La plebe, parte IV - 39

mondo fino allora, mercè il delirio, cioè l'arresto degli assassini
della _cocca_ e di Quercia come capo dei medesimi. Sperò che un errore
eziandio fosse quello che facesse credere e dire al malato sì fatale
novella; ricorse ad autorevoli informazioni sul conto del giovane
arrestato e ne riportò la certezza della verità delle cose dettegli da
Maurilio, ed ebbe tra mano anzi quello squarcio di carta che combaciava
compiutamente col mezzo foglio trovato presso Nariccia e ne costituiva
la lettera integrale: squarcio che insieme con tutte le altre carte era
stato sequestrato presso Gian-Luigi.
In una perplessità straordinaria d'animo e di mente, il marchese non
sapeva a che partito appigliarsi, e l'idea glie n'era venuta di aprirsi
con Don Venanzio e consultare le ispirazioni di quell'anima santa di
vecchio prete, quando egli medesimo, il buon parroco, fece domandare a
S. E. il favore di un colloquio.
Egli era entrato nel palazzo già da un quarto d'ora ed era stato nella
stanza del giovane infermo dove un vivace discorso aveva avuto luogo fra
loro soli. Quella mattina la sua bella fisionomia piena di candore e di
benevolenza era turbata da una pena, da una dolorosa mostra di
contrarietà. La cagione si era ch'egli era stato testimonio d'un triste
fatto che molto lo aveva amareggiato: ed ecco quale.
Già sappiamo come la povera Margherita, la vecchia nutrice di Gian-Luigi
che lo amava più della pupilla degli occhi suoi, udito al villaggio
l'arresto del suo diletto, e saputo che il parroco ne veniva in città
chiamatovi dalla circostanza del male violento ond'era stato assalito
Maurilio, aveva voluto ad ogni modo venirne alla capitale ancor essa, e
qui la si era citata a comparire innanzi al giudice istruttore come
testimonio e subirne gl'interrogatorii.
Questi parevano una gran cosa alla povera vecchia campagnuola, e
presentandosi innanzi alla faccia burbera del giudice, la tremava tutta.
Avrebbe tremato in ogni modo ed in ogni occasione; ma tremava tanto più
ora che trattavasi della sorte del suo caro, e che a quest'esso poco
tempo prima aveva dato promessa di fare quello che non aveva mai fatto
in vita sua, quello che non avrebbe creduto mai di pur pensare di fare:
dire il falso. Le varie circostanze della favola fattale imparare da
Gian-Luigi le si ingarbugliavano nella testa con indicibile confusione;
e fu assai peggio, quando il giudice le ebbe fatto prestare il solenne
giuramento di dire la verità. La s'imbrogliò talmente, parlò con tanto
tremore, la si lasciò tirare in tante contraddizioni che il giudice
inquirente concepì su di lei i maggiori sospetti. Pure per quella prima
volta essa la passò liscia ed uscì da quella stanza di tribunale più
morta che viva, ma sciolta.
Ma frattanto avvenne che di tutte le informazioni prese d'altra parte
sul conto dell'infanzia di Gian-Luigi nessuna concordasse con quelle
della vecchia, la quale tutti asserivano essere andata a prendere
all'ospizio il bambino senz'altro amminicolo. Ben poteva la donna aver
tenute celate a tutti quelle circostanze che ora rivelava al tribunale
intorno all'origine del fanciullo, ma era poco credibile che codesto
avesse taciuto eziandio al suo parroco e confessore Don Venanzio, e
questi aveva affermato saper nulla di nulla del romanzo raccontato dalla
vecchia, ed anzi, interrogato se lo credesse possibile, aveva
ingenuamente confessato di no, e che egli aveva la persuasione che il
medico del villaggio non aveva mai avuto attinenza di sorta col bambino
dell'ospizio, finchè vistolo intelligente e piacevole, quando
grandicello, avevalo preso a ben volere e proteggere, che una fiaba
credeva pure la novella della vistosa somma che il medico avrebbe
ricevuto dall'incognita famiglia e passata a Gian-Luigi, il quale aveva
avuto sì nell'eredità del medico un lascito ch'egli si era affrettato a
consumare.
