La plebe, parte IV - 42
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chiassose impertinenze a danno dei pacifici abitanti, de' buoni
bottegai, per le quali chiudeva gli occhi la Polizia così permalosa
verso i semplici cittadini.
La Zoe che conosceva le abitudini di quell'Altezza così bassa, bene
aveva immaginato che quella tal porticina le si sarebbe aperta e che,
nota come essa era ai ministri di quel principesco libertinaggio, le si
sarebbe concesso il passo verso l'abbominevole santuario di quella
grandezza politica e sociale, che era una morale abbiettezza. E così fu.
Il Principe non era ancora tornato a casa da una delle sue corse
notturne; ma la Zoe, la cui meretricia bellezza si sapeva pagata dal
denaro dei contribuenti che passava per le tasche del duchino, ebbe a
dire solamente che S. A. R. le aveva detto venisse da lui, perchè il
custode di sotto e i servi di sopra la lasciassero penetrare nelle più
intime stanze del padrone. Lasciata sola, Zoe si rallegrò della
circostanza che le concedeva un po' di tempo per pensare al modo di
regolarsi prima di affrontare l'avversario. Era la prima volta che dopo
una contesa col suo regio amante, veniva essa a fare il primo passo
verso una riconciliazione; e non ignorava che questo, coll'umore e col
carattere del Principe, non era buon metodo a tenerlo avvinto. Egli,
istintivamente, aveva un concetto abbastanza giusto di sè, da
disprezzare chi mostrasse per lui premura ed interesse: per farsene
correr dietro, una donna bisognava non se ne curasse, e ne pungesse il
capriccio col disdegno. Ma ora le condizioni delle cose erano state tali
che non concedevano alla _Leggera_ di seguire sino alla fine, come aveva
fatto le altre volte, quella regola di condotta. La lite era stata più
viva ed accanita delle precedenti; il rancore principesco era durato più
che non avesse fatto mai per l'addietro, e l'urgenza del bisogno in cui
era la cortigiana della protezione di lui per sè e pel suo damo
l'avevano spinta contro ogni consiglio di prudenza a venire. Bisognava
riparare a questa debolezza, coll'arte; e non c'era altro mezzo per lei
che di rendersi più bella, più procace, più provocante che mai, per
dettar poi la legge al desiderio di S. A. inuzzolito.
La si pose innanzi allo specchio, e preparò agli sguardi del principe un
accorto disordine di acconciatura che la faceva irresistibile: mezzo
sciolte le chiome che cadevano sulle spalle e sul seno in ciocche
voluminose il cui fulvo colore luceva d'uno splendore metallico ai raggi
de' candelabri accesi; discinte le vesti con tanta maestria che
lasciasse trasparire e pur celasse le bellezze delle forme, e più
facesse indovinare, ed acremente acuisse il desiderio di più vedere; uno
strano e piacevolmente irritante contrasto fra la fronte severa e
corrucciata e lo sguardo vivo come una fiamma e la bocca voluttuosa; un
abbandono delle membra pieno di grazia felina e d'impertinente
noncuranza. Quando il Duca entrò vide sopra una poltrona presso il
camino lo splendore di quella bellezza, la fiamma di quegli sguardi, il
candore di quelle carni, il fulvo dorato di quelle chiome, il carminio
di quelle labbra, tutto uno sbarbaglio, e stette sovraccolto, come
ammirato. Ella fu appena se volse il capo verso di lui, e lo guardò alla
sfuggita.
— Buon giorno, principe: disse con fredda leggerezza: son io.
Il principe aveva lo sguardo, l'andatura e le idee d'un uomo mezzo
briaco, qual egli era. I fumi del Bordeaux gli bollivano nel cervello
insieme coi vapori della libidine; non aveva il pieno dominio della
insolenza che gli teneva luogo di volontà; barcollava fisicamente e
intellettivamente sotto il peso dell'ebbrezza, oppresso, non sazio dello
stravizzo.
— Tu qui: esclamò egli: oh brava! oh la bella sorpresa!
E s'avanzò per abbracciarla; ma essa lo respinse e lo guardò con atto di
severa dignità offesa.
— Piano! disse. La stia in là; e le mani a casa... Oh che crede Ella io
sia venuta a fare?
Il principe ruppe in una risata.
— Sì, bene, rispose: oh che cosa sei venuta a far qui? A dire il rosario
eh?
— La senta; i suoi scherzi saranno bellissimi, ma ora non hanno il dono
di farmi sorridere... Ah che cosa son venuta a fare?... E se mentre
l'aspettavo mi fosse piaciuto renderle la pariglia di quello che Ella ha
fatto a casa mia e fracassar tutto qui dentro?
S. A. si lasciò cascare sopra una poltrona in faccia a quella della Zoe
e raddoppiò le sue risa.
— Questa sarebbe stata una bella idea..... Vi ti riconosco, mia bella
tigre... addomesticata.
— Ma io, almeno, se mi abbandonassi a questi sciocchi furori in casa
d'altri, non mi dimenticherei del proverbio.
— Che proverbio?
— Chi rompe paga.
— Ma, gioia mia, la casa tua non è affatto d'altri per me, ma un
pocolino anche mia..... Prima di rompere mi pare che avevo cominciato
per pagare... Ma al postutto tu hai ragione. Se non c'è che questa causa
di screzio, la è subito levata. Oggi ho tutte le fortune. Ho guadagnato
al giuoco, e ricevo una tua visita così inaspettata: sono il beniamino
della sorte, e voglio che abbia a rallegrartene anche tu.
Si alzò, venne presso alla cortigiana, e vuotando le sue tasche, fece
cascare una piova di napoleoni sul seno, in grembo della cortigiana;
nuovo Giove che si stemperava in oro per quella Danae di Pafo. A tutta
prima gli occhi della Zoe brillarono di quella brutta gioia che è
l'espressione d'una bassa cupidigia soddisfatta; ma poi tosto smorzò
quel guizzo, e si levò fremente in una falsa indignazione che la rendeva
bellissima a vedersi. Prese una manata di quei dischi d'oro e la gettò
ai piedi del principe sbalordito; scosse da' suoi panni, come si fa del
sudiciume della polvere, le monete che suonarono cadendo e
sparpagliandosi sul tappeto, ed esclamò con una superba fierezza la cui
simulazione le avrebbe invidiata la migliore delle commedianti:
— Si tenga il suo denaro, signor duca: che crede Ella io faccia una
quistione d'interesse? Come la mi conosce poco! È quistione di dignità,
dei più nobili sentimenti dell'animo mio.... Son venuta a darle un
addio, e per sempre. Vo' partire da questa città, forse dall'Italia, e
non tornarci mai più.
Agli occhi imbambolati del Principe mezzo brillo quella donna apparve
ora in quell'atto più bella che non le fosse apparsa mai; la desiderò
con più potenza che non avesse fatto; gli sembrò che il perderla, che il
non vederla più sarebbe stata per lui una vera sventura. Cominciò per
voler provare coi ragionamenti alla Zoe, che non doveva far così: i suoi
argomenti vacillavano nella logica, come avrebbero vacillato le
principesche gambe nel passo, se S. A. avesse voluto camminare; la
cortigiana li mandava le gambe in aria coll'urto dei più matti paradossi
e delle più impossibili affermazioni che al Duca parevano verità
incontrastate; finì egli per umiliarsi, pregare e domandare l'elemosina
del perdono. Era a questo punto ch'essa lo voleva trarre. Parve voler
cedere; e quando lo vide tutto invaso dal suo influsso, ella si sciolse
violentemente dalle braccia di lui, lo rigettò con vigore e gli disse
sulla faccia con freddezza brutale:
— Sapete che io ho determinato di non appartenervi mai più, se voi non
mi giurate di salvare Luigi Quercia?
