La plebe, parte IV - 36

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tornava più fiero, più penoso, più dissensato il delirio.
Giovanni Selva, Romualdo, Vanardi, saputo dello stato del loro amico,
chiesero ed ottennero di venirgli prestar le loro cure, come avevano già
fatto nella precedente identica malattia, quando essi l'avevano
primamente ospitato.
Più tardi ci furono eziandio Don Venanzio e la vecchia Margherita, la
nutrice di Gian-Luigi. Il parroco era corso a Torino, tutto stravolto e
sconsolato dalle due bruttissime novelle: l'arresto di Gian-Luigi e la
malattia mortale di Maurilio; la Margherita, udito con indicibile
angoscia quello che era avvenuto a colui ch'essa aveva nutrito col suo
latte, cui amava più d'un figliuolo, aveva voluto accorrere alla
capitale, come se la sua presenza lo potesse difendere, lo potesse
aiutare; e seco aveva recate ancora intatte le mille lire statele date
poco tempo prima dal _medichino_. Tanto a lei, quanto al parroco,
l'autorità giudiziaria aveva intimato comparir come testimoni nel
processo che con sollecitudine straordinaria si veniva istruendo contro
di Quercia.


CAPITOLO XXV.

La mattina del giorno che successe a quello in cui il _medichino_ venne
arrestato, il conte Langosco entrò senza farsi annunziare nella camera
da letto di sua moglie alle ore dieci, che sono per quella gente, in
tale stagione, come l'ora dell'alba pei poveri operai.
Candida aveva passata una notte infernale, in cui lo spasimo dell'anima
aveva mantenuta vigorosa la febbre del corpo; sulla sua bellezza e sulla
sua gioventù erano passati nel giro di dodici ore due lustri ed avevano
stampata la loro impronta nell'incavamento delle occhiaie, nella
carnagione che aveva perduta la freschezza ed era diventata floscia,
nelle finissime rughe che le si erano disegnate come raggi divergenti
dall'angolo esterno degli occhi alle tempia. Certo mai colpa di donna
violatrice del suo giuramento di fedeltà coniugale non fu punita con più
crudeli tormenti, coll'angoscia di più vive paure, di più profonda
vergogna; ned ella poteva dirsi aver già tutto pagato il suo fio, essere
andata al fondo della coppa di dolore, e non poterle piombar più
sull'anima spasimi e sgomenti ed ansietà ed onta maggiori. Nell'orribile
insonnia di quella notte, la sua anima era passata per tutti gli stadi
della disperazione, dalla violenza dissensata al torpido abbandono
dell'abbattimento; ne aveva pensato ogni fatta spedienti, dal coraggio
della dissimulazione alla fuga, dal pentimento in un chiostro al
suicidio. E ciò che era un aggravamento delle sue triste condizioni
morali si è che quell'empio amore appiccatosele a tutto l'essere, come
alle membra di Alcide la camicia di Nesso; quell'empio amore continuava
in lei torbido, fiero, violento, scellerato, a dispetto della vergogna,
del rimorso, d'un sentimento inesprimibile di rabbia impotente e
selvaggia. Tutto le inaspriva la sanguinante piaga; e quello che aveva
nel pensiero e quello che aveva intorno a sè. Ogni oggetto che vedeva in
quella camera le ricordava un momento della presenza, una mossa, una
parola di colui che era penetrato profanatore in quel santuario della
fede coniugale: la cameriera che era rimasta l'ultima a disporre il
lumicino per la notte, cui essa aveva comandato testè d'allontanarsi, le
stava come un'incarnazione vivente di certi ricordi per cui la doveva
arrossire; l'aspetto e la parola di Zoe le rimanevano presenti come la
mitologica persecuzione d'una furia vendicatrice; aveva infisso nel
cervello lo sguardo freddamente implacabile del marito. Al pensiero di
rivedere costui raccapricciava: le pareva che meno tremendo le sarebbe
stato sopportare lo sguardo del Giudice Supremo: in questo almeno colla
giustizia avrebbe trovato pietà; nell'anima del conte, devastata come il
suo cranio ingiallito, come il suo volto scarnato, sapeva che di pietà
non ne avrebbe potuto trovare. E in mezzo a tutto ciò l'assalivano di
quando in quando con un'aspra voluttà inenarrabile soavi rimembranze di
certi momenti, di certe parole di lui, di certi delirii, di acuti
diletti della passione e della colpa.