Aggiungasi che la Margherita, struggendosi dal desiderio di vedere il
suo figliuolo, chiesto inutilmente di poterlo visitare, s'aggirava
presso che tutto il giorno nei dintorni della carcere dove lo sapeva
rinchiuso, guardando attentamente ogni finestra, ogni sbarra, ogni buco,
ogni mattone della muraglia di quel cupo edificio, quasi sperando la
faccia di lui le avesse da comparire ad ogni momento o qua o colà, o
dovess'ella vedere una via di passaggio da giungere sino a lui, provando
se non altro una certa dolcezza a guardare il luogo dov'egli si trovava,
ad essergli così il più vicino che le fosse possibile. Ora Barnaba, che
di persona e per mezzo di agenti fidati vigilava con tanta cura intorno
al prigioniero, ebbe presto contezza di tali diportamenti di questa
vecchia, e dell'esser suo, e quando avvenne il tentativo di fuga da lui
mandato a vuoto, egli la denunziò al Tribunale come complice. Il giudice
istruttore determinò assicurarsi di lei, confonderla come per ispergiura
mercè un confronto con Don Venanzio, e procedere contro di lei per falsa
testimonianza e per complicità nel tentativo d'evasione del _medichino_.
E così avvenne che la mattina dopo la sventata fuga, mentre Don Venanzio
riceveva invito di recarsi fra un'ora al Tribunale, la vecchia, senza
tanti complimenti, era mandata a prendere e condurre in sala di custodia
da due _arcieri_.
Il confronto con Don Venanzio fu per la misera donna il peggior tormento
che avesse ancora provato mai. Mentire, e mentire innanzi al suo
parroco!... Il suo aspetto, la sua voce, il contegno dicevano ch'ella si
faceva uno sforzo a sostenere le menzogne precedentemente fatte. Se
Gian-Luigi avesse potuto avere comunicazione con lei, ben le avrebbe
risparmiato questa colpa e questo supplizio che a lui diventavano
inutili. Egli s'era preparato quel mezzo di difesa soltanto contro i
sospetti che cominciavano a sorgere sulle fonti ond'egli si procacciava
denaro, e per illudere la famiglia Benda che avesse cercato informazioni
fin nel villaggio dov'egli era stato allevato; ma ora in faccia
all'evidenza delle prove dei suoi delitti, ond'egli era schiacciato, a
che cosa serviva tutto questo? A un bel nulla; tanto che egli,
l'accusato, non aveva detto pur una parola di ciò, e rinchiusosi in un
assoluto silenzio, non aveva voluto rispondere pur una parola alle
mossegli interrogazioni, per quante minaccie o lusinghe glie ne venisser
fatte.
Ma la povera Margherita, che ne sapeva ella di tutto ciò? Aveva promesso
al suo Giannino di dir così. Credeva salvarlo così facendo, e lo faceva
anche colla paura, anche colla certezza di dannarsi l'anima per lo
spergiuro.
Ad un punto il buon Don Venanzio, che ebbe pietà delle angoscie di
quella infelice, disse:
— Può esser benissimo che tutto ciò ch'essa dice sia vero, ed io non ne
abbia mai saputo nulla..... Io ho sempre stimato questa donna incapace
di affermare, e tanto più con giuramento, una cosa che non sia.
— Bene! disse il giudice istruttore: avete già giurato che quello che
dite voi è la verità. Non dovete avere difficoltà di sorta a ripetere
questo giuramento adesso in presenza del vostro parroco.
La vecchia tentò schermirsene. Tremava tutta. Guardava intorno
spaventata, come per cercare un buco dove nascondersi, o meglio, come
timorosa di vedere saltar fuori Satanasso in persona ad acciuffarla.
Pronunziare un falso giuramento in faccia al suo pastore! in faccia a
quel sant'uomo!... Ma pure si trattava del suo figliuolo!... Si fece
forza: provò a stento di levar la mano per metterla sul Vangelo, ma non
ci valse: il braccio le cadde, un gemito che pareva un singhiozzo uscì
dal suo petto dove parve si rompesse qualche cosa, ed ella si lasciò
cascare in ginocchio per terra mezzo svenuta, balbettando:
— Non posso, non posso... Mio Dio! non posso.
Il giudice si drizzò con mossa solenne, e con voce e parola più solenni
ancora, fece alla meschina prostrata a terra una filippica violenta, in
cui, oltre la vendetta divina, minacciò la collera di quella umana da
tradursi in manette, carcere, processo e galera.
