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La plebe, parte IV - 22

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  aveva in modo assoluto determinato che mai non avrebbe più tentato quel
  passo, ch'ella in cuor suo dicevasi potere diventare per certe
  circostanze, quasi un dovere in lei. Il racconto delle sventure di sua
  madre, se aveva potuto contribuire a scemar in essa le speranze che
  avrebbe potuto concepire intorno all'amor suo, ed abbiam visto com'ella
  poca o nessuna ne avesse, se aveva potuto ispirarle più riguardosa
  prudenza, non era fatto per isminuirle quella passione d'amore che già
  troppo oramai era in lei radicata e cresciuta.
  Oh come ella aveva ripensato tra sè, e ricontatosi quel doloroso romanzo
  che aveva avuto per eroina sua madre, e di cui lo zio le aveva ora
  tracciate le linee principali! Come la sua fantasia eccitata aveva
  alacremente lavorato intorno a questi tratti precipui e compitone il
  disegno e menativi i colori e terminato il quadro! La sua tenerezza per
  la madre aveva sempre avuto qualche cosa di speciale, quasi potrebbe
  dirsi di misterioso, come se il suo istinto di figliuola avesse sentito
  nell'esistenza di quella cara e veneranda creatura un profondo dolore da
  consolare. Ora questa tenerezza, ch'ella sempre serbava all'anima della
  morta, s'era accresciuta vieppiù; ora era essa penetrata nel mistero di
  quel dolore e ne trovava ancora più pietosa la causa; ora comprendeva il
  significato di quello sguardo mesto, lungo, quasi imploratore, ch'ella
  ricordava aver visto tante volte nei begli occhi della madre. Virginia
  s'era recata innanzi al ritratto di questa che pendeva alle pareti nella
  sua camera da letto, ed era stata lungamente contemplandolo. Quante cose
  le diceva ora quel pallido viso leggiadro, che mai non aveva ella
  dapprima avvertite! Non era una colpa l'amor suo, ben lo aveva ella
  sentito; era una sventura: ma sapendo che a tale sventura aveva
  partecipato sua madre, le pareva che più nobile, più degna quella
  disgrazia si fosse, e se la aveva più cara.
  Ad accrescere la passione dell'animo di Virginia venne la notizia dei
  fatti compiutisi alla fabbrica Benda e dei pericoli che quella famiglia
  avevano minacciato. Aveva sperato la nobil fanciulla di poter per mezzo
  di Maurilio sapere tutta e particolareggiata, e man mano la verità, ma
  fallitale, come abbiam visto, questa speranza, maggiori n'erano
  diventati il suo timore, la sua inquietudine, l'affanno dell'anima sua.
  La letterina di Maria giunse in buon punto per deciderla affatto a
  quello che già pensava seco stessa, a quel partito cui fino da principio
  aveva voluto effettuare, ed a cui non aveva rinunziato mai. Si coprì
  d'un fitto velo, si avvolse in un modesto mantello, si fece seguire
  dalla sua governante, uscì ratta a piedi, come quando recavasi
  modestamente in chiesa, e salita in una carrozza da nolo si fece
  condurre alla casa dei Benda.
  Maria sedeva appiè del letto di suo fratello, il quale era di nuovo
  caduto in quel sopore che lo faceva rassomigliare poco meno che ad un
  cadavere. Quando alla fanciulla vennero ad annunziare che una giovane e
  bella signorina domandava di lei, una subita speranza le nacque in cuore
  che la potesse esser quella di cui essa aveva invocata la presenza, ma
  non osò accoglierla questa speranza; già s'era pentita, come dissi,
  d'aver scritto quel biglietto, e pensando all'orgoglio aristocratico che
  certamente doveva avere quella giovane, venivasi persuadendo che quel
  foglio la lo avrebbe disdegnosamente gettato e non altro. Corse di là
  con sollecitudine e mandò un'esclamazione di gioia e di riconoscenza nel
  vedersi davanti, ritta in mezzo la stanza, il velo sollevato dalla
  faccia leggiadra, la contessina di Castelletto.
