tuo, superba dello
sfoggio della tua luce. Facesti due giri seduta sul dorso del cavallo,
poscia, senza che ti si vedesse pure fare il balzo, tanto fu leggero il
tuo movimento, fosti dritta in piedi sul destriero sempre al galoppo. Le
tue forme così perfettamente belle si disegnavano in modo spiccato e
preciso nella luminosa infuocata atmosfera di quell'ambiente; le tue
chiome d'oro, in cui erano frammisti fiori di color di fuoco,
svolazzavano all'aria come raggi di sole intorno al tuo capo; il seno
anelante pareva pieno di desiderii e li eccitava rabbiosamente in
altrui; le labbra rosse, i denti bianchissimi erano tutta una voluttà
nel tuo sorriso; gli occhi saettavano scintille. Ogni atto, ogni mossa
era una grazia, una bellezza artistica, un incanto. Tu affrontavi ogni
più rischioso passo e lo superavi sorridendo: parevi aver domato il
pericolo ed averlo fatto tuo schiavo. Si trepidava, si palpitava, si
gioiva acremente a vederti. Tutte quelle migliaia d'occhi maschili ti
divoravano, migliaia e migliaia d'ardori ti possedevano colla fantasia.
«Ed io?..... Tu mi turbinavi dinanzi come una visione. Il cuore mi
doleva nel petto pel battere disordinato e violento. Tutto l'esser mio
aspirava a te. Mi pareva impossibile che tu non dovessi sentire in mezzo
a tutta quella folla l'effluvio della mia volontà, il trasporto verso te
dell'anima mia... Che ti dirò di più? Uscii di là ebbro, la mente
sconvolta, pazzo..... Quante follie non immaginai!..... Presentarmi a
te, farmiti conoscere, e rapirti, tornare al mio antico mestiere ed
arruolarmi in quella compagnia ancor io... In quel troppo tumulto della
passione così vivamente ridestatasi avrei certo commesso qualche follia;
ma giusto allora per ragioni di servizio fui allontanato da Roma. Non
ebbi la temerità di disubbidire; e quando fui di ritorno la compagnia
equestre aveva abbandonata la città, e tu eri partita con essa.
«Rimasi lungo tempo sconclusionato, triste come una giornata senza sole.
Avevo bisogno di sapere almeno di te, e ti seguii accuratamente nella
tua carriera su per le novelle dei giornali. Sentii allora come una
specie di nostalgia: era il bisogno non delle aure, del sole, della
vista del mio paese, ma il bisogno di te. Sapevo che tu eri in Piemonte;
un giorno la passione fu più forte d'ogni ragionamento: fuggii e venni
di nuovo in questa terra da cui ero stato lontano tanti anni.
«La Polizia di Roma aveva già informata quella di Torino di ogni cosa
che mi riguardava. Appena qui giunto fui preso e tratto innanzi al
Commissario Tofi. Egli mi pose innanzi il medesimo dilemma che già il
prete poliziotto di Ferrara: od essere giudicato come omicida, o farmi
suo cieco stromento. Tu eri qui, mi piaceva fermar qui la mia dimora: mi
diedi al signor Tofi.
«Cercai la tua presenza, ti ammirai da lunge, ma venirti innanzi non
ardii mai. Lasciasti l'arte tua e sfavillasti nel mondo delle
cortigiane, stella errante e più splendente delle altre: non cessai di
amarti, di desiderarti, di volerti. Compresi che presentandomi a te, io
umile, povero, oscuro, disprezzato agente di polizia, mi avresti
scacciato. La fortuna mi condusse tali circostanze, e il mio
presentimento me le aveva fatte indovinare, ed io fui accorto
cooperatore alla fortuna; tali circostanze, dico, per cui tu hai da
curvarti al mio volere — e di queste circostanze intendo trarre compiuto
vantaggio in pro della mia passione.
— E sia: esclamò con una impudente franchezza la cortigiana: questa tua
passione non offende il mio amor proprio. Ma poichè questo premio che tu
cerchi l'hai desiderato cotanto e ci dài tanta importanza — e non sarò
io di certo che te ne darò torto — lascia che almanco io ci metta un
prezzo un po' meglio adeguato. Tu ora l'avresti comperato con nulla.
— Nulla: interruppe Barnaba: e il delitto che ho commesso per te? e gli
spasimi di tanti anni?...
La Zoe gli si accostò col sorriso procace del suo mestiere e lo afferrò
ad un braccio.
— Avrai compenso di tutto, gli susurrò ponendo le sue labbra presso
all'orecchio di lui, quasi da toccarlo. Ti farò lieto e felice così che
non troverai troppo pagata la tua ventura colle disgrazie del passato...
Io voglio darti più assai che non domandi. Un'ora di voluttà, una notte
di trasporti e poi abbandonarci? No. Ciò ti basterebbe a te?..... Ma se
io ti consacrassi tutta l'esistenza? Se io volessi esser tutta per te e
sempre? Non sono una venditrice di piaceri soltanto, quale tu mi credi,
sai! Ho nell'anima tesori d'amore che non ho ancora aperti a nessuno. A
nessuno, intendi! Fu il destino che volle li riserbassi per te. Credi tu
che io abbia amato alcuno a questo mondo? Eh via! Ho conosciuto troppo
gli uomini e quindi li ho disprezzati. Io non fui per loro che un
giocattolo, che uno stromento di voluttà e di vanità la più stolta, essi
non furono per me che mezzi di guadagno... Ma tu meriti ben di meglio.
