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La plebe, parte IV - 22
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aveva in modo assoluto determinato che mai non avrebbe più tentato quel
passo, ch'ella in cuor suo dicevasi potere diventare per certe
circostanze, quasi un dovere in lei. Il racconto delle sventure di sua
madre, se aveva potuto contribuire a scemar in essa le speranze che
avrebbe potuto concepire intorno all'amor suo, ed abbiam visto com'ella
poca o nessuna ne avesse, se aveva potuto ispirarle più riguardosa
prudenza, non era fatto per isminuirle quella passione d'amore che già
troppo oramai era in lei radicata e cresciuta.
Oh come ella aveva ripensato tra sè, e ricontatosi quel doloroso romanzo
che aveva avuto per eroina sua madre, e di cui lo zio le aveva ora
tracciate le linee principali! Come la sua fantasia eccitata aveva
alacremente lavorato intorno a questi tratti precipui e compitone il
disegno e menativi i colori e terminato il quadro! La sua tenerezza per
la madre aveva sempre avuto qualche cosa di speciale, quasi potrebbe
dirsi di misterioso, come se il suo istinto di figliuola avesse sentito
nell'esistenza di quella cara e veneranda creatura un profondo dolore da
consolare. Ora questa tenerezza, ch'ella sempre serbava all'anima della
morta, s'era accresciuta vieppiù; ora era essa penetrata nel mistero di
quel dolore e ne trovava ancora più pietosa la causa; ora comprendeva il
significato di quello sguardo mesto, lungo, quasi imploratore, ch'ella
ricordava aver visto tante volte nei begli occhi della madre. Virginia
s'era recata innanzi al ritratto di questa che pendeva alle pareti nella
sua camera da letto, ed era stata lungamente contemplandolo. Quante cose
le diceva ora quel pallido viso leggiadro, che mai non aveva ella
dapprima avvertite! Non era una colpa l'amor suo, ben lo aveva ella
sentito; era una sventura: ma sapendo che a tale sventura aveva
partecipato sua madre, le pareva che più nobile, più degna quella
disgrazia si fosse, e se la aveva più cara.
Ad accrescere la passione dell'animo di Virginia venne la notizia dei
fatti compiutisi alla fabbrica Benda e dei pericoli che quella famiglia
avevano minacciato. Aveva sperato la nobil fanciulla di poter per mezzo
di Maurilio sapere tutta e particolareggiata, e man mano la verità, ma
fallitale, come abbiam visto, questa speranza, maggiori n'erano
diventati il suo timore, la sua inquietudine, l'affanno dell'anima sua.
La letterina di Maria giunse in buon punto per deciderla affatto a
quello che già pensava seco stessa, a quel partito cui fino da principio
aveva voluto effettuare, ed a cui non aveva rinunziato mai. Si coprì
d'un fitto velo, si avvolse in un modesto mantello, si fece seguire
dalla sua governante, uscì ratta a piedi, come quando recavasi
modestamente in chiesa, e salita in una carrozza da nolo si fece
condurre alla casa dei Benda.
Maria sedeva appiè del letto di suo fratello, il quale era di nuovo
caduto in quel sopore che lo faceva rassomigliare poco meno che ad un
cadavere. Quando alla fanciulla vennero ad annunziare che una giovane e
bella signorina domandava di lei, una subita speranza le nacque in cuore
che la potesse esser quella di cui essa aveva invocata la presenza, ma
non osò accoglierla questa speranza; già s'era pentita, come dissi,
d'aver scritto quel biglietto, e pensando all'orgoglio aristocratico che
certamente doveva avere quella giovane, venivasi persuadendo che quel
foglio la lo avrebbe disdegnosamente gettato e non altro. Corse di là
con sollecitudine e mandò un'esclamazione di gioia e di riconoscenza nel
vedersi davanti, ritta in mezzo la stanza, il velo sollevato dalla
faccia leggiadra, la contessina di Castelletto.
— Dio la benedica! disse Maria, e le prese ambedue le mani, e si curvò
come se glie le volesse baciare.
Ma Virginia la trasse su, le gettò le braccia intorno alla vita e
l'abbracciò come una sorella.
Le due fanciulle si guardarono entro gli occhi, e si compresero più che
per qualunque lungo discorso; si sentirono per affetto e per tempera
d'anima congiunte; a dispetto d'ogni distinzione sociale si avvertirono
pari.
— Posso io vederlo? domandò Virginia con una virtuosa franchezza,
senz'ambagi come senza falsa vergogna.
Maria la prese per la piccola mano affilata e rispose con una sola
parola:
— Venga.
La introdusse nella camera dove il ferito giaceva. Siccome le imposte
della finestra erano rabbattute, Virginia da principio non vide che
confusamente in quella oscurità. Al rossigno chiarore che mandava il
fuoco del caminetto scorse una donna attempata, la quale, vedendo
entrare una ignota, s'alzava da sedere. Maria le correva presso, le
bisbigliava poche parole all'orecchio e quella donna faceva alla nuova
venuta una profonda riverenza. Era essa la madre di Francesco.
Virginia camminò lentamente verso il bianco cortinaggio del letto che
spiccava nel buiccio di quella stanza. I suoi occhi, cominciando ad
avvezzarsi alla poca luce, videro sui cuscini abbandonata la testa
simpatica del giovane. Le palpebre erano richiuse e le lunghe ciglia si
disegnavano finemente sul pallore delle guancie. Le labbra scolorate
erano semiaperte, ma pareva che di mezzo a loro non uscisse soffio
nessuno di respiro. Solamente di quando in quando un gemito esile, ma
penoso, saliva su dal petto e passava lento, trascinato per quella bocca
socchiusa. Qual differenza fra quel misero giacente che soffriva e il
robusto ed aitante garzone che Virginia aveva visto pochi giorni prima
alla festa da ballo, che le aveva allora appunto con tanta ardenza
svelato il suo amore!
Ella si fermò a pochi passi dal letto. Sentì nel suo cuore una pena che
era quasi un rimorso; una ineffabile tenerezza le mandò agli occhi due
lagrimette ch'ella non pensò neppure di asciugarsi.
— Gli è per me, a cagion mia, pensò, ch'egli è ridotto in tale stato.
Lo sguardo di Virginia parve esercitare alcun influsso sull'infermo:
certo per uno di quegl'inesplicabili istinti d'innamorato, egli, anche
inconsciamente, sentì alcun effetto della presenza di lei. Gli occhi
rimanevano chiusi tuttavia, ma un lieve color rosato saliva su alle
guancie, ed il respiro si faceva più sensibile. Ella fece ancora un
passo verso il letto: gli occhi di lui si spalancarono e stettero
immobili, fissi su quella bellissima figura di donna che avevan dinanzi
e ch'egli credeva una felice visione del suo delirio. Tutta la notte il
caro fantasma di quelle sembianze era passato e ripassato nei torbidi
sogni della sua malata fantasia; ma egli non aveva potuto fermarselo mai
innanzi alla mente per tanto tempo e in sì precise forme quanto
desiderava: credette che ora fosse questa un'apparizione come le
precedenti, ma più simile alla realtà, più netta di forme e più
duratura. Lo sguardo semispento de' suoi occhi affondati prese una
ineffabile espressione di tenerezza, di gioia e di preghiera; e le sue
labbra mormorarono con appena sensibil soffio di voce:
— Oh! non fuggirmi così presto, diletta immagine dell'amor mio!