  — Dio la benedica! disse Maria, e le prese ambedue le mani, e si curvò
  come se glie le volesse baciare.
  Ma Virginia la trasse su, le gettò le braccia intorno alla vita e
  l'abbracciò come una sorella.
  Le due fanciulle si guardarono entro gli occhi, e si compresero più che
  per qualunque lungo discorso; si sentirono per affetto e per tempera
  d'anima congiunte; a dispetto d'ogni distinzione sociale si avvertirono
  pari.
  — Posso io vederlo? domandò Virginia con una virtuosa franchezza,
  senz'ambagi come senza falsa vergogna.
  Maria la prese per la piccola mano affilata e rispose con una sola
  parola:
  — Venga.
  La introdusse nella camera dove il ferito giaceva. Siccome le imposte
  della finestra erano rabbattute, Virginia da principio non vide che
  confusamente in quella oscurità. Al rossigno chiarore che mandava il
  fuoco del caminetto scorse una donna attempata, la quale, vedendo
  entrare una ignota, s'alzava da sedere. Maria le correva presso, le
  bisbigliava poche parole all'orecchio e quella donna faceva alla nuova
  venuta una profonda riverenza. Era essa la madre di Francesco.
  Virginia camminò lentamente verso il bianco cortinaggio del letto che
  spiccava nel buiccio di quella stanza. I suoi occhi, cominciando ad
  avvezzarsi alla poca luce, videro sui cuscini abbandonata la testa
  simpatica del giovane. Le palpebre erano richiuse e le lunghe ciglia si
  disegnavano finemente sul pallore delle guancie. Le labbra scolorate
  erano semiaperte, ma pareva che di mezzo a loro non uscisse soffio
  nessuno di respiro. Solamente di quando in quando un gemito esile, ma
  penoso, saliva su dal petto e passava lento, trascinato per quella bocca
  socchiusa. Qual differenza fra quel misero giacente che soffriva e il
  robusto ed aitante garzone che Virginia aveva visto pochi giorni prima
  alla festa da ballo, che le aveva allora appunto con tanta ardenza
  svelato il suo amore!
  Ella si fermò a pochi passi dal letto. Sentì nel suo cuore una pena che
  era quasi un rimorso; una ineffabile tenerezza le mandò agli occhi due
  lagrimette ch'ella non pensò neppure di asciugarsi.
  — Gli è per me, a cagion mia, pensò, ch'egli è ridotto in tale stato.
  Lo sguardo di Virginia parve esercitare alcun influsso sull'infermo:
  certo per uno di quegl'inesplicabili istinti d'innamorato, egli, anche
  inconsciamente, sentì alcun effetto della presenza di lei. Gli occhi
  rimanevano chiusi tuttavia, ma un lieve color rosato saliva su alle
  guancie, ed il respiro si faceva più sensibile. Ella fece ancora un
  passo verso il letto: gli occhi di lui si spalancarono e stettero
  immobili, fissi su quella bellissima figura di donna che avevan dinanzi
  e ch'egli credeva una felice visione del suo delirio. Tutta la notte il
  caro fantasma di quelle sembianze era passato e ripassato nei torbidi
  sogni della sua malata fantasia; ma egli non aveva potuto fermarselo mai
  innanzi alla mente per tanto tempo e in sì precise forme quanto
  desiderava: credette che ora fosse questa un'apparizione come le
  precedenti, ma più simile alla realtà, più netta di forme e più
  duratura. Lo sguardo semispento de' suoi occhi affondati prese una
  ineffabile espressione di tenerezza, di gioia e di preghiera; e le sue
  labbra mormorarono con appena sensibil soffio di voce:
  — Oh! non fuggirmi così presto, diletta immagine dell'amor mio!
