La plebe, parte IV - 44

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stare quattro individui. Innanzi a questi banchi era uno spazio in mezzo
della sala, dove un tavolo a cui sedeva il segretario coi suoi aiuti; e
di là una delle pubbliche tribune, quella in cui c'erano più donne, e in
prima fila la Zoe: dal primo banco dei rei a quello della tribuna
correvano appena sei passi. In quello spazio centrale, precisamente di
prospetto alla gran tavola de' giudici, erano i banchi dei testimoni,
che si trovavano alla sinistra di quelli degli accusati. Dietro di
questi banchi dei testimoni era il locale destinato al pubblico plebeo.
Fra i banchi degli accusati e la tavola della Corte, che s'elevava sopra
un tavolato a cui si ascendeva per due gradini, stavano i difensori: di
faccia, dalla parte opposta, i rappresentanti del Pubblico Ministero.
Questa disposizione de' luoghi occorre tenere a mente per comprendere
poi l'orrenda tragica scena con cui si chiusero in quella sala i
dibattimenti di tal memorabile processo.
Si discorreva vivamente in tutte le tribune; il maroso del pubblico
straccione muggiva più che mai: ad un tratto si fece un gran silenzio e
gli occhi di tutti si volsero ad un punto: entravano i prigionieri, a
due a due, in mezzo a due file di carabinieri armati. Primi venivano
_Stracciaferro_ e _Graffigna_, poi Pelone, Marcaccio e la turba dei
satelliti minori; fra questi v'era una faccia onesta, disfatta dal
turbamento e dalla vergogna: quella del povero Andrea. Il suo arresto
dovevasi a Marcaccio; il quale, parte per le minaccie, parte per le
promesse di pena minore, s'era lasciato indurre a confessare qualche
cosa della verità e non aveva taciuto della fabbricazione delle chiavi
per mano del suo amico il ferraio senza lavoro. Di poi, pentitosi delle
sue rivelazioni, le aveva contraddette, aveva voluto ritrattare, s'era
posto di nuovo al niego più fermamente che mai; ma un secondo arresto di
Andrea era stato deciso ed eseguito, e il vedovo di Paolina, alle
fattegliene interrogazioni aveva risposto tutta la verità. Oh! Dio era
stato pietoso di togliere anche colla morte la onesta moglie di
quell'infelice allo spettacolo di tanta vergogna!
Mancava ancora il principale: il famoso _medichino_. Come se anche in
codesto si volesse riconoscere la superiorità di lui, il capo non era
stato condotto a mazzo cogli altri, ma gli si concedeva la distinzione
d'una entrata speciale in scena.
Il silenzio fattosi all'entrare dei prigionieri non durò gran fatto.
Tosto dopo cominciarono i discorsi, le osservazioni, i commenti, le
interpretazioni, gli indovinari intorno a quelle faccie risolute, la
maggior parte malvagie, feroci, fra cui dominavano la robusta,
imbestialita figura di _Stracciaferro_, l'allampanata, alta persona di
Pelone e la diabolica faccia sottile di _Graffigna_. Un movimento di
curiosità destarono due donne che in coda a tutti gli altri imputati
vennero in mezzo a' carabinieri ancor esse e furono fatte allogarsi nei
banchi de' rei. Erano Maddalena e la povera vecchia Margherita. Quella
conservava la sua aria sicura e petulante: appena dentro il salone aveva
mandato in giro i suoi occhi ardimentosi, e, vista di subito la Zoe,
aveva con essa scambiato un fuggevole ma significante ammicco. La misera
Margherita invece era tanto confusa e tremante che appena se poteva
reggersi e trascinarsi. Sotto l'abbronzato della sua pelle rugosa v'era
un pallore che sembrava di morte: i suoi poveri vecchi occhi erano rossi
dal pianto; già magrissima prima, il suo soggiorno in carcere e la pena
morale l'avevano ridotta a non aver più che la sua pelle color d'alluda
sulle ossa.
