La plebe, parte IV - 20

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vi piace, allo sciagurato Gian-Luigi, la cui buona stella sta per
tramontare, e di cui vengono a precipitare la sorte fatali circostanze
ed inattesi avvenimenti.
Parlando egli a chi si doveva per ottenere facoltà di ritirare dal
gabinetto anatomico il corpo della Paolina, Quercia udì da quel medico
esclamare, poichè la chiesta licenza fu accordata:
— Ah! v'è da ier sera nella _griglia_[1] un bellissimo soggetto, che
potrebbe vantaggiosamente rimpiazzare questo che le abbandoniamo.
[1] Chiamavasi e chiamasi ancora la _griglia_ il luogo a Torino in
cui si espongono alla vista del pubblico i cadaveri degli
sconosciuti.
Gian-Luigi, senza pur saperne il perchè, provò una scossa, e domandò con
istrano interesse:
— Una disgrazia? Una morte accidentale?
— Pare un suicidio. Un'annegata che fu ieri pescata nel Po.
— Una donna?
— Sì, giovane... e direi fanciulla, se non la si trovasse in istato
_interessante_.
Per quanto poco facile il _medichino_ fosse a commuoversi, il sangue gli
diede un rimescolo: ma aveva su di sè tanta forza da non lasciar nulla
apparire.
— E non fu conosciuta? domandò egli sbadatamente.
— No... Almeno finora, a quanto io sappia.
— Bella? chiese ancora Gian-Luigi senza guardare il suo interlocutore.
— Bellissima. Delle chiome d'ebano, delle fattezze scultorie, un corpo
fatto a meraviglia... Fui chiamato io ad esaminarla per farne
l'accertamento legale della morte; ne ho già vedute di molte io donne, e
morte e vive, ma le dico in verità che di così ben fatte m'avvenne raro
o non mai di trovarne.
— E la fu trovata nel Po?
— Sì, impigliata nella diga del canale Michelotti. Eh uno dei soliti
romanzi a tristo fine: una povera giovane sedotta di certo e abbandonata
dal suo seduttore. Questa razza di birboni, in simili casi, dovrebbero
essi portar la pena dell'omicidio e dell'infanticidio.
Quercia voltò il discorso, e poco stante tolse congedo; ma quando ebbe
tutto provveduto quello che occorreva per l'interesse di Andrea, una
tremenda curiosità, che lo aveva preso di botto alle parole del medico e
non lo aveva lasciato più, lo trasse suo malgrado verso quel luogo
funesto ove si vedeva esposto il cadavere dell'infelice. Voleva vedere
quell'annegata e temeva. Entrò nel vasto cortile del palazzo municipale,
che allora chiamavasi _Corte del burro_, e dove in quel tempo aveva
luogo quel tristo spettacolo, con una lentezza prodotta dal contrasto di
due forze che in lui si combattevano: un'attrazione ed una ripugnanza,
penose ambedue; si venne accostando adagio al folto capannello di gente
che si serrava innanzi al cancello di ferro, dietro il quale, in una
specie di strombatura profonda circa un metro, sopra una tavola di
costruzione laterizia giaceva lungo e disteso il cadavere.
Da principio non potè veder nulla, chè la ressa della gente affollata
impediva di penetrare al suo sguardo: ma udì con un'amara irritazione i
commenti dei curiosi che gli stavano davanti.
— Che bel tôcco di ragazza! Guarda che sopracciglia!
— E che aria fiera pur da morta!
— Altro che fiera! La par che minacci.
— Ha dovuto morire mandando mille accidenti a qualcheduno.
— La conosci tu?
— Io no.
— Neppur io.
— A me la non mi pare una figura affatto nuova, ma non saprei dire dove
l'abbia vista.
— Madonna Santa della Consolata! Così giovane e così bella, e fare una
simil fine. Che cos'è di noi se il Signore ci toglie di capo la sua
santa mano!