  Virginia superò d'un tratto con piè leggiero la poca distanza che ancora
  la separava dal giacente e si curvò su di lui come per raccoglierne le
  pronunziate parole. Negli occhi del ferito apparve una sorpresa, una
  commozione, quasi un timore. Richiuse le palpebre come per vedere se
  quell'apparizione era nella sua mente soltanto, o proprio nella realtà,
  all'infuori di lui: e in quella sentì, come un soffio soave di paradiso,
  un alito profumato passargli sulla fronte, e una celeste melodia di voce
  femminile pronunziare teneramente il suo nome:
  — Francesco!
  Il giacente mandò un grido — un vero grido — di gioia. Teresa e Maria
  accorsero sollecite, quasi spaventate. Ma non c'era onde spaventarsi.
  Gli occhi del giovane riapertisi brillavano di tutta la luce della
  salute e della ragione: l'anima fatta beata raggiava la sua letizia da
  tutte le sembianze della leggiadra faccia.
  — Virginia! Virginia! esclamò egli con voce più forte di quello che
  altri avrebbe mai potuto credere.
  Non avevano fatto che pronunziare a vicenda l'un dell'altro il nome; ma
  quante cose con quella sola parola e' s'eran dette! ma come s'erano
  reciprocamente compresi! come si sentivano l'un dell'altro penetrar
  l'anima nell'anima!
  Virginia tornò a curvarsi sopra il giacente, e fece sommessamente di
  nuovo suonare la melodia della sua voce.
  — Non parli, glielo proibisco. Sono venuta a pregarla di guarir presto,
  e la mi deve obbedire. A questo patto soltanto le perdonerò il troppo
  dolore ch'Ella ha dato a sua madre, a tutta la sua famiglia.....
  Stette un breve momento, e poi soggiunse a voce più bassa:
  — Ed a me.
  Francesco beveva cogli occhi lo sguardo, colle orecchie la voce
  dell'amata fanciulla. Sentiva nelle vene, in tutto l'esser suo rifluire
  di subito nuova e più potente la vita; gli pareva di colpo fugato ogni
  male, e quasi effettuato in lui il miracolo del Nazareno, che aveva
  detto all'infermo di levarsi, prendersi il suo letto in ispalla e
  camminare. Le parole gli mancavano alle idee, le idee stesse gli
  mancavano all'espressione della sua felicità.
  Non passarono più che dieci minuti. Fu un attimo pel loro desiderio, ma
  vi fu abbastanza di tempo perchè le più svariate e numerose sensazioni
  di tenerezza e d'amore si avvicendassero nelle loro anime. Le labbra non
  promisero nulla, gli occhi si scambiarono mille giuramenti. Virginia,
  allontanandosi dal giacente per partirsi, lasciava nel cuore di lui un
  balsamo taumaturgo da risanarlo assai più presto e meglio d'ogni farmaco
  di medico.
  Mentre la fanciulla stava per uscire di quella stanza, vi entrò un uomo.
  Era il padre di Francesco, che veniva inquieto a vedere suo figlio. In
  presenza delle donne Virginia non aveva avuto pure un istante di
  turbamento o di confusione; la vista d'un uomo la fece arrossire fino
  alla radice dei capelli. Prese ella vivamente per mano Maria, come se
  volesse con quell'atto significare che all'interesse ed all'affetto per
  la compagna dovevasi la sua presenza in quel luogo, e s'affrettò ad
  uscire dalla stanza, passando innanzi a Giacomo, il quale,
  riconosciutala, salutava con profondissimo inchino.
  Giunte nella camera che precedeva quella di Francesco, Maria e Virginia
  trovarono Gian-Luigi che sopraggiungeva, preceduto da un domestico.