Nel primo banco furono posti _Stracciaferro_, _Graffigna_ e Marcaccio;
quest'ultimo era al capo del banco verso quello dei testimoni. Un posto
fu lasciato vacante, il primo dalla parte dove sedevano gli avvocati,
serbato di certo pel _medichino_. Nel banco di dietro erano le due
donne. In mezzo agli altri accusati Andrea, che pareva lo spettro
dell'uomo d'un tempo, aveva posto i gomiti sulle ginocchia e s'era
nascosto il volto nelle mani.
Il susurro cessò di nuovo, quando in mezzo a due carabinieri comparve il
fiero e leggiadro aspetto del sedicente Gian-Luigi Quercia. Era egli un
po' pallido, ma calmo e tranquillo. Dalla soglia gittò egli pure uno
sguardo su tutte quelle faccie intente verso di lui che lo divoravano
cogli occhi e schiuse le labbra ad un superbo, ironico sorriso; vide la
Zoe e non fe' cenno nessuno, ma nel guardarla le sue pupille nere
brillarono fugacemente d'una fiamma viva. La cortigiana sorrise in un
certo modo ed occhieggiò essa pure con una speciale significazione che
Gian-Luigi comprese.
— Sono qua, voleva essa dire, lavoro tuttavia per salvarti, ogni
speranza non è ancora perduta.
Egli s'avanzò con passo tranquillo, senza braveria, fino al suo posto,
fece un piccol cenno di saluto e d'incoraggiamento cogli occhi a
Maddalena, il cui volto alla vista di lui s'era tutto illuminato, e tese
una mano alla sua vecchia nutrice chiamandola affettuosamente per nome.
Margherita appena aveva visto entrare il suo diletto figliuolo, aveva
mandato un'esclamazione soffocata ed era stata assalita da un tremito
universale. Sarebbe corsa incontro a lui a gettarglisi nelle braccia, se
avesse osato e se glie ne fossero bastate le forze. Lo guardava, lo
guardava e gli occhi le si empivan di lagrime, e tremava sempre più.
Quando egli le fu dinanzi e le tese la mano, ella ruppe in singhiozzi, e
presa quella destra la baciò con trasporto.
— Oh mio Giannino!... oh mio Giannino! balbettò fra i singulti.
— Coraggio, madre! le disse amorevolmente Gian-Luigi.
Sentirsi dare questo nome di madre dal suo caro era sempre per la
poveretta una gioia ineffabile. In tal punto ciò pose il colmo alla sua
commozione.
— Ah! se questi signori lo permettessero, disse ella accennando i
carabinieri, e se tu non te ne vergognassi, vorrei pure abbracciarti.
Quercia le regalò il più amorevole de' suoi gentili sorrisi; poi si
curvò su di lei, le prese il capo fra le mani e le stampò un bacio sulla
fronte; essa, la povera vecchia, gittò le sue magre braccia al collo del
giovane e lo baciò replicatamente, piangendo. Questa scena destò
un'universale commozione.
E questa non era ancora dileguata del tutto, quando un'altra circostanza
avvenne che suscitò una impressione di ben diverso genere. In mezzo a
due carabinieri anche lui, fu introdotto e condotto a sedere al banco
dei testimoni un vecchio, piccolo, curvo, d'aspetto miserabile e sporco,
di andatura esitante ed obliqua; era il complice propalatore, al quale
(secondo l'uso di que' tempi) in premio delle sue rivelazioni era stata
concessa l'impunità: Jacob Arom il rigattiere.