Il tuo amore così vivo, conservato a dispetto di tutto; la tua costanza,
la foga della tua passione che ora ho visto traboccarti dall'anima, mi
hanno tocca. Una donna non resiste a queste prove. Tu mi hai meritata,
mi hai guadagnata e m'hai vinta... Senti: effettuiamo quei sogni che già
fin da giovinetto tu facevi sul nostro destino; partiamo noi due soli,
per andarci a nascondere lontano lontano, fuor degli occhi di tutti a
vivere beati, per amarci soltanto. Tu benedirai la sorte e questa mia
ispirazione, te ne assicuro, saprò animarti quella solitudine, e
variarti la medesimezza de' nostri diletti. Io possedo in mobili ed ori
e gemme una ricchezza; venderò tutto, avremo da vivere agiati e sicuri.
Lo sguardo, l'accento della Zoe, il contatto delle sue mani che gli
stringevano il braccio, il caldo fiato delle labbra di lei che gli
percuoteva sulle guancie spiravano nel sangue di Barnaba un febbrile
calore che gli faceva pulsare il cuore e tumultuare il cervello. Prese
la donna alle spalle, la tenne innanzi a sè, facendole piombare negli
occhi il suo sguardo più penetrativo; e con una cupa fiamma di rossore
sulla pallidezza morbosa del suo volto, le disse:
— Tu faresti ciò per me?
— Sì: rispos'ella francamente.
— Senza patti?
— Ah no.
— A qual condizione adunque?
La _Leggera_ abbassò la voce.
— Fa fuggire Luigi.
Barnaba divenne più pallido di quel che fosse prima, le sue mani si
contrassero sulle spalle della donna, come per convulsione di spasimo,
le sue pupille saettarono uno sguardo feroce. Respinse da sè la
cortigiana e con voce sorda, ma risoluta, espressione d'una volontà
irremovibile, disse seccamente:
— No.
Poi si pose a passeggiare per la stanza, le braccia incrociate, il capo
chino, sulla fronte e sul viso l'ombra d'una fiera amarezza.
Zoe stette un istante in silenzio, guardandolo attentamente. Siccome
egli in quel punto non la vedeva, la fisonomia di lei aveva deposta
quella sembianza di tenerezza che aveva ritenuta sino allora, e vi si
scorgeva invece un'impazienza, un'irritazione, quasi una rabbia. Dopo un
poco ella riprese la maschera dell'affetto, e domandò con voce la più
soave che potesse:
— Perchè?
L'uomo si fermò di presente e si riscosse come colpito inaspettatamente
da una botta. Levò la faccia e mostrò lo sguardo malvagio ed il
sogghigno d'una spietata ironia.
— Perchè? diss'egli riavvicinandosi con passo lento alla Zoe; ah! tu mi
credi dunque tanto novellino da lasciarmi ancora invischiare in queste
panie?
Mutò ad un tratto espressione di viso e d'accento, e soggiunse con
iscoppio d'odio feroce:
— Il tuo Luigi vo' che muoia infamemente sulla forca.
La _Leggera_ mandò un'esclamazione di vero spavento.
— Ti leggo nell'anima, vedi: continuava l'antico pagliaccio. Tu mi
faresti traditore al mio dovere, e poi mi pianteresti per ricongiungerti
a colui: useresti di me come di un vile strumento, che quando ha servito
si getta o s'infrange. Non mi ci lascio cogliere, disgraziata!...
Quell'uomo che tanto ti sta a cuore, sappi che è forse l'unico al mondo
ch'io odii. Ad ogni altro ti sei venduta, non l'hai amato: il vizio
aveva preso di te tutta la materia, mi figuravo che nel fondo del tuo
essere vi fosse ancora un'anima che sonnecchiasse e potesse ridestarsi
ed espandersi ad un amore completo qual era il mio: venne costui, e tu
gli desti anche l'anima. Egli ti ha posseduta tutta, ti ha corrotto
anche lo spirito. L'odio, e morrà.
Zoe volle ribellarsi a quella feroce pressione, che tentava dominarla.
— No, esclamò con forza: io lo salverò, dovessi ricorrere a qualunque
mezzo.
— Non lo salverai, perchè di mezzi non ce n'è alcuno. Il tuo Principe
non muoverà un dito.....
La cortigiana fece un gesto di minaccia, che era una promessa di
vendetta.
— Nè alcun altro — alcun altro, capisci — troverai pronto ad
aiutarti.... Avessi tu anche un milione da gettare, non riusciresti
nell'impresa, perchè son io qui a vegliare, e non è possibile nè
ingannarmi, nè farmi cambiare di proposito.
La _Leggera_ saettò Barnaba d'un'occhiata piena di collera, tanto più
feroce, quanto più impotente.
— Tu vuoi dunque ch'io ti detesti?
— Detestami, ma piegati al mio volere.
— E tu vuoi?
— Il _medichino_ salirà sul patibolo, se io non lascio penetrare presso
di lui la morte che tu hai promesso recargli.... Or bene, la notte
ultima sua, ch'egli passerà in _confortatorio_, sarà quella delle nostre
nozze; il mattino, uscendo dalle mie braccia, ti lascierò entrare, un
momento prima del carnefice, nella cella del tuo Luigi.....
Zoe respinse inorridita quell'uomo che si era piegato verso di lei per
susurrarle queste parole all'orecchia.
— Mostro! esclamò essa; e fuggì sbigottita da quella stanza.
— Pensaci! le gridò dietro Barnaba: non ci hai più che un giorno. Domani
probabilmente la domanda di grazia sarà respinta, e i condannati saranno
messi in _confortatorio_; domani sera attendo un tuo cenno.....
La donna era uscita e correva raccapricciando per gli oscuri e freddi
corridoi della carcere, e il guardiano che le doveva aprire poteva a
mala pena tenerle dietro.