  Maria arrossì leggermente nel rispondere al saluto del giovane i cui
  sguardi e la cui attenzione furono attirati dalla superba bellezza della
  titolata fanciulla. L'aspetto di Quercia era tale ancor esso da non
  passare inosservato a qualunque lo vedesse, e Virginia, senza pur
  darsene conto, fissò quasi con curiosità i suoi limpidi occhi sulle
  sembianze virilmente belle di quel nuovo venuto, e rispose con una
  cortesia che era presso che famigliare e benevola al saluto di quel
  giovane che non ricordava aver veduto ancora mai. Avviene molte volte
  che al bel primo incontrarci con una persona, questa non ci pare affatto
  estranea; o sia una somiglianza con altre persone, o sia una certa
  misteriosa affinità fra i nostri esseri che si rivela con una specie
  d'istinto inavvertito, o sia un effetto travelato di attinenze anteriori
  avute in una vita precedente, il fatto è che certuni appena ci vengono
  innanzi ci sembrano conoscenze d'antica data, e siamo disposti di subito
  a conceder loro più domestichezza ed interesse che non ad altri da molto
  tempo già conosciuti. Fu un poco di quest'effetto che Virginia provò
  alla vista di Gian-Luigi, e quasi uguale fu quello che sentì il giovane
  a trovarsi faccia a faccia colla nobil ragazza cui aveva vista da
  lontano parecchie volte, ma non aveva mai accostata. E, cosa strana, in
  questa sua sensazione, non entrava menomamente quel suo ardore di
  voluttà che gli faceva desiderare ogni bellezza di donna, ma eravi come
  una tinta di rispetto, come un'ombra di affettuosa deferenza, come un
  istintivo impulso ad inchinar riverente quelle belle sembianze.
  Maria vide l'ammirativa fissità dello sguardo di Gian-Luigi su Virginia,
  e sentì una dolorosa fitta nel cuore. Anche la gelosia doveva nascere in
  quella povera, innocente fanciulla a confermarle e ribadirle nell'anima
  l'infausta passione che vi si era insinuata. Non disse che poche parole
  a Quercia, invitandolo a passare nella camera di Francesco, e seguitò ad
  accompagnare la bella visitatrice che si partiva, fino all'anticamera.
  Nel momento di prender commiato, Virginia, stringendo amichevolmente la
  mano a Maria, le disse:
  — Scriverò a Lei per avere ulteriormente le nuove di suo fratello; la
  sia compiacente di darmene senza troppa parsimonia.... E spero che ci
  rivedremo.
  Quando la nobil fanciulla fu partita, Maria pensò un istante, invece di
  tornare presso suo fratello, di andarsi a rinchiudere nella sua camera e
  non uscirne più finchè Quercia si fosse partito; e s'avviò realmente per
  porre in atto questa risoluzione, ma non n'ebbe la forza. Quando fu nel
  salotto che precedeva la camera di Francesco, vide che Gian-Luigi non
  era passato di là, ma stava lì tuttavia, come aspettando. Si turbò molto
  nel trovarsi sola con lui, non osò guardarlo e stette impacciata, a
  pochi passi da lui, senza parlare.
  Egli le faceva piombare addosso quel suo sguardo caldo, luminoso,
  efficace, che penetrava nell'anima; e la giovanetta, pur colle palpebre
  abbassate, lo sentiva posarsi con infinita soavità, come una carezza
  amorosa, sulla fronte, sul volto, sulla persona, avvolgerla come d'un
  fluido voluttuoso, e vincerle ogni volontà. Quercia s'accostò alla
  fanciulla, e le prese una mano; ella si mise a tremar leggermente, e
  volle liberar la sua destra, ma egli ne la trattenne con dolce violenza.
  — Maria! susurrò egli chinando la sua bocca sulle chiome di seta che
  ornavano la testolina curva della ragazza: e la sua voce era sì
  espressiva ed insinuante! e l'accento era pieno di tanto amore e di sì
  cara espansione che una dolcezza ineffabile invase ed occupò tutto
  l'essere della innamorata fanciulla.
  I suoi occhi si levarono quasi tratti a forza verso gli occhi di lui, e
  la luce brillò in essi ripercossa da due lagrimette.
  — Maria! ripetè egli col medesimo accento, premendosi al petto quella
  mano che seguitava a tener fra le sue.