Qualcheduno finalmente di quelli che erano in prima fila si mosse e
partì: avvenne un movimento generale di tutta quella piccola massa di
gente, e Gian-Luigi potè profittarne per ispingersi avanti. Giunse quasi
a toccare il cancello di ferro, fra il capo di due altri curiosi potè
insinuarsi il suo sguardo. Era assai tempo che una emozione come quella
che sentì in quel punto non aveva scossi i suoi nervi d'acciaio. Vide il
cadavere giacente della donna. La riconobbe di subito, e non c'era da
esitare, tanto n'erano poco alterati i tratti. Era Ester.
Ella giaceva come persona addormentata, il capo volto un poco dalla
parte degli spettatori. Le sue treccie disciolte, gravi per l'acqua
ond'erano ancora impregnate, le cadevano sul petto: giallognolo era il
pallore della sua carnagione bruna, sì che l'avreste detta una statua
d'avorio ingiallita dal tempo. I suoi lineamenti avevano in realtà una
severa espressione che non era di collera ma di potente rampogna,
d'inesorabile accusa. Era contro il destino, era contro la malvagità
degli uomini ond'era stata tratta a quel passo crudele, che s'era
ribellato, adontato l'ultimo pensiero della morente sì da imprimere sul
volto di lei un tal segno d'implacabile rancore? Gian-Luigi sapeva che
cosa crederne; e in faccia a quel cadavere provò un turbamento, qual
forse non aveva ancora provato mai, egli che aveva soggiogata al suo
perfido volere ogni sensibilità dell'anima. Sentì quasi un'emozione di
paura, gli parve che quelle palpebre abbassate e circondate da un livido
cerchio dovessero sollevarsi e lanciargli di mezzo alle lunghe ciglia
uno sguardo di tremendo sdegno; gli parve che, alla sua presenza, al suo
accostarsi, quel cadavere avrebbe dovuto riscuotersi e da quelle labbra
violacee uscire una terribil parola.
Qual è mai questo strano effetto della morte che sopra ogni individuo
pone un suggello di solenne autorità onde l'animo anche dei più arditi
riman sovraccolto? Se quell'audace giovane si fosse trovato innanzi alla
persona viva di quella infelice, ch'egli aveva empiamente sacrificata
alla sua scellerata passione, non la menoma soggezione, non il menomo
turbamento avrebbe pur tocco il suo animo; avrebbe egli freddamente
ascoltato ogni rimprovero, sarebbe rimasto incommosso ad ogni lamento,
ad ogni lagrima, ad ogni più disperata parola, ad ogni più disperata
esplosione di dolore, di furore, di minaccia, avrebbe risposto col
silenzio, o colla collera, o collo scherno fors'anco. Invece, innanzi a
quel cadavere la sua anima quasi tremava, e il suo sguardo rifuggiva da
quella vista, poco meno che timoroso. Non era quello un implicito
riconoscimento che oltre quella materia ora inanimata sopravviveva pure
ancora alcuna cosa di quella Ester che lo aveva amato, che s'era
sacrificata per lui, che in causa di lui era stata tratta a quel fine
fatale? E questo non so che d'immateriale, di cui il seduttore non aveva
avuto la menoma soggezione durante la sua vita corporea, ora, sciolto
dalla sua servitù al corpo, aveva acquistato un'autorità, una
maggioranza che ne imponeva a colui che aveva perduto quell'anima, colui
che il destino, una giustizia superiore forse aveva tratto innanzi a
quel cadavere. Gian-Luigi subiva questa influenza per istinto, senza
rendersene conto; egli il quale non credeva che alla materia, egli che,
allevato da un ateo materialista, non vedeva nell'universo che leggi
materiali, eterne, allo infuori d'ogni volontà e d'ogni intelligenza di
qualsiasi ente superiore, non vedeva nell'uomo che un organismo cui
scioglie e distrugge per sempre la morte.