Ma l'odio di Barnaba aveva calcolato giusto: nissuna possibilità di
salute era oramai pel _medichino_; invano Zoe tentò ogni via; dovette
convincersi che altro ella non poteva far più per lui che procurargli
l'invocato mezzo di sottrarsi all'infamia del supplizio. Prese tutto
l'oro che possedeva e corse da un farmacista di cui aveva da tempo
speciale conoscenza. Ebbero insieme un lungo e segreto colloquio; poi il
chimico si ridusse solo nel suo laboratorio e la donna partì; ma verso
sera questa tornò e si ridussero di nuovo a segreto abboccamento la
cortigiana e lo speziale. Quando uscì dalla bottega, la Zoe aveva la
faccia pallida, gli occhi turbati e le mani tremanti.
Il ricorso per la grazia era stato respinto: i condannati alle dieci del
mattino erano stati introdotti in _confortatorio_: la sentenza di morte
doveva essere eseguita il giorno di poi all'alba.
A sera già chiusa, Barnaba ricevette un bigliettino in cui era scritta
una sola parola: «Venite.»
Era di pugno della Zoe.
CAPITOLO XXXI.
Alle dieci del mattino adunque ciascuno dei condannati aveva visto
aprirsi la porta della sua carcere ed uditosi annunziare che la domanda
di grazia per commutazione di pena era stata respinta, e che dovevano
quindi prepararsi alla morte per la mattina ventura. Furono condotti,
come si suol dire, in _confortatorio_, ciascuno in una stanza separata,
e posti in mano ai confratelli della Compagnia della Misericordia, ai
quali i miseri dovevano essere affidati fino alla loro inumazione.
Le celle in cui furono posti i condannati erano carceri come le altre,
nelle quali presso una parete s'era drizzato una specie di altare con
sopravi un crocifisso e quattro candele accese; siccome le porte di
queste celle avevano da rimanere aperte, e la custodia dei miseri, senza
intromissione di agenti della forza pubblica, era tutta lasciata ai
fratelli della Misericordia, ed anco perchè gl'infelici non potessero
attentare alla propria vita, si era fatto vestire ai condannati la così
detta _camicia di forza_, e per una catena che si univa ad un anello
piantato nel muro, catena abbastanza lunga da permetter loro di
passeggiare su e giù della cella, furono avvinti ad una gamba.
Il venire ad annunziare ad un uomo che è pieno di vita: «tu domani
morrai,» è una tremenda novella. La natura, l'istinto si ribellano
contro questa sentenza: tutte le forze della vitalità insorgono e
s'inalberano: il vuoto orrendamente nero del sepolcro spaventa le
— Voi volete per un picciol merito un troppo ghiotto compenso.
Ad un tratto cambiò espressione di fisonomia e d'accento, prese
vivamente le mani di Barnaba, le strinse forte, ed accostando a quella
di lui la sua faccia illuminata dal più vivo riflesso d'una fiamma che
parea quella dell'amor sensuale, le sue pupille brillanti d'una luce
diabolicamente affascinante, gli susurrò con tono di violenta passione:
— Salvatemelo..... fatelo fuggire..... ed io vi darò tutte le voluttà
del paradiso... e dell'inferno...
Barnaba chiuse gli occhi per sottrarsi all'ardenza di quella vampa
seduttrice; tutto l'esser suo fu riscosso fino nell'intimo; le guancie
gl'impallidirono per la soverchia emozione. Liberò quasi con isgomento
le sue mani da quelle di lei, e se ne allontanò palpitante senza avere
per un poco fiato e forza a rispondere. Ella accennò voler muovere un
altro assalto e rinnovare la sua tentazione; ed allora egli con un gesto
le comandò si ristesse e con voce commossa, senza guardare verso la
donna, così parlò:
— Codesto è inutile mi domandiate... Non posso acconsentirvi..... e non
voglio..... E voi sarete mia pur nullameno.
Zoe fece un risoluto segno di diniego: ed egli con forza:
— Sì, sarete mia, ripetè, se pur non volete vedere salire sul patibolo
infame l'uomo che amate, se pur volete mantenere il solenne giuramento
che a lui avete fatto qui stesso testè.
Quell'uomo in dire queste parole s'era tutto trasmutato: l'incertezza,
quell'esitazione che pareva una timidità, quella specie di contegnoso
riserbo che aveva avuto sino allora, erano affatto spariti; la maschera
di umiltà, di sommessione e di apatia che soleva tenere sul volto eragli
caduta, e nei lineamenti, che direi commossi e frementi, appariva pur
finalmente la violenza della passione tanto tempo contenuta e soffocata.
La _Leggera_ fu sovraccolta, quasi sbigottita da questo cambiamento, da
questa rivelazione d'un uomo nuovo in colui, d'un uomo, quale ella non
aveva ancora mai sospettato sotto quelle fredde apparenze.
— Qual giuramento? balbettò ella, quasi non sapendo che dirsi nella sua
attonitaggine.
— Avete giurato di recargli la morte per sottrarlo alle mani del boia...
E s'io voglio che queste mani infami si prendano la vita di
quell'avvenente che voi amate, nulla lo potrà sottrarre a tal
destino..... Che voi possiate penetrare ancora presso di lui dipende in
tutto e per tutto da me.
— Voi ci avete spiati! esclamò la donna, che si sentiva dominare da
quella nuova forza che le si rivelava.
Barnaba contrasse la faccia turbata in un amarissimo sogghigno.