Il colpo fu duro al principe colpito nel massimo calore della sua foga
da quest'acqua ghiacciata in viso. S'inalberò, volle ribellarsi; ma la
domatrice della fiera teneva nella sua mano nervosa attorcigliata la
giubba di quell'animale, lo aveva avvinto pei bassi vincoli della
sensualità.
— Quell'uomo!.... Ma che cosa t'importa di lui?... che cosa è quell'uomo
per te?
— Ebbene! esclamò con impudente franchezza la cortigiana: e s'io
l'amassi?
La faccia del Duchino si contrasse come il muso d'una jena che sta per
mordere.
— No, non l'amo niente affatto: s'affrettò a soggiungere la Zoe. Tutto
il mio amore è per te, mio principe, mio padrone, mio tutto; ma ho di
molti debiti a quell'uomo; gli è lui che mi ha fatta quella che sono:
fra noi corrono strane e misteriose attinenze che non ti posso spiegare
ma che sono indissolubili; è una fraternità delle anime e della sorte; e
sarei un'infame se la tradissi. Chiedimi qualunque cosa, ma non di
abbandonare nel pericolo quell'uomo. Tu puoi salvarlo: salvalo ed io
sarò per te più umile, più devota d'un cane. Lui non lo vedrò più
nemmeno; lo farai partire per lontani paesi, per dove ti piacerà meglio;
io starò sempre teco finchè mi vorrai; che m'importerà ancora di
quell'uomo, quando abbia compito verso di esso il mio dovere?... Io ti
amerò tanto, sai, che ti compenserò a dovizia di quanto avrai fatto...
Ne disse mille di parole, di promesse, di sollecitazioni, di preghiere
ardenti, accompagnate da mosse che suscitavano le più vive fiamme del
desiderio, con voce che vibrava, palpitava, accarezzava, con isguardi
che avrebbero turbato uno stoico.
— Ebbene, sia: disse il principe più inebriato che mai, sedotto,
allucinato, raggirato: lo salveremo e lo manderemo in Australia.
Zoe prese il Duca alle braccia, glie le strinse da lasciarci impresse le
sue piccole dita, e guardandolo bene in faccia soggiunse:
— Davvero? Oh non è una parola inconsiderata, leggermente concessa, che
mi basti. Tu codesto me lo hai da giurare, e lo farai per l'anima tua.
— Ma sì.
— Giuralo.
— Lo giuro.
— E se tu ci mancherai, guai a te... saprò punirtene e vendicarmi.
— Diamine! quando prometto una cosa, quando la giuro, è come se fosse
già fatta... Or via, smetti quell'aria da eroina, e torna meco la Zoe di
un tempo.
Le passò un braccio intorno alla persona, ed ella si abbandonò su di
lui... Il predestinato principe non sapeva che in quel punto con tal
giuramento ch'egli non aveva menomamente l'intenzione di mantenere,
aveva mosso il primo passo verso la tragica sua morte.
La Zoe non uscì del quartiere del principe che assai tardi nella
giornata di poi: venuta a casa sua, fatta sicura d'ogni molestia per la
protezione del Duca, dovette prima di tutto pensare all'opera importante
di restaurare le sue forze, accudire alle sue bellezze e rendere il
culto della _toilette_ alla sua persona. Bene cercò sapere di Maddalena,
la cui sorte assai la preoccupava, e la quale troppo aveva ragion di
temere caduta in mano della giustizia essa pure: ma nessuno de' suoi ne
la seppe informare di nulla al riguardo. Quando appena lo potè, ed era
oramai la sera, corse all'appartamentino di Bancone dove aveva fatta
ricoverare la giovane, e trovò tutto chiuso, scuro e taciturno, come là
dove regna la solitudine. I casigliani ella non voleva interrogarli, e
riteneva inoltre che non avrebbero saputo dirle cosa nessuna, perchè su
quel pianerottolo non c'era altro uscio e di sopra non ci stava che
povera gente, la quale stava fuor di casa tutto il giorno al lavoro, e
di notte dormiva della grossa. La _Leggera_ non rimase molto tempo in
forse, ma si affrettò verso il palazzo di Bancone, ed introdottasi nel
salottino dove il ricco banchiere riceveva chi veniva a parlargli di
affari, gli mandò una sua polizza di visita con due parole scritte a
matita che dicevano venisse subito, avere urgente bisogno di parlargli.
E Bancone, interrompendo il suo lauto pranzo ch'egli gustava da vero
Epulone qual era, venne sollecito, ma di cattivo umore e impazientemente
collerico. Non lasciò parlare la donna, e incominciò egli senz'altro con
una sfuriata:
— Brava! Belle cose che mi fai! Bei servigi che mi rendi!... Ed anche
questo di venirmi ora qui in casa è proprio un bel piacere che mi vuoi
dare... Ma saccorotto! non te l'ho detto le centinaia di volte che non
voglio mi veniate qui a trovare, tu e le pari tue?... Sono ben buono io
a non farvi mandar via e serrar l'uscio in faccia..... Ti preme
parlarmi?... Hai di nuovo qualche favore da chiedermi, qualche buon
soggetto da raccomandarmi come quella tua Maddalena?.... Un
bell'acquisto, affè di Dio, che mi hai fatto fare!... Io che mi piace
vivere tranquillo e che nessuno ficchi il becco nei miei negozi!... Sai
che cosa è capitato a quella tua sviata tortorella?.... E' me l'han
presa su i birri e tratta in prigione. Ed io aveva messo in mia casa una
simile eroina!... Ho avuto un bel spavento oggi quando sono entrato
colà.... Tutto era sottosopra; i mobili aperti, i cassetti tirati.
«Buono! pensai, quella tortorella mi ha fatto un _repulisti_ ed alzato i
tacchi; te lo meriti, animale.» Corsi alla Polizia senz'altro; ed
appresi che quella giovane era niente meno che un'addetta alla famosa
_cocca_, la quale mi ha già vuotato, è poco tempo, la cassaforte, e che
tutto quel disordine e quel rifrugamento in casa mia l'aveva fatto
l'Autorità per cercare non so che prove, non so che documenti, di cui la
birbona era in possesso. Cospetto! Compromettermi colla Polizia, me!
Questa è troppo e non me la sarei mai aspettata.
Zoe aveva udito questo diluvio di parole colle braccia incrociate, e
pensatevi se con interesse. Ora la sapeva tutto quello che voleva
apprendere, e non le restava più nulla da fare in quel luogo: girò sui
suoi talloni e s'avviò per partirsi, senza manco aver aperto bocca.
— Ebbene? gridò Bancone meravigliato. Te ne vai di questa guisa? Gli è
tutto ciò che avevi tanta urgenza di dirmi?
— Voi avete risposto a tutte le domande che volevo farvi; non ho più
nulla da chiedervi. Buona sera.
— Fermati, ascolta, spiegami almeno...
La _Leggera_ non volle fermarsi, nè ascoltare, nè spiegar nulla; partì
con una rapidità che legittimava il suo nomignolo, e Bancone di peggior
umore di prima, senza capirne niente, tornò a finire il suo pranzo.