Virginia superò d'un tratto con piè leggiero la poca distanza che ancora
la separava dal giacente e si curvò su di lui come per raccoglierne le
pronunziate parole. Negli occhi del ferito apparve una sorpresa, una
commozione, quasi un timore. Richiuse le palpebre come per vedere se
quell'apparizione era nella sua mente soltanto, o proprio nella realtà,
all'infuori di lui: e in quella sentì, come un soffio soave di paradiso,
un alito profumato passargli sulla fronte, e una celeste melodia di voce
femminile pronunziare teneramente il suo nome:
— Francesco!
Il giacente mandò un grido — un vero grido — di gioia. Teresa e Maria
accorsero sollecite, quasi spaventate. Ma non c'era onde spaventarsi.
Gli occhi del giovane riapertisi brillavano di tutta la luce della
salute e della ragione: l'anima fatta beata raggiava la sua letizia da
tutte le sembianze della leggiadra faccia.
— Virginia! Virginia! esclamò egli con voce più forte di quello che
altri avrebbe mai potuto credere.
Non avevano fatto che pronunziare a vicenda l'un dell'altro il nome; ma
quante cose con quella sola parola e' s'eran dette! ma come s'erano
reciprocamente compresi! come si sentivano l'un dell'altro penetrar
l'anima nell'anima!
Virginia tornò a curvarsi sopra il giacente, e fece sommessamente di
nuovo suonare la melodia della sua voce.
— Non parli, glielo proibisco. Sono venuta a pregarla di guarir presto,
e la mi deve obbedire. A questo patto soltanto le perdonerò il troppo
dolore ch'Ella ha dato a sua madre, a tutta la sua famiglia.....
Stette un breve momento, e poi soggiunse a voce più bassa:
— Ed a me.
Francesco beveva cogli occhi lo sguardo, colle orecchie la voce
dell'amata fanciulla. Sentiva nelle vene, in tutto l'esser suo rifluire
di subito nuova e più potente la vita; gli pareva di colpo fugato ogni
male, e quasi effettuato in lui il miracolo del Nazareno, che aveva
detto all'infermo di levarsi, prendersi il suo letto in ispalla e
camminare. Le parole gli mancavano alle idee, le idee stesse gli
mancavano all'espressione della sua felicità.
Non passarono più che dieci minuti. Fu un attimo pel loro desiderio, ma
vi fu abbastanza di tempo perchè le più svariate e numerose sensazioni
di tenerezza e d'amore si avvicendassero nelle loro anime. Le labbra non
promisero nulla, gli occhi si scambiarono mille giuramenti. Virginia,
allontanandosi dal giacente per partirsi, lasciava nel cuore di lui un
balsamo taumaturgo da risanarlo assai più presto e meglio d'ogni farmaco
di medico.
Mentre la fanciulla stava per uscire di quella stanza, vi entrò un uomo.
Era il padre di Francesco, che veniva inquieto a vedere suo figlio. In
presenza delle donne Virginia non aveva avuto pure un istante di
turbamento o di confusione; la vista d'un uomo la fece arrossire fino
alla radice dei capelli. Prese ella vivamente per mano Maria, come se
volesse con quell'atto significare che all'interesse ed all'affetto per
la compagna dovevasi la sua presenza in quel luogo, e s'affrettò ad
uscire dalla stanza, passando innanzi a Giacomo, il quale,
riconosciutala, salutava con profondissimo inchino.
Giunte nella camera che precedeva quella di Francesco, Maria e Virginia
trovarono Gian-Luigi che sopraggiungeva, preceduto da un domestico.
Maria arrossì leggermente nel rispondere al saluto del giovane i cui
sguardi e la cui attenzione furono attirati dalla superba bellezza della
titolata fanciulla. L'aspetto di Quercia era tale ancor esso da non
passare inosservato a qualunque lo vedesse, e Virginia, senza pur
darsene conto, fissò quasi con curiosità i suoi limpidi occhi sulle
sembianze virilmente belle di quel nuovo venuto, e rispose con una
cortesia che era presso che famigliare e benevola al saluto di quel
giovane che non ricordava aver veduto ancora mai. Avviene molte volte
che al bel primo incontrarci con una persona, questa non ci pare affatto
estranea; o sia una somiglianza con altre persone, o sia una certa
misteriosa affinità fra i nostri esseri che si rivela con una specie
d'istinto inavvertito, o sia un effetto travelato di attinenze anteriori
avute in una vita precedente, il fatto è che certuni appena ci vengono
innanzi ci sembrano conoscenze d'antica data, e siamo disposti di subito
a conceder loro più domestichezza ed interesse che non ad altri da molto
tempo già conosciuti. Fu un poco di quest'effetto che Virginia provò
alla vista di Gian-Luigi, e quasi uguale fu quello che sentì il giovane
a trovarsi faccia a faccia colla nobil ragazza cui aveva vista da
lontano parecchie volte, ma non aveva mai accostata. E, cosa strana, in
questa sua sensazione, non entrava menomamente quel suo ardore di
voluttà che gli faceva desiderare ogni bellezza di donna, ma eravi come
una tinta di rispetto, come un'ombra di affettuosa deferenza, come un
istintivo impulso ad inchinar riverente quelle belle sembianze.
Maria vide l'ammirativa fissità dello sguardo di Gian-Luigi su Virginia,
e sentì una dolorosa fitta nel cuore. Anche la gelosia doveva nascere in
quella povera, innocente fanciulla a confermarle e ribadirle nell'anima
l'infausta passione che vi si era insinuata. Non disse che poche parole
a Quercia, invitandolo a passare nella camera di Francesco, e seguitò ad
accompagnare la bella visitatrice che si partiva, fino all'anticamera.
Nel momento di prender commiato, Virginia, stringendo amichevolmente la
mano a Maria, le disse:
— Scriverò a Lei per avere ulteriormente le nuove di suo fratello; la
sia compiacente di darmene senza troppa parsimonia.... E spero che ci
rivedremo.
Quando la nobil fanciulla fu partita, Maria pensò un istante, invece di
tornare presso suo fratello, di andarsi a rinchiudere nella sua camera e
non uscirne più finchè Quercia si fosse partito; e s'avviò realmente per
porre in atto questa risoluzione, ma non n'ebbe la forza. Quando fu nel
salotto che precedeva la camera di Francesco, vide che Gian-Luigi non
era passato di là, ma stava lì tuttavia, come aspettando. Si turbò molto
nel trovarsi sola con lui, non osò guardarlo e stette impacciata, a
pochi passi da lui, senza parlare.
Egli le faceva piombare addosso quel suo sguardo caldo, luminoso,
efficace, che penetrava nell'anima; e la giovanetta, pur colle palpebre
abbassate, lo sentiva posarsi con infinita soavità, come una carezza
amorosa, sulla fronte, sul volto, sulla persona, avvolgerla come d'un
fluido voluttuoso, e vincerle ogni volontà. Quercia s'accostò alla
fanciulla, e le prese una mano; ella si mise a tremar leggermente, e
volle liberar la sua destra, ma egli ne la trattenne con dolce violenza.
— Maria! susurrò egli chinando la sua bocca sulle chiome di seta che
ornavano la testolina curva della ragazza: e la sua voce era sì
espressiva ed insinuante! e l'accento era pieno di tanto amore e di sì
cara espansione che una dolcezza ineffabile invase ed occupò tutto
l'essere della innamorata fanciulla.
I suoi occhi si levarono quasi tratti a forza verso gli occhi di lui, e
la luce brillò in essi ripercossa da due lagrimette.
— Maria! ripetè egli col medesimo accento, premendosi al petto quella
mano che seguitava a tener fra le sue.