— Sì: rispose crudamente: è il mio mestiere..... E voi gli è da anni che
seguita cautamente il mio spionaggio... Dacchè, tornato in paese, mi
avvenne di vedervi... bella, più bella e desiderabile che mai...
brillante, famosa, corteggiata da tutti, comperata dai più ricchi.....
— Signore!
— Oh quante volte volli presentarmi a voi, e mai non n'ebbi ardimento:
quante volte volli venirvi a dire come vi amassi e vi odiassi, quanto vi
desiderassi e vi disprezzassi, e nol feci, sapendo mi avreste fatto
scacciare come un miserabile... Allora sognai meco stesso di far
giungere un momento, in cui voi avreste avuto bisogno di me, avreste
dovuto supplicarmi, dipendere dal mio volere.... E questo momento è
venuto.
Zoe guardava quell'uomo con uno stupore che toccava alla paura.
— Ma chi siete voi? domandò. Che cosa vi ha di comune fra noi? Che
pretendete da me?
— Chi son io? esclamò l'uomo. Guardatemi bene!
Diede un colpo al coprilume e lo fece cadere per terra: tutta la luce
della lampada percosse la faccia tormentata di quell'individuo, a cui
sarebbe stato impossibile assegnare un'età precisa.
— Mi riconoscete? domandò egli, avanzando il suo volto verso di lei.
— No: rispose la cortigiana, che lo guardava con occhi sbarrati e con un
segreto turbamento che non sapeva spiegare a se stessa.
Barnaba sorrise amaramente.
— È giusto... Che cos'è un uomo che per voi ha commesso un delitto, che
ha affrontato la forca per voi, che si è condannato ad un'intera vita
d'abiezione per voi?... Egli non merita pure un posticino di memoria
nella vostra anima di donna.... Non è vero, Martuccia?
All'udire questo suo antico nome, da lei medesima quasi obliato, fu un
vero spavento che assalse la cortigiana, come se vedesse innanzi a sè
sorgere uno spettro: ed era in vero lo spettro del suo lontano passato
che le compariva in quell'enimma di uomo.
— Voi conoscete quel mio nome!... Ma chi siete dunque?
— Mi domandaste che cosa vi ha di comune fra di noi? C'è un orribile
vincolo che ci lega: un delitto, il sangue d'un uomo ucciso per vendicar
voi e me...
Allora essa lo riconobbe finalmente; gettò un grido e chinandosi verso
di lui a guardarlo meglio, esclamò:
— Gran Dio! Voi siete _Pagliaccio_?
— Son quello... Sono il compagno della vostra infanzia, il compartecipe
dei vostri tormenti d'allora; il testimonio all'assassinio della vostra
innocenza.
Quella donna indurita al vizio, incallita oramai alla corruzione, al
rievocare di tal memoria si coprì colle mani la faccia.
L'antico pagliaccio continuava:
— Che cosa pretendo da voi?... Voglio della vostra beltà che fino dalla
prima giovinezza, fino dall'adolescenza ha posto nel mio sangue un
ardore insensato di desiderio... Voi non sapete, non potete pure
immaginare quanto io vi amassi fin d'allora, quanto io vi abbia sempre
amata di poi, quanto vi ami tuttora!..... Nelle taciturne meditazioni a
cui m'abbandonava durante la nostra miserabile vita nomade di
saltimbanco, quai sogni di felicità io faceva con un destino che ci
fosse comune, in cui tutte avrei impiegate le forze dell'anima mia a
procurarvi una tranquilla esistenza!... Quando lo scellerato nostro
padrone vi fece quell'empio oltraggio, l'amor mio non isminuì di forza,
ma cambiò natura: diventò men puro e forse anche più violento... Avrei
voluto dapprima che voi foste morta di dolore e di vergogna per
quell'orribile attentato... Vi avrei seguita ancor io nel mondo dei
morti, ve lo giuro..... Poi venni a desiderarvi con furore, con
frenesia.... Quante volte non pensai ricorrere ancor io alla violenza, e
poi uccidervi ed uccidere me sul vostro corpo palpitante!.... Il
pensiero dell'omicidio era entrato nell'anima mia, e mi possedeva come
uno spirito maligno: non potevo sottrarmegli.... Quel che avvenisse
spero non avrete obliato..... Quando vidi precipitare a terra morto
quell'uomo, non un rimorso, non un rincrescimento mi nacque nell'anima;
non pensai che a te! Fu allora soltanto che il tumulto della passione
che mi fremeva nell'anima ebbe un primo, solo e fuggitivo sfogo: corsi
da te, ti afferrai, ti strinsi in un amplesso fremente, ti baciai sulle
labbra. Tu non te lo rammenti più quel bacio!.... Io l'ho portato meco
come una sacra reliquia, come l'unico dolce tesoro della mia vita... Se
tu allora fosti venuta meco, com'io ti dissi, che sarebbe stato di me,
di noi? Chi lo sa? Forse ora tu non avresti l'infamia della cortigiana,
ed io quella della spia..... Ah! non ti accuso, nè mi lamento, nè
rimpiango nulla.... Se più non t'avessi rivista, sarei forse vissuto
tranquillo nella ignominia del mio mestiere..... Ma la fatalità volle
mettermi di nuovo fronte a fronte con te.
Tacque un istante, come oppresso dal peso di queste memorie: essa, la
Zoe, nella quale un'ardente curiosità, un vivo interesse s'erano desti,
afferrò il braccio di lui e dissegli con calda sollecitazione:
— Dove? dove? dove e quando mi hai tu riveduta? E nel frattempo che era
egli avvenuto di te?.... Oh dimmi tutto..... Non è vero ch'io ti abbia
obliato, povero mio Pagliaccio: tu fosti l'amico della mia infanzia, un
fratello per me, fosti l'unico amico ch'io abbia avuto nella vita....