Entrò egli cogli occhi bassi, timoroso ed incerto; solo un istante
sollevò le ciglia e saettò una guardata viperina al posto dov'era il
_medichino_. Questi s'era seduto tranquillamente, senza fare la menoma
attenzione agli altri coaccusati che si trovavano su quei medesimi
banchi, precisamente come se non esistessero, nè questi avevano mostrato
di badare a lui in alcuna maniera, fuori di _Graffigna_ che essendo più
vicino al posto dove aveva da sedere il _medichino_, s'era, quasi per
omaggio di rispetto, tirato più in là per lasciargliene maggior luogo;
per il che Quercia, in mezzo agl'imputati, stava, come per una nuova
distinzione, con una certa distanza isolato dagli altri, a cui non fu
mai ch'egli volgesse una parola, un cenno, uno sguardo soltanto.
Al passargli di _Macobaro_ dinanzi, Gian-Luigi, senz'affettazione, ma
con evidentissima espressione di profondo disprezzo e di schifo, volse
il capo dall'altra parte per non vederlo; ma saettarono il vecchio
rigattiere di sguardi micidialissimi gli altri imputati, e
principalmente _Graffigna_, il quale fece colla mano un cenno pieno di
minaccia. Anche nel pubblico, e specialmente in quella parte dove
entrava chi volesse, si levò un susurro che poteva dirsi di
riprovazione. _Macobaro_ si confuse ancora di più, e parve rannicchiarsi
all'estremità di quel banco dove egli fu condotto; ma poco stante ogni
rumore cessò, perchè gli uscieri imposero silenzio, ed entrarono a
prender seggio i magistrati.
Io non istarò ad annoiare i lettori coll'esposizione di tutto il
dibattimento del processo, delle requisitorie del fisco, e delle difese
degli avvocati. Sono cose oramai che si conoscono da tutti; e i fatti
che importano al nostro racconto e che vennero in quel dibattito
appurati, si videro man mano avvenire. Solo dirò che la quantità dei
testimoni, il numero degl'incidenti, la rilevanza delle quistioni
sollevate e dibattute fra il fisco e la difesa, fecero prolungare il
processo oltre le quindici sedute; che le due prime furono tutte spese
nella lettura del lunghissimo atto d'accusa, in cui erano consegnati
tutti i risultamenti ottenuti dalle propalazioni di Arom, dalle
rivelazioni poi disconfessate di Marcaccio, dalle ingenue confessioni di
Andrea, dalle indagini della Polizia; che tutte le volte fu grandissimo
il numero degli spettatori e fra questi delle donne, prima sempre la
Zoe; che fra i testimoni comparvero di nostra conoscenza Barnaba,
Bancone, Fra Bonaventura e Giacomo Benda. La giustizia, che non ha
pietà, aveva citato anche la povera Maria: e farla comparire alla
vergogna di tal pubblicità sarebbe stato un'ucciderla addirittura, la
infelice ragazza; ma Virginia avevale risparmiato questa prova mercè
l'autorevole intervento dello zio il marchese. Anche quest'ultimo era
stato sentito per ciò che era accaduto al letto di Nariccia; ma non si
era all'autorevolissimo personaggio dato il carico ed il disturbo d'una
comparsa in pubblico.
Solamente di quel processo riferirò l'interrogatorio del _medichino_, e
la tragedia che seguì la lettura della sentenza.
Il _medichino_, come il più importante degli accusati, fu fatto levare
in piedi pel primo, e il Presidente cominciò ad interrogarlo così:
— Il vostro nome?
Un gran silenzio s'era fatto nella sala, non si sentiva una mosca a
volare, e tutti gli sguardi erano intenti sulla bella figura del giovane
inquisito: questi con quel suo contegno di sicurezza, con quell'aria di
superiorità piena di degnazione che gli erano abituali, rispose colla
sua voce limpida e chiara tre parole che suonarono, in quel silenzio
come un accordo musicale:
— Non ho nome.
— Voi foste registrato nei libri dell'Ospizio con quello di Giovanni
Venturino, e con esso dato ad allevare alla donna Margherita Coppa; ora
vi facevate chiamare in società Luigi Quercia.
