La plebe, parte IV - 41
era sparito il color abituale di carminio, cascavano tutte le membra,
come dinoccolate, come prive della forza interiore che le reggesse;
avevano, la faccia sgomenta, e le pupille velate ed atone, e la mossa,
quell'apparenza di stupidità penosa a vedersi che dà un solo,
incessante, tormentoso pensiero onde sia punta la mente. La non parlava
quasi mai, non si lamentava, in presenza degli altri si guardava bene
dal piangere, non sospirava neppure: alle richieste che le si facessero,
alle parole con cui si tentava scuoterla da quel mortale letargo
rispondeva con pochi tronchi accenti, pronunciati a voce bassa, con
paziente mitezza, il più spesso con soli monosillabi, o con cenni del
capo. Alla capitata disgrazia non faceva mai neppure la menoma
allusione; e siccome ogni altro guardavasi bene eziandio di toccar quel
tasto, l'argomento di cui si parlasse meno, di cui non si parlasse mai
in quella famiglia, era quello appunto che era sempre fisso nella mente
di tutti.
Maria veniva chetamente a sedersi presso al letto di suo fratello ancora
giacente, e stava lì senza guardarlo, l'occhio piantato sopra un rosone
del tappeto: prendeva un suo lavoro tra mano e per un poco faceva andare
in fretta la destra a trarre i punti, ma ad un tratto, come se ci avesse
trovato un intoppo, l'ago si fermava nella stoffa, la cruna appoggiata
all'anello da cucire diventato immobile, il filo aggrovigliato fra le
pieghe del panno.
— Maria! le diceva allora dolcemente Francesco.
Ella si riscuoteva in sussulto.
— Che?
E il fratello fingeva aver bisogno d'un piccolo servizio, desiderava
alcuna cosa, tanto per levarla un istante da quella meditazione che le
consumava l'anima. Talvolta Francesco le prendeva una mano glie la
serrava con muto affetto; ella non corrispondeva a quella stretta, vi si
prestava per un poco, poi pianamente se ne liberava ed allontanavasi.
Tutta la famiglia la circondava d'una compassione vigilante, sempre in
sull'avviso, piena di silenziosa tenerezza e di cure: cercavano di
rimuoverne dall'intorno le spine che potevano pungere ancora quel cuore
trafitto, gli urti che potevano ferire quell'anima indolorita: ma aimè!
la piaga era interna ed irrimediabile, e tutti si sentivano feriti in
lei, in quella parte di loro che avevan sì cara. Ella, quelle cure,
quelle amorevolezze tollerava, il più delle volte pareva non
accorgersene, raro ne ringraziava con un sorriso che era dolorosissimo a
mirarsi, più raro ancora alcuna mostra le sfuggiva d'impazienza e
d'irritazione.
Ad ogni volta che rientrasse nella sua camera scoppiava in singhiozzi ed
in lagrime: talora, sentendo presso a traboccar la piena dello spasimo
che le si gonfiava nel petto, fuggiva alla sua stanza, si buttava
traverso il letto e soffocava i suoi gemiti nelle coltri che mordeva e
bagnava di pianto.
Appena saputa la dolorosa catastrofe, Virginia di Castelletto aveva
mandato alla sua antica compagna Maria l'espressione del suo cordoglio,
il conforto della sua simpatia, in un biglietto quale la squisitezza del
suo sentire e la sua forbitezza di maniere erano capaci di concepire e
di scrivere; poscia aveva tutti i giorni mandato per le notizie, e
finalmente, quel dì in cui Maurilio le doveva aprire in parte l'anima
sua ed il pensiero, era venuta ella medesima a vedere di persona la
sconsolata fanciulla.
Maria ad udire annunciata la nobil donzella, fece un atto di
contrarietà. Ella s'era avvezza a stare fronte a fronte col suo dolore,
a sentirsene rodere l'intimo essere, e glie ne piaceva così, e
dispettava ciò che venisse, non dico ad interrompere, ma a disturbare
quel suo supplizio. La madre di lei invece, che accoglieva come una
ventura tutto quello che in alcun modo facesse sperare di poter
distrarre la sua figliuola, fu sollecita a levarsi, e disse:
— Passa in sala, Maria; io vado ad incontrare la signora contessina, e
te la conduco.
E sparì dietro la portiera dell'uscio, verso l'anticamera.
Maria, che sedeva al suo solito luogo presso il letto di Francesco,
depose lentamente, con aria svogliata e quasi uggiosa, il suo lavoro; ma
in quella il suo mesto sguardo incontrò il volto di suo fratello che
all'udir quel nome s'era lievemente colorito.
— La saluterò per te, diss'ella facendo quel suo desolato sorriso: e
s'avviò lentamente verso la sala.
— Ah! Dio la rimeriti della sua carità! aveva esclamato la signora
Teresa correndo incontro a Virginia e pigliandole una mano che volle
baciare. Possa la sua vista, possano le sue parole recare un po' di bene
alla mia povera figliuola, che ne ha tanto, tanto bisogno.
Virginia con molto garbo, stringendo le mani della donna, impedì che le
venisse baciata la destra; e in risposta disse con quella sua voce che
si sarebbe detta il suono d'un'arpa d'oro:
— A prezzo di qualunque mio dolore vorrei darle conforto. Povera Maria!
Come sostiene essa la sua sventura?
La madre, alla quale il sol parlare di Maria aveva chiamato agli occhi
le lagrime, ora scoppiò in singhiozzi ed in pianto.
— Oimè! Oimè! esclamò ella: Maria se ne muore.
Virginia strinse forte le mani della signora Teresa che ancora teneva
fra le sue.
— Coraggio! disse con un accento di pietà e di affetto che era una soave
carezza. Non bisogna disperare. È venuto per la sua famiglia un tempo di
prove; ma tornerà di poi certamente quello della felicità.
Teresa si rasciugò in fretta in fretta gli occhi, e soggiunse:
— La venga avanti, contessina, la favorisca qui, la prego.
E la trasse nella stanza di ricevimento.
Maria era già colà, venutavi dalla camera di Francesco. Stava in piedi
presso al camino, sorreggendosi con una mano alla spalliera d'un
seggiolone, nella mossa d'una prefica o d'una statua del Dolore sopra
una tomba. Virginia fu quasi spaventata dall'abbandono desolato di quel
contegno, dalla pallidezza mortale di quell'aspetto, dalla disperazione
rassegnata dello sguardo semispento, del doloroso sorriso. Si avanzò
rattamente verso di lei, ed esclamò con voce impressa d'immenso affetto:
— Maria!
Non era che una parola; ma in essa l'intonazione, l'accento, la
vibrazione del suono ponevano un'infinità di cose: pietà, amore, offerta
di sè, benevolenza generosa spinta fino all'entusiasmo.
Maria sentì coll'anima delicata tutte queste cose contenute in un sol
motto, e ne fu tocca un istante; sollevò da terra i suoi occhi velati e
li affisò fugacemente in volto alla donzella, che le si avvicinava, si
staccò dalla poltrona a cui s'appoggiava e fece un passo verso Virginia,
tendendole, con atto che pareva pieno di lassitudine, la mano.
— Questa è un'opera di carità ch'Ella fa, madamigella, venendo qui:
disse Maria con voce debole, fiacca, quasi direi senza vita, onde molto
si accrebbero la commozione e la pena di Virginia.
— Ho obbedito all'impulso del mio cuore: disse questa prendendo la mano
di Maria, e mettendo nella voce tutta la dolcezza dell'anima sua. Sono
venuta a rivendicare un diritto che pretendo di avere: il diritto
dell'amicizia, e spero che Ella..... che _tu_ non me lo vorrai negare.
Il modo con cui s'era interrotta ed aveva ripreso, con cui aveva
pronunziata quella dolce parola _tu_, era pieno di grazia infinita, di
tenerezza ineffabile, attalchè a Maria se ne inumidirono gli occhi.