Quando vide entrare il marito nella sua camera, chiuse gli occhi come
per allontanare un momento almeno l'urto penoso dello sguardo di lui: il
suo respiro affannato diceva quanto il cuore le battesse. Il conte le si
avvicinò lentamente, fissandola fino dalla porta col suo vivace occhio
da vipera. La fante, che era presente, ebbe compassione della sua
padrona, e mettendosi innanzi al conte, gli disse con voce sommessa:
— La riposa un momentino....
Langosco non la lasciò continuare: la fece ammutolire con un freddo
sguardo, che fu più eloquente d'ogni parola, e colla destra la trasse in
là per passare.
— Vedo con piacere, diss'egli quando fu alla sponda del letto, che voi
state molto meglio.
Candida aprì gli occhi, ma non li volse verso il marito, sibbene al
soffitto, come per protestare tacitamente contro quell'affermazione.
Ella si sentiva tanto male che le pareva dover morire.
— Sì, _voi dovete_ star meglio: continuava il conte: lo giudico dal
vostro aspetto.
Si voltò verso la cameriera e le disse tranquillamente:
— Andate.
La donna non si fece ripetere il comando.
— Vi ho detto che _dovete_ star meglio: riprese il marito quando fu solo
colla contessa: avete capito? Tanto meglio, che questa sera si deve
assolutamente andare al concerto a Corte... Si deve assolutamente!...
Non vi vedrò più fino a questa sera. Siate pronta alle nove; avrò
l'onore di accompagnarvi... E voglio che sia così.
Pronunziò queste parole lentamente, senza minaccia, ma con espressione
d'irremovibile fermezza.
Candida non pensò neppure a ribellarsi; capì che il marito voleva
opporre alle ciarle della gente la presenza di sua moglie; pensò con
sommo desiderio fra sè: «Ah! se prima di questa sera potessi esser
morta!»
— Non fa bisogno ch'io vi dica, soggiunse il marito, che conto sul
vostro solito buon gusto nello sfarzo dell'acconciatura, e che
mostrerete alla malignità delle vostre amiche e dei miei nemici una
fronte serena ed un allegro sorriso. _Noblesse oblige_, madama!
La contessa non parlò: il marito prese quel silenzio come un
consentimento, qual era. Stette un istante, e poi disse col medesimo
accento di freddezza, quasi d'apatia:
— Quanto alle ulteriori determinazioni da prendersi fra di noi, non è
ancora il caso di parlarne. Quando saranno ricuperate quelle lettere e
rimediata così in parte la vostra imprudenza, vi farò conoscere i miei
propositi. Per ora, innanzi al mondo, dobbiamo essere più intimi e più
d'accordo che mai. Domando la vostra cooperazione per questa commedia.
Io saprò difendervi da ogni apparenza di oltraggio; sappiate voi
aiutarmi a sostenere la parte di marito che non ha nulla da
inquietarsi..... Entrando nel salone di Corte al mio braccio, questa
sera avrete una mossa di confidente abbandono e di tranquilla
sicurezza..... Tutte le donne sono abbastanza buone commedianti per
fingere: voi dovete essere più commediante di tutte le altre.
Uscì dopo questo sanguinoso oltraggio, com'era entrato, lento, calmo,
con un sogghigno d'insopportabile ironia.
La giornata fu lunga e corta per la infelice contessa. Si fece forza e
si alzò, affranta com'era e colla febbre nelle ossa. Stette quasi sempre
sdraiata sur una poltrona, affondata l'anima nel buio abisso d'una
disperazione muta e senza risoluzione. I soli momenti di pace che la
ebbe furono certi fugaci intorpidimenti dell'anima, in cui questa,
stanca di soffrire, era invasa da una specie d'oblio che tutto le
cancellava dalla mente: viveva così un minuto, quasi senza coscienza, e
in quel breve riposo dello spasimo la prendeva nuove forze per soffrir
di nuovo.
Alle sette ore si alzò e venne alla teletta a farsi adornare, ad
applicarsi sul volto la maschera, a studiare come far mentire gli occhi,
la fronte, il sorriso.
Alle nove in punto la cameriera venne a dirle:
— Il signor conte le fa sapere che l'aspetta nel salone.