L'accusato guardò fiso il Presidente, come per dire: «non ci ho nulla da
contestare:» e si tacque.
— Perchè vi siete voi fabbricato un nuovo nome?
— Perchè così mi piacque.
— Credevate voi avere il diritto di cambiarvi nome ed attribuirvi
qualità a vostro capriccio?
— Lo credo sicuro. Gli uomini s'erano arrogato quello di stamparmi col
nome che mi avevano imposto una nota di vergogna per tutta la vita: io
me ne volli liberare. Il nome di Luigi era quello del mio benefattore,
medico al villaggio dove fui allevato, e lo presi in memoria di lui:
quello di Quercia lo scelsi come impresa del mio avvenire, come
programma di resistenza della mia volontà, ai colpi del destino nella
lotta della vita.
— Riconoscete voi dunque che avete affermato il falso alla famiglia
Benda, quando vi siete vantato d'una origine misteriosa, di segreta
parentela con famiglie di riguardo, e che sono falsi i documenti che
presentaste in sostegno delle vostre parole e che abbiamo qui dinanzi?
L'accusato levò la fronte e guardò intorno con dignitosa fierezza.
— Che io abbia detto il falso, la misera logica degli argomenti umani
sembra provarlo, che poi sia così realmente è un'altra cosa.
Il suo aspetto era cotanto nobile che nell'uditorio non vi fu forse una
persona in quel momento che non gli attribuisse quelle illustri,
misteriose origini, ond'egli s'era vantato.
— E la sua età? domandò dopo un istante il Presidente, passando senza
accorgersene a trattarlo col Lei.
— So di avere venticinque anni; ma non ho documento nessuno di fede di
nascita.
— Perchè si spacciava Ella per medico?
— Per omaggio eziandio al mio protettore che fu tale e desiderò ch'io
pure lo divenissi: perchè ho studiato la scienza della medicina, e senza
aver ottenuto diplomi di laurea credo saperne più di tanti che
acquistarono dall'Università il diritto di ammazzare il loro prossimo
impunemente.
Un'ilarità generale scoppiò nell'uditorio, e i giudici medesimi
sorrisero.
Il Presidente riprese dopo un poco:
— Ella conosceva da molto tempo il signor Nariccia?
L'accusato non rispose subito: tutti gli occhi erano con più intentività
che mai fissi sul volto di lui, il quale non ebbe pure il menomo cenno
d'una anche lievissima emozione.
— Mi permetta, signor Presidente, alcune parole ancora intorno al mio
nome ed all'esser mio, disse l'inquisito: e il Magistrato avendo fatto
un cenno di consenso, egli continuò. La povera donna che mi fu nutrice
trovasi accusata di falsa testimonianza per avere dato di me quelle
informazioni che ho ammesso poc'anzi trovarsi false innanzi alle
apparenze de' fatti. Dichiaro solennemente che la misera vecchia non può
essere tenuta imputabile di ciò. Ella mi ama d'un amore maggiore di
quello d'una madre; ella per me farebbe qualunque cosa; qualsiasi
maggior sacrifizio le domandassi, la vi si acconcerebbe; la sua volontà
è una molle cera in mano della mia. Ora io le avevo imposto, se
interrogata sul mio conto, di rispondere quel ch'ella disse. Coll'anima
padroneggiata dal tanto affetto, colla mente indebolita dalla vecchiaia
e dai patimenti d'una vita di miseria, ignara affatto delle cose del
mondo e delle leggi, come ritenerla in colpa di questo suo fatto?
Dichiaro poi altamente che nel mio tentativo d'evasione la buona
Margherita non vi ebbe parte di sorta e non n'ebbe pure sentore
nessuno...
Il Presidente lo interruppe.
— Ciò verrà più opportuno quando saremo a quel punto del processo; e
riguardo all'inquisita Margherita Coppa, il magistrato apprezzerà questa
dichiarazione ora da Lei fatta. Veniamo a noi..... e risponda alla
domanda che le ho diretta: s'Ella conoscesse da molto tempo il signor
Nariccia.