Virginia si volse e fece un legger cenno alla signora Teresa, la quale,
commossa, stringeva le mani e levava lo sguardo al cielo, nella speranza
che la venuta di quell'angelo in forma di donna recasse pur finalmente
alcun conforto alla sua Maria. La buona madre comprese di botto la mesta
preghiera della donzella, e s'affrettò a partirsi chetamente.
Per quella mano ch'essa teneva tuttavia, la contessina trasse a sè la
sorella di Francesco, e se ne fece appoggiare al seno il capo doloroso.
— Povera Maria! diss'ella, baciandole con calde labbra la gelida fronte.
Vuoi tu considerarmi come una tua sorella?
La disgraziata fanciulla, vinta da quell'affettuosa violenza di
tenerezza, gettò le braccia al collo della contessina, e prorompendo in
lagrime, pianse per un poco, senza poter dire pure una parola. Virginia
la strinse amorosamente fra le sue braccia, le fece quei dolci atti, le
susurrò quelle dolci parole, le prodigò quelle dolci carezze che usa una
madre ad acquetare i pianti del suo bambino; poi, quando si calmò quello
sfogo che fu in sostanza benefico all'animo oppresso della sventurata,
ella ricercò sulle labbra di Maria un bacio che fu da tuttedue le parti
pieno d'espansione e d'affetto; e così in quell'amplesso fu consecrata,
come dire, la loro nuova fraternità.
— Ah madamigella!... cominciò quindi Maria, rasciugandosi gli occhi: ma
Virginia, lesta ad interromperla:
— Chiamami Virginia, com'io te chiamo Maria. Mi hai accettata per
sorella: trattami come tale, e concedimi i privilegi di sorella..... E
il primo sarà quello di sgridarti. Il tuo aspetto mi dice che tu hai
mancato di forza d'animo, che tu non hai neppure tentato opporre la
menoma resistenza al dolore.
Maria scosse lievemente il capo.
— No, disse: gli ho aperto tutto il mio cuore; ne sentii con fiera
voluttà l'invasione. — Ah! vorrei che esso fosse ancora maggiore e mi
distruggesse più presto.
— Questa è una colpa! esclamò Virginia con una specie di severità, in
cui però non era sminuito l'accento dell'amorevolezza. Sei tu sola nel
mondo? Non hai legami di famiglia che ti avvincono? Non hai doveri che
ti obbligano?
La sventurata levò le spalle coll'ingenuo egoismo del dolore.
— Non sento più nulla che la mia sciagura; disse francamente; poi, come
volendo addurre una scusa, soggiunse: Francesco è oramai guarito e
presto non avrà più bisogno di me... E poi egli ha in cuore altro
affetto che deve occuparlo, che deve farlo felice più che non possa il
mio...
Virginia arrossì leggermente e chinò gli occhi.
— Mio padre è uomo forte e robusto, che sa lottare contro il dolore,
come contro il destino, e vincerli...
— E tua madre? domandò con forza la contessina, stringendo le mani di
Maria.
— Mia madre ama più suo figlio di me...
— Ah Maria, tu se' ingiusta...
Questo grido di Virginia richiamò in sè la sviata mente della disperata
giovane.
— È vero, è vero: esclamò con voce di profondo pentimento e di sdegno
contro se medesima. Hai ragione..... Sono diventata trista..... Ma
soffro tanto, sai!... Non so più quello che mi dica, nè quello che mi
faccia, nè che mi pensi...
Tacque un istante, e poi curvandosi all'orecchio della sua compagna, le
soggiunse piano, come il motto che doveva farle capire tutta la sua
condotta:
— L'amavo tanto!... L'amo ancora tanto!
E chinò il capo sulla spalla di Virginia, per nascondere il rossore onde
subitamente si soffuse il suo volto.
— Tu non devi più amarlo: disse con forza la contessina. Tu non devi a
quell'iniquo sacrificare il tuo avvenire, la tua vita, la tua famiglia.
Tu quel cotale, com'egli è, non l'hai amato mai. Hai amato un uomo
d'onestà e valore; quell'uomo è scomparso; a colui che è rimasto non
devi che odio e disprezzo.
Maria levò il capo, guardò bene in viso la nobile amica, e le disse
lentamente:
— Tu avresti potuto strapparti dal cuore l'amore e gettarlo via come si
fa d'un abito?... Tu non l'ameresti più?
— No, disse Virginia con forza, l'uomo che si rivelasse indegno della
mia stima, non avrebbe più il mio amore. Colui che avesse empiamente
ingannata la mia fiducia, che avesse mentito l'onore come la passione,
io lo abborrirei disprezzandolo.
Gli occhi della donzella, così dicendo, brillavano d'una fiera luce; la
bella di lei fisionomia aveva una imponente espressione di forza e di
superiorità.
— Gran Dio! esclamò Maria, allontanandosi alquanto da Virginia per
contemplarla meglio, e giungendo le mani in atto di meraviglia: nel tuo
volto c'è in questo momento una strana rassomiglianza col suo, quando mi
beava colle sue calde parole... Oh vedi s'io l'amo!
— Povera! Povera Maria!
— Ma io non lo credo colpevole: proruppe con impeto la sorella di
Francesco. Non lo può essere, non deve. Crederesti tu se ti venissero a
contare un'infamia dell'uomo che ami?... Io non darei fede neppure
all'evidenza. Il nostro amore è un'istinto divino, superiore ad ogni
umano argomento; e se un uomo ci inspira amore, è prova evidente che
egli è superiore altrui.
Virginia ammirò la sublime fede di quell'amore.
— Ma ora, diss'ella, abbracciandola di nuovo: che vuoi tu fare? Vuoi tu
abbandonarti fiaccamente all'azione del tuo dolore? lasciartene
travolgere senza opporre la resistenza d'una volontà vincitrice?
Maria ebbe allora negli occhi un maggior lampo di vita.
— Vorrei rivederlo ancora, una volta sola, e morire!
— Cattiva! disse Virginia dandole un bacio sulla fronte.
— Ho pensato al suicidio, sai: continuava la fanciulla con una
semplicità d'espressione che era veramente desolante; ma non ci ho avuto
coraggio. Nel mondo di là potrei ancora pensare a lui? Non ne sono
sicura: ed il tormento di pensarci — di pensarci sempre — mi è caro. Ma
c'è una fatta di suicidio per noi donne che mi sorride: un suicidio che
togliendoci al mondo ci lascia tutte alla esclusività d'un solo
pensiero... Ti ricordi, nel monastero del _Sacro Cuore_, di suor Clara,
sì pallida, sì mesta, sì taciturna? Quando passava col suo passo lento e
il suo sguardo di morta, noi sospendevamo i nostri giuochi e non osavamo
parlare. Quella era un'anima estinta, e il monastero era la sua tomba.
In questi dì quell'immagine, quell'ombra, quello spettro è venuto a
farmi cenno ed invitarmi. Là è la soluzione del mio destino.
— Che? Tu vorresti?
— Quella è la morte che sogno e che mi preparo.
Virginia combattè con calore, con vivaci ragioni e con insistente zelo
quel proponimento; Maria sembrava ascoltarla con sulle labbra quel suo
penoso sorriso, ma in realtà il suo pensiero era altrove. Ad un punto
interruppe l'amica e disse con accento di nuova risoluzione:
— Ho esitato finora ad aprirmene alla mia famiglia, ho tremato innanzi
all'idea di manifestare tal mia volontà a mia madre. Ora la tua presenza
mi darà coraggio. Vieni e sii tu testimone all'annunzio della mia
irrevocabile determinazione.
La prese per mano e la trasse vivamente con sè. Virginia, che non ebbe
neppur campo a contrastare, si trovò nella stanza di Francesco.