Dal labbro della giovane fuggì, saettato per così dire dall'emozione, il
segreto del suo cordoglio.
— Ah! com'Ella ha guardato la contessina di Castelletto! disse con
amarezza in cui non c'era rimprovero, ma dolore.
Quercia cominciò per rispondere con un sorriso soltanto, ma con uno di
quei suoi sorrisi ammaliatori che erano più eloquenti d'ogni parola, e
che bastò a rassicurare ed a rallietare l'animo di Maria; poi disse:
— Sì, la ho guardata, perchè io ammiro la pietà dovunque si manifesti, e
trovo degno di lode il sentimento che condusse presso il letto del
giacente la figliuola d'una superbissima schiatta. La ho guardata, ma
l'ho io veduta? Come donna, no. Di donne ve n'è una sola al mondo ch'io
veda oramai, una sola che esista per me...
S'interruppe, sollevò lentamente alle sue labbra la mano che teneva e vi
posò un lungo e caldissimo bacio; poi soggiunse con voce più bassa, ma
con accento ancor più espressivo:
— E quest'unica donna — Maria — sei tu!
La fanciulla si riscosse come subitaneamente colpita da una potente
scintilla elettrica, arrossì, impallidì, tremò, accennò cadere, si
aggrappò al braccio di lui per sostenersi.
— Sì, Maria, sei tu. Benedico questo momento che Dio mi concede da
poterti parlare in libertà. T'amo e voglio che tu sia la donna compagna
del mio destino; ma non mi piace ottenere questa felicità da altri che
dall'amor tuo. Ti senti tu di amarmi? Ti senti tu d'esser mia, tutta
mia, sempre mia?
Ella appoggiò la sua fronte al petto di lui per nascondere il dolce
rossore del suo viso e mormorò sommessamente:
— Sì... Oh sarò felice!
Allora egli la staccò dolcemente da sè, e con gentile riverenza
inchinandosi innanzi, disse:
— Mi permette dunque, madamigella, ch'io domandi la mano di Lei ai suoi
genitori?
Maria gli porse la destra.
— Ed io glie la do senz'altro. Babbo e mamma non avranno altra volontà
che la mia.
Quando Quercia ebbe baciata quella mano, ella si fuggì ratta, e questa
volta andò proprio a serrarsi nella sua camera, dove sentiva il bisogno
di essere sola.
Il _medichino_ la seguitò con uno sguardo in cui brillava una bassa
cupidigia sensuale.
— Oltre i suoi denari, disse fra sè con cinismo, avrò anche una donnetta
che mi piace... finchè ne sia poi stufo.
Ricompose la sua faccia ad espressione onesta, ed entrò nella camera di
Francesco.
Il miglioramento dell'infermo era evidente anche agli occhi d'un profano
all'arte medica; e il padre e la madre di lui lo avevano subito
avvertito, pensatevi se con lieto animo. Quercia certificò questo
prospero mutamento e crebbe la consolazione dei parenti, il buonumore
del malato. Per la prima volta, dopo parecchi giorni, in quella famiglia
così crudelmente provata, entrò di nuovo la tranquillità dello spirito e
trovò luogo il sorriso.
Si parlò con mente più libera di cose varie e indifferenti; e Francesco
domandò che cosa succedesse per la città, come si fossero passati gli
ultimi giorni di carnovale e quali novità occupassero le ciarle dei
cittadini. Il sor Giacomo, fra altre cose, disse della principale di
codeste novità, che era quella dell'assassinio di Nariccia, di cui non
sapeva bene però tutti i particolari, essendo vissuto in quei giorni
così segregato dal mondo, e quindi chiedendone al dottore: ma questi non
parlò a lungo di tale argomento; ripetè spiccio le voci principali che
correvano, e poi tosto consigliò a fare in modo che l'infermo non avesse
tanto da parlare, e quindi troncare per allora il discorso.
Ma il ricordare quel delitto aveva richiamato qualche cosa alla mente
del padre di Francesco. Quercia, che era osservatore acutissimo e sempre
in sull'avviso, s'accorse che a questo proposito alcun che era
intravvenuto che più da vicino toccava quella famiglia o il sor Giacomo
solo, perchè quest'ultimo aveva preso un aspetto alquanto preoccupato, e
guardava il dottore con una certa espressione fra di curiosità e di
dubbio, di esitanza e di imbarazzo che pareva significare aver egli
qualche cosa da dire ed essere incerto se e come dirla.
Gian-Luigi decise tosto tagliar netto il nodo; si chinò verso il signor
Benda, e gli disse sotto voce:
— Avrei bisogno di parlarle. La mi vuole concedere due minuti di
colloquio nel suo studio?
— Volentieri. Ho giusto ancor io una strana circostanza da comunicarle.
Quando furono di là il giovane invitò il padre di Francesco a parlare
per primo: ma il signor Giacomo non volle.
— No, no, parli Lei: il suo contegno mi dice che le sono cose gravi
quelle che la mi ha da dire, ed io, avvezzo oramai a nuovi colpi della
sventura, sono ansioso di sentire se qualche nuovo malanno ci minaccia.
Luigi fece sorridendo un atto rassicuratore.
— No. Debbo trattenerla di due cose: la prima è una bazzecola che la mia
poca memoria mi ha tolto di dirle prima, come già avrei dovuto fare;
l'altra è una proposta, importantissima per me, pel quale si tratta
della felicità della vita.
Il signor Giacomo, la cui curiosità fu vivamente desta da tali parole,
fe' cenno al suo interlocutore parlasse liberamente.
— Cominciamo dalla cosa indifferente. Il parlare ora del delitto
commesso la notte dell'ultima domenica di carnovale, mi ha fatto
ricordare che io, quella notte medesima, quando mi sono partito di qua,
su questo stesso viale che qui conduce, fui vittima d'un'aggressione.
— Lei?
— Sì, signore. Due uomini mi assalirono, dei quali uno era un colosso.
Non pensai mi convenisse opporre resistenza; mi spogliarono di quanti
denari avevo, e, quel che più mi dolse, mi presero anche il mantello che
qui mi era stato imprestato: ed ecco la cagione per cui non l'ho potuto
ancora, nè lo potrò mai restituire.
Giacomo fece un atto ed un'esclamazione che significavano: «Ora capisco
tutto.»
— Egli è appunto cosa che riguarda quel benedetto mantello che io le ho
da dire. In causa di esso io ebbi una chiamata dal giudice istruttore.
— Davvero? esclamò Quercia, che nascose il suo malessere sotto le mostre
dello stupore.
— Sicuro; e ci fui questa mattina medesima.
— E che le si disse adunque? Il mio aggressore sarebbe stato arrestato?
— No, ma il suo aggressore dev'essere niente meno che l'assassino di
quell'usuraio.
— Possibile! Oh come? oh come?
— Nelle mani dell'assassinato si trovò un pezzo di bavero, sotto cui
trapunte due lettere iniziali. La Polizia ebbe a sè tutti i sarti della
città per vedere se alcuno riconoscesse in quello un suo lavoro, e il
sarto mio e di mio figlio disse che quello era il colletto d'un mantello
da lui fatto pochi mesi sono per Francesco, del cui nome infatti sono
iniziali le lettere che vi si trovano trapunte. (E il nostro sarto ha
appunto l'uso di ricamare tali cifre per distinguere i panni miei da
quelli di mio figlio). Mi si mostrò quello squarcio e mi si domandò se
lo riconoscevo: io risposi che quelle erano invero le iniziali del nome
di mio figlio, che ben mi pareva quello il pezzo d'un suo vestito, ma
che non potevo esserne sicuro. Si volle sapere se un mantello od altro
oggetto di vestiario qualunque mancasse alla guardaroba di Francesco, e
per che cagione la ci mancasse, ed io dovetti contare come quella sera
fatale avessimo dovuto imprestare a Lei, a cui abbiamo tanto debito di
riconoscenza, un mantello per tornarsene la notte a casa sua.