In que' tempi, finito il carnevale cessava il grandioso spettacolo di
opera e ballo al teatro Regio; anzi di quaresima nissun teatro era
licenziato a stare aperto e chiamare il pubblico a divertimenti profani.
Regnavano assolutamente sulla noia dei cittadini i predicatori, di cui
uno per ogni chiesa chiamava tutti i giorni a pentirsi una folla di
donne eleganti che ci andavano per esser viste, e di giovani galanti che
ci accorrevano per vedere; e facevano solamente concorrenza a questo
magro spasso le _marionette_ e i burattini e qualche privato concerto.
La Corte in tutta la quaresima soleva darne due di concerti, ed era ad
uno di essi che, dietro il comando maritale, interveniva la contessa
Langosco di Staffarda quella tal sera, entrando, secondo il programma
stabilito, appoggiata al braccio del conte, nel gran salone delle
colonne al palazzo reale, dieci minuti prima che vi facessero la loro
apparizione i sovrani e la loro famiglia.
L'entrata del conte e della contessa fece una viva impressione generale:
tutti gli occhi si volsero verso di loro; le parole si fermarono sul
labbro dei conversanti; successe uno strano silenzio significante,
seguìto tosto da un susurro più significante ancora: erano in ciò tutta
la curiosità, tutto il maligno talento, tutta la malizia delle induzioni
di quel mostro gentilmente feroce che è il mondo elegante. Per Torino in
quel giorno non s'era parlato d'altro, in quelle stesse sontuosissime
sale, quella sera, non si parlava d'altro che della scoperta di quel
covo d'assassini, dell'arresto dei principali capi di quella banda, che
il pubblico era già avvezzo a temere sotto il nome della _cocca_, della
cattura, in qualità di comandante supremo di tale scellerata schiera, di
quel giovane elegante conosciuto da tutta la società più scelta col nome
di dottor Quercia. La meraviglia, lo sdegno, l'orrore, lo sgomento di
questa società che aveva accolto nel suo seno sì tremendo nemico erano
al colmo: si vendicava dell'inganno sofferto, dei corsi pericoli, della
temerità di quel miserabile coll'improperio e con voti sanguinarii degni
d'una paura non bene rassicurata. Si conoscevano da tutti le intime
attinenze della contessa di Staffarda coll'assassino mascherato da
zerbinotto seduttore, e il nome di lei entrava con quasi ugual
proporzione di quello di lui nella vivacità dei discorsi su questo
argomento. Lo sgomento comune e la vergogna della sofferta frode se la
pigliavano anche colla contessa, cui pure avrebbe bastato a non far
risparmiare la sola malignità della natura umana, acuita dallo
sfregamento sociale e rincalzata dall'invidia muliebre. Dal suo sesso la
misera aveva un'assoluta condanna inesorabile, senza beneficio di
circostanze attenuanti; e gli uomini non osavano neppure prenderne le
difese innanzi all'accanimento delle mogli e delle amanti. Langosco,
pratico della scena del mondo, aveva capito che c'era un mezzo solo, non
dico per trionfare di questa valanga di ciarle, ma porle freno e
costringerla a mettere la sordina al suo crescendo: e questo mezzo era
l'audacia. Ritirarsi innanzi ad essa era un volersi perdere: il nome non
sostenuto dalla presenza della persona in quella gara di pettegolezzi
era sicuro di rimanervi schiacciato; però aveva forzato la moglie a
comparire in quella guisa, ed aveva aspettato per esporsi al fuoco
incrociato degli sguardi e delle parole di quell'assemblea, il momento
più tardo che si potesse, quando il loro ingresso doveva produrre
maggior effetto.