Un popolano che stava in prima fila de' curiosi, presso il cancello di
ferro, sentì il fremito d'una delle persone che il premer della folla di
dietro gli pigiava addosso; si volse, vide la faccia autorevole, le
sopracciglia aggrottate, lo sguardo imponente di un uomo signorilmente
vestito, e per quella deferenza che è insita in chi si sa umile, povero
e nullo, e subisce l'influsso delle apparenze del potere e della
ricchezza, si trasse in là e lasciò rispettosamente luogo. Il
_medichino_ si trovò egli a contatto del cancello di ferro, e ne
abbrancò colla sua mano elegantemente inguantata una sbarra.
— È dessa, è proprio dessa: si diceva egli con una contrarietà quasi
rabbiosa della propria impotenza. La è morta e non c'è rimedio... Non
v'è Dio nè diavolo che potrebbe far rivivere quelle forme, che potrebbe
riaggiustare quella macchina infranta... Disgraziata!... Io avrei pur
trovato modo di salvarla!
Egli l'avrebbe fatta sottrarsi in qualche riposto luogo all'ira del
padre, al disprezzo della gente; colà quella passione che nell'infelice
non era ancora estinta per lui avrebbe conservato ai desiderii della sua
ardente natura quella giovanile bellezza pur tanta. Qualche cosa come un
desiderio, che era un'empietà innanzi alla rigidezza di quel cadavere,
sorse nel pensiero scellerato di quell'uomo reo di ogni colpa. La
memoria nella sua fantasia venne a dare alle forme di quella povera
morta le sembianze della vita rigogliosa, con tutta l'ardenza del sangue
giovanile che aveva conosciuta in lei. Rivide quelle braccia, ora
abbandonate, levarsi e con nodo tenace e soavissimo avvincergli il
collo; rivide quel candido petto anelante premersi contro il suo da
fargliene sentire il palpito; rivide lo sguardo pieno di fiamme; quasi
risentì sulla bocca il bacio ardente di quelle labbra ora allividite e
contratte dall'agonia suprema della morte.
In quel momento, per rifare di quella morta l'Ester che era stata poco
tempo innanzi, Gian-Luigi avrebbe dato non so che. Strinse quasi
convulsamente colle mani le barre di ferro a cui si appoggiava, e chinò
il capo verso il cadavere, quasi volesse, quasi sperasse potere, col
suo, soffiare in esso di nuovo l'alito della vita; ma ad un tratto, come
un ghigno mefistofelico, guizzò tra i suoi pensieri.
— Stolto: si disse; mi sarei sopraccaricato d'un imbarazzo che mi
avrebbe impacciato nelle mie faccende fin troppo, e che non avrebbe
tardato a non darmi più che fastidii e noia: la poverina, per mio
vantaggio, fu bene ispirata. I morti non tornano più, non imbarazzano
più nessuno, non fan più male di sorta.
Egli si sbagliava: la morte d'Ester doveva concorrere ancor essa alla
perdita di lui, oramai decisa dalla giustizia di Dio.
Mentre Gian-Luigi, tornato in tutta l'empia freddezza del suo spirito,
fattosi quel ragionamento per cui conchiudeva che la morte di Ester era
una sua ventura, stava per ritirarsi di là, avvenne un movimento nella
folla, che gl'impedì di aprirvisi il passo.
Un povero vecchio, vestito di miserissimi panni, faceva ogni sforzo per
ispingersi innanzi verso la cancellata, e siccome deboli aveva le forze,
e un tremito ne scuoteva le membra, così da non poter avanzare in nessun
modo in mezzo alla folla, egli si era messo a supplicare con voce
piagnucolosa e rotta dall'affanno:
— Per carità, mi lascino passare... Mi dicono che la è una giovane... Io
ho perduta mia figlia... Mi lascino vedere se la è mia figlia.
Il _medichino_ riconobbe la voce fioca e l'accento nasale di _Macobaro_.