Gian-Luigi ebbe tanta padronanza di sè da nascondere la sua contrarietà,
la fiera rabbia ond'era assalito.
— Ho avuto torto, diss'egli, a non dare importanza a quell'aggressione.
Se fossi andato subito a denunziare il fatto, dando io i connotati dei
malandrini, e li posso dare esattissimi, avrei forse conferito allo
scoprimento de' rei; ma pensai allora che non valesse manco la pena di
scomodarsi. Però si è ancora certamente in tempo, e conto recarmi tosto
dal Commissario di Polizia.
— Farà bene. Di sicuro non è su Lei che possano cadere sospetti di tal
fatta; ma un altro da questo viluppo di circostanze potrebbe venir
compromesso. È meglio affrettarsi a dilucidare le cose.
Quercia, con atto di cordiale franchezza, tese la mano al signor
Giacomo.
— Lei, signore, mi dice superiore a questi sospetti, e sono persuaso che
tale mi crede; ma in realtà Ella conosce poco di me e nulla delle cose
mie. Avrà udito di me varii giudizi nel mondo, e forse malevoli i più:
ma il vero è che nessuno sa nulla dell'esser mio, del mio passato, delle
mie reali condizioni. Ebbene ora voglio che Ella mi conosca
compiutamente; devo farmene compiutamente conoscere, prima di
avventurare una domanda, da cui, come già accennai, dipende la felicità
di tutta la mia vita.
Si raccolse un momento, e poi raccontò il seguente romanzetto della sua
vita ch'egli si era preparato per simile occasione.
— Lungo tempo io vissi come trovatello. La mia nascita toglieva un
vistoso patrimonio a certi collaterali della mia famiglia, i quali mi
fecero pertanto sparire e mi relegarono in un ospizio. Un po' di rimorso
in que' sciagurati che così mi sacrificavano, li indusse a farmi levare
di là ed affidarmi alle cure d'una donna che mi fosse nutrice e madre,
incaricando di vigilare su di me un medico del villaggio in cui questa
donna abitava. Quando fui cresciuto, questo medico, sempre per mandato
di que' tali, mi fece studiare, mi mandò all'Università, e poichè fu
giunto all'estremo di vita mi ebbe a sè e mi rivelò il segreto. I miei
nemici avevano così bene prese le loro precauzioni che nessun documento
più, nessuna prova sopravanzava da farmi restituire il mio nome e
l'esser mio; d'altronde trattavasi dell'onore di certi autorevolissimi
personaggi che si voleva salvo ad ogni modo, così che se io, istrutto di
qualche cosa, avessi tentato il ricupero del mio vero stato, mi sarei
esposto anche al pericolo di vedere minacciata, non che la libertà, la
mia vita. Per rimediare in alcun modo al torto che mi era fatto, quei
medesimi avevano mandato al medico circa cento cinquanta mila lire da
darmi _brevi manu_, capitale che per poco mi sapessi industriare avrebbe
bastato a farmi vivere agiatamente. Il medico medesimo, commosso dalla
pietà del mio caso, mi lasciava parte delle sue sostanze. Che doveva io
fare? che mezzi mi restavano da ribellarmi contro il mio destino?
Accettai e mi tacqui. Quel capitale, che fu da principio di poco meno
che duecento mila lire, per mezzo di certe speculazioni industriali...
fatte in Francia... ho più che accresciuto; ed ecco l'origine di quella
ricchezza che la gente trova forse misteriosa, e di cui non curo, anzi
disdegno di porgere al volgare la menoma spiegazione. A Lei, prima di
fare la domanda che sto per volgerle, dovevo dare questa spiegazione; ed
anzi, siccome la non è obbligata a credermi soltanto sulla parola, le
darò per prova della verità del mio asserto uno scritto tutto di pugno
di quel medico, — e la sua firma si può riscontrare e fare autenticare
per vera quandochessia — nel quale ogni cosa è narrata per disteso,
scritto lasciatomi da lui, appunto perchè in qualunque caso io potessi
trionfalmente rispondere ad ogni sospetto che potesse sorgere, ad ogni
accusa che mi si potesse affacciare intorno alle fonti di quelle mie
sostanze.
— Io non ho bisogno di questo — si credette in obbligo di dire il signor
Giacomo, il quale non sapeva ancora a che volesse parare il giovane con
siffatti discorsi — per prestar fede alle sue parole.
E Gian-Luigi con maggiore la vivacità:
— Crede Ella dunque che un uomo in queste circostanze, con mezzo milione
di patrimonio, possa aspirare senza troppa audacia alla mano della
fanciulla d'un'onesta famiglia, d'una fanciulla ch'egli ama più d'ogni
cosa al mondo?
Giacomo comprese finalmente; ma la cosa gli giunse così inaspettata che
non ebbe parole fatte e non seppe dimostrare il suo stupore altrimenti
che coll'espressione della sua faccia; il giovane inchinandosegli
dinanzi con cerimonia, come aveva fatto testè dinanzi a Maria, gli disse
con accento solenne:
— Ho l'onore di domandarle la mano di sua figlia, madamigella Maria.
Il signor Benda, tanto meravigliato ancora che non sapeva bene tuttavia
se questa domanda gli faceva piacere o no, rispose come rispondono tutti
i padri in simili occasioni: esser questo un onore, ma prima di prendere
una decisione aver bisogno di consultare la famiglia, e la figliuola
sopratutto, eccetera, eccetera, e soggiunse che in quelle tristi
circostanze in cui si trovavano, troppo non era acconcio il tempo a
pensare e parlare di cose siffatte.
Quercia si credette allora in obbligo di spiegare la ragione per cui non
ostante la poco propizia occasione, chè riconosceva ancor egli quella
essere tale, avesse pur tuttavia affrettato di avventurare la sua
domanda. Disse che il suo amore per Maria era nato ben dapprima ch'egli
si fosse introdotto in quella casa (il mentire non gli costava nulla)
che ora avvicinandola erasi quell'affetto accresciuto a dismisura, e
che, dovendo egli partire fra poco tempo per recarsi in Francia, appunto
per quelle sue certe speculazioni che aveva detto averci colà
intraprese, e fermarcisi forse un anno ed anco più, non poteva
acquietarsi all'idea di partire senza aver deciso il destino del suo
amore. Questo era il motivo per cui aveva così bruscamente dichiarato le
sue intenzioni, e pregava in conseguenza che non gli si facesse di tanto
ritardare, qualunque si fosse, la risposta che invocava.
Il signor Giacomo fissò il dopo dimani per una risposta definitiva, e i
due si separarono con una stretta di mano che era più che d'amico, quasi
già di congiunto.
Gian-Luigi, uscendo da quella casa, s'affrettò verso il Palazzo Madama,
dove domandò di parlare al signor Commissario.
CAPITOLO XIII.