  Dal labbro della giovane fuggì, saettato per così dire dall'emozione, il
  segreto del suo cordoglio.
  — Ah! com'Ella ha guardato la contessina di Castelletto! disse con
  amarezza in cui non c'era rimprovero, ma dolore.
  Quercia cominciò per rispondere con un sorriso soltanto, ma con uno di
  quei suoi sorrisi ammaliatori che erano più eloquenti d'ogni parola, e
  che bastò a rassicurare ed a rallietare l'animo di Maria; poi disse:
  — Sì, la ho guardata, perchè io ammiro la pietà dovunque si manifesti, e
  trovo degno di lode il sentimento che condusse presso il letto del
  giacente la figliuola d'una superbissima schiatta. La ho guardata, ma
  l'ho io veduta? Come donna, no. Di donne ve n'è una sola al mondo ch'io
  veda oramai, una sola che esista per me...
  S'interruppe, sollevò lentamente alle sue labbra la mano che teneva e vi
  posò un lungo e caldissimo bacio; poi soggiunse con voce più bassa, ma
  con accento ancor più espressivo:
  — E quest'unica donna — Maria — sei tu!
  La fanciulla si riscosse come subitaneamente colpita da una potente
  scintilla elettrica, arrossì, impallidì, tremò, accennò cadere, si
  aggrappò al braccio di lui per sostenersi.
  — Sì, Maria, sei tu. Benedico questo momento che Dio mi concede da
  poterti parlare in libertà. T'amo e voglio che tu sia la donna compagna
  del mio destino; ma non mi piace ottenere questa felicità da altri che
  dall'amor tuo. Ti senti tu di amarmi? Ti senti tu d'esser mia, tutta
  mia, sempre mia?
  Ella appoggiò la sua fronte al petto di lui per nascondere il dolce
  rossore del suo viso e mormorò sommessamente:
  — Sì... Oh sarò felice!
  Allora egli la staccò dolcemente da sè, e con gentile riverenza
  inchinandosi innanzi, disse:
  — Mi permette dunque, madamigella, ch'io domandi la mano di Lei ai suoi
  genitori?
  Maria gli porse la destra.
  — Ed io glie la do senz'altro. Babbo e mamma non avranno altra volontà
  che la mia.
  Quando Quercia ebbe baciata quella mano, ella si fuggì ratta, e questa
  volta andò proprio a serrarsi nella sua camera, dove sentiva il bisogno
  di essere sola.
  Il _medichino_ la seguitò con uno sguardo in cui brillava una bassa
  cupidigia sensuale.
  — Oltre i suoi denari, disse fra sè con cinismo, avrò anche una donnetta
  che mi piace... finchè ne sia poi stufo.
  Ricompose la sua faccia ad espressione onesta, ed entrò nella camera di
  Francesco.
  Il miglioramento dell'infermo era evidente anche agli occhi d'un profano
  all'arte medica; e il padre e la madre di lui lo avevano subito
  avvertito, pensatevi se con lieto animo. Quercia certificò questo
  prospero mutamento e crebbe la consolazione dei parenti, il buonumore
  del malato. Per la prima volta, dopo parecchi giorni, in quella famiglia
  così crudelmente provata, entrò di nuovo la tranquillità dello spirito e
  trovò luogo il sorriso.
  Si parlò con mente più libera di cose varie e indifferenti; e Francesco
  domandò che cosa succedesse per la città, come si fossero passati gli
  ultimi giorni di carnovale e quali novità occupassero le ciarle dei
  cittadini. Il sor Giacomo, fra altre cose, disse della principale di
  codeste novità, che era quella dell'assassinio di Nariccia, di cui non
  sapeva bene però tutti i particolari, essendo vissuto in quei giorni
  così segregato dal mondo, e quindi chiedendone al dottore: ma questi non
  parlò a lungo di tale argomento; ripetè spiccio le voci principali che
  correvano, e poi tosto consigliò a fare in modo che l'infermo non avesse
  tanto da parlare, e quindi troncare per allora il discorso.