Per la Zoe fu evidente che presso la Maddalena erano state trovate e
prese le lettere della contessa; credette un tradimento di questa e del
marito; ne provò tanto furore che in quei primi momenti pensò ogni più
orribil cosa per vendicarsene, e sarebbe stata capace di qualunque
eccesso; ma poi la solenne promessa ottenuta dal principe, mercè la
quale ella nutriva certezza che Luigi sarebbe salvo ad ogni modo, valse
a calmarla. Avvisò che non doveva scegliere tal vendetta del conte e
della contessa, che compromettendola, facendola forse incarcerare
eziandio o cacciare dal regno, la ponesse in condizione da non poter più
vegliare all'esecuzione del giuramento principesco, da non poter più
giovare al prigioniero; tutta notte lavorò colla fantasia per trovare un
mezzo che soddisfacesse a tutte le esigenze e scelse finalmente quello
che abbiam veduto minacciato dal suo oltraggioso biglietto alla
contessa.
Ella non pose immediatamente in atto il suo perfido disegno, perchè
voleva preparare i suoi colpi di modo che fossero i più efficaci, e due
giorni passò meditando e combinando un piano infernale contro di
Candida; e quando lo aveva tutto perfettamente immaginato e stava per
cominciarne l'attuazione, le venne l'ordine espresso ed energico di
lasciar in pace la contessa, in un biglietto di Gian-Luigi.
Quel giorno il marchese di Baldissero e Don Venanzio si erano presentati
alle carceri con un ordine in buona forma dell'autorità competente,
perchè il detenuto Gian-Luigi Quercia fosse posto in comunicazione con
S. E. il marchese e colla persona che lo accompagnava e lasciato solo
con essi per quanto tempo l'Eccellenza medesima avesse voluto. Il nuovo
capoguardiano, succeduto a quello stato destituito e imprigionato,
esaminò ben bene quell'ordine, s'inchinò profondamente innanzi al
vecchio che aveva titolo e grado di ministro di Stato; ma invece di
ubbidire prontamente, disse con una umiltà che intercedeva perdono per
l'indugio:
— Scusi, Eccellenza..... l'ordine è in piena regola,... io vorrei
affrettarmi a servirla... Ma ci è il Sott'Ispettore che ha sotto la sua
speciale osservanza quel prigioniero; ed abbiamo ordine di dipendere in
tutto e per tutto da lui rispetto a quell'individuo.....
— Fate quel che dovete fare: disse tranquillamente il marchese: e il
capoguardiano sparì portando seco la carta.
Due minuti dopo entrò con passo sollecito Barnaba, il quale esaminava,
camminando, con occhio attentissimo quel foglio che a lui aveva rimesso
il capoguardiano. Giunto a due passi di distanza dal marchese, levò lo
sguardo e lo diresse sul volto del vecchio gentiluomo che stava
attendendo con calma, seria e quasi mesta dignità; lo riconobbe di botto
e fece un riverente saluto.
— Mille perdoni, Eccellenza: diss'egli. L'importanza del prigioniero,
l'audacia de' suoi fautori che tutto son capaci di tentare per
liberarlo, ci obbligano alle maggiori precauzioni.....
Il marchese l'interruppe con un gesto che significava: «Va benissimo, e
siete compiutamente assoluto: ma ora non fatemi indugiare altrimenti.»
Barnaba, che lo comprese, si rivolse al capoguardiano:
— Introducete questi signori nel parlatorio e sia condotto presso di
loro il prigioniero. Li lascierete soli; ma due secondini staranno a
ciascuna delle porte.
Il capoguardiano precedette i visitatori in una stanzaccia vicina, e ve
li lasciò per andar a prendere il _medichino_. Le pareti di quella
stanza erano nude, imbiancate a calce; delle due finestre che si
aprivano verso il cortile, una era murata e l'altra munita d'una grossa
inferriata piena di ragnateli, lasciava passare poca luce pel riparo
della tramoggia che la difendeva esteriormente; questo poco di luce era
ancora impedito nel suo filtrar nella camera dal denso strato di polvere
e di indefinibile sudiciume che s'era disteso sui piccoli vetri
impiombati. Colà dentro, per effetto di ciò, pareva regnar sempre un
crepuscolo grigiastro, di giornata invernale nuvolosa. Per mobili eranvi
solamente una tavola di legno non verniciato, una panca, quattro
seggiole impagliate; non vi era fuoco e il freddo faceva densamente
vaporoso il fiato delle persone. Il marchese e il parroco ebbero ad
aspettare pochissimo tempo che udirono un rumore di chiavi che aprivano
dei chiavistelli che si tiravano, poi una cadenza di passi numerosi e
pesanti che si accostavano giù d'un corridoio, e quindi videro aprirsi
un uscio e circondato da quattro ceffi di secondini, presentarsi il
fiero viso di Gian-Luigi Quercia.
Una mano spinse alle spalle il prigioniero, e poichè fu entrato, la
porta pesante gli si chiuse dietro. I tre personaggi che rimasero così
in presenza si guardarono in faccia.
Quando il capoguardiano aveva aperto la porta della segreta in cui stava
rinchiuso il _medichino_, questi era dritto a metà del piccolo stanzino,
forse passeggiandovi su e giù come soleva quasi sempre e per iscaldarsi
alquanto e per occupare e divertire con quel moto l'attività febbrile
della sua mente. All'udire aprir la sua prigione in un'ora affatto
insolita, in cui non si usava fare interrogatorii, nè era tempo da
recargli cibo, Gian-Luigi guardò tutto meravigliato verso il
capoguardiano dietro il quale vide la scorta di quattro uomini.
— Che cosa c'è? domandò egli con un accento di lievissima curiosità.
— Siete domandato in parlatorio.
— Dal giudice istruttore?
— No.
— Da chi dunque!
— Da un signore e da un prete.
Quercia fece un sogghigno.
— Oh oh! Mi si manda già il prete.... E che cosa mi vogliono?
Il capoguardiano si strinse nelle spalle.
— Sentite, continuò il _medichino_: se gli è qualche altro tentativo per
farmi parlare, è tutto inutile. Io amo che oramai mi si lasci
tranquillo, e non più veder nessuno. Sarebb'egli possibile risparmiarmi
la noia di questo colloquio?
— No: è ordine preciso di mettervi in comunicazione con quei signori.
Gian-Luigi represse un sospiro, si passò le mani sulla faccia, quasi
volesse con quell'atto fermarsi la maschera d'indifferenza superba che
imponeva alle sue sembianze e disse:
— Allora andiamo pure.
E tenne dietro al guardiano accompagnato dai quattro secondini, che
tosto gli si misero alle coste.
Al primo presentarsi, Gian-Luigi apparve a Don Venanzio un po' più
pallido del solito e dimagrato, ma sempre colla medesima aria
d'imponenza, di superiorità e di sicurezza. Il marchese, che non
ricordava aver visto mai il sedicente dottor Quercia, fissò non senza
una certa emozione il suo sguardo sul giovane che, mossi pochi passi,
s'era fermato dinanzi a loro, e fu colpito dalla nobile figura di lui,
dalla fiera espressione de' suoi tratti, più di tutto da una abbastanza
spiccata rassomiglianza colla defunta sua sorella, prova questa non meno
delle altre efficace, della discendenza di quel reo, della consanguinità
che a lui, marchese, consigliere della Corona, ministro di Stato,
confidente del Re, avvinceva quel miserabile.
Gian-Luigi riconobbe di botto il vecchio sacerdote e l'autorevole
gentiluomo ch'egli aveva visto più volte e in sociali convegni e nel
corteo del Re; e fosse la vergogna di comparire innanzi a que' due in
tale stato e condizione, fosse una subita emozione di sorpresa, un lieve
rossore gli soffuse le guancie mentre i suoi occhi si chinavano a terra.