Là era in quel momento tutta la famiglia raccolta. Il sor Giacomo era
venuto allor allora, e teneva ancora fra le sue la mano di Francesco,
cui aveva interrogato della sua salute. Quell'uomo tanto forte e robusto
si vedeva che sotto i colpi così fieri e così repentinamente replicati
della sventura aveva vacillato, ma non era caduto disfatto. Le chiome in
que' pochi giorni gli si erano incanutite, dimagrata la faccia, fatte
più profonde e più numerose le rughe della fronte; smarrita affatto
quella vivacità alacre ed allegra che era l'espressione dell'operosità
instancabile della sua natura; ma l'occhio pur nella sua mestizia
serbava una luce, le labbra serrate avevano una rigidità di linee che
ben rivelavano un'anima pronta a lottar tuttavia colla sorte e cogli
uomini. Il suo cordoglio, la passione, la pietà per la figliuola e il
dolore per la ferita del figlio, pareva ch'egli cercasse distrarre mercè
una febbrile attività con cui s'era dato a riparare i danni
dell'incendio e del saccheggio, ristaurare la fabbrica e ravviare il
corso interrotto dei lavori. In casa, presso la famiglia, veniva di
frequente, ma ci stava assai poco; appena se ci compariva, gettava sopra
Maria uno sguardo pieno di tenerezza, interrogava il figliuolo, faceva
come atto d'incoraggiamento una mesta carezza alla moglie, e via di
nuovo. Pareva che rimaner lontano dai suoi non potesse, timoroso ad ogni
momento che una nuova sciagura precipitasse su di loro, e starne in
compagnia troppo gli fosse doloroso. Delle vicende passate nè anche egli
non faceva mai cenno veruno. Era una tacita intesa di tutti
quegl'infelici di non parlarne mai. Solo una volta che l'occasione
inevitabilmente ne venne, il sor Giacomo, la cui natura era
impetuosamente franca, lasciò scorgere tutto l'odio che implacabilmente
aveva concepito per quello scellerato ingannatore della loro fiducia,
per quel traditore assassino della sua figliuola; ma questa udendo le
invettive e le imprecazioni del padre contro l'uomo ch'ella amava pur
sempre, s'era levata in piedi pallida ed angosciata, aveva fatto
barcollando i pochi passi che la disgiungevano da suo padre,
un'ineffabile espressione di preghiera nel volto doloroso, nella mossa
delle mani tese, e venutale presso gli aveva dolcemente posta la destra
sulle labbra, senza dire una parola, ma con un gemito che significava ed
era tale da intenerire più d'ogni discorso. Giacomo da quel momento
s'era imposto di vegliare più attentamente su se stesso e di non
lasciarsi più sfuggire un detto mai su quell'argomento.
Vedendo entrare, tratta per mano da Maria, la contessina Virginia,
Giacomo si volse meravigliato e s'inchinò rispettoso, Francesco arrossì
ed ebbe un guizzo di gioia negli occhi, Teresa si levò in piedi, ed
accortasi di una certa animazione nella fisionomia e nella mossa di
Maria, cosa che non era avvenuta più dopo l'orribile sventura, sperò che
Dio l'avesse allora esaudita e la presenza e le parole della nobile
donzella avessero potuto recar conforto, dar consolazione ed ispirar
coraggio all'afflitta figliuola.
Ma la sua illusione, pur troppo, non potè essere di lunga durata. La
fanciulla s'avanzò con passo risoluto fin presso ai genitori ed al letto
del fratello, e là, prima che niun altro avesse tempo ad aprir labbro,
parlò di questa guisa:
— Padre, madre mia; sono venuta a manifestarvi, in presenze di questa
recente ma nobile e generosa amica, la quale fu la sola che nella mia
sventura non mi abbia abbandonata, ma ne prese anzi occasione a
mostrarmi tutta la bellezza dell'anima sua e la squisitezza del suo
affetto: sono venuta a manifestarvi la irrevocabile determinazione che
Dio mi ha ispirata, che ho presa, che credo mio dovere seguire nelle
dolorose circostanze in cui mi trovo. Se finora non ve ne ho parlato
benchè fin dal primo giorno fosse balenata alla mia mente e l'avessi in
massima accettata, si è perchè ho voluto prima discuterla meco stessa e
farmi tutte le obbiezioni che vi si possono affacciare per vedere se la
si poteva efficacemente combattere, e cimentarla coll'amore che ho per
voi, col concetto che mi rimane de' miei doveri di figlia a vostro
riguardo. Essa ha resistito a tutto; la voce che mi chiama si è fatta
anzi sempre più forte; l'impulso che mi spinge diventa più potente ogni
giorno. Parlando con Virginia, testè, una forza superiore mi trasse a
svelare il mio segreto proponimento; sentii subito allora come, poichè
quel mio disegno era uscito una volta dalla chiostra della mia
coscienza, diventava mio debito di farne partecipi tosto, voi, padre e
madre miei.
Il sor Giacomo la interruppe con un'impazienza che il suo carattere non
gli consentiva più di frenare, ma a cui l'affetto levava ogni asprezza.
— Qual è dunque questo tuo proponimento?..... Parla, e pensa che i tuoi
genitori, che la tua famiglia ebbe in questi giorni già troppi dolori,
perchè tu venga volontariamente ora a recargliene altri.
— Perdonami, padre mio; perdonami anche tu, mamma; ma questo dolore io
sono proprio costretta a recarvelo. Non posso più appartenere al mondo,
e non voglio; non posso e non voglio esser più di nessuno fuor che di
Dio: entrerò in un monastero e mi farò monaca.
La madre non rispose che con un gemito, e lasciandosi cadere seduta si
nascose nelle mani la faccia; Giacomo fece un atto di sdegnosa sorpresa
e ruppe in parole cui la presenza soltanto della contessina valse a
temperare.
— Crudele figliuola! È questo l'amore che hai per noi? questa la
corrispondenza e la gratitudine al nostro affetto? Perchè vuoi punirci,
noi innocenti, che soffriamo al pari di te? Noi, che se mai ci abbiamo
una colpa, è quella di aver troppo facilmente accondisceso ai tuoi
desiderii? La voce che chiama, l'impulso segreto, l'ispirazione del
cielo le sono storie; tu vuoi ritirarti nella solitudine, fuori d'ogni
affetto umano, fuor d'ogni legame di dovere domestico per istare faccia
a faccia unicamente e sempre col tuo dolore, affondarti in esso e
fartene consumare. È questo un egoismo bello e buono, che Dio non può
volere, che Dio riprova di certo....
S'interruppe bruscamente per additare con una eloquenza inesprimibile di
gesto la povera Teresa, che, abbandonata sulla seggiola, il volto
nascosto, piangeva e singhiozzava; e soggiunse con voce nella cui
burbera asprezza si sentiva pure far capolino la emozione delle lagrime:
— Guai, vedi, Maria, guai alla figliuola che fa piangere così sua madre!
Maria fu d'un balzo presso la madre, le prese le mani e glie le trasse
giù dal viso, le asciugò coi suoi baci le lagrime che le gocciavano giù
dalle guancie.
— Mamma mia, mia cara mamma, disse, il babbo ha ragione: è vero, io sono
crudele; è vero, io sono egoista; ma tu mi vuoi tanto bene col tuo amore
materno, che mi comprenderai e perdonerai, che capirai com'io non posso
vivere altrimenti. Oh! non ti sarebbe maggior dolore vedermi qui
estinguermi a poco a poco sotto i tuoi occhi, e perdermi
irrimediabilmente?... E ti giuro che avverrà così. In ciò la volontà non
può nulla; per quanto desiderio avessi di rimanere con voi, di vivere
per voi, la morte sarebbe più potente di me, e verrebbe a togliermi di
mezzo alle vostre braccia.
Teresa respinse dolcemente le carezze della figliuola.
— Ah! esclamò ella piangendo, non ho più figlia.