— Risponderò con un'altra dichiarazione, la quale penso non torni nuova
al Magistrato, essendo la medesima ch'io feci nell'istruttoria segreta,
dove assunsi il contegno da cui non intendo ora dipartirmi.
Nell'uditorio vi fu un movimento che indicava accresciuta ancora la
tanta attenzione con cui si ascoltavano le parole dell'imputato.
Questi pronunciò lentamente, con parola chiara e spiccata:
— Non dirò pure una parola che riguardi il processo e i tanti capi
d'accusa che si affacciano contro di me e i miei coimputati. Per
rispondere converrebbe ch'io volessi o difendere la mia innocenza e la
mia vita, o coadiuvare la giustizia nella ricerca della verità; ora io
non voglio nè l'una cosa, nè l'altra. Della mia sorte non mi curo e
l'abbandono al caso; nella ricerca del vero vo' lasciare che la
giustizia se la districhi da sè colla facilità dell'errore.
Il Presidente lo interruppe con tono di rampogna, riprendendo, nel
parlargli, il voi.
— Questa è una nuova colpa. Avete il dovere di rischiarare nelle sue
indagini la giustizia.
— Cotal dovere io non me lo sento per nulla.
— Lo avete pei vostri complici.....
— Non ammetto d'aver complici.
— Vuol dire che negate.
— Nè nego, nè affermo: mi taccio.
Il Presidente gli fece una severa ammonizione che l'inquisito ascoltò
freddamente.
— Signore, diss'egli poi, quando il Magistrato ebbe finito, le sue
parole non mi faranno uscire dalla determinazione che ho presa. Se
fossimo ancora ai beati tempi della tortura, non varrebbero a farmi
parlare neanche i più fieri tormenti.
Non ci fu verso a smuoverne il fatto proposito; _Stracciaferro_ e
_Graffigna_ ne imitarono l'esempio; gli altri si confusero nelle loro
risposte; Pelone riprese per suo conto quelle confessioni che Marcaccio
aveva ritrattate; Maddalena pose una strana audacia a compromettersi pel
_medichino_; Andrea, come già aveva fatto nell'istruttoria segreta,
disse tutta la verità di quanto lo riguardava. Così esplicite poi furono
le deposizioni testimoniali, così eloquenti i corpi del delitto
sequestrati che provavano un'infinita quantità di furti e di assassinii,
così precise le rivelazioni di _Macobaro_ che niuno poteva conservare il
menomo dubbio sull'esito che la sentenza avrebbe dato al processo.
Contro _Macobaro_ non avevano cessato gl'inquisiti di saettare sguardi
feroci d'odio e di minaccia. Certo le lunghe ore di seduta di quei
dibattimenti dovettero essere per quel vecchio una sequela di tormenti
indicibili; ma il pensiero della vendetta lo sosteneva, e poi messosi
una volta per quella strada, bisognava bene andarne fino al termine.
Si chiusero alla fine i dibattimenti. Il Pubblico Ministero tuonò contro
i rei e ricordando lo spavento generato nella cittadinanza da
quell'audacissima schiera d'assassini, l'empietà e la barbarie di tanti
e sì frequenti reati, invocò tutto il rigor delle leggi e chiamò la pena
di morte pel _medichino_, per _Stracciaferro_, per _Graffigna_, per
Marcaccio e per altri due accusati di cui il nome non rileva; per gli
altri inquisiti varii gradi di pena dai lavori forzati a vita fino ai
cinque anni di reclusione. Gli avvocati difensori s'industriarono se non
a purgare d'ogni taccia i loro clienti (chè la cosa era impossibile) di
mostrarne almeno minore di quel che volesse il fisco la colpabilità.