Quante volte t'ho ricordato, sai, e desiderato rivederti, od almeno
sapere di te!
— Ebbene sì, ti dirò tutto: rispose Barnaba dopo un istante di silenzio
in cui parve occupato a domare la sua emozione e concentrare le sue
memorie. Questo mio passato l'ho tenuto chiuso finora sempre nell'anima
mia, senza lasciarne scorgere pure un segno, pure una traccia ad occhio
altrui. Ora in tua presenza, insieme colla passione, lo sento
traboccare. Ascoltami e impara a conoscermi.
«Fuggii senza saper dove.... Non recavo impresso nel mio cervello il
grido soffocato dalla morte dell'assassinato padrone, ma quello di
stupore uscito dalle tue labbra rosse quando t'afferrai ad un tratto
nell'amplesso violento: non avevo nella mente e nell'anima il ricordo
del mio delitto, ma quello del bacio ardente che ti aveva stampato sulla
bocca.... L'istinto non la ragione mi faceva nascondere la mia persona e
i miei passi ad ogni vista d'uomo. La ragione in me era compiutamente
smarrita in quel tempo: vivevo come in un delirio continuo. Mi
nascondevo il giorno, viaggiavo la notte: i miei alimenti li rubavo con
miracoli indicibili di audacia e di destrezza. Venni giù lungo il Po,
seguitandone il corso, ignaro de' luoghi, senza scopo altro che quello
di fuggire. Alla fame che mi toccava sopportare, ero già da tempo
avvezzo. Giunsi finalmente presso Ferrara, e là fui arrestato. La
polizia pontificia nelle cui mani caddi, sfinito, affamato, presso a
terminare i miei guai colla vita, mi tenne parecchi mesi in carcere
senza curarsi altro di me; un giorno il carceriere annunziò ai suoi
superiori ch'io stava per morire, e in un momento di pietosa ispirazione
di qualche direttore fui trasportato all'ospedale.
«Ad un prete che mi venne intorno per farmi pensare all'anima, dissi
tutto. Questo tale che aveva ingerenza nella Polizia vide in me una
certa tenacia di propositi, una forza di volontà, onde avrebbe potuto
vantaggiarsi il Governo papale; ne parlò al cardinale legato, e quando
la robustezza della gioventù e la mia cattiva sorte mi trassero a
risanare, venne dalla parte dell'autorità a farmi la proposta seguente:
«mi mettessi al servizio della Polizia pontificia e sarebbesi ignorato
sempre il mio passato e datomi i mezzi di vivere agiatamente; se
rifiutassi sarei cacciato di là della frontiera e consegnato, come
micidiale che ero, al Governo Sardo.»
«Non mi venne pure in mente di rifiutare: ed anzi mi parve quella una
ventura. La mia vita anteriore non era tale da darmi scrupolosità
nessuna circa i mezzi di guadagnarmi la vita. Il nostro padrone m'avea
ispirato un tal odio contro gli scellerati miserabili, che mi sorrideva
in pensiero di dar loro la caccia, parendomi che col perseguitare altri
sciagurati uguali al saltimbanco, avrei continuato ancora la mia
vendetta. Fui accanito nemico di ladri, assassini e liberali; fui
tutt'insieme spia, sgherro, agente provocatore....
Zoe fece un moto quasi di ribrezzo.
— Ah! non inorridire.... e non meravigliare se io ti dico ciò senza la
menoma vergogna.... Abbandonati a noi, coll'infanzia che avevamo
passata, che cosa si poteva diventare se non quello che siamo?... Tu una
meretrice, io.... quel che dissi.... E di me non ho vergogna, e te non
accuso. Siamo un effetto fatale delle circostanze.
«Ebbi la fortuna di rendere importanti servigi e progredii nella
intrapresa carriera. Fui chiamato a Roma a quell'uffizio centrale, e
colà sarei rimasto assai facilmente per sempre, se tu non ci fossi
venuta, se non ti avessi rivista.
«Entrai un giorno nell'anfiteatro dove avevano luogo le rappresentazioni
d'una compagnia equestre venuta dall'Alta Italia. Avevo udito parlare
come di una vera meraviglia dell'agilità, della grazia e insieme della
forza e del coraggio d'una saltatrice, fra le attrattive della quale non
era ultima e meno efficace quella d'un'originale e potente bellezza.
Tutta Roma se ne occupava: dicevano le male lingue che parecchi
monsignori facevano omaggio del loro cuore e dei loro denari a quella
figliuola d'Erodiade mandata dall'inferno per la loro perdizione. Io di
donne non mi davo punto pensiero. Era questa anzi una delle mie forze:
su di me venivano a spuntarsi le seduzioni delle Sirene, come le vere
lagrime delle oneste fanciulle. Era il tuo pensiero che mi premuniva. I
sensi e l'anima, tutto avevo assorto nella memoria dell'esser tuo;
nessuna mi aveva riprodotto, che? adombrato nemmeno dinanzi quel tipo di
cui mi rimanevi nella mente la più perfetta espressione. Entrai in
quell'anfiteatro affollatissimo di gente ansiosamente aspettante senza
il menomo stimolo di curiosità; quella sorta di spettacoli anzi mi
ripugnava; ogni qual volta trovavo di quei saltimbanchi ambulanti, de'
quali ero stato uno ancor io, me ne allontanavo con ripulsione; essi mi
ricordavano le mie sofferenze infantili e il mio delitto; se non ci
fossi stato tratto per ragion di servizio, forse nemmeno in quel circo
di Roma non ci sarei entrato mai.