La infelice gemeva miseramente, la faccia contro terra, annientata,
schiacciata sotto il peso della propria colpa e sotto quello più grave
ancora del pensiero ch'ella perdeva Gian-Luigi.
Don Venanzio le si fece presso per sollevarla e confortarla di alcune
parole.
— La lasci stare: disse severamente il giudice. Questa mostra di
pentimento possa essere sincera e disporne l'animo alla rivelazione di
tutta la verità. Ella se ne vada, signor parroco; è libero: questa donna
dovrà essere trattenuta in carcere.
Il vecchio sacerdote, commosso, addoloratissimo, disse non molte parole
in difesa della disgraziata: ma le disse con tanto sentimento e calore,
ma la sua canizie, l'aria sua di solenne virtù loro davano tanta
efficacia, che il giudice ne fu tocco, e con accento molto più umano e
cortese soggiunse:
— Credo a quanto Ella mi dice, reverendo; credo che c'è più ignoranza
che malizia in questa poveretta... ed userò per lei i maggiori possibili
riguardi. Ma bisogna assolutamente ch'io la esamini ancora di meglio, e
la prego a volersi ritirare.
Don Venanzio uscì, non senza inquietudine sulla sorte della Margherita e
si pose a passeggiare nella strada innanzi alla porta del tribunale,
attendendo il risultamento dell'interrogatorio.
— Alzatevi: disse il giudice alla vecchia.
Margherita gemeva e singhiozzava sempre nella medesima postura; e, sia
che non udisse o non avesse forza da ubbidire, non si mosse.
— Fate il piacere, soggiunse il giudice, parlando al segretario che era
lì per iscrivere il verbale: alzatela voi.
Il segretario venne di mala voglia presso ella giacente, e come quegli a
cui non garbava di molto toccare e brancicare i luridi e stracciati
panni onde ella era vestita, la scosse bruscamente ad una spalla,
dicendole con voce graziosa come era l'atto:
— Or via, alzatevi, su, e non ci fate perder la pazienza.
La vecchia parve non darsene per intesa.
Allora il segretario la prese sotto le ascelle, e con quel garbo che vi
potete immaginare, la tirò su, e siccome ella vacillava sulle gambe mal
ferme, la gittò a sedere sur una seggiola che era lì presso.
In questo movimento un oggetto pesante cadde per terra, mandando un
suono metallico; il segretario lo raccolse e lo porse al giudice: era un
rotolo di napoleoni da far la somma di mille lire: quello che Gian-Luigi
aveva mandato alla povera donna per mezzo di Don Venanzio. Margherita,
da quando lo aveva ricevuto, lo aveva sempre portato con sè, come una
memoria del suo diletto: venuta ora a Torino, tanto più lo aveva seco
recato nella speranza di potere spendere quella somma in benefizio del
suo diletto.
Nel suo precipitare a terra, nell'essere scrollata dal segretario, il
rotolino le era uscito del seno ed era caduto sul pavimento.
Ma la vista di quell'oro cambiò del tutto le disposizioni d'animo del
giudice cui le parole di Don Venanzio avevano reso piuttosto benigno
alla misera vecchierella. Come spiegare il possesso di tal somma presso
quella povera donna così stracciata negli abiti e che si sapeva vivere
al villaggio elemosinando? Ella, interrogata, non tacque che quell'oro
le veniva da Gian-Luigi e fu creduto il prezzo pagatole per la sua falsa
testimonianza e per cooperare all'evasione. Margherita fu condotta alle
carceri.
Quando ciò seppe Don Venanzio pensò subito ricorrere alla valida
protezione del marchese di Baldissero, e giunto al palazzo avrebbe tosto
domandato d'essere ammesso alla presenza dell'autorevole personaggio, se
un domestico non lo avesse avvisato che Maurilio era molto impaziente di
vederlo e già aveva mandato due volte a cercare di lui.
Il parroco, prima di recarsi dal marchese, volle sapere che cosa avesse
il giovane malato che dal giorno prima soltanto era tornato in
cognizione di sè.