— Non dir così, mamma. Tua figlia pregherà per te, per tutti voi; chi sa
ch'ella, partendo, non tragga seco di questa casa la fatalità di
sventura che vi piombò sopra!..... No, tu non perderai tua figlia; nel
suo cuore tu sarai sempre, com'ella sarà nel tuo. Anche a te sarà di
conforto venire nella pace di quelle mura, dov'essa pregherà fuor d'ogni
agitazione del mondo, a sentire l'influsso della divina misericordia. E
il Cielo anzi ti compenserà del sacrificio che avrai fatto pel mio bene:
ti sarà concessa in luogo mio un'altra figliuola che ti amerà, se non
alla pari, forse meglio di me.
S'interruppe, esitò un istante, poi con mossa piena di grazia, di
franchezza, d'ingenua fiducia, andò presso Virginia e la prese per mano.
— Tu, le disse, hai affermato poc'anzi volermi essere sorella. Siilo in
nome di Dio, siilo in nome della pietà! L'esser sorella a me, non è egli
essere figliuola a mia madre?
Virginia arrossì leggermente, e il suo sguardo per moto involontario
affatto corse a Francesco, il quale arrossì alquanto egli pure; ma di là
gli occhi di Virginia si levarono ratto e si volsero alla sora Teresa
con un'espressione di somma pietà.
— Vorrei valere a questo còmpito, diss'ella dolcemente; ed accetterei
con gioia il mandato.
Teresa prese colla sinistra una mano della contessina; colla destra
stringeva quella della sua figliuola; e recatasi quelle due mani al
volto le baciò commossa, seguitando a piangere chetamente.
CAPITOLO XXIX.
Venuta in possesso delle sue lettere a Luigi, e distruttele, pareva che
la contessa di Staffarda non dovesse conservar più inquietudine veruna,
nè avere altre ragioni di timore. Eppure non era così; invano sforzavasi
essa medesima di farsi tranquilla e rimuovere ogni sollecitudine in
proposito; un'ansietà indefinita le incombeva sull'anima come una
minaccia continua di pericolo, e ad ogni momento era in angustia di
vedere presentarlesi e più fiero il disastro. Ad ogni volta che la
vedesse entrarle in camera la fante, ad ogni lettera o bigliettino che
le venisse recato, allo scricchiolar delle scarpe del marito che
s'avanzava nella sala o veniva a raggiungerla nella stanza da pranzo,
ella rabbrividiva dicendosi: «è qui la catastrofe.»
Il suo presentimento aveva ragione: e fu appunto una letterina che, il
giorno dopo quella scena in cui il marito le aveva fatte bruciare le
carte, venne a darle il colpo d'una nuova minaccia. Era una lettera
violenta della Zoe furibonda.
«Aveva ragione il mio istinto di popolana nel diffidare della vostra
perfidia, vipera della nobiltà. Siete una traditrice più infame di tutte
le donne infami del mondo; e vostro marito è un miserabile schifoso come
una spia. Sì, con tutti i suoi titoli, con tutti i suoi avi, con tutta
la superbia del suo sangue azzurro è un miserabile: ed insieme voi due
fate una degnissima coppia.
«M'avete vigliaccamente ingannata e credete aver trionfato! Il povero
Luigi lo credete irrevocabilmente perduto, e voi siete padrona delle
vostre lettere. Avete fatto l'opera di Giuda e vi pensate poter dormire
fra due guanciali! Vi sbagliate. Avreste dovuto fare sparire anche me;
ma ciò non potrete: so guardarmi, e so difendermi occorrendo. Non ho più
i documenti in mano, ma ho la conoscenza di tutto! So appuntino tutto
quello che passò fra voi e lui; e parlerò. Sarò creduta, non dubitate; e
se non potrò con ciò giovar più a Luigi, sfogherò almeno il mio sdegno e
vendicherò lui e me.
«Aspettatevi a sentire quanto prima qualche risultato della mia
vendetta.»
Alla lettura di queste parole, Candida fu presa da un assalto di febbre
nervosa. L'anima sua troppo in que' giorni percossa, non aveva più
vigore di sorta. Lesse e rilesse quel biglietto in una specie di
stupidità dolorosa, non sapendo che risolvere, sentendo in tutte le sue
fibre scorrere un fuoco che sembrava dissolverle gli elementi della
vita. Pensò mostrare al conte quella lettera; e non osò; le venne in
capo correre dalla cortigiana, provarle, giurarle ch'ella era innocente
della fattale accusa, e se ne trattenne, non perchè la sua dignità a ciò
si ribellasse, ma perchè non osò neppure. Stette inerte, tremante, sotto
un'angoscia impossibile a dirsi, che durando parecchi giorni l'avrebbe
uccisa. Ma parve che il Cielo avesse finalmente pietà di quell'infelice,
e che la sua punizione fosse omai sufficiente alla colpa, senza
accrescerne ancora la gravezza. Fu un'altra lettera della _Leggera_ che
venne a rassicurarla, due giorni di poi.
«_Egli_ mi comanda espressamente di lasciarla in pace. Io ho giurato di
obbedire a _lui_ in tutto, e gli obbedisco anche in ciò. Ringrazi le
circostanze che m'impedirono finora di cominciare l'effettuazione della
mia vendetta; sia riconoscente alla generosità di quell'uomo che le
perdona, e viva tranquilla riguardo a me: abbandono la cura della nostra
vendetta alla sua coscienza.»
A cagionare questo cambiamento nelle determinazioni della Zoe, ecco che
cosa era successo.
Fuggita, come abbiam visto, alle granfie di Barnaba e de' suoi, la
_Leggera_ aveva riparato niente meno che al Palazzo Reale,
nell'appartamento datovi da Carlo Alberto a quel principotto scapato
venutovi sotto colore di educarsi all'arte di regno del re Savoino, e
che doveva profittarne così bene da presentar poi al mondo lo spettacolo
strano, all'infelice popolazione del suo ducato il brutto regalo d'un
Caracalla in sedicesimo nel pieno secolo XIX, finchè non l'avesse
mandato ad aggiustare i conti con Dio il coltello vendicatore d'un
ignoto assassino.
Libertino, beone, giuocatore, soleva egli sottrarsi alle regole di
severa condotta che Carlo Alberto voleva imposte alla sua famiglia (e il
principotto era tenuto come della famiglia), al vivere di Corte. La
scapataggine, il libertinaggio, la corruttela si complicavano e
pigliavano più acre sapore d'un zinzino d'ipocrisia. La mattina in
chiesa, a messa, col libro delle orazioni in mano; la sera, fuggito di
soppiatto, al lupanare. Aveva taciti complici delle sue fughe notturne
il custode d'una porticina e i servi a lui più specialmente addetti.
Sgattaiolava fuori delle solenni pareti del Palazzo silenzioso, severo,
scuro in mezzo all'oscurità della notte, come un foriere di compagnia
riesce a scappolar di caserma, dopo fatta la chiama, e in compagnia di
abbietti campioni blasonati, cortigiani del vizio e del grado,
corrazzava per la città mostrando la vivacità del suo ingegno in
come dinoccolate, come prive della forza interiore che le reggesse;
avevano, la faccia sgomenta, e le pupille velate ed atone, e la mossa,
quell'apparenza di stupidità penosa a vedersi che dà un solo,
incessante, tormentoso pensiero onde sia punta la mente. La non parlava
quasi mai, non si lamentava, in presenza degli altri si guardava bene
dal piangere, non sospirava neppure: alle richieste che le si facessero,
alle parole con cui si tentava scuoterla da quel mortale letargo
rispondeva con pochi tronchi accenti, pronunciati a voce bassa, con
paziente mitezza, il più spesso con soli monosillabi, o con cenni del
capo. Alla capitata disgrazia non faceva mai neppure la menoma
allusione; e siccome ogni altro guardavasi bene eziandio di toccar quel
tasto, l'argomento di cui si parlasse meno, di cui non si parlasse mai
in quella famiglia, era quello appunto che era sempre fisso nella mente
di tutti.