Il conte Amedeo Filiberto Langosco di Staffarda in quel momento era un
bello ed interessante spettacolo a mirarsi da un pittore, da un poeta,
da un osservatore di costumi, da uno scrutatore di caratteri e studioso
della natura umana, poichè questi soltanto potevano capire la superba
grandezza del suo contegno, penetrare il potente significato
dell'espressione che aveva saputo dare al suo aspetto. Levato il capo,
eretto il collo, egli camminava più dritto che da lungo tempo non avesse
fatto mai; sotto il suo cranio d'avorio giallo, sulla cui lucida
superficie si rifletteva la luce dei doppieri, brillavano fieramente gli
occhi che giravano intorno con uno sguardo di calma disfida, pronti ad
accendersi al menomo urto d'un atto men rispettoso, d'un sogghigno; le
labbra aveva atteggiate a più serietà che non gli fosse abituale; e la
guisa con cui dava il braccio a sua moglie, era espressiva d'una
deferenza protettrice che indicava chiaramente una lieve mancanza di
riguardo a lei essere da lui considerata come un fattogli oltraggio, e
ne avrebbe a qualcheduno fatto scontare il fio. Il marchese di
Baldissero, che s'intendeva d'ogni nobiltà d'animo e d'ogni valore,
lasciò scorgere sulla sua bella fisionomia imponente quanto quel
contegno gli andasse a grado, e fu egli il primo a fare un cenno cortese
di saluto al conte, appena gli occhi di costui vennero ad incontrare i
suoi.
E la povera Candida? Chi le avesse visto nel cuore avrebbe giudicato che
il coraggio con cui ella s'avanzava, gaia e sorridente sotto il fuoco di
tutti quegli sguardi, portando la morte nell'anima, era assai maggiore
del coraggio di cui ha bisogno il guerriero che s'avanza contro il fuoco
nemico in battaglia. Per lei quella era diffatti una grande e decisiva
battaglia, nella quale un momento di esitazione, di debolezza, di
tremore le avrebbe dato una sconfitta da non ricattarsene mai più.
Quando ella s'era presentata nel salone dove stava aspettandola il
marito, questi, senza dirle una parola, le aveva rivolto un ratto
sguardo con cui l'aveva esaminata da capo a piedi, e vistala qual egli
la voleva, elegante, senza lagrime negli occhi, il belletto sulla
faccia, lo sbarbaglio de' diamanti sul capo, intorno al collo, sul seno,
fece un legger cenno approvatore ed additò l'uscio che conduceva alle
anticamere, come invitandola a passar prima. Traversarono
l'appartamento, scesero le scale, salirono in carrozza, percorsero la
strada senza che una parola nè uno sguardo più fosse fra loro scambiato.
Nel palazzo reale, al momento di varcare la soglia del gran salone detto
degli Svizzeri, la contessa si fermò come se le mancassero allora le
forze. Le gambe le tremavano, e la sentiva nelle orecchie un ronzìo
penoso. Il conte la guardò e le porse il braccio senza parlare; sotto
quell'occhiata tutto il corpo di lei ebbe un legger fremito; ma dopo
l'esitazione d'un attimo, ella passò la sua mano nella piegatura del
braccio del marito, e riprese il cammino. Entrando nelle sale,
percorrendo sotto una piova abbagliante di luce i reali appartamenti, in
mezzo ad una siepe di decorazioni, di uniformi civili e militari, di
ricami e spallini, di sciabole e spadine, Candida rimase calma in
apparenza e tranquilla, col suo sorriso che s'era stampato a forza sul
labbro; ma nell'affacciarsi al salone principale, dove non più la sola
curiosità degli uomini era da incontrarsi ma la malignità delle donne,
ricevendo di pieno nel petto e nella fronte la scarica di tutti quegli
sguardi, accolta da quel significativo silenzio e da quel susurro che
tosto gli tenne dietro, alla contessa vennero meno ad un tratto la
risolutezza ed il coraggio; il suo braccio si contrasse su quello del
conte, e vi pesò come per tenersi e sorreggersi, mentre fino allora,
appena era se l'aveva lievemente toccato; il ronzìo delle sue orecchie
s'accrebbe infinitamente, innanzi ai suoi occhi, che pure erano levati e
lucenti, passò una nebbia che le confuse alla vista tutte quelle faccie,
tutti quegli oggetti, tutto quello sbarbaglio. Langosco non le volse una
parola nè uno sguardo; il suo capo continuò a star dritto levato
incontro alle faccie dell'assemblea, i suoi occhi continuarono ad
incrociarsi cogli occhi di tutta quella turba elegante; ma strinse alla
persona il braccio della moglie con una pressione lenta e forte nello
stesso tempo che era un incoraggiamento, un conforto ed una promessa.
«Fate animo, diceva, son qui io a proteggervi, e non avete da
intimorirvi di nulla e di nessuno.»