Ma fu un istante e nulla più. Le pupille si rialzarono di nuovo con
tutta l'usata sicurezza, il volto riprese l'impassibilità abituale
coperta dalla vernice della cortesia; ed egli si avanzò verso i due
visitatori, col garbo e coll'eleganza di un gentiluomo che riceve
personaggi degni del maggior rispetto nel suo salotto.
— Loro signori, diss'egli, a visitare il povero carcerato!... Non mi
stupisce di Lei, Don Venanzio; questa è opera di carità, ed Ella è stata
posta al mondo per dar l'esempio di tutte le carità: e poi Ella mi
conosce e mi fa il generoso regalo di volermi bene. La sua venuta mi
prova che questo suo affetto la non me l'ha ritolto, ora ch'io son
caduto nella disgrazia; e le accerto che non m'aspettavo punto che fosse
altrimenti; ma qual ragione mai può valermi l'onore d'una visita di S.
E.?
E' parlava con tanta libertà di spirito ed agiatezza di maniere che il
marchese, il quale si sentiva impacciato a dispetto dell'autorità del
suo grado, del suo frequente trattare coi più alti personaggi, non potè
a meno di pensare quella essere una prova o del soverchio indurimento
nel male di quel giovane, o della sua innocenza: osò sperare un istante
quest'ultima, e i suoi occhi espressero un desiderio, un'emozione cui
notò Gian-Luigi e, non comprendendone il perchè, si affaticò colla mente
ad interpretare. Ma per quanto pensasse, non una supposizione glie ne
veniva che gli sembrasse avere il senso comune, e tanto si struggeva
della curiosità che riusciva a mala pena a frenarla.
Nessuno dei due vecchi aveva ancora risposto, impediti e l'uno e l'altro
da diverso turbamento. Quercia, come se fosse nel suo quartiere a far
gli onori del sontuoso salotto, accennò con gesto pieno di grazia le
seggiole e disse, argutamente sorridendo:
— Facciano il favore d'accomodarsi. Mi rincresce che non ci ho poltrone
da offrir loro nè un allegro foco nel camino, che sarebbe troppo
necessario in quest'atmosfera da ghiacciaia; ma il generoso padron di
casa, che ora mi alberga, non mi concede altre sontuosità da queste.
Siffatta scherzosità dispiacque al marchese: la non gli parve più la
sicurezza dell'innocente, ma l'impudenza dell'uomo compiutamente
pervertito; la sua nobile fisionomia espresse il disgusto, e la sua
fronte si rannuvolò. Gian-Luigi era troppo furbo e pratico osservatore,
per non accorgersene subito: smise il suo sogghigno: stese sui suoi
lineamenti un velo di mestizia e di dignitoso riserbo, e si volse verso
Don Venanzio. Intanto pensava, sempre più intricata in impossibili
supposizioni la mente, qual cosa mai menasse da lui quello de' primi fra
i potenti personaggi dello Stato.
Don Venanzio aveva gli occhi pieni di lagrime, il petto di sospiri, e
guardando il suo antico discepolo, aveva una tale aria di rammarico, di
dolore e di tenerezza insieme, che commoveva a vederlo. Dapprima aveva
sembrato esitare se dovesse o no stringere ancora quella mano che veniva
accusata di opere sì ree; ma la generosa mitezza della sua anima
cristiana non lo aveva lasciato lungamente in forse: prese la destra di
Gian-Luigi, la serrò con significativa pressione e disse, commossa la
voce:
— Crudele figliuolo!... È così, in queste condizioni, in questo luogo
ch'io doveva vederti un giorno!.... Te nato per le grandi cose!.... Ah!
se tu avessi ascoltato le istruzioni e i consigli del povero vecchio
prete!
Quercia lo interruppe con accento in cui l'impazienza era pur vestita di
una certa deferente amorevolezza.
— Ella ha tutte le ragioni del mondo, mio caro Don Venanzio; ma pur
tuttavia le sue osservazioni entrano nell'ordine di quella scienza del
poi, che fu sempre inutile a tutto ed a tutti. Ella sa la massima
principale della mia filosofia pratica della vita: quando una cosa è
irrimediabile, da folle il disperarsene, e bisogna portarne allegramente
la risponsabilità.
— Ma, sventurato! esclamò il buon prete tremando; tu dunque ammetti
essere reo de' falli onde ti si accusa?
— Nè ammetto nè nego... Qui non sono a confessione: soggiunse con quel
suo mefistofelico sogghigno: d'altronde Ella sa che io e la confessione
non ce la diciamo troppo... Sono in mano della giustizia umana, a lei
l'adoperarsi coi mezzi che le spettano a scoprire la verità; io lascio
fare: e mi darò la soddisfazione di ridere o di maledirla se la
sbaglia... Ma questi non sono i discorsi che debbono interessare S. E.
il marchese di Baldissero, perchè non credo un sì autorevole personaggio
siasi di tanto scomodato per venire a darmi il gusto di una
conversazione da avvocato fiscale con un povero inquisito.
Le impressioni che provava il marchese erano molteplici e contrarie: ora
badando solo alla voce di chi parlava, alle aggraziate movenze di quel
giovane leggiadro, alle fattezze del viso, a certe arie, al complesso
esteriore di quell'avvenente persona, egli si sentiva grado grado
intenerire dalla dolcezza d'una cara memoria lontana, gli pareva
scorgere in quelle le arie, le mosse, le intonazioni di voce di sua
sorella, si lasciava vincere da un interessamento che era come la forza
della consanguinità che lo spingesse; ora ponendo mente al significato
delle parole cui pronunciava quella voce tanto simpatica, provava una
ripugnanza contro lo spirito che le dettava, ed una specie di riazione,
cancellando ogni ombra di tenerezza, gli rendeva poco meno che odioso
quel disgraziato nel quale non vedeva più che un diabolico cinismo.
Alle ultime parole di Gian-Luigi, il marchese lo saettò d'uno sguardo di
rampogna, e sedendo, aprì per la prima volta la bocca, parlando con una
severa freddezza:
— La verità è quella precisamente che voi non credete. Per ragioni che
saprete fra poco, m'importa di molto conoscere se voi siete e potete
provarvi innocente. Don Venanzio fa tuttavia tanta stima di voi che
afferma, se colpevole, avrete la franchezza di dirlo a chi lealmente
v'interrogasse... e non nell'interesse dell'umana giustizia.
— In qual interesse adunque? domandò il _medichino_ sedendo ancor egli,
sempre colla medesima elegante agiatezza.
— Nel vostro: rispose asciutto il marchese.
— Ed anche nel suo, Eccellenza: soggiunse ratto Gian-Luigi: se io so
bene argomentare, poichè la mi ha detto or ora che certe ragioni le
rendono importante la conoscenza di questa verità.
Il marchese annuì col capo.
— Sì, anche nel mio.
Gian-Luigi fece un grazioso inchino verso il parroco.
— Ringrazio Don Venanzio della buona opinione che conserva di me. Io son
pronto a dargli ragione; perchè Dio mi guardi dal vedere in codesto un
tranello teso alla mia buona fede!...
Baldissero fece un atto d'indignata protesta.
— Le giuro che una cosa simile non la crederei mai: continuò il
_medichino_; ma per aprire la mia coscienza così di piano a lor signori,
a Lei specialmente signor marchese, col quale non vi fu sinora la menoma
attinenza che possa condurre ad un simile risultamento, bramerei
conoscere quelle ragioni che rendono questo fatto così interessante per
V. E.
Il marchese parve esitare.
— Non si tratterebbe che di anticiparmene la comunicazione: soggiunse
vivamente Gian-Luigi; poichè Ella stessa mi disse che le avrei sapute
fra poco.