Udito tutti, il Presidente fece il riassunto di tutti i dibattimenti
avvenuti, e poi, levando la seduta, annunziò che nell'udienza del giorno
di poi sarebbe stata letta la sentenza che nell'intervallo il Magistrato
avrebbe pronunziata.
L'assemblea si sciolse con quel mormorio speciale che è indizio di
commozione delle masse: il domani una folla più fitta che mai si stipava
nella sala dell'udienza, nel vestibolo precedente, nella gradinata,
nell'atrio, fino nella strada. Un maggiore susurro regnava nella sala,
sintomo d'agitazione promossa dalla curiosità d'impazienza ansiosa
nell'aspettazione. Il rumore non cessò, anzi s'accrebbe quando furono
visti entrare gli accusati. Alcuni notarono che il _medichino_ era un
po' più pallido del solito; ma la sua fisionomia era calma e l'aspetto
sicuro come sempre. Avreste detto ch'egli veniva spettatore di cosa che
riguardava tutt'altri da lui. Gli altri delinquenti avevano tutti
l'aspetto turbato ed ansioso, eccetto _Stracciaferro_ che conservava la
solita aria ferocemente stupida e _Graffigna_ la sua maliziosa figura di
volpe. Il bettoliere Pelone era di color verde, il suo cranio
giallognolo luceva di sudore che vi spuntava a goccioline, e i suoi
occhi infossati si giravano intorno con uno sbigottimento profondo;
Andrea era abbattuto e privo di ogni vigore; Marcaccio per contro
ostentava un'animazione, una specie di gaiezza che era troppa per
apparir naturale e che si vedeva effetto della inquietudine la più viva;
egli non poteva star fermo, le mani sue brancicavano sull'assicella
superiore della barriera che aveva dinanzi a sè, volgeva atti e sguardi
e sorrisi a' suoi compagni, e il carabiniere che gli stava presso non
cessava dall'ammonirlo a tenersi tranquillo. Un osservatore avrebbe
fatto attenzione a certi sguardi che a questo carabiniere che gli era
allato gettava Marcaccio: erano sguardi che parevano misurarne la forza,
esaminarne la risoluzione e il coraggio; e ad ogni volta lo squadrasse a
quel modo, vedendo la robusta complessione e l'aspetto ardimentoso di
quel difensore della legge, Marcaccio non poteva nascondere certi segni
di contrarietà e di disappunto.
Jacob Arom, condotto anche lui ad udire la lettura della sentenza,
poichè ancor egli era fra gli inquisiti e solo aveva da esser salvo per
le fatte propalazioni, era più pallido, più confuso, più tremante che
mai e si sarebbe detto ch'egli, il quale aveva l'impunità assicurata,
era quello che più di ogni altro era occupato dallo spavento. Più feroci
che mai lo saettavano gli sguardi dei suoi complici, cui egli non osava
affrontare, tenendo gli occhi continuamente fissi al suolo; e più d'uno
tendendo verso di lui il pugno chiuso, gli faceva atti di minaccia e gli
lanciava imprecazioni e bestemmie.
Un gran silenzio si fece quando la Corte entrò e prese posto, quando il
segretario si levò in piedi e cominciò con la voce grave e monotona la
lettura della sentenza. Questa dopo le relative considerazioni per cui
venivano poste in sodo le risultanze del processo e le varie colpabilità
degli imputati, passando alla parte dispositiva, condannava, dei
personaggi del nostro dramma, tre alla pena di morte: Giovanni Venturino
sedicentesi Luigi Quercia e sopranominato il _medichino_; Michele Luponi
detto _Stracciaferro_; e Giocondo _Graffigna_. Marcaccio era condannato
alla galera in vita; Pelone a dieci anni di lavori forzati; Andrea a
dieci anni di reclusione; Maddalena a cinque anni; Margherita era
assolta.