Il cerimoniere di Corte venne a dividere moglie e marito, per allogarli
al posto che loro competeva rispettivamente secondo il loro grado nella
gerarchia cortigianesca; Candida si trovò in mezzo ad una schiera di
spalle nude e di gioielli preziosi di donne che avevano più quarti nel
blasone che bellezza sul volto e gioventù. Il suo sorriso si contrasse
un momento in sogghigno al vedere il freddo saluto con cui fu accolta;
una vecchia, che a saputa di tutti, aveva impiegata la giovinezza ad
esser l'amante di più alti personaggi, si volse con una certa
affettazione dall'altra parte, mormorando con piglio disdegnoso parole
che Candida non potè intendere, ma di cui era troppo facile capire il
significato. Ciò nulla meno la contessa tenne un fermo contegno: rispose
ai freddi ed orgogliosi saluti con saluti più freddi ancora e più
orgogliosi; stette colla sua bella testa eretta, come se sulla sua
fronte, insieme a quello de' diamanti, non avesse da portare il peso di
nessuna vergogna. Il conte trovò negli uomini, in mezzo ai quali era
penetrato, le medesime strette di mano che ci trovava tutte le altre
volte. Erano troppo ben educati que' semidei dal sangue azzurro; il
conte era troppo conosciuto come uomo da sapersi far portar rispetto,
perchè il menomo cambiamento apparisse nel loro trattare verso di lui:
nessuno non ebbe neppure il cattivo gusto di dimostrargli una
compassione od un interessamento ch'egli avrebbe trovato un'offesa.
Non si era ancora affatto calmata la leggera agitazione che in quelle
onde stagnanti di cortigiani aveva suscitato il sopraggiungere dei
coniugi Langosco, quando il batter de' piedi per terra del mastro di
cerimonie alla soglia dell'uscio che conduceva agli appartamenti della
famiglia reale, annunziò l'arrivo della Corte. Si fece un alto silenzio,
e l'attenzione di tutti fu rivolta a quella porta, da cui entravano gli
augusti personaggi, al suono della _fanfara_ reale che echeggiò ad un
tratto dalla tribuna dell'orchestra.
Si ascoltarono con un raccoglimento che si sarebbe potuto dir religioso
varii pezzi di musica strumentale e vocale eccellentemente eseguiti e di
eccellenti maestri. Ogni cortigiano guardando verso il trono dove sedeva
la pallida figura di re Carlo Alberto, aveva l'aspetto beato d'un Joghi
indiano che, a forza di contemplarsi la punta del naso, è giunto a
vedersi dischiuso innanzi l'infinito. In un intervallo, il Re sorse, e
dietro il suo esempio tutti, e come solea, Carlo Alberto percorse
lentamente il salone, facendo orgogliosa e felice ora questa ora quella
delle dame, or questo or quello dei petti ornati di croci, col dire
poche parole, regalare uno de' suoi gelati sorrisi e passare. Fu notato
che il Re non favorì nè d'una parola nè d'uno sguardo la contessa di
Staffarda, quantunque fosse una delle più belle e delle più eleganti, e
quindi chiamasse meglio delle altre l'attenzione. Il contegno delle dame
a lei vicine, il quale fino allora era stato freddo, divenne decisamente
ostile. Ma questo sotto un certo rispetto riuscì a giovamento di
Candida, perchè l'irritazione dello sdegno che in lei ne nacque, valse a
ridarle quelle forze che venivano scemando e per la passione dell'animo
e pel malessere fisico, cui le cagionava la febbre ogni minuto
crescente.
— Hai udito, marchesa: disse dietro Candida una baronessa, magra come
un'acciuga, che faceva uscire spudoratamente dalla scollacciatura della
veste le ossa di due spalle da scheletro: quel famoso Quercia che era
capo di una banda di assassini, si vuole che fosse nelle buone grazie
d'una signora _comme-il-faut_.
— _Comme-il-faut_, no certo: rispose la marchesa con una voce che
rassomigliava a un sibilo di serpe. Una donna ammodo non avrebbe mai
ricevuto un simile individuo.
La contessa Langosco si voltò e guardò bene in faccia l'una e l'altra di
quelle due donne.
— Io l'ho ricevuto: disse fermamente: e le assicuro, signora marchesa,
che quel tale aveva portamento e maniere da ingannare qualunque, anche
lei; ed anche lei, signora baronessa, soggiunse volgendosi a
quest'ultima che smorfiva altezzosamente. Chicchessia l'avrebbe
scambiato per un addetto di ambasciata o per un ufficiale di dragoni...
in borghese.