Baldissero si raccolse un momento; poi fece un gesto colla mano che
bottegai, per le quali chiudeva gli occhi la Polizia così permalosa
verso i semplici cittadini.
La Zoe che conosceva le abitudini di quell'Altezza così bassa, bene
aveva immaginato che quella tal porticina le si sarebbe aperta e che,
nota come essa era ai ministri di quel principesco libertinaggio, le si
sarebbe concesso il passo verso l'abbominevole santuario di quella
grandezza politica e sociale, che era una morale abbiettezza. E così fu.
Il Principe non era ancora tornato a casa da una delle sue corse
notturne; ma la Zoe, la cui meretricia bellezza si sapeva pagata dal
denaro dei contribuenti che passava per le tasche del duchino, ebbe a
dire solamente che S. A. R. le aveva detto venisse da lui, perchè il
custode di sotto e i servi di sopra la lasciassero penetrare nelle più
intime stanze del padrone. Lasciata sola, Zoe si rallegrò della
circostanza che le concedeva un po' di tempo per pensare al modo di
regolarsi prima di affrontare l'avversario. Era la prima volta che dopo
una contesa col suo regio amante, veniva essa a fare il primo passo
verso una riconciliazione; e non ignorava che questo, coll'umore e col
carattere del Principe, non era buon metodo a tenerlo avvinto. Egli,
istintivamente, aveva un concetto abbastanza giusto di sè, da
disprezzare chi mostrasse per lui premura ed interesse: per farsene
correr dietro, una donna bisognava non se ne curasse, e ne pungesse il
capriccio col disdegno. Ma ora le condizioni delle cose erano state tali
che non concedevano alla _Leggera_ di seguire sino alla fine, come aveva
fatto le altre volte, quella regola di condotta. La lite era stata più
viva ed accanita delle precedenti; il rancore principesco era durato più
che non avesse fatto mai per l'addietro, e l'urgenza del bisogno in cui
era la cortigiana della protezione di lui per sè e pel suo damo
l'avevano spinta contro ogni consiglio di prudenza a venire. Bisognava
riparare a questa debolezza, coll'arte; e non c'era altro mezzo per lei
che di rendersi più bella, più procace, più provocante che mai, per
dettar poi la legge al desiderio di S. A. inuzzolito.
La si pose innanzi allo specchio, e preparò agli sguardi del principe un
accorto disordine di acconciatura che la faceva irresistibile: mezzo
sciolte le chiome che cadevano sulle spalle e sul seno in ciocche
voluminose il cui fulvo colore luceva d'uno splendore metallico ai raggi
de' candelabri accesi; discinte le vesti con tanta maestria che
lasciasse trasparire e pur celasse le bellezze delle forme, e più
facesse indovinare, ed acremente acuisse il desiderio di più vedere; uno
strano e piacevolmente irritante contrasto fra la fronte severa e
corrucciata e lo sguardo vivo come una fiamma e la bocca voluttuosa; un
abbandono delle membra pieno di grazia felina e d'impertinente
noncuranza. Quando il Duca entrò vide sopra una poltrona presso il
camino lo splendore di quella bellezza, la fiamma di quegli sguardi, il
candore di quelle carni, il fulvo dorato di quelle chiome, il carminio
di quelle labbra, tutto uno sbarbaglio, e stette sovraccolto, come
ammirato. Ella fu appena se volse il capo verso di lui, e lo guardò alla
sfuggita.
— Buon giorno, principe: disse con fredda leggerezza: son io.
Il principe aveva lo sguardo, l'andatura e le idee d'un uomo mezzo
briaco, qual egli era. I fumi del Bordeaux gli bollivano nel cervello
insieme coi vapori della libidine; non aveva il pieno dominio della
insolenza che gli teneva luogo di volontà; barcollava fisicamente e
intellettivamente sotto il peso dell'ebbrezza, oppresso, non sazio dello
stravizzo.
— Tu qui: esclamò egli: oh brava! oh la bella sorpresa!
E s'avanzò per abbracciarla; ma essa lo respinse e lo guardò con atto di
severa dignità offesa.
— Piano! disse. La stia in là; e le mani a casa... Oh che crede Ella io
sia venuta a fare?
Il principe ruppe in una risata.
— Sì, bene, rispose: oh che cosa sei venuta a far qui? A dire il rosario
eh?
— La senta; i suoi scherzi saranno bellissimi, ma ora non hanno il dono
di farmi sorridere... Ah che cosa son venuta a fare?... E se mentre
l'aspettavo mi fosse piaciuto renderle la pariglia di quello che Ella ha
fatto a casa mia e fracassar tutto qui dentro?
S. A. si lasciò cascare sopra una poltrona in faccia a quella della Zoe
e raddoppiò le sue risa.
— Questa sarebbe stata una bella idea..... Vi ti riconosco, mia bella
tigre... addomesticata.
— Ma io, almeno, se mi abbandonassi a questi sciocchi furori in casa
d'altri, non mi dimenticherei del proverbio.
— Che proverbio?
— Chi rompe paga.
— Ma, gioia mia, la casa tua non è affatto d'altri per me, ma un
pocolino anche mia..... Prima di rompere mi pare che avevo cominciato
per pagare... Ma al postutto tu hai ragione. Se non c'è che questa causa
di screzio, la è subito levata. Oggi ho tutte le fortune. Ho guadagnato
al giuoco, e ricevo una tua visita così inaspettata: sono il beniamino
della sorte, e voglio che abbia a rallegrartene anche tu.
Si alzò, venne presso alla cortigiana, e vuotando le sue tasche, fece
cascare una piova di napoleoni sul seno, in grembo della cortigiana;
nuovo Giove che si stemperava in oro per quella Danae di Pafo. A tutta
prima gli occhi della Zoe brillarono di quella brutta gioia che è
l'espressione d'una bassa cupidigia soddisfatta; ma poi tosto smorzò
quel guizzo, e si levò fremente in una falsa indignazione che la rendeva
bellissima a vedersi. Prese una manata di quei dischi d'oro e la gettò
ai piedi del principe sbalordito; scosse da' suoi panni, come si fa del
sudiciume della polvere, le monete che suonarono cadendo e
sparpagliandosi sul tappeto, ed esclamò con una superba fierezza la cui
simulazione le avrebbe invidiata la migliore delle commedianti:
— Si tenga il suo denaro, signor duca: che crede Ella io faccia una
quistione d'interesse? Come la mi conosce poco! È quistione di dignità,
dei più nobili sentimenti dell'animo mio.... Son venuta a darle un
addio, e per sempre. Vo' partire da questa città, forse dall'Italia, e
non tornarci mai più.
Agli occhi imbambolati del Principe mezzo brillo quella donna apparve
ora in quell'atto più bella che non le fosse apparsa mai; la desiderò
con più potenza che non avesse fatto; gli sembrò che il perderla, che il
non vederla più sarebbe stata per lui una vera sventura. Cominciò per
voler provare coi ragionamenti alla Zoe, che non doveva far così: i suoi
argomenti vacillavano nella logica, come avrebbero vacillato le
principesche gambe nel passo, se S. A. avesse voluto camminare; la
cortigiana li mandava le gambe in aria coll'urto dei più matti paradossi
e delle più impossibili affermazioni che al Duca parevano verità
incontrastate; finì egli per umiliarsi, pregare e domandare l'elemosina
del perdono. Era a questo punto ch'essa lo voleva trarre. Parve voler
cedere; e quando lo vide tutto invaso dal suo influsso, ella si sciolse
violentemente dalle braccia di lui, lo rigettò con vigore e gli disse
sulla faccia con freddezza brutale:
— Sapete che io ho determinato di non appartenervi mai più, se voi non
mi giurate di salvare Luigi Quercia?