Tanto più avrebbe voluto affrettarsi a partire; ma il movimento fatto
dagli astanti per dar passo al vecchio, e poi quello di curioso
interesse che li faceva restringersi intorno al padre della morta, per
assistere alla scena che stava per aver luogo, impedirono affatto a
Gian-Luigi di allontanarsi. Il rigattiere ebreo giunse alla cancellata,
e s'aggrappò ancor egli colle scarne mani tremanti alle sbarre di ferro.
I suoi luridi panni frusti e sporchi toccavano l'elegante pastrano di
Gian-Luigi; ma egli non vedeva nessuno, non poteva veder null'altro che
quel cadavere di donna che gli stava disteso dinanzi.
Lo guardò per un poco, fiso, in silenzio, immobile, senza trarre quasi
neppure il fiato. Pareva che stentasse a riconoscerlo, che non volesse
prestar fede all'evidenza, che credesse quella non altro che
un'illusione ed aspettasse vedersela dileguata. Ma ad un tratto mandò un
grido che si poteva dire un urlo.
— Mia figlia! Mia figlia! esclamò egli tendendo le braccia traverso le
sbarre, come se la volesse afferrare, e prendersela e seco portarsela: è
mia figlia.
Ogni traccia di quell'odio che ultimamente aveva improvviso concepito
per la colpevole, ogni sdegno contro di lei, sparì di botto nel misero
padre, per lasciar rivivere in tutta la sua forza quel primitivo amore
ch'egli sentiva per essa, quasi uguale a quello che aveva pel suo
tesoro. Ricordò ancor egli di colpo, e tutto ad un tratto, il passato di
quella infelice: quando era bambina, quando accoglieva con un sì bel
sorriso il padre al suo ritorno in casa, quando gli dava il bacio della
sera ed il saluto del mattino; quando vivevano sì lietamente in
quell'oscuro quartieretto che la bellezza di lei illuminava. E tutto ciò
era cambiato poichè un infame era venuto a cacciarsi in mezzo a loro.
Ricordò la mestizia sopraggiunta in Ester; poi tutte le scene tremende
che erano succedute; per ultimo la tremenda maledizione con cui egli
aveva flagellata la figliuola, quando il caso glie l'aveva fatta
ritrovare fuggitiva nell'oscurità vespertina della strada. Si percotè
coi pugni chiusi la fronte; si strappò i capelli grigiastri che gli
pendevano alle tempia.
— Eterno Iddio! esclamò: perchè hai tu dato ascolto alla maledizione
d'un padre?... Disgraziato! Disgraziato!... Sono io che l'ho uccisa...
Io, ed un altro!... Un altro! soggiunse con accento d'odio infinito
levando al cielo i pugni stretti e gli sguardi infiammati.
Un istinto parve avvertirlo in quella che l'_altro_ di cui parlava era
lì, al suo fianco, sì da toccarsi, e che Dio li aveva voluti appunto
raccogliere insieme innanzi al cadavere della loro vittima. Si volse di
scatto e i suoi occhi che brillavano ferocemente in fondo alle sue
occhiaie infossate, s'incontrarono nelle pupille fieramente corrusche di
Gian-Luigi.
_Macobaro_ mandò un'esclamazione gutturale che pareva un grido belluino,
e sulla sua faccia cinerina e macilenta corse un lampo come di gioia
feroce. Afferrò con una delle sue mani fatte ad artigli, dalle dita
lunghe, scarne, nere, unghiate, il braccio di Quercia e disse:
— Ah sei qui tu?... Vedi, vedi che hai fatto di mia figlia... Rendimi la
mia figliuola, scellerato!
Una subita e viva emozione corse il cerchio degli spettatori. Gian-Luigi
non si scompose: con un moto ratto e violento del suo braccio robusto
rigettò da sè il vecchio ebreo, e prese una mossa come di difesa.