I condannati all'estremo supplizio non fecero il menomo movimento;
Quercia solamente sorrise col suo modo superbo e slanciò uno sguardo
alla Zoe, la quale era là, innanzi a lui, al suo solito posto. Con
quello sguardo egli le diceva: «Bada che ora mi occorre un ultimo
servizio e conto su di te.» La _Leggera_ gli rispose con uno che
significava: «Non ismarrirti. Tutto può ancora rimediarsi: io non ti
mancherò, e sarai salvo.»
La vecchia Margherita a sentire quella tremenda parola di =morte= mandò
un gemito e tendendo le braccia verso il suo Giannino che le stava
dinanzi:
— Oh figliuol mio! esclamò.
Il _medichino_ le si volse mestamente sorridente e con tono di pietà e
d'autorità insieme le disse:
— Calmati; taci; non isgomentarti.
Passato il fremito della prima impressione prodotta nell'affollato
uditorio da quella sentenza di cui pure già s'aspettavano quali erano le
disposizioni, il Presidente si volse ai condannati e disse loro se
avevano qualche cosa da dire.
Il _medichino_ fece come se nulla avesse udito; ma _Stracciaferro_,
_Graffigna_ e Marcaccio si drizzarono tutti tre di scatto.
— Abbiamo da dire, gridò Marcaccio con voce stentorea, ma che un pochino
tremava, che qualcheduno l'ha da pagare..... e subito!
Ciò dicendo si slanciò sul carabiniere che aveva presso e lo afferrò
alla gola: nel medesimo tempo _Graffigna_ e _Stracciaferro_ scavalcavano
la barriera, quest'ultimo si gettava addosso al secondo carabiniere che
trovavasi all'altro capo del banco; e _Graffigna_ sgusciava, agile e
pronto com'era, verso _Macobaro_.
Successe un momento di confusione indescrivibile. L'uditorio spaventato
credette vedere tutta quella massa di malfattori precipitarsi sopra di
esso per aprirsi fra di lui un passaggio alla fuga: gli uomini si
levarono, le donne strillarono e minacciarono svenire: si fece ressa
alla porta per iscappare. I carabinieri così aggrediti, frattanto, non
potevano far uso delle armi, perchè stretti corpo a corpo dai loro
robusti avversari, e i loro compagni non potevano venire in loro aiuto,
perchè, allogati nelle corsie de' banchi, avevano il passo impedito
dalla persona medesima di chi si trattava di soccorrere, ed inoltre
avevano da tener d'occhio gli altri condannati cui temevano veder
levarsi ancor essi ed assalirli.
Ma non era tanto la libertà che volevano ottenere i tre assassini
insortisi a quel modo, quanto la vendetta contro il complice traditore.
Non ostante la sorveglianza dei carabinieri, che dovevano impedire ogni
comunicazione fra gl'inquisiti, essi, mercè sguardi, cenni, ammicchi e
qualche mezza parola, avevano ordita la congiura, ed era stato
_Graffigna_ ad immaginarla, per vendicarsi di _Macobaro_ il giorno e il
momento medesimo in cui sarebbe loro stata letta la sentenza.
_Stracciaferro_ e Marcaccio, poderosi di membra com'erano, dovevano
contenere i due carabinieri più prossimi, e _Graffigna_ lesto saltare
sul traditore e strozzarlo. Il programma fu eseguito alla lettera. In
mezzo a quel tumulto che ne nacque fu udito ad un punto un grido di
spavento indicibile, poi un rantolo: _Graffigna_ aveva preso alla gola
il vecchio rigattiere e colle sue mani nervose, piantandogli le unghie
entro la carne, lo stringeva con una forza che l'odio accresceva a più
doppi. Livida diventava la faccia del miserabile, gli occhi fattisi
pieni di sangue gli uscivano dalle orbite, le vene della fronte si
gonfiavano e parevano corde tese prossime a rompersi, un'espressione
orribile di sbigottimento, di dolore, di agonia contraeva quei
lineamenti convulsi, le mani adunche si agitavano nel vuoto, come per
domandare aiuto, come quelle del naufrago che cercano abbrancarsi a
qualche cosa. Un carabiniere potè finalmente arrivare in soccorso di
Arom e fece a trarre in là l'assassino che si abbandonava con tutto il
suo peso sopra la vittima, e non riuscendovi per quanto forti strappate
gli desse, si pose a percuoterlo sulla testa col calcio della pistola;
in quel frattempo s'udì un colpo di arma da fuoco, ed un corpo
sanguinoso fu visto strammazzare nello spazio vuoto a metà della sala.