Maria veniva chetamente a sedersi presso al letto di suo fratello ancora
giacente, e stava lì senza guardarlo, l'occhio piantato sopra un rosone
del tappeto: prendeva un suo lavoro tra mano e per un poco faceva andare
in fretta la destra a trarre i punti, ma ad un tratto, come se ci avesse
trovato un intoppo, l'ago si fermava nella stoffa, la cruna appoggiata
all'anello da cucire diventato immobile, il filo aggrovigliato fra le
pieghe del panno.
— Maria! le diceva allora dolcemente Francesco.
Ella si riscuoteva in sussulto.
— Che?
E il fratello fingeva aver bisogno d'un piccolo servizio, desiderava
alcuna cosa, tanto per levarla un istante da quella meditazione che le
consumava l'anima. Talvolta Francesco le prendeva una mano glie la
serrava con muto affetto; ella non corrispondeva a quella stretta, vi si
prestava per un poco, poi pianamente se ne liberava ed allontanavasi.
Tutta la famiglia la circondava d'una compassione vigilante, sempre in
sull'avviso, piena di silenziosa tenerezza e di cure: cercavano di
rimuoverne dall'intorno le spine che potevano pungere ancora quel cuore
trafitto, gli urti che potevano ferire quell'anima indolorita: ma aimè!
la piaga era interna ed irrimediabile, e tutti si sentivano feriti in
lei, in quella parte di loro che avevan sì cara. Ella, quelle cure,
quelle amorevolezze tollerava, il più delle volte pareva non
accorgersene, raro ne ringraziava con un sorriso che era dolorosissimo a
mirarsi, più raro ancora alcuna mostra le sfuggiva d'impazienza e
d'irritazione.
Ad ogni volta che rientrasse nella sua camera scoppiava in singhiozzi ed
in lagrime: talora, sentendo presso a traboccar la piena dello spasimo
che le si gonfiava nel petto, fuggiva alla sua stanza, si buttava
traverso il letto e soffocava i suoi gemiti nelle coltri che mordeva e
bagnava di pianto.
Appena saputa la dolorosa catastrofe, Virginia di Castelletto aveva
mandato alla sua antica compagna Maria l'espressione del suo cordoglio,
il conforto della sua simpatia, in un biglietto quale la squisitezza del
suo sentire e la sua forbitezza di maniere erano capaci di concepire e
di scrivere; poscia aveva tutti i giorni mandato per le notizie, e
finalmente, quel dì in cui Maurilio le doveva aprire in parte l'anima
sua ed il pensiero, era venuta ella medesima a vedere di persona la
sconsolata fanciulla.
Maria ad udire annunciata la nobil donzella, fece un atto di
contrarietà. Ella s'era avvezza a stare fronte a fronte col suo dolore,
a sentirsene rodere l'intimo essere, e glie ne piaceva così, e
dispettava ciò che venisse, non dico ad interrompere, ma a disturbare
quel suo supplizio. La madre di lei invece, che accoglieva come una
ventura tutto quello che in alcun modo facesse sperare di poter
distrarre la sua figliuola, fu sollecita a levarsi, e disse:
— Passa in sala, Maria; io vado ad incontrare la signora contessina, e
te la conduco.
E sparì dietro la portiera dell'uscio, verso l'anticamera.
Maria, che sedeva al suo solito luogo presso il letto di Francesco,
depose lentamente, con aria svogliata e quasi uggiosa, il suo lavoro; ma
in quella il suo mesto sguardo incontrò il volto di suo fratello che
all'udir quel nome s'era lievemente colorito.
— La saluterò per te, diss'ella facendo quel suo desolato sorriso: e
s'avviò lentamente verso la sala.
— Ah! Dio la rimeriti della sua carità! aveva esclamato la signora
Teresa correndo incontro a Virginia e pigliandole una mano che volle
baciare. Possa la sua vista, possano le sue parole recare un po' di bene
alla mia povera figliuola, che ne ha tanto, tanto bisogno.
Virginia con molto garbo, stringendo le mani della donna, impedì che le
venisse baciata la destra; e in risposta disse con quella sua voce che
si sarebbe detta il suono d'un'arpa d'oro:
— A prezzo di qualunque mio dolore vorrei darle conforto. Povera Maria!
Come sostiene essa la sua sventura?
La madre, alla quale il sol parlare di Maria aveva chiamato agli occhi
le lagrime, ora scoppiò in singhiozzi ed in pianto.
— Oimè! Oimè! esclamò ella: Maria se ne muore.
Virginia strinse forte le mani della signora Teresa che ancora teneva
fra le sue.
— Coraggio! disse con un accento di pietà e di affetto che era una soave
carezza. Non bisogna disperare. È venuto per la sua famiglia un tempo di
prove; ma tornerà di poi certamente quello della felicità.
Teresa si rasciugò in fretta in fretta gli occhi, e soggiunse:
— La venga avanti, contessina, la favorisca qui, la prego.
E la trasse nella stanza di ricevimento.
Maria era già colà, venutavi dalla camera di Francesco. Stava in piedi
presso al camino, sorreggendosi con una mano alla spalliera d'un
seggiolone, nella mossa d'una prefica o d'una statua del Dolore sopra
una tomba. Virginia fu quasi spaventata dall'abbandono desolato di quel
contegno, dalla pallidezza mortale di quell'aspetto, dalla disperazione
rassegnata dello sguardo semispento, del doloroso sorriso. Si avanzò
rattamente verso di lei, ed esclamò con voce impressa d'immenso affetto:
— Maria!
Non era che una parola; ma in essa l'intonazione, l'accento, la
vibrazione del suono ponevano un'infinità di cose: pietà, amore, offerta
di sè, benevolenza generosa spinta fino all'entusiasmo.
Maria sentì coll'anima delicata tutte queste cose contenute in un sol
motto, e ne fu tocca un istante; sollevò da terra i suoi occhi velati e
li affisò fugacemente in volto alla donzella, che le si avvicinava, si
staccò dalla poltrona a cui s'appoggiava e fece un passo verso Virginia,
tendendole, con atto che pareva pieno di lassitudine, la mano.
— Questa è un'opera di carità ch'Ella fa, madamigella, venendo qui:
disse Maria con voce debole, fiacca, quasi direi senza vita, onde molto
si accrebbero la commozione e la pena di Virginia.
— Ho obbedito all'impulso del mio cuore: disse questa prendendo la mano
di Maria, e mettendo nella voce tutta la dolcezza dell'anima sua. Sono
venuta a rivendicare un diritto che pretendo di avere: il diritto
dell'amicizia, e spero che Ella..... che _tu_ non me lo vorrai negare.
Il modo con cui s'era interrotta ed aveva ripreso, con cui aveva
pronunziata quella dolce parola _tu_, era pieno di grazia infinita, di
tenerezza ineffabile, attalchè a Maria se ne inumidirono gli occhi.
Virginia si volse e fece un legger cenno alla signora Teresa, la quale,
commossa, stringeva le mani e levava lo sguardo al cielo, nella speranza
che la venuta di quell'angelo in forma di donna recasse pur finalmente
alcun conforto alla sua Maria. La buona madre comprese di botto la mesta
preghiera della donzella, e s'affrettò a partirsi chetamente.
Per quella mano ch'essa teneva tuttavia, la contessina trasse a sè la
sorella di Francesco, e se ne fece appoggiare al seno il capo doloroso.
— Povera Maria! diss'ella, baciandole con calde labbra la gelida fronte.
Vuoi tu considerarmi come una tua sorella?