Intorno a lui si fece un po' di largo e tutti gli occhi erano conversi
su questi due personaggi che accennavano rappresentare una scena
interessante di dramma innanzi a quel cadavere di donna.
Quercia girò intorno i suoi occhi che facevano chinare innanzi a sè
tutti gli altri.
— Quest'uomo, disse pacatamente, od è pazzo, tratto fuor di senno dal
dolore, od è illuso da una strana rassomiglianza... Io non lo conosco.
_Macobaro_ diede un balzo, come se volesse lanciarsi addosso al giovane
elegante: ma questi lo prevenne, gli pose una mano sulla spalla, e
guardandolo in certo modo speciale, come il domatore di fiere guarda il
tigre che vuol ribellarglisi, soggiunse lentamente:
— Io non vi conosco brav'uomo. Guardatemi bene, e vedrete che siete
vittima d'un errore.
Mai gli occhi neri del _medichino_ non avevano avuta tanta efficacia,
tanta imponenza, tanta autorità. Il vecchio avrebbe voluto resistere a
quell'influsso, ma non potè: la forza di quella individualità più
potente, l'abitudine di cedere ad essa, la soggezione di quell'autorità
che il _medichino_ aveva saputo acquistarsi e sapeva difendere e
mantenere, ebbero ancora la loro efficacia in _Macobaro_; curvò il capo
innanzi al suo superiore e sottrasse le sue pupille dallo sguardo di
quelle di lui.
— Mi conoscete voi dunque? domandò Quercia.
— No, no, balbettò il padre di Ester, guardando sempre per terra.
Perdoni ad un povero vecchio che non sa più quel che si faccia.
Gian-Luigi fece un gesto da eroe che mostra la sua clemenza, e
s'allontanò lentamente. Jacob non rivolse più verso di lui nemmeno uno
sguardo; si voltò verso il cadavere della figlia, e tendendo le due
braccia traverso le sbarre, le disse piano piano che niuno potesse
udire:
— Sta, sta tranquilla che ti vendicherò... Ci vendicherò tuttedue.
Poscia si levò di là ed allontanossi con passo barcollante. Pochi minuti
dopo egli era in istretto colloquio con Barnaba, la cui ferita era in
via di guarigione così bene che già poteva egli sedersi sul letto.
Gian-Luigi s'allontanava, pieno l'animo d'una malavoglia, d'un
malessere, d'un'irritazione da non dirsi. Sentiva, per così dire,
sfuggirgli sempre più di pugno il filo guidatore della sua sorte;
sentiva accrescersi quella stanchezza dell'iniqua lotta, quel fastidio
de' casi suoi che ho già accennato venire assalendo a volta a volta
l'animo suo. Ebbe egli appena attraversata la piazza municipale e fatto
pochi passi per la via che mena a piazza Castello, quando gli si fece
innanzi domandando l'elemosina un pezzente tutto rattrappito delle
membra. Il primo atto del giovane, assorto ne' suoi poco piacevoli
pensieri, fu un atto d'impazienza; ma il mendicante fece rapidamente un
certo gesto che destò l'attenzione del _medichino_. Questi si fermò, lo
guardò bene, rispose ratto con un certo ammicco degli occhi, e tratta
fuor di tasca la borsa ne prese una moneta e la fece scivolare nella
mano del povero. In questo medesimo atto il mendico fece passare nella
mano che gli porgeva il denaro un piccolo fogliolino di carta finissima,
ripiegato e compresso da tenere il meno spazio possibile.
Quercia serrò in pugno quella carta, senza fare il menomo cenno, come se
nulla fosse, e continuò la sua strada; ma dopo un poco affrettò
maggiormente il passo per giungere a casa sua e leggere il bigliettino
portogli in quella guisa, che ben poteva presumere trattare di cose di
molta premura ed interesse e cui non voleva neppur guardare nella
pubblica strada.