Quando il signor Tofi udì annunziare che il dottor Quercia domandava di
parlargli, provò una viva sorpresa che si manifestò in un leggier
trasalto ed in un vivace lampeggiar degli occhi sotto le folte
sopracciglia. La preda veniva da se stessa all'arrivo del cacciatore:
vero era che questa preda aveva unghie ed artigli, ma com'era bene
passo, ch'ella in cuor suo dicevasi potere diventare per certe
circostanze, quasi un dovere in lei. Il racconto delle sventure di sua
madre, se aveva potuto contribuire a scemar in essa le speranze che
avrebbe potuto concepire intorno all'amor suo, ed abbiam visto com'ella
poca o nessuna ne avesse, se aveva potuto ispirarle più riguardosa
prudenza, non era fatto per isminuirle quella passione d'amore che già
troppo oramai era in lei radicata e cresciuta.
Oh come ella aveva ripensato tra sè, e ricontatosi quel doloroso romanzo
che aveva avuto per eroina sua madre, e di cui lo zio le aveva ora
tracciate le linee principali! Come la sua fantasia eccitata aveva
alacremente lavorato intorno a questi tratti precipui e compitone il
disegno e menativi i colori e terminato il quadro! La sua tenerezza per
la madre aveva sempre avuto qualche cosa di speciale, quasi potrebbe
dirsi di misterioso, come se il suo istinto di figliuola avesse sentito
nell'esistenza di quella cara e veneranda creatura un profondo dolore da
consolare. Ora questa tenerezza, ch'ella sempre serbava all'anima della
morta, s'era accresciuta vieppiù; ora era essa penetrata nel mistero di
quel dolore e ne trovava ancora più pietosa la causa; ora comprendeva il
significato di quello sguardo mesto, lungo, quasi imploratore, ch'ella
ricordava aver visto tante volte nei begli occhi della madre. Virginia
s'era recata innanzi al ritratto di questa che pendeva alle pareti nella
sua camera da letto, ed era stata lungamente contemplandolo. Quante cose
le diceva ora quel pallido viso leggiadro, che mai non aveva ella
dapprima avvertite! Non era una colpa l'amor suo, ben lo aveva ella
sentito; era una sventura: ma sapendo che a tale sventura aveva
partecipato sua madre, le pareva che più nobile, più degna quella
disgrazia si fosse, e se la aveva più cara.
Ad accrescere la passione dell'animo di Virginia venne la notizia dei
fatti compiutisi alla fabbrica Benda e dei pericoli che quella famiglia
avevano minacciato. Aveva sperato la nobil fanciulla di poter per mezzo
di Maurilio sapere tutta e particolareggiata, e man mano la verità, ma
fallitale, come abbiam visto, questa speranza, maggiori n'erano
diventati il suo timore, la sua inquietudine, l'affanno dell'anima sua.
La letterina di Maria giunse in buon punto per deciderla affatto a
quello che già pensava seco stessa, a quel partito cui fino da principio
aveva voluto effettuare, ed a cui non aveva rinunziato mai. Si coprì
d'un fitto velo, si avvolse in un modesto mantello, si fece seguire
dalla sua governante, uscì ratta a piedi, come quando recavasi
modestamente in chiesa, e salita in una carrozza da nolo si fece
condurre alla casa dei Benda.
Maria sedeva appiè del letto di suo fratello, il quale era di nuovo
caduto in quel sopore che lo faceva rassomigliare poco meno che ad un
cadavere. Quando alla fanciulla vennero ad annunziare che una giovane e
bella signorina domandava di lei, una subita speranza le nacque in cuore
che la potesse esser quella di cui essa aveva invocata la presenza, ma
non osò accoglierla questa speranza; già s'era pentita, come dissi,
d'aver scritto quel biglietto, e pensando all'orgoglio aristocratico che
certamente doveva avere quella giovane, venivasi persuadendo che quel
foglio la lo avrebbe disdegnosamente gettato e non altro. Corse di là
con sollecitudine e mandò un'esclamazione di gioia e di riconoscenza nel
vedersi davanti, ritta in mezzo la stanza, il velo sollevato dalla
faccia leggiadra, la contessina di Castelletto.
— Dio la benedica! disse Maria, e le prese ambedue le mani, e si curvò
come se glie le volesse baciare.
Ma Virginia la trasse su, le gettò le braccia intorno alla vita e
l'abbracciò come una sorella.
Le due fanciulle si guardarono entro gli occhi, e si compresero più che
per qualunque lungo discorso; si sentirono per affetto e per tempera
d'anima congiunte; a dispetto d'ogni distinzione sociale si avvertirono
pari.
— Posso io vederlo? domandò Virginia con una virtuosa franchezza,
senz'ambagi come senza falsa vergogna.
Maria la prese per la piccola mano affilata e rispose con una sola
parola:
— Venga.
La introdusse nella camera dove il ferito giaceva. Siccome le imposte
della finestra erano rabbattute, Virginia da principio non vide che
confusamente in quella oscurità. Al rossigno chiarore che mandava il
fuoco del caminetto scorse una donna attempata, la quale, vedendo
entrare una ignota, s'alzava da sedere. Maria le correva presso, le
bisbigliava poche parole all'orecchio e quella donna faceva alla nuova
venuta una profonda riverenza. Era essa la madre di Francesco.
Virginia camminò lentamente verso il bianco cortinaggio del letto che
spiccava nel buiccio di quella stanza. I suoi occhi, cominciando ad
avvezzarsi alla poca luce, videro sui cuscini abbandonata la testa
simpatica del giovane. Le palpebre erano richiuse e le lunghe ciglia si
disegnavano finemente sul pallore delle guancie. Le labbra scolorate
erano semiaperte, ma pareva che di mezzo a loro non uscisse soffio
nessuno di respiro. Solamente di quando in quando un gemito esile, ma
penoso, saliva su dal petto e passava lento, trascinato per quella bocca
socchiusa. Qual differenza fra quel misero giacente che soffriva e il
robusto ed aitante garzone che Virginia aveva visto pochi giorni prima
alla festa da ballo, che le aveva allora appunto con tanta ardenza
svelato il suo amore!
Ella si fermò a pochi passi dal letto. Sentì nel suo cuore una pena che
era quasi un rimorso; una ineffabile tenerezza le mandò agli occhi due
lagrimette ch'ella non pensò neppure di asciugarsi.
— Gli è per me, a cagion mia, pensò, ch'egli è ridotto in tale stato.
Lo sguardo di Virginia parve esercitare alcun influsso sull'infermo:
certo per uno di quegl'inesplicabili istinti d'innamorato, egli, anche
inconsciamente, sentì alcun effetto della presenza di lei. Gli occhi
rimanevano chiusi tuttavia, ma un lieve color rosato saliva su alle
guancie, ed il respiro si faceva più sensibile. Ella fece ancora un
passo verso il letto: gli occhi di lui si spalancarono e stettero
immobili, fissi su quella bellissima figura di donna che avevan dinanzi
e ch'egli credeva una felice visione del suo delirio. Tutta la notte il
caro fantasma di quelle sembianze era passato e ripassato nei torbidi
sogni della sua malata fantasia; ma egli non aveva potuto fermarselo mai
innanzi alla mente per tanto tempo e in sì precise forme quanto
desiderava: credette che ora fosse questa un'apparizione come le
precedenti, ma più simile alla realtà, più netta di forme e più
duratura. Lo sguardo semispento de' suoi occhi affondati prese una
ineffabile espressione di tenerezza, di gioia e di preghiera; e le sue
labbra mormorarono con appena sensibil soffio di voce:
— Oh! non fuggirmi così presto, diletta immagine dell'amor mio!