Era Marcaccio. Il carabiniere da lui afferrato alla gola, vedendo non
poter aver ragione del suo assalitore, e già sentendosi mancare il
fiato, aveva lasciato andare la carabina di cui non poteva servirsi in
quel serra serra, e toltasi di dietro le falde della montura una delle
pistole che vi portava appese, ne aveva appoggiata la bocca alla nuca
del condannato colla direzione volta in su, ed aveva sparato; la palla,
traversato il cervello ed il cranio di Marcaccio, era andata ad
allogarsi su in un trave del soffitto. _Stracciaferro_, più forte, aveva
impedito al carabiniere su cui egli s'era gettato, di far uso delle
armi, ed avendolo steso a terra mezzo soffocato, erasi impadronito della
carabina e si levava su terribile colla baionetta inarcata contro gli
altri carabinieri, che riusciti a districarsi dagl'impacci, stavano per
lanciarsi contro di lui.
Tutto accennava ad una sanguinosa, orribil lotta. Ad un tratto suonò là
in mezzo una voce sonora, chiara, imperiosa, potente:
— Alto là!... Abbasso quell'arma, _Stracciaferro_!... Fermi tutti, per
Dio!
Era il _medichino_. Egli era rimasto sino allora tranquillamente seduto
al suo posto, guardando con una specie di meraviglia curiosa il fatto
dei suoi complici, delle cui intenzioni non era stato istruito. La
tentazione gli venne un momento di cacciarsi ancor egli in quello
sbaraglio.
— Bene! Aveva pensato. Strappiamo le armi a codestoro, e riconquistiamo
la libertà, o facciamoci uccidere.
Ma quando si levò guardando coll'occhio freddo dell'uomo che sa dominare
il pericolo, quella specie di campo di battaglia, vide due cose che gli
fecero cambiar di presente la sua determinazione. Vide le donne
spaventate in mezzo all'uditorio, e la Zoe medesima, che, nonostante
tutta la sua risolutezza, pareva prossima a svenire: questa vista, che
un tempo non l'avrebbe trattenuto di certo da nulla ch'egli avesse
deciso di fare, ora bastò a produrgli una riazione nei suoi propositi.
Sentiva l'obbligo di essere più nobile e più generoso che per l'innanzi;
ascoltava con più cedevolezza i subiti impulsi del suo sangue illustre,
di cui voleva esser degno oramai innanzi a sè medesimo.
— Morire io, si disse, e morire questi scellerati miei compagni, sta
bene; ma perchè la nostra morte avrebbe da costare quella di onesti e di
innocenti?
In quella vide altresì la faccia sconvolta del padre della povera Ester,
e gli parve che uno sguardo di quegli occhi, i quali parevano sul punto
di schizzar fuori delle orbite, si rivolgesse e posasse su di lui, pieno
di mortale rancore, di implacabile accusa e rampogna. Si sentì una
commozione che non aveva provato mai; credette vedere i lineamenti del
vecchio rigattiere, contratti dallo spasimo dell'agonia, cambiarsi in
quelli di sua figlia annegata ch'egli aveva visti irrigiditi dalla
morte. Un qualche cosa di nuovo che pareva un rimorso, che si accostava
ad un pentimento della sua condotta ne assalì l'animo. Credette suo
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