Quando fu chiuso nella sua camera, Gian-Luigi aprì con sollecitudine che
quasi era inquieta il finissimo fogliolino. V'erano scritte poche parole
e con carattere contraffatto: ma un certo segno convenzionale avvertì
subito Gian-Luigi da chi fosse scritto e mandato. La _cocca_ aveva
affigliati, più o meno addentro ne' suoi segreti, in ogni parte; e chi
scriveva era impiegato, e non degli ultimi, negli uffici medesimi della
Polizia. Il biglietto diceva:
«Guardatevi! Si comincia aver sospetti. Prendete ogni precauzione. Si
parla di certi diamanti. Nel bavero trovato in mano a N. v'è una cifra.
Voi sapete che cosa ciò voglia dire, e che importanza darci.»
Gian-Luigi lesse due e tre volte queste incoerenti parole e se le stampò
nella memoria; poi stracciò a minutissimi pezzi quel foglietto, e come
se non bastasse, lo gettò nel fuoco: stette a guardarlo mentre in un
attimo la fiamma lo distruggeva, e quindi incrociate le braccia al
petto, si mise ad andare su e giù per la stanza.
— Una cifra nel bavero?... Qual contrarietà!... Chi avrebbe mai pensato
a codesto?... Quel mantello era di Benda: il mantello è sparito e non lo
troveranno mai... Ma si può appurare che quella cifra è la sua, che
quello squarcio appartiene ad un suo mantello, e che questo fu
imprestato a me, il quale non l'ho più restituito... Bisogna rimediare a
ciò.
Stette un poco meditabondo; poi sollevò il capo con risoluzione.
— Non c'è che un modo di aggiustarla. Quel mantello è stato derubato a
me stesso quella notte medesima sul viale... E il rapitore, che io
descriverò a meraviglia, sarà _Stracciaferro_... a lui poi il non
lasciarsi pigliare. Ciò quanto al mantello. Ma e i diamanti? Che cosa
vuol significare il cenno intorno ai diamanti? «Si parla di certi
diamanti.» Quali? Quelli che ho trovati nello scrigno sono così bene
riposti che l'occhio della giustizia non li potrà veder mai; quelli di
Candida sono a lei restituiti, e nissuno de' sapere che essi furono un
momento nelle mani di quell'usuraio...
S'interruppe, assalito dal ricordo di un fatto che eragli sfuggito
compiutamente dalla memoria: Nariccia quando si trattò dell'imprestito
su pegno di quei gioielli, aveva questi recati un momento di là per
farneli forse esaminare, come Gian-Luigi medesimo aveva supposto, da
alcun intelligente della materia che ci avesse. Che questo tale avesse
conosciuto quali e di chi erano quei diamanti? La cosa prima di tutto
pareva a lui assai improbabile, e poi ancorchè fosse, quali conseguenze
a suo danno se ne potrebbero tirare? Come provare che egli fosse stato a
recare dall'usuraio quei diamanti? e se dati in pegno, non si erano
potuti riscattar poi pagando il debito? Ad ogni modo sarebbe forse stato
meglio parlarne subito colla contessa, combinare con lei, farle credere
ciò che occorreva, e consigliarle in ogni caso le risposte che
convenivano. Egli era sul punto di uscire per recarsi subito da lei,
quando i suoi occhi caddero sopra un bigliettino che stava sulla tavola
di marmo del cassettone, e cui gli aveva impedito di vedere a tutta
prima il turbamento col quale era entrato nella stanza. Lo prese
sollecitamente, e conobbe di botto dalla scrittura, dalla carta, dal
suggello, dal profumo speciale, da qual mano venisse. Era appunto di
Candida; e Gian-Luigi lo lesse in tutta fretta.
«Ho bisogno urgente di parlarvi» gli scriveva essa secondo il solito, in
francese; «all'una aspettatemi nella vostra casetta sul viale.»