La disgraziata fanciulla, vinta da quell'affettuosa violenza di
tenerezza, gettò le braccia al collo della contessina, e prorompendo in
lagrime, pianse per un poco, senza poter dire pure una parola. Virginia
la strinse amorosamente fra le sue braccia, le fece quei dolci atti, le
susurrò quelle dolci parole, le prodigò quelle dolci carezze che usa una
madre ad acquetare i pianti del suo bambino; poi, quando si calmò quello
sfogo che fu in sostanza benefico all'animo oppresso della sventurata,
ella ricercò sulle labbra di Maria un bacio che fu da tuttedue le parti
pieno d'espansione e d'affetto; e così in quell'amplesso fu consecrata,
come dire, la loro nuova fraternità.
— Ah madamigella!... cominciò quindi Maria, rasciugandosi gli occhi: ma
Virginia, lesta ad interromperla:
— Chiamami Virginia, com'io te chiamo Maria. Mi hai accettata per
sorella: trattami come tale, e concedimi i privilegi di sorella..... E
il primo sarà quello di sgridarti. Il tuo aspetto mi dice che tu hai
mancato di forza d'animo, che tu non hai neppure tentato opporre la
menoma resistenza al dolore.
Maria scosse lievemente il capo.
— No, disse: gli ho aperto tutto il mio cuore; ne sentii con fiera
voluttà l'invasione. — Ah! vorrei che esso fosse ancora maggiore e mi
distruggesse più presto.
— Questa è una colpa! esclamò Virginia con una specie di severità, in
cui però non era sminuito l'accento dell'amorevolezza. Sei tu sola nel
mondo? Non hai legami di famiglia che ti avvincono? Non hai doveri che
ti obbligano?
La sventurata levò le spalle coll'ingenuo egoismo del dolore.
— Non sento più nulla che la mia sciagura; disse francamente; poi, come
volendo addurre una scusa, soggiunse: Francesco è oramai guarito e
presto non avrà più bisogno di me... E poi egli ha in cuore altro
affetto che deve occuparlo, che deve farlo felice più che non possa il
mio...
Virginia arrossì leggermente e chinò gli occhi.
— Mio padre è uomo forte e robusto, che sa lottare contro il dolore,
come contro il destino, e vincerli...
— E tua madre? domandò con forza la contessina, stringendo le mani di
Maria.
— Mia madre ama più suo figlio di me...
— Ah Maria, tu se' ingiusta...
Questo grido di Virginia richiamò in sè la sviata mente della disperata
giovane.
— È vero, è vero: esclamò con voce di profondo pentimento e di sdegno
contro se medesima. Hai ragione..... Sono diventata trista..... Ma
soffro tanto, sai!... Non so più quello che mi dica, nè quello che mi
faccia, nè che mi pensi...
Tacque un istante, e poi curvandosi all'orecchio della sua compagna, le
soggiunse piano, come il motto che doveva farle capire tutta la sua
condotta:
— L'amavo tanto!... L'amo ancora tanto!
E chinò il capo sulla spalla di Virginia, per nascondere il rossore onde
subitamente si soffuse il suo volto.
— Tu non devi più amarlo: disse con forza la contessina. Tu non devi a
quell'iniquo sacrificare il tuo avvenire, la tua vita, la tua famiglia.
Tu quel cotale, com'egli è, non l'hai amato mai. Hai amato un uomo
d'onestà e valore; quell'uomo è scomparso; a colui che è rimasto non
devi che odio e disprezzo.
Maria levò il capo, guardò bene in viso la nobile amica, e le disse
lentamente:
— Tu avresti potuto strapparti dal cuore l'amore e gettarlo via come si
fa d'un abito?... Tu non l'ameresti più?
— No, disse Virginia con forza, l'uomo che si rivelasse indegno della
mia stima, non avrebbe più il mio amore. Colui che avesse empiamente
ingannata la mia fiducia, che avesse mentito l'onore come la passione,
io lo abborrirei disprezzandolo.
Gli occhi della donzella, così dicendo, brillavano d'una fiera luce; la
bella di lei fisionomia aveva una imponente espressione di forza e di
superiorità.
— Gran Dio! esclamò Maria, allontanandosi alquanto da Virginia per
contemplarla meglio, e giungendo le mani in atto di meraviglia: nel tuo
volto c'è in questo momento una strana rassomiglianza col suo, quando mi
beava colle sue calde parole... Oh vedi s'io l'amo!
— Povera! Povera Maria!
— Ma io non lo credo colpevole: proruppe con impeto la sorella di
Francesco. Non lo può essere, non deve. Crederesti tu se ti venissero a
contare un'infamia dell'uomo che ami?... Io non darei fede neppure
all'evidenza. Il nostro amore è un'istinto divino, superiore ad ogni
umano argomento; e se un uomo ci inspira amore, è prova evidente che
egli è superiore altrui.
Virginia ammirò la sublime fede di quell'amore.
— Ma ora, diss'ella, abbracciandola di nuovo: che vuoi tu fare? Vuoi tu
abbandonarti fiaccamente all'azione del tuo dolore? lasciartene
travolgere senza opporre la resistenza d'una volontà vincitrice?
Maria ebbe allora negli occhi un maggior lampo di vita.
— Vorrei rivederlo ancora, una volta sola, e morire!
— Cattiva! disse Virginia dandole un bacio sulla fronte.
— Ho pensato al suicidio, sai: continuava la fanciulla con una
semplicità d'espressione che era veramente desolante; ma non ci ho avuto
coraggio. Nel mondo di là potrei ancora pensare a lui? Non ne sono
sicura: ed il tormento di pensarci — di pensarci sempre — mi è caro. Ma
c'è una fatta di suicidio per noi donne che mi sorride: un suicidio che
togliendoci al mondo ci lascia tutte alla esclusività d'un solo
pensiero... Ti ricordi, nel monastero del _Sacro Cuore_, di suor Clara,
sì pallida, sì mesta, sì taciturna? Quando passava col suo passo lento e
il suo sguardo di morta, noi sospendevamo i nostri giuochi e non osavamo
parlare. Quella era un'anima estinta, e il monastero era la sua tomba.
In questi dì quell'immagine, quell'ombra, quello spettro è venuto a
farmi cenno ed invitarmi. Là è la soluzione del mio destino.
— Che? Tu vorresti?
— Quella è la morte che sogno e che mi preparo.
Virginia combattè con calore, con vivaci ragioni e con insistente zelo
quel proponimento; Maria sembrava ascoltarla con sulle labbra quel suo
penoso sorriso, ma in realtà il suo pensiero era altrove. Ad un punto
interruppe l'amica e disse con accento di nuova risoluzione:
— Ho esitato finora ad aprirmene alla mia famiglia, ho tremato innanzi
all'idea di manifestare tal mia volontà a mia madre. Ora la tua presenza
mi darà coraggio. Vieni e sii tu testimone all'annunzio della mia
irrevocabile determinazione.
La prese per mano e la trasse vivamente con sè. Virginia, che non ebbe
neppur campo a contrastare, si trovò nella stanza di Francesco.