Virginia superò d'un tratto con piè leggiero la poca distanza che ancora
la separava dal giacente e si curvò su di lui come per raccoglierne le
pronunziate parole. Negli occhi del ferito apparve una sorpresa, una
commozione, quasi un timore. Richiuse le palpebre come per vedere se
quell'apparizione era nella sua mente soltanto, o proprio nella realtà,
all'infuori di lui: e in quella sentì, come un soffio soave di paradiso,
un alito profumato passargli sulla fronte, e una celeste melodia di voce
femminile pronunziare teneramente il suo nome:
— Francesco!
Il giacente mandò un grido — un vero grido — di gioia. Teresa e Maria
accorsero sollecite, quasi spaventate. Ma non c'era onde spaventarsi.
Gli occhi del giovane riapertisi brillavano di tutta la luce della
salute e della ragione: l'anima fatta beata raggiava la sua letizia da
tutte le sembianze della leggiadra faccia.
— Virginia! Virginia! esclamò egli con voce più forte di quello che
altri avrebbe mai potuto credere.
Non avevano fatto che pronunziare a vicenda l'un dell'altro il nome; ma
quante cose con quella sola parola e' s'eran dette! ma come s'erano
reciprocamente compresi! come si sentivano l'un dell'altro penetrar
l'anima nell'anima!
Virginia tornò a curvarsi sopra il giacente, e fece sommessamente di
nuovo suonare la melodia della sua voce.
— Non parli, glielo proibisco. Sono venuta a pregarla di guarir presto,
e la mi deve obbedire. A questo patto soltanto le perdonerò il troppo
dolore ch'Ella ha dato a sua madre, a tutta la sua famiglia.....
Stette un breve momento, e poi soggiunse a voce più bassa:
— Ed a me.
Francesco beveva cogli occhi lo sguardo, colle orecchie la voce
dell'amata fanciulla. Sentiva nelle vene, in tutto l'esser suo rifluire
di subito nuova e più potente la vita; gli pareva di colpo fugato ogni
male, e quasi effettuato in lui il miracolo del Nazareno, che aveva
detto all'infermo di levarsi, prendersi il suo letto in ispalla e
camminare. Le parole gli mancavano alle idee, le idee stesse gli
mancavano all'espressione della sua felicità.
Non passarono più che dieci minuti. Fu un attimo pel loro desiderio, ma
vi fu abbastanza di tempo perchè le più svariate e numerose sensazioni
di tenerezza e d'amore si avvicendassero nelle loro anime. Le labbra non
promisero nulla, gli occhi si scambiarono mille giuramenti. Virginia,
allontanandosi dal giacente per partirsi, lasciava nel cuore di lui un
balsamo taumaturgo da risanarlo assai più presto e meglio d'ogni farmaco
di medico.
Mentre la fanciulla stava per uscire di quella stanza, vi entrò un uomo.
Era il padre di Francesco, che veniva inquieto a vedere suo figlio. In
presenza delle donne Virginia non aveva avuto pure un istante di
turbamento o di confusione; la vista d'un uomo la fece arrossire fino
alla radice dei capelli. Prese ella vivamente per mano Maria, come se
volesse con quell'atto significare che all'interesse ed all'affetto per
la compagna dovevasi la sua presenza in quel luogo, e s'affrettò ad
uscire dalla stanza, passando innanzi a Giacomo, il quale,
riconosciutala, salutava con profondissimo inchino.
Giunte nella camera che precedeva quella di Francesco, Maria e Virginia
trovarono Gian-Luigi che sopraggiungeva, preceduto da un domestico.
Maria arrossì leggermente nel rispondere al saluto del giovane i cui
sguardi e la cui attenzione furono attirati dalla superba bellezza della
titolata fanciulla. L'aspetto di Quercia era tale ancor esso da non
passare inosservato a qualunque lo vedesse, e Virginia, senza pur
darsene conto, fissò quasi con curiosità i suoi limpidi occhi sulle
sembianze virilmente belle di quel nuovo venuto, e rispose con una
cortesia che era presso che famigliare e benevola al saluto di quel
giovane che non ricordava aver veduto ancora mai. Avviene molte volte
che al bel primo incontrarci con una persona, questa non ci pare affatto
estranea; o sia una somiglianza con altre persone, o sia una certa
misteriosa affinità fra i nostri esseri che si rivela con una specie
d'istinto inavvertito, o sia un effetto travelato di attinenze anteriori
avute in una vita precedente, il fatto è che certuni appena ci vengono
innanzi ci sembrano conoscenze d'antica data, e siamo disposti di subito
a conceder loro più domestichezza ed interesse che non ad altri da molto
tempo già conosciuti. Fu un poco di quest'effetto che Virginia provò
alla vista di Gian-Luigi, e quasi uguale fu quello che sentì il giovane
a trovarsi faccia a faccia colla nobil ragazza cui aveva vista da
lontano parecchie volte, ma non aveva mai accostata. E, cosa strana, in
questa sua sensazione, non entrava menomamente quel suo ardore di
voluttà che gli faceva desiderare ogni bellezza di donna, ma eravi come
una tinta di rispetto, come un'ombra di affettuosa deferenza, come un
istintivo impulso ad inchinar riverente quelle belle sembianze.
Maria vide l'ammirativa fissità dello sguardo di Gian-Luigi su Virginia,
e sentì una dolorosa fitta nel cuore. Anche la gelosia doveva nascere in
quella povera, innocente fanciulla a confermarle e ribadirle nell'anima
l'infausta passione che vi si era insinuata. Non disse che poche parole
a Quercia, invitandolo a passare nella camera di Francesco, e seguitò ad
accompagnare la bella visitatrice che si partiva, fino all'anticamera.
Nel momento di prender commiato, Virginia, stringendo amichevolmente la
mano a Maria, le disse:
— Scriverò a Lei per avere ulteriormente le nuove di suo fratello; la
sia compiacente di darmene senza troppa parsimonia.... E spero che ci
rivedremo.
Quando la nobil fanciulla fu partita, Maria pensò un istante, invece di
tornare presso suo fratello, di andarsi a rinchiudere nella sua camera e
non uscirne più finchè Quercia si fosse partito; e s'avviò realmente per
porre in atto questa risoluzione, ma non n'ebbe la forza. Quando fu nel
salotto che precedeva la camera di Francesco, vide che Gian-Luigi non
era passato di là, ma stava lì tuttavia, come aspettando. Si turbò molto
nel trovarsi sola con lui, non osò guardarlo e stette impacciata, a
pochi passi da lui, senza parlare.
Egli le faceva piombare addosso quel suo sguardo caldo, luminoso,
efficace, che penetrava nell'anima; e la giovanetta, pur colle palpebre
abbassate, lo sentiva posarsi con infinita soavità, come una carezza
amorosa, sulla fronte, sul volto, sulla persona, avvolgerla come d'un
fluido voluttuoso, e vincerle ogni volontà. Quercia s'accostò alla
fanciulla, e le prese una mano; ella si mise a tremar leggermente, e
volle liberar la sua destra, ma egli ne la trattenne con dolce violenza.
— Maria! susurrò egli chinando la sua bocca sulle chiome di seta che
ornavano la testolina curva della ragazza: e la sua voce era sì
espressiva ed insinuante! e l'accento era pieno di tanto amore e di sì
cara espansione che una dolcezza ineffabile invase ed occupò tutto
l'essere della innamorata fanciulla.
I suoi occhi si levarono quasi tratti a forza verso gli occhi di lui, e
la luce brillò in essi ripercossa da due lagrimette.
— Maria! ripetè egli col medesimo accento, premendosi al petto quella
mano che seguitava a tener fra le sue.
Dal labbro della giovane fuggì, saettato per così dire dall'emozione, il
segreto del suo cordoglio.