Maurilio quella mattina, come ogni altra dacchè giaceva infermo, era
stato visitato dai suoi amici, Romualdo, Selva e Vanardi, i quali molto
si rallegrarono trovandolo di nuovo conscio di se stesso, e colla mente
non meno vivace, pronta, potente di quello che fosse prima. Benchè il
poveretto avesse avuto questo deplorabile miglioramento di tornare alla
coscienza di sè, dei suoi dolori, delle sue sciagure, aveva però
tuttavia un ardor febbrile negli occhi, un'irrequieta agitazione nelle
membra stanche da parergliene rotte e peste, onde bene appariva che per
essere cessato il delirio, non era punto sminuito di gran cosa il male.
I suoi amici vollero rimanersi in silenzio presso di lui, e gli dissero
tacesse egli pure perchè non si stancasse ad udire e parlare; ma egli
aveva troppo desiderio di interrogare e di sapere di tal cosa, intorno a
cui tutta notte s'era aggirato con tormentosa insistenza il suo
pensiero. Voleva che gli amici suoi cercassero di Gian-Luigi, lo
conducessero al suo letto quanto più presto fosse possibile; voleva che
dalle sue labbra il suo compagno d'infanzia apprendesse la ventura che
gli capitava, ventura ch'egli aveva quasi rimorso d'avergli per un poco
momentaneamente rubato, e che si assegnava come una specie d'espiazione
di tosto comunicargli.
Quando udirono espresso da Maurilio questo desiderio di vedere il dottor
Quercia, gli amici si guardarono in viso alquanto imbarazzati, non
sapendo se convenisse dire all'infermo la verità o tacerla; ma
insistendo egli, nè conoscendo essi quali attinenze corressero fra il
loro compagno e il capo della _cocca_, non credettero ci fosse pericolo,
nè inconveniente alcuno a dirgli come stessero le cose in realtà.
Narrarono dunque sommariamente e la scoperta del segreto covo di quella
banda, che da più tempo era il terrore della città, e l'arresto di
Quercia come capo della medesima, e di tutti i principali componenti
della scellerata congrega.
Queste novelle, com'è facile immaginarsi, fecero una grandissima
impressione in Maurilio. La sua pena, il suo rammarico, il dolersene
furono tutti per Gian-Luigi; pensò che se prima fosse stato scoperto il
segreto della nascita di lui, avrebbe egli evitato quell'infelice e
vergognoso destino; pensò al cordoglio che doveva provarne il marchese,
pensò eziandio a Virginia che non avrebbe forse potuto ignorare quello
essere suo fratello. Ma poi il pensiero d'una sventura più personale e
quindi una più tormentosa ansia lo assalsero. Gli era stato detto che
fra i soci di quella banda si contavano ed erano stati presi i più noti
e tremendi malfattori; si volse a Selva e domandò se di questo novero
era un certo Michele Luponi detto _Stracciaferro_.
— Sicuro! gli fu risposto: una specie d'animalaccio bruto, forte come un
toro, crudele come una tigre. È uno dei più scellerati e dei più
terribili. Prima di poter essere preso accoppò una mezza dozzina di
guardie. La forca, quel mostro l'ha meritata non una, ma un centinaio di
volte.
Maurilio abbandonò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. Se avesse
potuto diventar più scialba la sua faccia di color cadaverico, avrebbe
impallidito. Non disse una parola, non fece un atto, ma nei muscoli del
viso, intorno alla bocca, avvenne una lieve contrazione che era
l'effetto d'uno spasimo interno inesprimibile. Quel mostro era suo
padre! Pensò tosto di contar tutto a Don Venanzio, di cercare nelle
confidenze a quel sant'uomo un sollievo, nelle ispirazioni di
quell'anima onesta un consiglio; epperò, aspettatolo con impazienza,
quando il vecchio sacerdote fu venuto, lo accolse colla vivacità d'un
desiderio soddisfatto che pareva una speranza, che pareva quasi una
gioia, e volle tosto esser solo con lui.
Gli disse ogni cosa. Don Venanzio, esterrefatto, meravigliato,
sgomentito da questo fatale garbuglio di casi, impallidito e tremante
per emozione, levò le palme al cielo ed esclamò col fervore del
credente:
— Oh divina Provvidenza! Oh imperscrutabili vie del Signore! Riconosco
la tua mano potente, supremo Iddio! Dio della pietà, ma Dio pure della
giustizia! Dio che perdona chi si pente, ma che colpiste cogli effetti
della stessa sua opera scellerata il reo. Nariccia abbandonando il
fanciullo, creò col suo delitto un assassino, e quest'assassino fu a
dargli morte. Un orribil delitto punì un delitto infame. Curviamoci ed
adoriamo!...