Tutti sapevano che quella marchesa aveva una tresca con un addetto
dell'ambasciata austriaca, e che quella baronessa osteologica pagava i
debiti ad un giovane ufficiale di cavalleria, che ne approfittava per
farne a rotta di collo.
Se gli sguardi fossero lame di pugnale, la contessa Langosco sarebbe
caduta all'istante al suolo trafitta da parte a parte, sì niquitose
furono le occhiate che quelle dame le slanciarono; ma le labbra però
continuavano a sorridere.
— Eh via! disse la baronessa: la nascita e il sangue non si possono
simulare, e bisogna noi stessi _ne pas avoir de naissance_, ed essere di
sangue _roturier_ per lasciarcisi ingannare.
Candida tacque; aveva una smania feroce di gettare sul magro volto
impiastricciato di quella Venere anatomica una parola oltraggiosa come
uno schiaffo; ma lo spavento delle conseguenze che avrebbe potuto avere
uno scandalo riuscì a frenarla. Strinse siffattamente colle mani
convulse il suo ventaglio di madreperla che lo ruppe; seguitò a
sorridere colle labbra, a cui la cosmetica pomata di carminio dava il
colore della salute e della gioia; rispose con un'occhiata civettesca ai
ditirambi che le indirizzavano gli sguardi dell'ufficialetto della
baronessa, il quale col pretesto di vagheggiare la pagatrice dei suoi
debiti, ammirava con espressione di vivo desiderio la bellezza della
contessa Candida.
Ma in mezzo a tutta quella folla c'era una persona, che indovinava in
parte le strette dell'anima di questa povera donna, che sotto il
belletto delle guancie di lei scorgevane la pallidezza morbosa, che
dietro il sorriso avvertiva lo spasimo soffocato: e questa persona era
il padre di Candida, il barone La Cappa. Approfittò egli di quel
rompersi degli ordini che produsse il moversi del Re, e si accostò alla
figliuola.
— Tu hai qualche cosa, Candida: le disse sotto voce.
La contessa si attaccò al braccio paterno come un naufrago s'appiglia al
remo, che gli venga porto.
— Dàmmi il tuo braccio, _papà_: diss'ella; e conducimi fuori da questo
salone. Ci ho troppo caldo, soffoco, ho bisogno d'un po' d'aria.
Si allontanò sorreggendosi a suo padre, seguìta dagli sguardi e dagli
ammicchi delle dame che le eran vicino; trasse il barone fino in un
angolo di una sala in cui era minore la gente, e buttatasi sopra un
divano, si fece sedervi presso il suo compagno.
— Che ho? diss'ella allora rispondendo alla domanda che le aveva fatta
nel salone suo padre. Ho che sono la più sventurata donna del mondo e
che vorrei esser morta.
Queste parole furono pronunciate con accento disperato e con voce piena
di pianto; ma in quella, Candida vide parecchi sguardi fissi sopra di
lei ad osservarla, ed ebbe la forza di piegar di nuovo i muscoli della
sua faccia a quel sorriso che l'aveva stanca sino allora più che non
qualsiasi fatica di corpo.
— Misericordia! esclamò il barone spaventato, giungendo le mani con atto
d'infinito dolore.
Ma la figliuola, sempre con quella maschera di letizia sul volto, gli
pose una mano sul braccio e gli disse sotto voce:
— Piano, frenati, abbi l'aria tranquilla e contenta. Qui dentro bisogna
nasconder tutto e finger tutto. Sorridi come vedi sorrider me. Guarda
come ci osservano con avida curiosità!
Il barone girò intorno lo sguardo stupito di uomo che non capisce, e
ripetè la sua interrogazione:
— Ma che cosa dunque succede, in nome di Dio?
E la contessa, curvandosi sulla spalla di lui e parlandogli
all'orecchio:
— Tu hai voluto farmi felice, padre mio; mi hai data la ricchezza; mi
hai dato col marito un illustre blasone (sorrise amaramente nel dire
queste ultime parole); ebbene tutto questo non basta. Non sai tu che di
questi giorni ho invidiato la sorte di tutte le altre donne, ho
desiderato cambiare la mia in quella d'una povera operaia?