— Ah! com'Ella ha guardato la contessina di Castelletto! disse con
amarezza in cui non c'era rimprovero, ma dolore.
Quercia cominciò per rispondere con un sorriso soltanto, ma con uno di
quei suoi sorrisi ammaliatori che erano più eloquenti d'ogni parola, e
che bastò a rassicurare ed a rallietare l'animo di Maria; poi disse:
— Sì, la ho guardata, perchè io ammiro la pietà dovunque si manifesti, e
trovo degno di lode il sentimento che condusse presso il letto del
giacente la figliuola d'una superbissima schiatta. La ho guardata, ma
l'ho io veduta? Come donna, no. Di donne ve n'è una sola al mondo ch'io
veda oramai, una sola che esista per me...
S'interruppe, sollevò lentamente alle sue labbra la mano che teneva e vi
posò un lungo e caldissimo bacio; poi soggiunse con voce più bassa, ma
con accento ancor più espressivo:
— E quest'unica donna — Maria — sei tu!
La fanciulla si riscosse come subitaneamente colpita da una potente
scintilla elettrica, arrossì, impallidì, tremò, accennò cadere, si
aggrappò al braccio di lui per sostenersi.
— Sì, Maria, sei tu. Benedico questo momento che Dio mi concede da
poterti parlare in libertà. T'amo e voglio che tu sia la donna compagna
del mio destino; ma non mi piace ottenere questa felicità da altri che
dall'amor tuo. Ti senti tu di amarmi? Ti senti tu d'esser mia, tutta
mia, sempre mia?
Ella appoggiò la sua fronte al petto di lui per nascondere il dolce
rossore del suo viso e mormorò sommessamente:
— Sì... Oh sarò felice!
Allora egli la staccò dolcemente da sè, e con gentile riverenza
inchinandosi innanzi, disse:
— Mi permette dunque, madamigella, ch'io domandi la mano di Lei ai suoi
genitori?
Maria gli porse la destra.
— Ed io glie la do senz'altro. Babbo e mamma non avranno altra volontà
che la mia.
Quando Quercia ebbe baciata quella mano, ella si fuggì ratta, e questa
volta andò proprio a serrarsi nella sua camera, dove sentiva il bisogno
di essere sola.
Il _medichino_ la seguitò con uno sguardo in cui brillava una bassa
cupidigia sensuale.
— Oltre i suoi denari, disse fra sè con cinismo, avrò anche una donnetta
che mi piace... finchè ne sia poi stufo.
Ricompose la sua faccia ad espressione onesta, ed entrò nella camera di
Francesco.
Il miglioramento dell'infermo era evidente anche agli occhi d'un profano
all'arte medica; e il padre e la madre di lui lo avevano subito
avvertito, pensatevi se con lieto animo. Quercia certificò questo
prospero mutamento e crebbe la consolazione dei parenti, il buonumore
del malato. Per la prima volta, dopo parecchi giorni, in quella famiglia
così crudelmente provata, entrò di nuovo la tranquillità dello spirito e
trovò luogo il sorriso.
Si parlò con mente più libera di cose varie e indifferenti; e Francesco
domandò che cosa succedesse per la città, come si fossero passati gli
ultimi giorni di carnovale e quali novità occupassero le ciarle dei
cittadini. Il sor Giacomo, fra altre cose, disse della principale di
codeste novità, che era quella dell'assassinio di Nariccia, di cui non
sapeva bene però tutti i particolari, essendo vissuto in quei giorni
così segregato dal mondo, e quindi chiedendone al dottore: ma questi non
parlò a lungo di tale argomento; ripetè spiccio le voci principali che
correvano, e poi tosto consigliò a fare in modo che l'infermo non avesse
tanto da parlare, e quindi troncare per allora il discorso.
Ma il ricordare quel delitto aveva richiamato qualche cosa alla mente
del padre di Francesco. Quercia, che era osservatore acutissimo e sempre
in sull'avviso, s'accorse che a questo proposito alcun che era
intravvenuto che più da vicino toccava quella famiglia o il sor Giacomo
solo, perchè quest'ultimo aveva preso un aspetto alquanto preoccupato, e
guardava il dottore con una certa espressione fra di curiosità e di
dubbio, di esitanza e di imbarazzo che pareva significare aver egli
qualche cosa da dire ed essere incerto se e come dirla.
Gian-Luigi decise tosto tagliar netto il nodo; si chinò verso il signor
Benda, e gli disse sotto voce:
— Avrei bisogno di parlarle. La mi vuole concedere due minuti di
colloquio nel suo studio?
— Volentieri. Ho giusto ancor io una strana circostanza da comunicarle.
Quando furono di là il giovane invitò il padre di Francesco a parlare
per primo: ma il signor Giacomo non volle.
— No, no, parli Lei: il suo contegno mi dice che le sono cose gravi
quelle che la mi ha da dire, ed io, avvezzo oramai a nuovi colpi della
sventura, sono ansioso di sentire se qualche nuovo malanno ci minaccia.
Luigi fece sorridendo un atto rassicuratore.
— No. Debbo trattenerla di due cose: la prima è una bazzecola che la mia
poca memoria mi ha tolto di dirle prima, come già avrei dovuto fare;
l'altra è una proposta, importantissima per me, pel quale si tratta
della felicità della vita.
Il signor Giacomo, la cui curiosità fu vivamente desta da tali parole,
fe' cenno al suo interlocutore parlasse liberamente.
— Cominciamo dalla cosa indifferente. Il parlare ora del delitto
commesso la notte dell'ultima domenica di carnovale, mi ha fatto
ricordare che io, quella notte medesima, quando mi sono partito di qua,
su questo stesso viale che qui conduce, fui vittima d'un'aggressione.
— Lei?
— Sì, signore. Due uomini mi assalirono, dei quali uno era un colosso.
Non pensai mi convenisse opporre resistenza; mi spogliarono di quanti
denari avevo, e, quel che più mi dolse, mi presero anche il mantello che
qui mi era stato imprestato: ed ecco la cagione per cui non l'ho potuto
ancora, nè lo potrò mai restituire.
Giacomo fece un atto ed un'esclamazione che significavano: «Ora capisco
tutto.»
— Egli è appunto cosa che riguarda quel benedetto mantello che io le ho
da dire. In causa di esso io ebbi una chiamata dal giudice istruttore.
— Davvero? esclamò Quercia, che nascose il suo malessere sotto le mostre
dello stupore.
— Sicuro; e ci fui questa mattina medesima.
— E che le si disse adunque? Il mio aggressore sarebbe stato arrestato?
— No, ma il suo aggressore dev'essere niente meno che l'assassino di
quell'usuraio.
— Possibile! Oh come? oh come?
— Nelle mani dell'assassinato si trovò un pezzo di bavero, sotto cui
trapunte due lettere iniziali. La Polizia ebbe a sè tutti i sarti della
città per vedere se alcuno riconoscesse in quello un suo lavoro, e il
sarto mio e di mio figlio disse che quello era il colletto d'un mantello
da lui fatto pochi mesi sono per Francesco, del cui nome infatti sono
iniziali le lettere che vi si trovano trapunte. (E il nostro sarto ha
appunto l'uso di ricamare tali cifre per distinguere i panni miei da
quelli di mio figlio). Mi si mostrò quello squarcio e mi si domandò se
lo riconoscevo: io risposi che quelle erano invero le iniziali del nome
di mio figlio, che ben mi pareva quello il pezzo d'un suo vestito, ma
che non potevo esserne sicuro. Si volle sapere se un mantello od altro
oggetto di vestiario qualunque mancasse alla guardaroba di Francesco, e
per che cagione la ci mancasse, ed io dovetti contare come quella sera
fatale avessimo dovuto imprestare a Lei, a cui abbiamo tanto debito di
riconoscenza, un mantello per tornarsene la notte a casa sua.