«Il popolo della città eterna è ancora quello dell'antico tempo,
appassionatissimo per siffatti spettacoli. Una fitta immensa di teste
coronava a varii ordini l'arena su cui piovevano torrenti di luce, e
dove, per divertir quella plebe censita e non censita delle povere
creature si esponevano a rompersi il collo ogni momento nei più
arrischiati salti e giuochi di equilibrio sul dorso di cavalli correnti.
Ne li compensava un entusiasmo strepitante che si manifestava in
applausi clamorosissimi e senza fine. Io mi sentiva all'infuori di
quell'ardore comune che possedeva tutto quel pubblico; mi trovavo
isolato in mezzo a quella folla, ed anzi un velo di mestizia veniva a
stendersi sulla mia mente e sull'anima mia. Ad un tratto a quel
fragoroso pandemonio di voci, di grida, di battimani, di urla, successe
un profondo silenzio, un silenzio quasi religioso. Era stata condotta
nell'arena una cavalla bianca a dorso nudo, ornate le briglie di mappe e
nastri svolazzanti color di rosa.
« — È la _Leggera_, vien la _Leggera_: udii mormorare intorno a me, e
tutte le faccie si tesero verso il circo, e corse per tutta l'assemblea
un fremito di piacere, come in anticipazione di quello cui ognuno si
riprometteva.
«La tenda che pendeva alla porta per cui entravano nel circo gli artisti
fu vivamente scartata: la musica fragorosa di stromenti d'ottone intuonò
una marcia vivace, e con un salto prodigiosamente leggiero e grazioso si
slanciò e fu in mezzo all'arena una donna. Ebbi lo sbarbaglio negli
occhi, credetti sognare, mi dissi che quella forma che m'ero vista
volare dinanzi nello scintillio dei lustrini del suo abito elegante da
rappresentazione era una chimera della mia fantasia, era una visione del
cervello malato sempre fisso nel pensiero d'una persona. In quella
silfide avevo riconosciuto te, Zoe.
«Tutto il teatro era scoppiato in un tuono tale d'applausi, che
chiamarli furibondi è dir poco. Tu t'inchinavi sorridente con grazia un
po' superba, facendo cenni di ringraziamento col pome d'argento del tuo
frustino; poi d'un balzo, senz'aiuto, fosti seduta sul dorso del tuo
cavallo che s'impennava impaziente, contenuto al morso da uno scudiere,
raccogliesti nella tua piccola mano nervosa le briglie bianche, e colla
tua voce chiara, argentina, che giunse fino a me distinta ed armoniosa
in mezzo a tutto quel baccano, gridando: «hop! hop! lasciate andare» ti
slanciasti di botto al galoppo per l'arena.
«Avevo riconosciuto la tua persona, avevo riconosciuto la tua voce: eri
tu, ma come diversa, essendo pur sempre la medesima! Eri tu, ma completa
nella tua bellezza, perfetta nella potenza delle tue attrattive, cinta
di quell'aureola di splendore che conveniva all'esser tuo, superba dello
sfoggio della tua luce. Facesti due giri seduta sul dorso del cavallo,
poscia, senza che ti si vedesse pure fare il balzo, tanto fu leggero il
tuo movimento, fosti dritta in piedi sul destriero sempre al galoppo. Le
tue forme così perfettamente belle si disegnavano in modo spiccato e
preciso nella luminosa infuocata atmosfera di quell'ambiente; le tue
chiome d'oro, in cui erano frammisti fiori di color di fuoco,
svolazzavano all'aria come raggi di sole intorno al tuo capo; il seno
anelante pareva pieno di desiderii e li eccitava rabbiosamente in
altrui; le labbra rosse, i denti bianchissimi erano tutta una voluttà
nel tuo sorriso; gli occhi saettavano scintille. Ogni atto, ogni mossa
era una grazia, una bellezza artistica, un incanto. Tu affrontavi ogni
più rischioso passo e lo superavi sorridendo: parevi aver domato il
pericolo ed averlo fatto tuo schiavo. Si trepidava, si palpitava, si
gioiva acremente a vederti. Tutte quelle migliaia d'occhi maschili ti
divoravano, migliaia e migliaia d'ardori ti possedevano colla fantasia.
«Ed io?..... Tu mi turbinavi dinanzi come una visione. Il cuore mi
doleva nel petto pel battere disordinato e violento. Tutto l'esser mio
aspirava a te. Mi pareva impossibile che tu non dovessi sentire in mezzo
a tutta quella folla l'effluvio della mia volontà, il trasporto verso te
dell'anima mia... Che ti dirò di più? Uscii di là ebbro, la mente
sconvolta, pazzo..... Quante follie non immaginai!..... Presentarmi a
te, farmiti conoscere, e rapirti, tornare al mio antico mestiere ed
arruolarmi in quella compagnia ancor io... In quel troppo tumulto della
passione così vivamente ridestatasi avrei certo commesso qualche follia;
ma giusto allora per ragioni di servizio fui allontanato da Roma. Non
ebbi la temerità di disubbidire; e quando fui di ritorno la compagnia
equestre aveva abbandonata la città, e tu eri partita con essa.
«Rimasi lungo tempo sconclusionato, triste come una giornata senza sole.
Avevo bisogno di sapere almeno di te, e ti seguii accuratamente nella
tua carriera su per le novelle dei giornali. Sentii allora come una
specie di nostalgia: era il bisogno non delle aure, del sole, della
vista del mio paese, ma il bisogno di te. Sapevo che tu eri in Piemonte;
un giorno la passione fu più forte d'ogni ragionamento: fuggii e venni
di nuovo in questa terra da cui ero stato lontano tanti anni.