— Che cosa si deve fare? domandò Maurilio palpitando.
Il vecchio prete nascose fra le mani la sua faccia turbata, e stette un
istante in silenzio.
— Pregare che Iddio ci ispiri: disse poi levando al cielo i suoi occhi
umidi di pianto. Pregare che Iddio si plachi!... La giustizia umana è
uno stromento anch'essa di quella divina... uno stromento molte volte
inefficace od anche fallace, ma conviene rispettarlo e sottoporvisi.
Dietro lei c'è la mano onnipossente del Signore dei mondi.
Gli occhi febbrili di Maurilio lampeggiarono più vivamente.
— Mio padre, io voglio vederlo: disse. Voglio conoscere quell'organismo
umano imbestialito, in fondo al quale è soffocata o sonnecchia l'anima,
soggiogata dagl'istinti della materia. Chi sa che da quello sciagurato
letargo io non la possa tuttavia destare! Chi sa che da quella rupe, io
non possa, percotendo, sprigionare ancora una scintilla! Da tanti anni
ladro ed assassino!... O cielo! o cielo!... Ed ebbe pure un'infanzia! Ed
ebbe forse desiderio e bisogno di miti affetti e impulsi generosi, ed
aspirazioni al bene!.... Li ho pur io, che sono suo figlio.... E la
sventura gli ha col dolore e coll'ira offuscata la mente; e la società
l'ha colle sue crudeli ingiustizie corrotto. Lo so ben io che sono
passato per la trafila della miseria!.... Quanti scellerati questa non
crea!.... La va a cercarli nelle schiere della plebe e di complicità
coll'ignoranza li getta in braccio al vizio, li educa con infame amore
al delitto. Miseria! Miseria... Una società che non combatte questo
umano flagello con tutti i mezzi che le si possono parare è risponsabile
essa stessa del male che nel suo seno si compie..... Che cosa ha pei
poveri questa moderna accozzaglia d'uomini che noi crediamo regolata da
leggi civili? La Chiesa da una parte che loro addita un tardo compenso
alle miserie della vita presente in una indefinita felicità quasi
impossibile ad arrivarsi in una vita avvenire, il carnefice e il codice
penale dall'altra parte che colpiscono troppo spesso alla cieca. Punire!
Va benissimo. È forse un diritto che ha la società; ma perchè non si
pensa al dovere sacrosanto che le incombe di prevenire? E noi questa la
chiamiamo civiltà?.... Verrà un tempo, ed io voglio sperarlo, in cui
questa nostra epoca sembrerà ai posteri progrediti altrettanto barbara
quanto sembra a noi quella feudale, quella del predominio della forza
bruta.
Don Venanzio vedendo l'esaltazione assalire il malato e crescere via
via, lo volle interrompere e indurre alla calma: il giovane gli si
rivolse con maggiori l'impeto ed il calore.
— E la vostra religione che fa ella in proposito? Nulla che valga, od
ascetica inculca un rinunciamento ai beni del mondo, impossibile alla
natura umana, fuori che a qualche morbosa eccezione, e che se si
propagasse, sarebbe distruttore d'ogni coltura, d'ogni progresso, d'ogni
ricchezza, val quanto dire d'ogni società; o complice, benedice ai
ricchi e li esime dai loro doveri verso i miseri; o timida,
inintelligente soccorritrice di questi ultimi, non sa trovar rimedio che
nell'antieconomica virtù dell'elemosina che umilia e fa sottomesso chi
la riceve, che si converte in fin dei conti in premio dell'ozio e in
incoraggiamento all'impostura.....
— Tranquillizzati, non ti affaticare con questi, per ora troppo gravi
pensieri, la mente: disse con pietoso accento il parroco. Più tardi
potrei teco discorrere anche di ciò, dirizzare colle deboli forze della
mia intelligenza le storte idee che tu hai in proposito, mostrarti
quanto conferirebbe al miglioramento sociale la nostra santa religione,
se fosse ben intesa ed applicata da tutti..... Ma ora non è occasione
opportuna da ciò. Sta in quiete.....
— In quiete! disse l'infelice sobbalzando in letto sotto un evidente
ripigliare della sua febbre. Com'è possibile? Mio padre è un
assassino..... E sta per essere condannato a morte..... Ha ucciso e lo
uccideranno, lui..... Sempre la legge del taglione!... Il sangue ch'egli
ha sparso ed il suo che spargeranno devono ricadere su di me... Già lo
sento... Già mi piomba addosso l'eredità del delitto e dell'infamia.