  Ma il ricordare quel delitto aveva richiamato qualche cosa alla mente
  del padre di Francesco. Quercia, che era osservatore acutissimo e sempre
  in sull'avviso, s'accorse che a questo proposito alcun che era
  intravvenuto che più da vicino toccava quella famiglia o il sor Giacomo
  solo, perchè quest'ultimo aveva preso un aspetto alquanto preoccupato, e
  guardava il dottore con una certa espressione fra di curiosità e di
  dubbio, di esitanza e di imbarazzo che pareva significare aver egli
  qualche cosa da dire ed essere incerto se e come dirla.
  Gian-Luigi decise tosto tagliar netto il nodo; si chinò verso il signor
  Benda, e gli disse sotto voce:
  — Avrei bisogno di parlarle. La mi vuole concedere due minuti di
  colloquio nel suo studio?
  — Volentieri. Ho giusto ancor io una strana circostanza da comunicarle.
  Quando furono di là il giovane invitò il padre di Francesco a parlare
  per primo: ma il signor Giacomo non volle.
  — No, no, parli Lei: il suo contegno mi dice che le sono cose gravi
  quelle che la mi ha da dire, ed io, avvezzo oramai a nuovi colpi della
  sventura, sono ansioso di sentire se qualche nuovo malanno ci minaccia.
  Luigi fece sorridendo un atto rassicuratore.
  — No. Debbo trattenerla di due cose: la prima è una bazzecola che la mia
  poca memoria mi ha tolto di dirle prima, come già avrei dovuto fare;
  l'altra è una proposta, importantissima per me, pel quale si tratta
  della felicità della vita.
  Il signor Giacomo, la cui curiosità fu vivamente desta da tali parole,
  fe' cenno al suo interlocutore parlasse liberamente.
  — Cominciamo dalla cosa indifferente. Il parlare ora del delitto
  commesso la notte dell'ultima domenica di carnovale, mi ha fatto
  ricordare che io, quella notte medesima, quando mi sono partito di qua,
  su questo stesso viale che qui conduce, fui vittima d'un'aggressione.
  — Lei?
  — Sì, signore. Due uomini mi assalirono, dei quali uno era un colosso.
  Non pensai mi convenisse opporre resistenza; mi spogliarono di quanti
  denari avevo, e, quel che più mi dolse, mi presero anche il mantello che
  qui mi era stato imprestato: ed ecco la cagione per cui non l'ho potuto
  ancora, nè lo potrò mai restituire.
  Giacomo fece un atto ed un'esclamazione che significavano: «Ora capisco
  tutto.»
  — Egli è appunto cosa che riguarda quel benedetto mantello che io le ho
  da dire. In causa di esso io ebbi una chiamata dal giudice istruttore.
  — Davvero? esclamò Quercia, che nascose il suo malessere sotto le mostre
  dello stupore.
  — Sicuro; e ci fui questa mattina medesima.
  — E che le si disse adunque? Il mio aggressore sarebbe stato arrestato?
  — No, ma il suo aggressore dev'essere niente meno che l'assassino di
  quell'usuraio.
  — Possibile! Oh come? oh come?
  — Nelle mani dell'assassinato si trovò un pezzo di bavero, sotto cui
  trapunte due lettere iniziali. La Polizia ebbe a sè tutti i sarti della
  città per vedere se alcuno riconoscesse in quello un suo lavoro, e il
  sarto mio e di mio figlio disse che quello era il colletto d'un mantello
  da lui fatto pochi mesi sono per Francesco, del cui nome infatti sono
  iniziali le lettere che vi si trovano trapunte. (E il nostro sarto ha
  appunto l'uso di ricamare tali cifre per distinguere i panni miei da
  quelli di mio figlio). Mi si mostrò quello squarcio e mi si domandò se
  lo riconoscevo: io risposi che quelle erano invero le iniziali del nome
  di mio figlio, che ben mi pareva quello il pezzo d'un suo vestito, ma
  che non potevo esserne sicuro. Si volle sapere se un mantello od altro
  oggetto di vestiario qualunque mancasse alla guardaroba di Francesco, e
  per che cagione la ci mancasse, ed io dovetti contare come quella sera
  fatale avessimo dovuto imprestare a Lei, a cui abbiamo tanto debito di
  riconoscenza, un mantello per tornarsene la notte a casa sua.