«La Polizia di Roma aveva già informata quella di Torino di ogni cosa
che mi riguardava. Appena qui giunto fui preso e tratto innanzi al
Commissario Tofi. Egli mi pose innanzi il medesimo dilemma che già il
prete poliziotto di Ferrara: od essere giudicato come omicida, o farmi
suo cieco stromento. Tu eri qui, mi piaceva fermar qui la mia dimora: mi
diedi al signor Tofi.
«Cercai la tua presenza, ti ammirai da lunge, ma venirti innanzi non
ardii mai. Lasciasti l'arte tua e sfavillasti nel mondo delle
cortigiane, stella errante e più splendente delle altre: non cessai di
amarti, di desiderarti, di volerti. Compresi che presentandomi a te, io
umile, povero, oscuro, disprezzato agente di polizia, mi avresti
scacciato. La fortuna mi condusse tali circostanze, e il mio
presentimento me le aveva fatte indovinare, ed io fui accorto
cooperatore alla fortuna; tali circostanze, dico, per cui tu hai da
curvarti al mio volere — e di queste circostanze intendo trarre compiuto
vantaggio in pro della mia passione.
— E sia: esclamò con una impudente franchezza la cortigiana: questa tua
passione non offende il mio amor proprio. Ma poichè questo premio che tu
cerchi l'hai desiderato cotanto e ci dài tanta importanza — e non sarò
io di certo che te ne darò torto — lascia che almanco io ci metta un
prezzo un po' meglio adeguato. Tu ora l'avresti comperato con nulla.
— Nulla: interruppe Barnaba: e il delitto che ho commesso per te? e gli
spasimi di tanti anni?...
La Zoe gli si accostò col sorriso procace del suo mestiere e lo afferrò
ad un braccio.
— Avrai compenso di tutto, gli susurrò ponendo le sue labbra presso
all'orecchio di lui, quasi da toccarlo. Ti farò lieto e felice così che
non troverai troppo pagata la tua ventura colle disgrazie del passato...
Io voglio darti più assai che non domandi. Un'ora di voluttà, una notte
di trasporti e poi abbandonarci? No. Ciò ti basterebbe a te?..... Ma se
io ti consacrassi tutta l'esistenza? Se io volessi esser tutta per te e
sempre? Non sono una venditrice di piaceri soltanto, quale tu mi credi,
sai! Ho nell'anima tesori d'amore che non ho ancora aperti a nessuno. A
nessuno, intendi! Fu il destino che volle li riserbassi per te. Credi tu
che io abbia amato alcuno a questo mondo? Eh via! Ho conosciuto troppo
gli uomini e quindi li ho disprezzati. Io non fui per loro che un
giocattolo, che uno stromento di voluttà e di vanità la più stolta, essi
non furono per me che mezzi di guadagno... Ma tu meriti ben di meglio.
Il tuo amore così vivo, conservato a dispetto di tutto; la tua costanza,
la foga della tua passione che ora ho visto traboccarti dall'anima, mi
hanno tocca. Una donna non resiste a queste prove. Tu mi hai meritata,
mi hai guadagnata e m'hai vinta... Senti: effettuiamo quei sogni che già
fin da giovinetto tu facevi sul nostro destino; partiamo noi due soli,
per andarci a nascondere lontano lontano, fuor degli occhi di tutti a
vivere beati, per amarci soltanto. Tu benedirai la sorte e questa mia
ispirazione, te ne assicuro, saprò animarti quella solitudine, e
variarti la medesimezza de' nostri diletti. Io possedo in mobili ed ori
e gemme una ricchezza; venderò tutto, avremo da vivere agiati e sicuri.
Lo sguardo, l'accento della Zoe, il contatto delle sue mani che gli
stringevano il braccio, il caldo fiato delle labbra di lei che gli
percuoteva sulle guancie spiravano nel sangue di Barnaba un febbrile
calore che gli faceva pulsare il cuore e tumultuare il cervello. Prese
la donna alle spalle, la tenne innanzi a sè, facendole piombare negli
occhi il suo sguardo più penetrativo; e con una cupa fiamma di rossore
sulla pallidezza morbosa del suo volto, le disse:
— Tu faresti ciò per me?
— Sì: rispos'ella francamente.
— Senza patti?
— Ah no.
— A qual condizione adunque?
La _Leggera_ abbassò la voce.
— Fa fuggire Luigi.
Barnaba divenne più pallido di quel che fosse prima, le sue mani si
contrassero sulle spalle della donna, come per convulsione di spasimo,
le sue pupille saettarono uno sguardo feroce. Respinse da sè la
cortigiana e con voce sorda, ma risoluta, espressione d'una volontà
irremovibile, disse seccamente:
— No.
Poi si pose a passeggiare per la stanza, le braccia incrociate, il capo
chino, sulla fronte e sul viso l'ombra d'una fiera amarezza.
Zoe stette un istante in silenzio, guardandolo attentamente. Siccome
egli in quel punto non la vedeva, la fisonomia di lei aveva deposta
quella sembianza di tenerezza che aveva ritenuta sino allora, e vi si
scorgeva invece un'impazienza, un'irritazione, quasi una rabbia. Dopo un
poco ella riprese la maschera dell'affetto, e domandò con voce la più
soave che potesse:
— Perchè?
L'uomo si fermò di presente e si riscosse come colpito inaspettatamente
da una botta. Levò la faccia e mostrò lo sguardo malvagio ed il
sogghigno d'una spietata ironia.
— Perchè? diss'egli riavvicinandosi con passo lento alla Zoe; ah! tu mi
credi dunque tanto novellino da lasciarmi ancora invischiare in queste
panie?