Là era in quel momento tutta la famiglia raccolta. Il sor Giacomo era
venuto allor allora, e teneva ancora fra le sue la mano di Francesco,
cui aveva interrogato della sua salute. Quell'uomo tanto forte e robusto
si vedeva che sotto i colpi così fieri e così repentinamente replicati
della sventura aveva vacillato, ma non era caduto disfatto. Le chiome in
que' pochi giorni gli si erano incanutite, dimagrata la faccia, fatte
più profonde e più numerose le rughe della fronte; smarrita affatto
quella vivacità alacre ed allegra che era l'espressione dell'operosità
instancabile della sua natura; ma l'occhio pur nella sua mestizia
serbava una luce, le labbra serrate avevano una rigidità di linee che
ben rivelavano un'anima pronta a lottar tuttavia colla sorte e cogli
uomini. Il suo cordoglio, la passione, la pietà per la figliuola e il
dolore per la ferita del figlio, pareva ch'egli cercasse distrarre mercè
una febbrile attività con cui s'era dato a riparare i danni
dell'incendio e del saccheggio, ristaurare la fabbrica e ravviare il
corso interrotto dei lavori. In casa, presso la famiglia, veniva di
frequente, ma ci stava assai poco; appena se ci compariva, gettava sopra
Maria uno sguardo pieno di tenerezza, interrogava il figliuolo, faceva
come atto d'incoraggiamento una mesta carezza alla moglie, e via di
nuovo. Pareva che rimaner lontano dai suoi non potesse, timoroso ad ogni
momento che una nuova sciagura precipitasse su di loro, e starne in
compagnia troppo gli fosse doloroso. Delle vicende passate nè anche egli
non faceva mai cenno veruno. Era una tacita intesa di tutti
quegl'infelici di non parlarne mai. Solo una volta che l'occasione
inevitabilmente ne venne, il sor Giacomo, la cui natura era
impetuosamente franca, lasciò scorgere tutto l'odio che implacabilmente
aveva concepito per quello scellerato ingannatore della loro fiducia,
per quel traditore assassino della sua figliuola; ma questa udendo le
invettive e le imprecazioni del padre contro l'uomo ch'ella amava pur
sempre, s'era levata in piedi pallida ed angosciata, aveva fatto
barcollando i pochi passi che la disgiungevano da suo padre,
un'ineffabile espressione di preghiera nel volto doloroso, nella mossa
delle mani tese, e venutale presso gli aveva dolcemente posta la destra
sulle labbra, senza dire una parola, ma con un gemito che significava ed
era tale da intenerire più d'ogni discorso. Giacomo da quel momento
s'era imposto di vegliare più attentamente su se stesso e di non
lasciarsi più sfuggire un detto mai su quell'argomento.
Vedendo entrare, tratta per mano da Maria, la contessina Virginia,
Giacomo si volse meravigliato e s'inchinò rispettoso, Francesco arrossì
ed ebbe un guizzo di gioia negli occhi, Teresa si levò in piedi, ed
accortasi di una certa animazione nella fisionomia e nella mossa di
Maria, cosa che non era avvenuta più dopo l'orribile sventura, sperò che
Dio l'avesse allora esaudita e la presenza e le parole della nobile
donzella avessero potuto recar conforto, dar consolazione ed ispirar
coraggio all'afflitta figliuola.
Ma la sua illusione, pur troppo, non potè essere di lunga durata. La
fanciulla s'avanzò con passo risoluto fin presso ai genitori ed al letto
del fratello, e là, prima che niun altro avesse tempo ad aprir labbro,
parlò di questa guisa:
— Padre, madre mia; sono venuta a manifestarvi, in presenze di questa
recente ma nobile e generosa amica, la quale fu la sola che nella mia
sventura non mi abbia abbandonata, ma ne prese anzi occasione a
mostrarmi tutta la bellezza dell'anima sua e la squisitezza del suo
affetto: sono venuta a manifestarvi la irrevocabile determinazione che
Dio mi ha ispirata, che ho presa, che credo mio dovere seguire nelle
dolorose circostanze in cui mi trovo. Se finora non ve ne ho parlato
benchè fin dal primo giorno fosse balenata alla mia mente e l'avessi in
massima accettata, si è perchè ho voluto prima discuterla meco stessa e
farmi tutte le obbiezioni che vi si possono affacciare per vedere se la
si poteva efficacemente combattere, e cimentarla coll'amore che ho per
voi, col concetto che mi rimane de' miei doveri di figlia a vostro
riguardo. Essa ha resistito a tutto; la voce che mi chiama si è fatta
anzi sempre più forte; l'impulso che mi spinge diventa più potente ogni
giorno. Parlando con Virginia, testè, una forza superiore mi trasse a
svelare il mio segreto proponimento; sentii subito allora come, poichè
quel mio disegno era uscito una volta dalla chiostra della mia
coscienza, diventava mio debito di farne partecipi tosto, voi, padre e
madre miei.
Il sor Giacomo la interruppe con un'impazienza che il suo carattere non
gli consentiva più di frenare, ma a cui l'affetto levava ogni asprezza.
— Qual è dunque questo tuo proponimento?..... Parla, e pensa che i tuoi
genitori, che la tua famiglia ebbe in questi giorni già troppi dolori,
perchè tu venga volontariamente ora a recargliene altri.
— Perdonami, padre mio; perdonami anche tu, mamma; ma questo dolore io
sono proprio costretta a recarvelo. Non posso più appartenere al mondo,
e non voglio; non posso e non voglio esser più di nessuno fuor che di
Dio: entrerò in un monastero e mi farò monaca.
La madre non rispose che con un gemito, e lasciandosi cadere seduta si
nascose nelle mani la faccia; Giacomo fece un atto di sdegnosa sorpresa
e ruppe in parole cui la presenza soltanto della contessina valse a
temperare.
— Crudele figliuola! È questo l'amore che hai per noi? questa la
corrispondenza e la gratitudine al nostro affetto? Perchè vuoi punirci,
noi innocenti, che soffriamo al pari di te? Noi, che se mai ci abbiamo
una colpa, è quella di aver troppo facilmente accondisceso ai tuoi
desiderii? La voce che chiama, l'impulso segreto, l'ispirazione del
cielo le sono storie; tu vuoi ritirarti nella solitudine, fuori d'ogni
affetto umano, fuor d'ogni legame di dovere domestico per istare faccia
a faccia unicamente e sempre col tuo dolore, affondarti in esso e
fartene consumare. È questo un egoismo bello e buono, che Dio non può
volere, che Dio riprova di certo....
S'interruppe bruscamente per additare con una eloquenza inesprimibile di
gesto la povera Teresa, che, abbandonata sulla seggiola, il volto
nascosto, piangeva e singhiozzava; e soggiunse con voce nella cui
burbera asprezza si sentiva pure far capolino la emozione delle lagrime:
— Guai, vedi, Maria, guai alla figliuola che fa piangere così sua madre!
Maria fu d'un balzo presso la madre, le prese le mani e glie le trasse
giù dal viso, le asciugò coi suoi baci le lagrime che le gocciavano giù
dalle guancie.
— Mamma mia, mia cara mamma, disse, il babbo ha ragione: è vero, io sono
crudele; è vero, io sono egoista; ma tu mi vuoi tanto bene col tuo amore
materno, che mi comprenderai e perdonerai, che capirai com'io non posso
vivere altrimenti. Oh! non ti sarebbe maggior dolore vedermi qui
estinguermi a poco a poco sotto i tuoi occhi, e perdermi
irrimediabilmente?... E ti giuro che avverrà così. In ciò la volontà non
può nulla; per quanto desiderio avessi di rimanere con voi, di vivere
per voi, la morte sarebbe più potente di me, e verrebbe a togliermi di
mezzo alle vostre braccia.
Teresa respinse dolcemente le carezze della figliuola.
— Ah! esclamò ella piangendo, non ho più figlia.
— Non dir così, mamma. Tua figlia pregherà per te, per tutti voi; chi sa
ch'ella, partendo, non tragga seco di questa casa la fatalità di
sventura che vi piombò sopra!..... No, tu non perderai tua figlia; nel
suo cuore tu sarai sempre, com'ella sarà nel tuo. Anche a te sarà di
conforto venire nella pace di quelle mura, dov'essa pregherà fuor d'ogni
agitazione del mondo, a sentire l'influsso della divina misericordia. E
il Cielo anzi ti compenserà del sacrificio che avrai fatto pel mio bene:
ti sarà concessa in luogo mio un'altra figliuola che ti amerà, se non
alla pari, forse meglio di me.
S'interruppe, esitò un istante, poi con mossa piena di grazia, di
franchezza, d'ingenua fiducia, andò presso Virginia e la prese per mano.
— Tu, le disse, hai affermato poc'anzi volermi essere sorella. Siilo in
nome di Dio, siilo in nome della pietà! L'esser sorella a me, non è egli
essere figliuola a mia madre?