Siccome non mancava di molto all'ora posta dalla contessa, Gian-Luigi
s'avviò tosto verso quel suo misterioso ridotto, in cui siamo già
penetrati con lui altra volta.
La contessa non si fece lungamente aspettare. Levando il fitto velo che
gli copriva la faccia mostrò al suo amante un aspetto turbato in cui
apparivano insieme contrarietà, collera, amarezza.
— Che è ciò? signore? cominciò ella senz'altro con voce vibrante. A chi
andate voi confidando le cose più arcane che debbono rimanere tra di
noi?
— Contessa! interruppe il giovane coll'accento risentito di persona
fieramente calunniata da tale cui non vuole rispondere oltraggio per
oltraggio. Voi mi fate un'iniqua accusa che non avreste mai dovuto pure
accennare.
— Voi non avreste dovuto meritarvela.
— Non perdiamo il tempo in garriti di parole. A che proposito mi
rivolgete voi quest'accusa? quali prove credete di averne?
— Mio marito seppe — sa — che i miei diamanti furono in pegno presso
l'usuraio che venne l'altro dì assassinato e sa che a portarglieli siete
stato voi.
Quercia non potè reprimere un contrarsi dei lineamenti che esprimeva
quanto questa novella gli dispiacesse.
— Ne siete voi certa?
— Certissima. Me lo disse egli stesso testè... Ah! vedete anche voi che
non potete negare....
Gian-Luigi prese le due mani della contessa, e stringendole con dolce
pressione, quasi supplichevole, soggiunse:
— No, Candida, io non ci ho colpa: è una maledetta fatalità che mi
perseguita, che ci perseguita tuttedue, e che può avere le più tristi
conseguenze, se non ci andiamo tosto al riparo.... Ti spiegherò tutto di
poi, caro amor mio; ma essenzialmente gli è per la tua tranquillità, per
te, che mi preoccupo.... Contami tutto quello che avvenne fra te e tuo
marito a questo proposito.
La contessa raccontò quel che erale capitato a tal riguardo, ma noi
prendendo da più alto le mosse esporremo assai più di quanto ella
sapesse e potesse apprendere al suo amante.
Ed ecco di che modo s'eran passate le cose.
Il signor X, gioielliere, uno dei principali, per non dire il
principale, di Torino in quel tempo, aveva recato, se ben vi ricorda, a
Nariccia, pochi giorni prima che succedesse l'assassinio di costui, una
certa quantità di preziosi oggetti del suo commercio, ed ottenutone
ancor egli una somma in prestito lasciandoli in pegno all'usuraio.
Figuratevi dunque come egli rimanesse allorquando quella mattina che si
sparse per la città la novella dell'orrendo delitto, ebbe udito che
tutta era stata svaligiata d'ogni cosa di valore la casa
dell'assassinato! Corse immantinente dal Commissario di Polizia a far la
sua denunzia e la sua deposizione, dando la lista distinta e divisata un
per uno di tutti gli oggetti ch'egli aveva consegnati a Nariccia e che
erano caduti nel furto. Il valore complessivo di quei gioielli saliva a
qualche diecina di mille lire: e il signor Tofi, quando ebbe udito
l'orafo specificare siffatto valore, esclamò con quella sua ruvidezza
che pareva sempre un accento collerico:
— I mariuoli hanno fatto un bel colpo!... L'altro dì hanno arraffato i
capitali del banchiere Bancone, ieri il tesoro dell'usuraio Nariccia:
c'è da farsi ricchi in più a queste due sole imprese.... Sarebbe un bel
mestiere.... se non ci fossimo noi a coglierli.... E li coglieremo, glie
lo prometto io!... Nel furto Nariccia gli scellerati avranno portato via
più di cento mila lire.
— Che la dice? esclamò il signor X, a cui le parole sfuggirono senza
pensarci, e che, pur pensandoci, le avrebbe fors'anche dette lo stesso.