Il degno barone guardava la sua figliuola come si guarda uno che ad un
tratto si metta a spacciare le maggiori follie del mondo, e non sapeva
che risposta fare. La figliuola continuava dopo una brevissima pausa ed
abbassando ancora di più la voce:
— Non hai tu udito questa sera, qui stesso, in questi crocchi eleganti,
infamare la tua figliuola?
Anatolio La Cappa si atteggiò della persona con tutta l'imponenza degna
d'un _Intendente generale_, della qual carica, insieme colla pensione di
ritiro, aveva titolo e grado, e fece colla sua superba mossa tintinnire
fieramente i ciondoli e i gingilli delle decorazioni che gli coprivano
il petto del suo abito a spada, ricamato d'oro al goletto e ai paramani.
— _Corbleu_! esclamò egli con tutta la bravura che potrebbe avere il
discendente da un eroe delle crociate. Avrei voluto vedere anche questa!
Infamare la mia figliuola? Ma a chi fosse tanto temerario la farei ben
io pagare cara e salata..... con un buon processo.
— No, padre mio: disse scoraggiatamente Candida scuotendo la testa. Un
processo sarebbe peggio.
— Hai ragione. Che processo? Contro siffatta canaglia... perchè chi si
permettesse una cosa simile, non potrebbe essere che canaglia... contro
codesta gente c'è di meglio da fare che non un processo. Ho ancora
abbastanza aderenti in alti luoghi... che? Ricorrerei, se bisognasse, a
S. M. medesima che non ha obliato il suo antico, fedel servitore, e me
ne ha dato una prova testè ancora col modo onde mi ha salutato... e quel
miserabile lo farei ricoverare a Fenestrelle o mandare in Sardegna,
perchè meditasse _à loisir_ sui pericoli di perdere il rispetto a chi va
rispettato.
— Nè anche questo non si può fare: riprese la contessa, scuotendo
nuovamente la testa. Chi si compiace di straziare la mia fama è più
potente di noi, ha più aderenze di noi, è più presso a S. M. di noi...
— Tu scherzi: interruppe il barone scandolezzato. I Langosco di
Staffarda accompagnarono il conte Verde nella sua spedizione in
Oriente....
— Ma noi non siamo che La Cappa.
— _Palsambleu_! Tuo marito non sarebbe capace di far rispettare sua
moglie?
— Sì: è pronto a battersi contro chicchessiasi gli lasci pervenire
all'orecchio una di quelle infamie che si susurrano dietro il ventaglio;
ma lo scandalo d'un duello non rimedierebbe nulla; e quelle infamie sono
troppo codarde per osare venirci assalire di fronte.... Ah padre mio,
non c'è riparo: io sono perduta.
L'accento con cui l'infelice diceva tali parole era straziante, e pur
tuttavia il suo sorriso non cessava di rallegrare le sue labbra, e le
sue sembianze continuavano a mostrare la maschera d'una lieta
tranquillità. In siffatto contrasto eravi qualche cosa di più penoso e
di più commovente che non nelle ordinarie manifestazioni del dolore e
della disperazione.
— Ma corpo del diavolo!... (L'animo del degno barone _Intendente
generale_ era così turbato che invece delle solite eleganti parole
esclamative in francese, si lasciò scappare questa plebea imprecazione.)
Posso io sapere finalmente che cosa sia succeduto?
Candida, con infinita passione dell'animo, ma in mezzo a due risatine,
come se contasse a suo padre in un allegro colloquio il più piacevole
aneddoto, disse con voce che appena fa udita dal barone, il quale curvò
verso di lei l'orecchia:
— Hai tu sentito parlare dell'arresto del dottor Quercia?
— Giusto! esclamò il padre. Volevo dirtene un motto. _Ce drôle-là_, mi
pare che tu lo conoscevi.
Candida pose di nuovo una mano sul braccio di suo padre e fissò negli
occhi di lui uno sguardo che diceva un'infinità di cose: ma questa volta
non ebbe più la forza di ridere nè pur di sorridere.
— Il mondo, susurrò ella, lo dice mio amico.
La Cappa sussultò sul divano.
— Ah _diable_!
— E da un momento all'altro possono saltar fuori delle carte che dieno
ragione a quella voce.
— Possibile!... che carte?
— Delle lettere: disse la contessa così piano che la parola fu, più che
intesa, indovinata dal barone.
— L'imprudente!... Sì, cospetto che questo è un affare disgustoso
assai... E tuo marito?
— Sa tutto.
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