Si diede ad agitarsi nel letto con moti convulsi; il prete spaventato
corse alla porta per domandare i domestici venissero in suo soccorso a
contenere lo spasimante; ma una gentile, pietosa apparizione si mostrò
ai suoi occhi. Era Virginia che veniva ella medesima a saper novelle del
malato. Aveva appreso che questi non era suo fratello, ma la pietà del
suo cuore non consentiva ch'ella per ciò di botto cessasse
dall'interessarsi e sentì compassione per lui. L'amore medesimo, quasi
complemento delle egregie facoltà di quell'anima eletta, l'amore che la
fanciulla aveva in cuore la rendeva ancora più facile ed inchinevole ai
generosi sentimenti, alle pietose ispirazioni, al desiderio di recar
bene a chi più potesse. Le disordinate parole dal misero a lei dette
parecchi giorni prima, quando la sua infermità lo aveva assalito, ella
aveva perdonate, aveva attribuite al delirio soltanto, aveva quasi del
tutto obliate. Udito la buona novella che dalla sera innanzi Maurilio
era tornato in possesso della sua cognizione, ella veniva a
rallegrarsene, a fargliene coraggio con una sua parola, colla sua
presenza, prova irrefragabile d'un generoso interessamento. Quella
stessa mattina inoltre ella aveva compita l'opera pietosa di visitarlo,
verso un altro infermo, Francesco Benda, e riferirò fra poco i modi, e
le circostanze, e gli effetti di quella sua visita alla disgraziata
famiglia, della quale sarà questa appunto un'occasione per dire le
novelle; ed all'anima sua così squisitamente dilicata parve un dovere
quella medesima pietà che l'amore l'aveva spinta ad usare verso
Francesco, usarla eziandio verso l'infelice che dolorava sotto il
medesimo tetto da lei abitato, le sembrò che così legittimasse quasi
quella sua visita all'officina Benda, alla quale aveva dato per pretesto
soltanto il desiderio di vedere e confortare l'amica compagna
d'educandato e la novella amica, l'infelice Maria.
Quando il vecchio parroco si vide dinanzi la bella persona della nobile
donzella, giunse le mani come per pregare, in atto che gli era abituale
ogni qual volta una profonda commozione lo possedesse, ed esclamò:
— Misericordia! Ho paura che sia da capo col delirio, questo poveretto,
e che ci siamo rallegrati troppo presto.
La fanciulla entrò più ratta, come sollecitata da queste parole, e venne
risoluta presso il giacente.
All'intelligenza di Maurilio avveniva come al sole in quelle giornate di
primavera, in cui le nubi grosse e scure, ma interrotte, passeggiano pel
cielo e ad intervalli passano davanti all'astro di splendore e ne
offuscano i raggi, spandendo una mesta e cupa oscurità su tutta la
natura; e ad un tratto poi ne lasciano giunger libera alla terra la
luce, che pare ancor più viva, più brillante, più calda. Egli sentiva a
quando a quando salirgli al cervello una vera nube, come un ammasso di
vapori sanguigni, che tutta gli ottenebrava la mente; in mezzo a questi
vapori scorgeva immagini inesprimibili di cose tanto strane che erano
impossibili, forme e sembianze che non appartenevano alla creazione
terrena, e gli pareva come se dal fondo di quella tenebra uscisse una
granfia che afferrasse la sua ragione nel suo cervello e la tirasse a sè
facendola distendersi come un filo sempre più sottile, che non tenesse
più che per un picciol capo alle meningi della sua cavità cerebrale, e
l'avvolgesse, questo filo, nel labirinto di quelle forme mostruose della
notte tanto da perdercelo; poi ad un tratto, la nebbia vaporosa spariva,
il filo sfuggiva alla mano misteriosa, che si affondava nell'ombra, e
per gioco di elasticità ritornava a raggomitolarsi tutto nella sostanza
grigia del suo cervello; la intelligenza lucida, potente, maggiore che
nelle condizioni ordinarie della sua vita, brillava al di sopra della
pienamente riacquistata coscienza.