Virginia arrossì leggermente, e il suo sguardo per moto involontario
affatto corse a Francesco, il quale arrossì alquanto egli pure; ma di là
gli occhi di Virginia si levarono ratto e si volsero alla sora Teresa
con un'espressione di somma pietà.
— Vorrei valere a questo còmpito, diss'ella dolcemente; ed accetterei
con gioia il mandato.
Teresa prese colla sinistra una mano della contessina; colla destra
stringeva quella della sua figliuola; e recatasi quelle due mani al
volto le baciò commossa, seguitando a piangere chetamente.
CAPITOLO XXIX.
Venuta in possesso delle sue lettere a Luigi, e distruttele, pareva che
la contessa di Staffarda non dovesse conservar più inquietudine veruna,
nè avere altre ragioni di timore. Eppure non era così; invano sforzavasi
essa medesima di farsi tranquilla e rimuovere ogni sollecitudine in
proposito; un'ansietà indefinita le incombeva sull'anima come una
minaccia continua di pericolo, e ad ogni momento era in angustia di
vedere presentarlesi e più fiero il disastro. Ad ogni volta che la
vedesse entrarle in camera la fante, ad ogni lettera o bigliettino che
le venisse recato, allo scricchiolar delle scarpe del marito che
s'avanzava nella sala o veniva a raggiungerla nella stanza da pranzo,
ella rabbrividiva dicendosi: «è qui la catastrofe.»
Il suo presentimento aveva ragione: e fu appunto una letterina che, il
giorno dopo quella scena in cui il marito le aveva fatte bruciare le
carte, venne a darle il colpo d'una nuova minaccia. Era una lettera
violenta della Zoe furibonda.
«Aveva ragione il mio istinto di popolana nel diffidare della vostra
perfidia, vipera della nobiltà. Siete una traditrice più infame di tutte
le donne infami del mondo; e vostro marito è un miserabile schifoso come
una spia. Sì, con tutti i suoi titoli, con tutti i suoi avi, con tutta
la superbia del suo sangue azzurro è un miserabile: ed insieme voi due
fate una degnissima coppia.
«M'avete vigliaccamente ingannata e credete aver trionfato! Il povero
Luigi lo credete irrevocabilmente perduto, e voi siete padrona delle
vostre lettere. Avete fatto l'opera di Giuda e vi pensate poter dormire
fra due guanciali! Vi sbagliate. Avreste dovuto fare sparire anche me;
ma ciò non potrete: so guardarmi, e so difendermi occorrendo. Non ho più
i documenti in mano, ma ho la conoscenza di tutto! So appuntino tutto
quello che passò fra voi e lui; e parlerò. Sarò creduta, non dubitate; e
se non potrò con ciò giovar più a Luigi, sfogherò almeno il mio sdegno e
vendicherò lui e me.
«Aspettatevi a sentire quanto prima qualche risultato della mia
vendetta.»
Alla lettura di queste parole, Candida fu presa da un assalto di febbre
nervosa. L'anima sua troppo in que' giorni percossa, non aveva più
vigore di sorta. Lesse e rilesse quel biglietto in una specie di
stupidità dolorosa, non sapendo che risolvere, sentendo in tutte le sue
fibre scorrere un fuoco che sembrava dissolverle gli elementi della
vita. Pensò mostrare al conte quella lettera; e non osò; le venne in
capo correre dalla cortigiana, provarle, giurarle ch'ella era innocente
della fattale accusa, e se ne trattenne, non perchè la sua dignità a ciò
si ribellasse, ma perchè non osò neppure. Stette inerte, tremante, sotto
un'angoscia impossibile a dirsi, che durando parecchi giorni l'avrebbe
uccisa. Ma parve che il Cielo avesse finalmente pietà di quell'infelice,
e che la sua punizione fosse omai sufficiente alla colpa, senza
accrescerne ancora la gravezza. Fu un'altra lettera della _Leggera_ che
venne a rassicurarla, due giorni di poi.
«_Egli_ mi comanda espressamente di lasciarla in pace. Io ho giurato di
obbedire a _lui_ in tutto, e gli obbedisco anche in ciò. Ringrazi le
circostanze che m'impedirono finora di cominciare l'effettuazione della
mia vendetta; sia riconoscente alla generosità di quell'uomo che le
perdona, e viva tranquilla riguardo a me: abbandono la cura della nostra
vendetta alla sua coscienza.»
A cagionare questo cambiamento nelle determinazioni della Zoe, ecco che
cosa era successo.
Fuggita, come abbiam visto, alle granfie di Barnaba e de' suoi, la
_Leggera_ aveva riparato niente meno che al Palazzo Reale,
nell'appartamento datovi da Carlo Alberto a quel principotto scapato
venutovi sotto colore di educarsi all'arte di regno del re Savoino, e
che doveva profittarne così bene da presentar poi al mondo lo spettacolo
strano, all'infelice popolazione del suo ducato il brutto regalo d'un
Caracalla in sedicesimo nel pieno secolo XIX, finchè non l'avesse
mandato ad aggiustare i conti con Dio il coltello vendicatore d'un
ignoto assassino.
Libertino, beone, giuocatore, soleva egli sottrarsi alle regole di
severa condotta che Carlo Alberto voleva imposte alla sua famiglia (e il
principotto era tenuto come della famiglia), al vivere di Corte. La
scapataggine, il libertinaggio, la corruttela si complicavano e
pigliavano più acre sapore d'un zinzino d'ipocrisia. La mattina in
chiesa, a messa, col libro delle orazioni in mano; la sera, fuggito di
soppiatto, al lupanare. Aveva taciti complici delle sue fughe notturne
il custode d'una porticina e i servi a lui più specialmente addetti.
Sgattaiolava fuori delle solenni pareti del Palazzo silenzioso, severo,
scuro in mezzo all'oscurità della notte, come un foriere di compagnia
riesce a scappolar di caserma, dopo fatta la chiama, e in compagnia di
abbietti campioni blasonati, cortigiani del vizio e del grado,
corrazzava per la città mostrando la vivacità del suo ingegno in
- Parts
- La plebe, parte IV - 01
- La plebe, parte IV - 02
- La plebe, parte IV - 03
- La plebe, parte IV - 04
- La plebe, parte IV - 05
- La plebe, parte IV - 06
- La plebe, parte IV - 07
- La plebe, parte IV - 08
- La plebe, parte IV - 09
- La plebe, parte IV - 10
- La plebe, parte IV - 11
- La plebe, parte IV - 12
- La plebe, parte IV - 13
- La plebe, parte IV - 14
- La plebe, parte IV - 15
- La plebe, parte IV - 16
- La plebe, parte IV - 17
- La plebe, parte IV - 18
- La plebe, parte IV - 19
- La plebe, parte IV - 20
- La plebe, parte IV - 21
- La plebe, parte IV - 22
- La plebe, parte IV - 23
- La plebe, parte IV - 24
- La plebe, parte IV - 25
- La plebe, parte IV - 26
- La plebe, parte IV - 27
- La plebe, parte IV - 28
- La plebe, parte IV - 29
- La plebe, parte IV - 30
- La plebe, parte IV - 31
- La plebe, parte IV - 32
- La plebe, parte IV - 33
- La plebe, parte IV - 34
- La plebe, parte IV - 35
- La plebe, parte IV - 36
- La plebe, parte IV - 37
- La plebe, parte IV - 38
- La plebe, parte IV - 39
- La plebe, parte IV - 40
- La plebe, parte IV - 41
- La plebe, parte IV - 42
- La plebe, parte IV - 43
- La plebe, parte IV - 44
- La plebe, parte IV - 45
- La plebe, parte IV - 46
- La plebe, parte IV - 47
- La plebe, parte IV - 48
- La plebe, parte IV - 49
- La plebe, parte IV - 50
- La plebe, parte IV - 51