Mutò ad un tratto espressione di viso e d'accento, e soggiunse con
iscoppio d'odio feroce:
— Il tuo Luigi vo' che muoia infamemente sulla forca.
La _Leggera_ mandò un'esclamazione di vero spavento.
— Ti leggo nell'anima, vedi: continuava l'antico pagliaccio. Tu mi
faresti traditore al mio dovere, e poi mi pianteresti per ricongiungerti
a colui: useresti di me come di un vile strumento, che quando ha servito
si getta o s'infrange. Non mi ci lascio cogliere, disgraziata!...
Quell'uomo che tanto ti sta a cuore, sappi che è forse l'unico al mondo
ch'io odii. Ad ogni altro ti sei venduta, non l'hai amato: il vizio
aveva preso di te tutta la materia, mi figuravo che nel fondo del tuo
essere vi fosse ancora un'anima che sonnecchiasse e potesse ridestarsi
ed espandersi ad un amore completo qual era il mio: venne costui, e tu
gli desti anche l'anima. Egli ti ha posseduta tutta, ti ha corrotto
anche lo spirito. L'odio, e morrà.
Zoe volle ribellarsi a quella feroce pressione, che tentava dominarla.
— No, esclamò con forza: io lo salverò, dovessi ricorrere a qualunque
mezzo.
— Non lo salverai, perchè di mezzi non ce n'è alcuno. Il tuo Principe
non muoverà un dito.....
La cortigiana fece un gesto di minaccia, che era una promessa di
vendetta.
— Nè alcun altro — alcun altro, capisci — troverai pronto ad
aiutarti.... Avessi tu anche un milione da gettare, non riusciresti
nell'impresa, perchè son io qui a vegliare, e non è possibile nè
ingannarmi, nè farmi cambiare di proposito.
La _Leggera_ saettò Barnaba d'un'occhiata piena di collera, tanto più
feroce, quanto più impotente.
— Tu vuoi dunque ch'io ti detesti?
— Detestami, ma piegati al mio volere.
— E tu vuoi?
— Il _medichino_ salirà sul patibolo, se io non lascio penetrare presso
di lui la morte che tu hai promesso recargli.... Or bene, la notte
ultima sua, ch'egli passerà in _confortatorio_, sarà quella delle nostre
nozze; il mattino, uscendo dalle mie braccia, ti lascierò entrare, un
momento prima del carnefice, nella cella del tuo Luigi.....
Zoe respinse inorridita quell'uomo che si era piegato verso di lei per
susurrarle queste parole all'orecchia.
— Mostro! esclamò essa; e fuggì sbigottita da quella stanza.
— Pensaci! le gridò dietro Barnaba: non ci hai più che un giorno. Domani
probabilmente la domanda di grazia sarà respinta, e i condannati saranno
messi in _confortatorio_; domani sera attendo un tuo cenno.....
La donna era uscita e correva raccapricciando per gli oscuri e freddi
corridoi della carcere, e il guardiano che le doveva aprire poteva a
mala pena tenerle dietro.
Ma l'odio di Barnaba aveva calcolato giusto: nissuna possibilità di
salute era oramai pel _medichino_; invano Zoe tentò ogni via; dovette
convincersi che altro ella non poteva far più per lui che procurargli
l'invocato mezzo di sottrarsi all'infamia del supplizio. Prese tutto
l'oro che possedeva e corse da un farmacista di cui aveva da tempo
speciale conoscenza. Ebbero insieme un lungo e segreto colloquio; poi il
chimico si ridusse solo nel suo laboratorio e la donna partì; ma verso
sera questa tornò e si ridussero di nuovo a segreto abboccamento la
cortigiana e lo speziale. Quando uscì dalla bottega, la Zoe aveva la
faccia pallida, gli occhi turbati e le mani tremanti.
Il ricorso per la grazia era stato respinto: i condannati alle dieci del
mattino erano stati introdotti in _confortatorio_: la sentenza di morte
doveva essere eseguita il giorno di poi all'alba.
A sera già chiusa, Barnaba ricevette un bigliettino in cui era scritta
una sola parola: «Venite.»
Era di pugno della Zoe.
CAPITOLO XXXI.
Alle dieci del mattino adunque ciascuno dei condannati aveva visto
aprirsi la porta della sua carcere ed uditosi annunziare che la domanda
di grazia per commutazione di pena era stata respinta, e che dovevano
quindi prepararsi alla morte per la mattina ventura. Furono condotti,
come si suol dire, in _confortatorio_, ciascuno in una stanza separata,
e posti in mano ai confratelli della Compagnia della Misericordia, ai
quali i miseri dovevano essere affidati fino alla loro inumazione.
Le celle in cui furono posti i condannati erano carceri come le altre,
nelle quali presso una parete s'era drizzato una specie di altare con
sopravi un crocifisso e quattro candele accese; siccome le porte di
queste celle avevano da rimanere aperte, e la custodia dei miseri, senza
intromissione di agenti della forza pubblica, era tutta lasciata ai
fratelli della Misericordia, ed anco perchè gl'infelici non potessero
attentare alla propria vita, si era fatto vestire ai condannati la così
detta _camicia di forza_, e per una catena che si univa ad un anello
piantato nel muro, catena abbastanza lunga da permetter loro di
passeggiare su e giù della cella, furono avvinti ad una gamba.
Il venire ad annunziare ad un uomo che è pieno di vita: «tu domani
morrai,» è una tremenda novella. La natura, l'istinto si ribellano
contro questa sentenza: tutte le forze della vitalità insorgono e
s'inalberano: il vuoto orrendamente nero del sepolcro spaventa le
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