  Gian-Luigi ebbe tanta padronanza di sè da nascondere la sua contrarietà,
  la fiera rabbia ond'era assalito.
  — Ho avuto torto, diss'egli, a non dare importanza a quell'aggressione.
  Se fossi andato subito a denunziare il fatto, dando io i connotati dei
  malandrini, e li posso dare esattissimi, avrei forse conferito allo
  scoprimento de' rei; ma pensai allora che non valesse manco la pena di
  scomodarsi. Però si è ancora certamente in tempo, e conto recarmi tosto
  dal Commissario di Polizia.
  — Farà bene. Di sicuro non è su Lei che possano cadere sospetti di tal
  fatta; ma un altro da questo viluppo di circostanze potrebbe venir
  compromesso. È meglio affrettarsi a dilucidare le cose.
  Quercia, con atto di cordiale franchezza, tese la mano al signor
  Giacomo.
  — Lei, signore, mi dice superiore a questi sospetti, e sono persuaso che
  tale mi crede; ma in realtà Ella conosce poco di me e nulla delle cose
  mie. Avrà udito di me varii giudizi nel mondo, e forse malevoli i più:
  ma il vero è che nessuno sa nulla dell'esser mio, del mio passato, delle
  mie reali condizioni. Ebbene ora voglio che Ella mi conosca
  compiutamente; devo farmene compiutamente conoscere, prima di
  avventurare una domanda, da cui, come già accennai, dipende la felicità
  di tutta la mia vita.
  Si raccolse un momento, e poi raccontò il seguente romanzetto della sua
  vita ch'egli si era preparato per simile occasione.
  — Lungo tempo io vissi come trovatello. La mia nascita toglieva un
  vistoso patrimonio a certi collaterali della mia famiglia, i quali mi
  fecero pertanto sparire e mi relegarono in un ospizio. Un po' di rimorso
  in que' sciagurati che così mi sacrificavano, li indusse a farmi levare
  di là ed affidarmi alle cure d'una donna che mi fosse nutrice e madre,
  incaricando di vigilare su di me un medico del villaggio in cui questa
  donna abitava. Quando fui cresciuto, questo medico, sempre per mandato
  di que' tali, mi fece studiare, mi mandò all'Università, e poichè fu
  giunto all'estremo di vita mi ebbe a sè e mi rivelò il segreto. I miei
  nemici avevano così bene prese le loro precauzioni che nessun documento
  più, nessuna prova sopravanzava da farmi restituire il mio nome e
  l'esser mio; d'altronde trattavasi dell'onore di certi autorevolissimi
  personaggi che si voleva salvo ad ogni modo, così che se io, istrutto di
  qualche cosa, avessi tentato il ricupero del mio vero stato, mi sarei
  esposto anche al pericolo di vedere minacciata, non che la libertà, la
  mia vita. Per rimediare in alcun modo al torto che mi era fatto, quei
  medesimi avevano mandato al medico circa cento cinquanta mila lire da
  darmi _brevi manu_, capitale che per poco mi sapessi industriare avrebbe
  bastato a farmi vivere agiatamente. Il medico medesimo, commosso dalla
  pietà del mio caso, mi lasciava parte delle sue sostanze. Che doveva io
  fare? che mezzi mi restavano da ribellarmi contro il mio destino?