Ma se Nariccia aveva tuttavia in suo potere i diamanti di casa Langosco,
e tutto mi induce a credere di sì, questi solamente furono pei ladri un
bottino di centinaia di mila lire.
Il signor Tofi volse tutto d'un pezzo la sua faccia aggrottata sul
cravattone duro verso il gioielliere:
— Come! I diamanti di casa Langosco erano in potere di quell'usuraio?
— Sì, signor Commissario; ce li vidi io stesso ch'egli me li diede ad
esaminare, consultandomi sul valore. E ciò accadeva solamente tre giorni
fa.
— Oh, oh! Questo sarebbe elemento da tenerne calcolo. Gli assassini
avrebbero saputo che quei diamanti erano colà... Ma come colà?... In
pegno forse?... Eh, eh! non è impossibile.... Bisognerà vedere.... Ad
ogni modo finora la Casa di Staffarda non fece richiamo nessuno, non
porse denunzia di sorta; e trattandosi di somma di tanto valore, non mi
pare che si vorrebbe star zitti.
Il Commissario congedò il gioielliere, ed occupato com'era in quel dì da
un subbisso di faccende, per la rivolta sopratutto degli operai avvenuta
la sera innanzi, dimenticò, o per dir meglio, trascurò di dare
l'importanza che avrebbe data altre volte a quelle parole dell'orafo
riguardo i diamanti della nobil famiglia Langosco. Tutta la giornata
passò senza che denuncia alcuna venisse; dalle informazioni che fece
prendere, il Commissario seppe che nel palazzo di Staffarda nulla era
avvenuto onde si potesse supporre che tal danno era capitato a quella
casa; la sera inoltre gli fu presto notificato che la contessa Candida
al ballo di Corte, sfolgorava il capo, il seno, le braccia di tutti i
suoi diamanti. Tofi non ci pensò più. Se il gioielliere non si era
sbagliato, e uno sbaglio di questa fatta in lui era difficilissimo, i
signori Langosco avevano per loro fortuna ritirato a tempo il pegno
preziosissimo dalle mani dell'usuraio.
Il signor X, a cui il ricupero della sua roba premeva infinitamente, era
già tornato parecchie volte nei due giorni che erano seguìti dal
Commissario a domandargliene novelle, finchè questi, che non aveva nulla
da apprendergli, che era occupatissimo e di peggio umore che mai, perdè
la pazienza, e con quelle sue maniere da burbero e parole da prepotente
gli ebbe fatto capire non venisse più a seccarlo, e quando si avesse
qualche cosa da dirgli, o da farsene dire, lo si sarebbe mandato a
chiamare. Il gioielliere se ne partì mortificato, e domandando a se
stesso che razza di giustizia la fosse questa che il derubato colà dove
si doveva prendere tutto l'impegno per fargli riavere la sua roba,
veniva accolto e trattato peggio che al ladro non si farebbe.
Ma il domani gli venne dalla Polizia un messaggio che gli fece nascere
in cuore qualche buona speranza. Il signor Commissario con un ordine
laconicamente espresso lo chiamava subito innanzi a sè, per
comunicazioni urgenti. Il gioielliere volò al Palazzo Madama colla dolce
speranza d'udirsi a dire per prima cosa che i ladri erano stati presi e
i suoi gioielli ricuperati. Fu una delusione. Introdotto in quel certo
gabinetto del Commissario che già conosciamo, e chiusane alle spalle di
lui la porta, il signor X rimase solo con quel terribile rappresentante
della pubblica autorità, il quale pareva assai sopra pensiero e più
burbero che mai.
Il signor X fu minutissimamente interrogato su quella circostanza
ch'egli aveva incidentalmente allegata nel primo colloquio da lui avuto
col Commissario, la presenza cioè in casa di Nariccia dei diamanti
Langosco. Il gioielliere dovette dir tutto: e come egli si trovasse
quella tal mattina in casa dell'usuraio, e come fossero sopravvenuti a
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