Il colpo fu duro al principe colpito nel massimo calore della sua foga
da quest'acqua ghiacciata in viso. S'inalberò, volle ribellarsi; ma la
domatrice della fiera teneva nella sua mano nervosa attorcigliata la
giubba di quell'animale, lo aveva avvinto pei bassi vincoli della
sensualità.
— Quell'uomo!.... Ma che cosa t'importa di lui?... che cosa è quell'uomo
per te?
— Ebbene! esclamò con impudente franchezza la cortigiana: e s'io
l'amassi?
La faccia del Duchino si contrasse come il muso d'una jena che sta per
mordere.
— No, non l'amo niente affatto: s'affrettò a soggiungere la Zoe. Tutto
il mio amore è per te, mio principe, mio padrone, mio tutto; ma ho di
molti debiti a quell'uomo; gli è lui che mi ha fatta quella che sono:
fra noi corrono strane e misteriose attinenze che non ti posso spiegare
ma che sono indissolubili; è una fraternità delle anime e della sorte; e
sarei un'infame se la tradissi. Chiedimi qualunque cosa, ma non di
abbandonare nel pericolo quell'uomo. Tu puoi salvarlo: salvalo ed io
sarò per te più umile, più devota d'un cane. Lui non lo vedrò più
nemmeno; lo farai partire per lontani paesi, per dove ti piacerà meglio;
io starò sempre teco finchè mi vorrai; che m'importerà ancora di
quell'uomo, quando abbia compito verso di esso il mio dovere?... Io ti
amerò tanto, sai, che ti compenserò a dovizia di quanto avrai fatto...
Ne disse mille di parole, di promesse, di sollecitazioni, di preghiere
ardenti, accompagnate da mosse che suscitavano le più vive fiamme del
desiderio, con voce che vibrava, palpitava, accarezzava, con isguardi
che avrebbero turbato uno stoico.
— Ebbene, sia: disse il principe più inebriato che mai, sedotto,
allucinato, raggirato: lo salveremo e lo manderemo in Australia.
Zoe prese il Duca alle braccia, glie le strinse da lasciarci impresse le
sue piccole dita, e guardandolo bene in faccia soggiunse:
— Davvero? Oh non è una parola inconsiderata, leggermente concessa, che
mi basti. Tu codesto me lo hai da giurare, e lo farai per l'anima tua.
— Ma sì.
— Giuralo.
— Lo giuro.
— E se tu ci mancherai, guai a te... saprò punirtene e vendicarmi.
— Diamine! quando prometto una cosa, quando la giuro, è come se fosse
già fatta... Or via, smetti quell'aria da eroina, e torna meco la Zoe di
un tempo.
Le passò un braccio intorno alla persona, ed ella si abbandonò su di
lui... Il predestinato principe non sapeva che in quel punto con tal
giuramento ch'egli non aveva menomamente l'intenzione di mantenere,
aveva mosso il primo passo verso la tragica sua morte.
La Zoe non uscì del quartiere del principe che assai tardi nella
giornata di poi: venuta a casa sua, fatta sicura d'ogni molestia per la
protezione del Duca, dovette prima di tutto pensare all'opera importante
di restaurare le sue forze, accudire alle sue bellezze e rendere il
culto della _toilette_ alla sua persona. Bene cercò sapere di Maddalena,
la cui sorte assai la preoccupava, e la quale troppo aveva ragion di
temere caduta in mano della giustizia essa pure: ma nessuno de' suoi ne
la seppe informare di nulla al riguardo. Quando appena lo potè, ed era
oramai la sera, corse all'appartamentino di Bancone dove aveva fatta
ricoverare la giovane, e trovò tutto chiuso, scuro e taciturno, come là
dove regna la solitudine. I casigliani ella non voleva interrogarli, e
riteneva inoltre che non avrebbero saputo dirle cosa nessuna, perchè su
quel pianerottolo non c'era altro uscio e di sopra non ci stava che
povera gente, la quale stava fuor di casa tutto il giorno al lavoro, e
di notte dormiva della grossa. La _Leggera_ non rimase molto tempo in
forse, ma si affrettò verso il palazzo di Bancone, ed introdottasi nel
salottino dove il ricco banchiere riceveva chi veniva a parlargli di
affari, gli mandò una sua polizza di visita con due parole scritte a
matita che dicevano venisse subito, avere urgente bisogno di parlargli.
E Bancone, interrompendo il suo lauto pranzo ch'egli gustava da vero
Epulone qual era, venne sollecito, ma di cattivo umore e impazientemente
collerico. Non lasciò parlare la donna, e incominciò egli senz'altro con
una sfuriata:
— Brava! Belle cose che mi fai! Bei servigi che mi rendi!... Ed anche
questo di venirmi ora qui in casa è proprio un bel piacere che mi vuoi
dare... Ma saccorotto! non te l'ho detto le centinaia di volte che non
voglio mi veniate qui a trovare, tu e le pari tue?... Sono ben buono io
a non farvi mandar via e serrar l'uscio in faccia..... Ti preme
parlarmi?... Hai di nuovo qualche favore da chiedermi, qualche buon
soggetto da raccomandarmi come quella tua Maddalena?.... Un
bell'acquisto, affè di Dio, che mi hai fatto fare!... Io che mi piace
vivere tranquillo e che nessuno ficchi il becco nei miei negozi!... Sai
che cosa è capitato a quella tua sviata tortorella?.... E' me l'han
presa su i birri e tratta in prigione. Ed io aveva messo in mia casa una
simile eroina!... Ho avuto un bel spavento oggi quando sono entrato
colà.... Tutto era sottosopra; i mobili aperti, i cassetti tirati.
«Buono! pensai, quella tortorella mi ha fatto un _repulisti_ ed alzato i
tacchi; te lo meriti, animale.» Corsi alla Polizia senz'altro; ed
appresi che quella giovane era niente meno che un'addetta alla famosa
_cocca_, la quale mi ha già vuotato, è poco tempo, la cassaforte, e che
tutto quel disordine e quel rifrugamento in casa mia l'aveva fatto
l'Autorità per cercare non so che prove, non so che documenti, di cui la
birbona era in possesso. Cospetto! Compromettermi colla Polizia, me!
Questa è troppo e non me la sarei mai aspettata.
Zoe aveva udito questo diluvio di parole colle braccia incrociate, e
pensatevi se con interesse. Ora la sapeva tutto quello che voleva
apprendere, e non le restava più nulla da fare in quel luogo: girò sui
suoi talloni e s'avviò per partirsi, senza manco aver aperto bocca.
— Ebbene? gridò Bancone meravigliato. Te ne vai di questa guisa? Gli è
tutto ciò che avevi tanta urgenza di dirmi?
— Voi avete risposto a tutte le domande che volevo farvi; non ho più
nulla da chiedervi. Buona sera.
— Fermati, ascolta, spiegami almeno...
La _Leggera_ non volle fermarsi, nè ascoltare, nè spiegar nulla; partì
con una rapidità che legittimava il suo nomignolo, e Bancone di peggior
umore di prima, senza capirne niente, tornò a finire il suo pranzo.