  Accettai e mi tacqui. Quel capitale, che fu da principio di poco meno
  che duecento mila lire, per mezzo di certe speculazioni industriali...
  fatte in Francia... ho più che accresciuto; ed ecco l'origine di quella
  ricchezza che la gente trova forse misteriosa, e di cui non curo, anzi
  disdegno di porgere al volgare la menoma spiegazione. A Lei, prima di
  fare la domanda che sto per volgerle, dovevo dare questa spiegazione; ed
  anzi, siccome la non è obbligata a credermi soltanto sulla parola, le
  darò per prova della verità del mio asserto uno scritto tutto di pugno
  di quel medico, — e la sua firma si può riscontrare e fare autenticare
  per vera quandochessia — nel quale ogni cosa è narrata per disteso,
  scritto lasciatomi da lui, appunto perchè in qualunque caso io potessi
  trionfalmente rispondere ad ogni sospetto che potesse sorgere, ad ogni
  accusa che mi si potesse affacciare intorno alle fonti di quelle mie
  sostanze.
  — Io non ho bisogno di questo — si credette in obbligo di dire il signor
  Giacomo, il quale non sapeva ancora a che volesse parare il giovane con
  siffatti discorsi — per prestar fede alle sue parole.
  E Gian-Luigi con maggiore la vivacità:
  — Crede Ella dunque che un uomo in queste circostanze, con mezzo milione
  di patrimonio, possa aspirare senza troppa audacia alla mano della
  fanciulla d'un'onesta famiglia, d'una fanciulla ch'egli ama più d'ogni
  cosa al mondo?
  Giacomo comprese finalmente; ma la cosa gli giunse così inaspettata che
  non ebbe parole fatte e non seppe dimostrare il suo stupore altrimenti
  che coll'espressione della sua faccia; il giovane inchinandosegli
  dinanzi con cerimonia, come aveva fatto testè dinanzi a Maria, gli disse
  con accento solenne:
  — Ho l'onore di domandarle la mano di sua figlia, madamigella Maria.
  Il signor Benda, tanto meravigliato ancora che non sapeva bene tuttavia
  se questa domanda gli faceva piacere o no, rispose come rispondono tutti
  i padri in simili occasioni: esser questo un onore, ma prima di prendere
  una decisione aver bisogno di consultare la famiglia, e la figliuola
  sopratutto, eccetera, eccetera, e soggiunse che in quelle tristi
  circostanze in cui si trovavano, troppo non era acconcio il tempo a
  pensare e parlare di cose siffatte.
  Quercia si credette allora in obbligo di spiegare la ragione per cui non
  ostante la poco propizia occasione, chè riconosceva ancor egli quella
  essere tale, avesse pur tuttavia affrettato di avventurare la sua
  domanda. Disse che il suo amore per Maria era nato ben dapprima ch'egli
  si fosse introdotto in quella casa (il mentire non gli costava nulla)
  che ora avvicinandola erasi quell'affetto accresciuto a dismisura, e
  che, dovendo egli partire fra poco tempo per recarsi in Francia, appunto
  per quelle sue certe speculazioni che aveva detto averci colà
  intraprese, e fermarcisi forse un anno ed anco più, non poteva
  acquietarsi all'idea di partire senza aver deciso il destino del suo
  amore. Questo era il motivo per cui aveva così bruscamente dichiarato le
  sue intenzioni, e pregava in conseguenza che non gli si facesse di tanto
  ritardare, qualunque si fosse, la risposta che invocava.
  Il signor Giacomo fissò il dopo dimani per una risposta definitiva, e i
  due si separarono con una stretta di mano che era più che d'amico, quasi
  già di congiunto.
  Gian-Luigi, uscendo da quella casa, s'affrettò verso il Palazzo Madama,
  dove domandò di parlare al signor Commissario.
  
  
  CAPITOLO XIII.
  
  Quando il signor Tofi udì annunziare che il dottor Quercia domandava di
  parlargli, provò una viva sorpresa che si manifestò in un leggier
  trasalto ed in un vivace lampeggiar degli occhi sotto le folte
  sopracciglia. La preda veniva da se stessa all'arrivo del cacciatore:
  vero era che questa preda aveva unghie ed artigli, ma com'era bene
  
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