La vista della fanciulla parve fare più splendida che mai in Maurilio
questa luce d'intelletto. Vide più chiaro, più lontano e più giusto;
comprese con ambito più vasto le varie manifestazioni del vero, conobbe
meglio in sè e fuori di sè; dietro gli adombramenti delle forme discernè
la sostanza; capì la ragione e l'idea degli uomini e dei fatti; giudicò
e seppe.
Il suo volto, in cui le grossolane sembianze dell'uomo inferiore della
plebe erano pure animate dal tocco divino del Prometeo che è l'ingegno,
s'illuminò d'un barlume ineffabile, come brulla montagna del carezzevole
raggio rosato dell'aurora; nel suo pallore di cadavere, il fronte parve
divenuto fosforescente come diamante impregnato di luce solare, gli
occhi ebbero lo sguardo d'aquila del genio, le labbra il sorriso dei
beati; la sua bruttezza si trasfigurò in un'espressione di sovrumano
idealismo.
Virginia! esclamò egli con voce che aveva essa pure una nuova e
straordinaria melodia, che era un grido dell'anima, che pareva la
suprema aspirazione d'un morente: con quella voce con cui Goethe
all'agonia domandava la luce; poi chiuse gli occhi, volendo sottrarsi
alla troppa e troppo acuta dolcezza di quella visione di bellezza
divina, volendo fare che dalla retina degli occhi s'imprimesse
nell'intima compage del cervello l'immagine di quella testa angelica
dall'aureola delle chiome d'oro, tutto leggiadria, benignità e
splendore.
— Gran Dio! esclamò la donzella curvandosi sul giacente: egli è svenuto.
Maurilio bevve colle orecchie l'armonia di queste parole, rialzò le
ciglia a berne cogli occhi assetati la dolcezza dello sguardo pietoso
che cadeva su di lui, come si berrebbe una manna celeste.
— No, diss'egli: ben vorrei esser morto in quest'istante, ma è troppo
lieta fortuna perchè mi sia concessa.
Fece scorrere il suo sguardo animato da Virginia a Don Venanzio che lo
stavan mirando con interesse.
— Non temete di nulla... Sento, so che ho ancora da compire qualche cosa
su questa terra, prima d'abbandonarla... Qualche cosa di ignorato, che
non troverà eco nessuna nei rumori del mondo; ma che pure, non sarà
forse men grande delle opere famose di glorificati eroi... Far felice
alcuno, fare che risplenda a menti offuscate il vero, non è forse opera
di missione divina?... Ed io farò felice voi, o Virginia; ed io devo
scioglier dai ceppi delle passioni della materia due anime... Non morirò
dunque ancora... Mi rialzerò di qua, non dubitate, per abbandonare
questo miserabile ed odiato involucro, allora soltanto, quando avrò
compito il mio ufficio... Ah! non sarà questo la superba missione che ho
sognato un istante, quando parve il destino volermi porre in mano la
potenza... Che importa? Nessuno ha diritto di lamentarsi della sua
sorte; perchè, come saprebbe egli a quali precedenti di vite anteriori e
d'altri mondi corrisponde la sua attuale esistenza?... Se io non sarò
passato disutile affatto; se le mie sofferenze avranno portato per
frutto una sola ombra di vantaggio, un sol momento di bene ad un mio
simile, sarò pago abbastanza, sarà spiegata abbastanza anche alla corta
vista del mio scontento egoismo, la ragione di questa breve vicenda
nella mia vita immortale.
Parlava calmo, pacato, lento; ma con una vibrazione contenuta di voce
che rivelava un'energia interiore, con una certa solennità che imponeva,
quasi come un'autorevolezza. Virginia sentiva la sua compassione far
luogo ad un sentimento poco meno che di deferenza e di rispetto; Don
Venanzio insieme alla tenerezza ed all'ammirazione che gl'ispiravano i
concetti del suo pupillo, provava un sentimento di dolore, perchè
comprendeva che in quella superiorità morale ed intellettiva più
chiaramente manifestantesi, in quella profetica rassegnazione, era
l'effetto della mano della morte che già aveva tocco quell'organismo,
che lasciava penetrare a quello spirito incarnato un guizzo della luce
stessa dell'infinito.
Maurilio si rivolse al domestico, che stava appiè del letto ad aspettare
gli ordini, e gli disse con accento di dolce preghiera:
— Fatemi il piacere, tiratemi un pocolino più in su.