Per la Zoe fu evidente che presso la Maddalena erano state trovate e
prese le lettere della contessa; credette un tradimento di questa e del
marito; ne provò tanto furore che in quei primi momenti pensò ogni più
orribil cosa per vendicarsene, e sarebbe stata capace di qualunque
eccesso; ma poi la solenne promessa ottenuta dal principe, mercè la
quale ella nutriva certezza che Luigi sarebbe salvo ad ogni modo, valse
a calmarla. Avvisò che non doveva scegliere tal vendetta del conte e
della contessa, che compromettendola, facendola forse incarcerare
eziandio o cacciare dal regno, la ponesse in condizione da non poter più
vegliare all'esecuzione del giuramento principesco, da non poter più
giovare al prigioniero; tutta notte lavorò colla fantasia per trovare un
mezzo che soddisfacesse a tutte le esigenze e scelse finalmente quello
che abbiam veduto minacciato dal suo oltraggioso biglietto alla
contessa.
Ella non pose immediatamente in atto il suo perfido disegno, perchè
voleva preparare i suoi colpi di modo che fossero i più efficaci, e due
giorni passò meditando e combinando un piano infernale contro di
Candida; e quando lo aveva tutto perfettamente immaginato e stava per
cominciarne l'attuazione, le venne l'ordine espresso ed energico di
lasciar in pace la contessa, in un biglietto di Gian-Luigi.
Quel giorno il marchese di Baldissero e Don Venanzio si erano presentati
alle carceri con un ordine in buona forma dell'autorità competente,
perchè il detenuto Gian-Luigi Quercia fosse posto in comunicazione con
S. E. il marchese e colla persona che lo accompagnava e lasciato solo
con essi per quanto tempo l'Eccellenza medesima avesse voluto. Il nuovo
capoguardiano, succeduto a quello stato destituito e imprigionato,
esaminò ben bene quell'ordine, s'inchinò profondamente innanzi al
vecchio che aveva titolo e grado di ministro di Stato; ma invece di
ubbidire prontamente, disse con una umiltà che intercedeva perdono per
l'indugio:
— Scusi, Eccellenza..... l'ordine è in piena regola,... io vorrei
affrettarmi a servirla... Ma ci è il Sott'Ispettore che ha sotto la sua
speciale osservanza quel prigioniero; ed abbiamo ordine di dipendere in
tutto e per tutto da lui rispetto a quell'individuo.....
— Fate quel che dovete fare: disse tranquillamente il marchese: e il
capoguardiano sparì portando seco la carta.
Due minuti dopo entrò con passo sollecito Barnaba, il quale esaminava,
camminando, con occhio attentissimo quel foglio che a lui aveva rimesso
il capoguardiano. Giunto a due passi di distanza dal marchese, levò lo
sguardo e lo diresse sul volto del vecchio gentiluomo che stava
attendendo con calma, seria e quasi mesta dignità; lo riconobbe di botto
e fece un riverente saluto.
— Mille perdoni, Eccellenza: diss'egli. L'importanza del prigioniero,
l'audacia de' suoi fautori che tutto son capaci di tentare per
liberarlo, ci obbligano alle maggiori precauzioni.....
Il marchese l'interruppe con un gesto che significava: «Va benissimo, e
siete compiutamente assoluto: ma ora non fatemi indugiare altrimenti.»
Barnaba, che lo comprese, si rivolse al capoguardiano:
— Introducete questi signori nel parlatorio e sia condotto presso di
loro il prigioniero. Li lascierete soli; ma due secondini staranno a
ciascuna delle porte.
Il capoguardiano precedette i visitatori in una stanzaccia vicina, e ve
li lasciò per andar a prendere il _medichino_. Le pareti di quella
stanza erano nude, imbiancate a calce; delle due finestre che si
aprivano verso il cortile, una era murata e l'altra munita d'una grossa
inferriata piena di ragnateli, lasciava passare poca luce pel riparo
della tramoggia che la difendeva esteriormente; questo poco di luce era
ancora impedito nel suo filtrar nella camera dal denso strato di polvere
e di indefinibile sudiciume che s'era disteso sui piccoli vetri
impiombati. Colà dentro, per effetto di ciò, pareva regnar sempre un
crepuscolo grigiastro, di giornata invernale nuvolosa. Per mobili eranvi
solamente una tavola di legno non verniciato, una panca, quattro
seggiole impagliate; non vi era fuoco e il freddo faceva densamente
vaporoso il fiato delle persone. Il marchese e il parroco ebbero ad
aspettare pochissimo tempo che udirono un rumore di chiavi che aprivano
dei chiavistelli che si tiravano, poi una cadenza di passi numerosi e
pesanti che si accostavano giù d'un corridoio, e quindi videro aprirsi
un uscio e circondato da quattro ceffi di secondini, presentarsi il
fiero viso di Gian-Luigi Quercia.
Una mano spinse alle spalle il prigioniero, e poichè fu entrato, la
porta pesante gli si chiuse dietro. I tre personaggi che rimasero così
in presenza si guardarono in faccia.
Quando il capoguardiano aveva aperto la porta della segreta in cui stava
rinchiuso il _medichino_, questi era dritto a metà del piccolo stanzino,
forse passeggiandovi su e giù come soleva quasi sempre e per iscaldarsi
alquanto e per occupare e divertire con quel moto l'attività febbrile
della sua mente. All'udire aprir la sua prigione in un'ora affatto
insolita, in cui non si usava fare interrogatorii, nè era tempo da
recargli cibo, Gian-Luigi guardò tutto meravigliato verso il
capoguardiano dietro il quale vide la scorta di quattro uomini.
— Che cosa c'è? domandò egli con un accento di lievissima curiosità.
— Siete domandato in parlatorio.
— Dal giudice istruttore?
— No.
— Da chi dunque!
— Da un signore e da un prete.
Quercia fece un sogghigno.
— Oh oh! Mi si manda già il prete.... E che cosa mi vogliono?
Il capoguardiano si strinse nelle spalle.
— Sentite, continuò il _medichino_: se gli è qualche altro tentativo per
farmi parlare, è tutto inutile. Io amo che oramai mi si lasci
tranquillo, e non più veder nessuno. Sarebb'egli possibile risparmiarmi
la noia di questo colloquio?
— No: è ordine preciso di mettervi in comunicazione con quei signori.
Gian-Luigi represse un sospiro, si passò le mani sulla faccia, quasi
volesse con quell'atto fermarsi la maschera d'indifferenza superba che
imponeva alle sue sembianze e disse:
— Allora andiamo pure.
E tenne dietro al guardiano accompagnato dai quattro secondini, che
tosto gli si misero alle coste.
Al primo presentarsi, Gian-Luigi apparve a Don Venanzio un po' più
pallido del solito e dimagrato, ma sempre colla medesima aria
d'imponenza, di superiorità e di sicurezza. Il marchese, che non
ricordava aver visto mai il sedicente dottor Quercia, fissò non senza
una certa emozione il suo sguardo sul giovane che, mossi pochi passi,
s'era fermato dinanzi a loro, e fu colpito dalla nobile figura di lui,
dalla fiera espressione de' suoi tratti, più di tutto da una abbastanza
spiccata rassomiglianza colla defunta sua sorella, prova questa non meno
delle altre efficace, della discendenza di quel reo, della consanguinità
che a lui, marchese, consigliere della Corona, ministro di Stato,
confidente del Re, avvinceva quel miserabile.
Gian-Luigi riconobbe di botto il vecchio sacerdote e l'autorevole
gentiluomo ch'egli aveva visto più volte e in sociali convegni e nel
corteo del Re; e fosse la vergogna di comparire innanzi a que' due in
tale stato e condizione, fosse una subita emozione di sorpresa, un lieve
rossore gli soffuse le guancie mentre i suoi occhi si chinavano a terra.