Gian-Luigi ebbe tanta padronanza di sè da nascondere la sua contrarietà,
la fiera rabbia ond'era assalito.
— Ho avuto torto, diss'egli, a non dare importanza a quell'aggressione.
Se fossi andato subito a denunziare il fatto, dando io i connotati dei
malandrini, e li posso dare esattissimi, avrei forse conferito allo
scoprimento de' rei; ma pensai allora che non valesse manco la pena di
scomodarsi. Però si è ancora certamente in tempo, e conto recarmi tosto
dal Commissario di Polizia.
— Farà bene. Di sicuro non è su Lei che possano cadere sospetti di tal
fatta; ma un altro da questo viluppo di circostanze potrebbe venir
compromesso. È meglio affrettarsi a dilucidare le cose.
Quercia, con atto di cordiale franchezza, tese la mano al signor
Giacomo.
— Lei, signore, mi dice superiore a questi sospetti, e sono persuaso che
tale mi crede; ma in realtà Ella conosce poco di me e nulla delle cose
mie. Avrà udito di me varii giudizi nel mondo, e forse malevoli i più:
ma il vero è che nessuno sa nulla dell'esser mio, del mio passato, delle
mie reali condizioni. Ebbene ora voglio che Ella mi conosca
compiutamente; devo farmene compiutamente conoscere, prima di
avventurare una domanda, da cui, come già accennai, dipende la felicità
di tutta la mia vita.
Si raccolse un momento, e poi raccontò il seguente romanzetto della sua
vita ch'egli si era preparato per simile occasione.
— Lungo tempo io vissi come trovatello. La mia nascita toglieva un
vistoso patrimonio a certi collaterali della mia famiglia, i quali mi
fecero pertanto sparire e mi relegarono in un ospizio. Un po' di rimorso
in que' sciagurati che così mi sacrificavano, li indusse a farmi levare
di là ed affidarmi alle cure d'una donna che mi fosse nutrice e madre,
incaricando di vigilare su di me un medico del villaggio in cui questa
donna abitava. Quando fui cresciuto, questo medico, sempre per mandato
di que' tali, mi fece studiare, mi mandò all'Università, e poichè fu
giunto all'estremo di vita mi ebbe a sè e mi rivelò il segreto. I miei
nemici avevano così bene prese le loro precauzioni che nessun documento
più, nessuna prova sopravanzava da farmi restituire il mio nome e
l'esser mio; d'altronde trattavasi dell'onore di certi autorevolissimi
personaggi che si voleva salvo ad ogni modo, così che se io, istrutto di
qualche cosa, avessi tentato il ricupero del mio vero stato, mi sarei
esposto anche al pericolo di vedere minacciata, non che la libertà, la
mia vita. Per rimediare in alcun modo al torto che mi era fatto, quei
medesimi avevano mandato al medico circa cento cinquanta mila lire da
darmi _brevi manu_, capitale che per poco mi sapessi industriare avrebbe
bastato a farmi vivere agiatamente. Il medico medesimo, commosso dalla
pietà del mio caso, mi lasciava parte delle sue sostanze. Che doveva io
fare? che mezzi mi restavano da ribellarmi contro il mio destino?
Accettai e mi tacqui. Quel capitale, che fu da principio di poco meno
che duecento mila lire, per mezzo di certe speculazioni industriali...
fatte in Francia... ho più che accresciuto; ed ecco l'origine di quella
ricchezza che la gente trova forse misteriosa, e di cui non curo, anzi
disdegno di porgere al volgare la menoma spiegazione. A Lei, prima di
fare la domanda che sto per volgerle, dovevo dare questa spiegazione; ed
anzi, siccome la non è obbligata a credermi soltanto sulla parola, le
darò per prova della verità del mio asserto uno scritto tutto di pugno
di quel medico, — e la sua firma si può riscontrare e fare autenticare
per vera quandochessia — nel quale ogni cosa è narrata per disteso,
scritto lasciatomi da lui, appunto perchè in qualunque caso io potessi
trionfalmente rispondere ad ogni sospetto che potesse sorgere, ad ogni
accusa che mi si potesse affacciare intorno alle fonti di quelle mie
sostanze.
— Io non ho bisogno di questo — si credette in obbligo di dire il signor
Giacomo, il quale non sapeva ancora a che volesse parare il giovane con
siffatti discorsi — per prestar fede alle sue parole.
E Gian-Luigi con maggiore la vivacità:
— Crede Ella dunque che un uomo in queste circostanze, con mezzo milione
di patrimonio, possa aspirare senza troppa audacia alla mano della
fanciulla d'un'onesta famiglia, d'una fanciulla ch'egli ama più d'ogni
cosa al mondo?
Giacomo comprese finalmente; ma la cosa gli giunse così inaspettata che
non ebbe parole fatte e non seppe dimostrare il suo stupore altrimenti
che coll'espressione della sua faccia; il giovane inchinandosegli
dinanzi con cerimonia, come aveva fatto testè dinanzi a Maria, gli disse
con accento solenne:
— Ho l'onore di domandarle la mano di sua figlia, madamigella Maria.
Il signor Benda, tanto meravigliato ancora che non sapeva bene tuttavia
se questa domanda gli faceva piacere o no, rispose come rispondono tutti
i padri in simili occasioni: esser questo un onore, ma prima di prendere
una decisione aver bisogno di consultare la famiglia, e la figliuola
sopratutto, eccetera, eccetera, e soggiunse che in quelle tristi
circostanze in cui si trovavano, troppo non era acconcio il tempo a
pensare e parlare di cose siffatte.
Quercia si credette allora in obbligo di spiegare la ragione per cui non
ostante la poco propizia occasione, chè riconosceva ancor egli quella
essere tale, avesse pur tuttavia affrettato di avventurare la sua
domanda. Disse che il suo amore per Maria era nato ben dapprima ch'egli
si fosse introdotto in quella casa (il mentire non gli costava nulla)
che ora avvicinandola erasi quell'affetto accresciuto a dismisura, e
che, dovendo egli partire fra poco tempo per recarsi in Francia, appunto
per quelle sue certe speculazioni che aveva detto averci colà
intraprese, e fermarcisi forse un anno ed anco più, non poteva
acquietarsi all'idea di partire senza aver deciso il destino del suo
amore. Questo era il motivo per cui aveva così bruscamente dichiarato le
sue intenzioni, e pregava in conseguenza che non gli si facesse di tanto
ritardare, qualunque si fosse, la risposta che invocava.
Il signor Giacomo fissò il dopo dimani per una risposta definitiva, e i
due si separarono con una stretta di mano che era più che d'amico, quasi
già di congiunto.
Gian-Luigi, uscendo da quella casa, s'affrettò verso il Palazzo Madama,
dove domandò di parlare al signor Commissario.
CAPITOLO XIII.
Quando il signor Tofi udì annunziare che il dottor Quercia domandava di
parlargli, provò una viva sorpresa che si manifestò in un leggier
trasalto ed in un vivace lampeggiar degli occhi sotto le folte
sopracciglia. La preda veniva da se stessa all'arrivo del cacciatore:
vero era che questa preda aveva unghie ed artigli, ma com'era bene
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- La plebe, parte IV - 49
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- La plebe, parte IV - 51