Ma fu un istante e nulla più. Le pupille si rialzarono di nuovo con
tutta l'usata sicurezza, il volto riprese l'impassibilità abituale
coperta dalla vernice della cortesia; ed egli si avanzò verso i due
visitatori, col garbo e coll'eleganza di un gentiluomo che riceve
personaggi degni del maggior rispetto nel suo salotto.
— Loro signori, diss'egli, a visitare il povero carcerato!... Non mi
stupisce di Lei, Don Venanzio; questa è opera di carità, ed Ella è stata
posta al mondo per dar l'esempio di tutte le carità: e poi Ella mi
conosce e mi fa il generoso regalo di volermi bene. La sua venuta mi
prova che questo suo affetto la non me l'ha ritolto, ora ch'io son
caduto nella disgrazia; e le accerto che non m'aspettavo punto che fosse
altrimenti; ma qual ragione mai può valermi l'onore d'una visita di S.
E.?
E' parlava con tanta libertà di spirito ed agiatezza di maniere che il
marchese, il quale si sentiva impacciato a dispetto dell'autorità del
suo grado, del suo frequente trattare coi più alti personaggi, non potè
a meno di pensare quella essere una prova o del soverchio indurimento
nel male di quel giovane, o della sua innocenza: osò sperare un istante
quest'ultima, e i suoi occhi espressero un desiderio, un'emozione cui
notò Gian-Luigi e, non comprendendone il perchè, si affaticò colla mente
ad interpretare. Ma per quanto pensasse, non una supposizione glie ne
veniva che gli sembrasse avere il senso comune, e tanto si struggeva
della curiosità che riusciva a mala pena a frenarla.
Nessuno dei due vecchi aveva ancora risposto, impediti e l'uno e l'altro
da diverso turbamento. Quercia, come se fosse nel suo quartiere a far
gli onori del sontuoso salotto, accennò con gesto pieno di grazia le
seggiole e disse, argutamente sorridendo:
— Facciano il favore d'accomodarsi. Mi rincresce che non ci ho poltrone
da offrir loro nè un allegro foco nel camino, che sarebbe troppo
necessario in quest'atmosfera da ghiacciaia; ma il generoso padron di
casa, che ora mi alberga, non mi concede altre sontuosità da queste.
Siffatta scherzosità dispiacque al marchese: la non gli parve più la
sicurezza dell'innocente, ma l'impudenza dell'uomo compiutamente
pervertito; la sua nobile fisionomia espresse il disgusto, e la sua
fronte si rannuvolò. Gian-Luigi era troppo furbo e pratico osservatore,
per non accorgersene subito: smise il suo sogghigno: stese sui suoi
lineamenti un velo di mestizia e di dignitoso riserbo, e si volse verso
Don Venanzio. Intanto pensava, sempre più intricata in impossibili
supposizioni la mente, qual cosa mai menasse da lui quello de' primi fra
i potenti personaggi dello Stato.
Don Venanzio aveva gli occhi pieni di lagrime, il petto di sospiri, e
guardando il suo antico discepolo, aveva una tale aria di rammarico, di
dolore e di tenerezza insieme, che commoveva a vederlo. Dapprima aveva
sembrato esitare se dovesse o no stringere ancora quella mano che veniva
accusata di opere sì ree; ma la generosa mitezza della sua anima
cristiana non lo aveva lasciato lungamente in forse: prese la destra di
Gian-Luigi, la serrò con significativa pressione e disse, commossa la
voce:
— Crudele figliuolo!... È così, in queste condizioni, in questo luogo
ch'io doveva vederti un giorno!.... Te nato per le grandi cose!.... Ah!
se tu avessi ascoltato le istruzioni e i consigli del povero vecchio
prete!
Quercia lo interruppe con accento in cui l'impazienza era pur vestita di
una certa deferente amorevolezza.
— Ella ha tutte le ragioni del mondo, mio caro Don Venanzio; ma pur
tuttavia le sue osservazioni entrano nell'ordine di quella scienza del
poi, che fu sempre inutile a tutto ed a tutti. Ella sa la massima
principale della mia filosofia pratica della vita: quando una cosa è
irrimediabile, da folle il disperarsene, e bisogna portarne allegramente
la risponsabilità.
— Ma, sventurato! esclamò il buon prete tremando; tu dunque ammetti
essere reo de' falli onde ti si accusa?
— Nè ammetto nè nego... Qui non sono a confessione: soggiunse con quel
suo mefistofelico sogghigno: d'altronde Ella sa che io e la confessione
non ce la diciamo troppo... Sono in mano della giustizia umana, a lei
l'adoperarsi coi mezzi che le spettano a scoprire la verità; io lascio
fare: e mi darò la soddisfazione di ridere o di maledirla se la
sbaglia... Ma questi non sono i discorsi che debbono interessare S. E.
il marchese di Baldissero, perchè non credo un sì autorevole personaggio
siasi di tanto scomodato per venire a darmi il gusto di una
conversazione da avvocato fiscale con un povero inquisito.
Le impressioni che provava il marchese erano molteplici e contrarie: ora
badando solo alla voce di chi parlava, alle aggraziate movenze di quel
giovane leggiadro, alle fattezze del viso, a certe arie, al complesso
esteriore di quell'avvenente persona, egli si sentiva grado grado
intenerire dalla dolcezza d'una cara memoria lontana, gli pareva
scorgere in quelle le arie, le mosse, le intonazioni di voce di sua
sorella, si lasciava vincere da un interessamento che era come la forza
della consanguinità che lo spingesse; ora ponendo mente al significato
delle parole cui pronunciava quella voce tanto simpatica, provava una
ripugnanza contro lo spirito che le dettava, ed una specie di riazione,
cancellando ogni ombra di tenerezza, gli rendeva poco meno che odioso
quel disgraziato nel quale non vedeva più che un diabolico cinismo.
Alle ultime parole di Gian-Luigi, il marchese lo saettò d'uno sguardo di
rampogna, e sedendo, aprì per la prima volta la bocca, parlando con una
severa freddezza:
— La verità è quella precisamente che voi non credete. Per ragioni che
saprete fra poco, m'importa di molto conoscere se voi siete e potete
provarvi innocente. Don Venanzio fa tuttavia tanta stima di voi che
afferma, se colpevole, avrete la franchezza di dirlo a chi lealmente
v'interrogasse... e non nell'interesse dell'umana giustizia.
— In qual interesse adunque? domandò il _medichino_ sedendo ancor egli,
sempre colla medesima elegante agiatezza.
— Nel vostro: rispose asciutto il marchese.
— Ed anche nel suo, Eccellenza: soggiunse ratto Gian-Luigi: se io so
bene argomentare, poichè la mi ha detto or ora che certe ragioni le
rendono importante la conoscenza di questa verità.
Il marchese annuì col capo.
— Sì, anche nel mio.
Gian-Luigi fece un grazioso inchino verso il parroco.
— Ringrazio Don Venanzio della buona opinione che conserva di me. Io son
pronto a dargli ragione; perchè Dio mi guardi dal vedere in codesto un
tranello teso alla mia buona fede!...
Baldissero fece un atto d'indignata protesta.
— Le giuro che una cosa simile non la crederei mai: continuò il
_medichino_; ma per aprire la mia coscienza così di piano a lor signori,
a Lei specialmente signor marchese, col quale non vi fu sinora la menoma
attinenza che possa condurre ad un simile risultamento, bramerei
conoscere quelle ragioni che rendono questo fatto così interessante per
V. E.
Il marchese parve esitare.
— Non si tratterebbe che di anticiparmene la comunicazione: soggiunse
vivamente Gian-Luigi; poichè Ella stessa mi disse che le avrei sapute
fra poco.
Baldissero si raccolse un momento; poi fece un gesto colla mano che
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