La plebe, parte IV - 17
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sarebbe venuta anche ora quella creatura celeste a confortarlo? Egli
serrò le mani in atto di preghiera, con indicibile ardore di desiderio,
con inesprimibile passione, con supremo impulso di fede.
— Spirito mio benigno! disse. Madre mia, non abbandonarmi!
L'apparizione così ardentemente invocata, con tanto desiderio attesa,
non ebbe luogo; ma pure, come se, anche invisibile, quello spirito
amoroso esercitasse un benigno influsso sull'animo travagliato del
giovane, questi sentì una certa calma succedere alla tumultuosa
agitazione di poc'anzi. Le savie parole del parroco che erano penetrate
nella sua mente inavvertite, cominciarono allora a staccarsi, per così
dire, dal ripostiglio cerebrale ove s'erano poste ed a sfilargli innanzi
all'intelletto coll'autorevolezza d'un'ammonizione e colla efficacia
d'un consiglio amichevole. Egli credeva in una intelligenza superiore
ordinatrice degli umani eventi; credeva nella ragionevolezza del
destino, tanto di quello dell'umanità, quanto del proprio. Se in lui
erano state poste quelle forze di volontà e d'ingegno non era perchè
inutilmente le si consumassero in isterili tormenti d'una passione
impossibile. Quella potenza che lo aveva voluto plasmato a quel modo,
dominato da quegli affetti, afflitto da quelle sciagure, aveva di certo
voluto che ad alcuna cosa approdasse tutto questo, che alcun
risultamento da ciò ne riuscisse. Quella stessa infelice ed ora empia
passione, appigliandosi al suo cuore non era destinata forse che a
distruggere in lui per sempre ogni tendenza di femmineo amore, perchè
tutte e soltanto le sue capacità si volgessero a quel còmpito che gli
era assegnato in pro dell'umanità. Una nobile superbia, una generosa
ambizione si levarono allora nell'anima sua. Gli parve sentire
nell'intimo della coscienza una voce che lo assicurasse chiamato
all'importanza d'una efficacissima parte in pro del progresso umano. La
sventura del suo affetto, e la scoperta delle sue nuove condizioni lo
sacravano apostolo operatore di quelle nuove idee che fino allora aveva
solamente vagheggiato nella solitudine delle sue meditazioni. _Sursum
corda_, credette sentirsi a gridare nell'anima da una voce discesa dal
cielo. Il divino entusiasmo del sacrificio gli si accese nel cuore, e
gli salì, per servirmi dell'espressione biblica, come fumo di vin nuovo,
al cervello. Ricordò quello che avevagli detto poc'anzi il marchese, che
avrebbegli procurato una sorte degna di lui. Quale sarebbe stata questa
sorte? Ebbe una subita smania di determinare senza ritardo il suo
destino, di fissare le linee di quella parte ch'egli voleva ed avrebbe
dovuto sostenere. Aveva bisogno di occupare in questa fatta pensieri la
mente perchè non vi si cacciasse di nuovo e dominatrice l'immagine di
Virginia. Saltò giù del letto: era debole e le gambe lo reggevano a
stento: ma la volontà gli tenne luogo di forze. Si vestì e con passo
oscillante scese le scale e venne a presentarsi nell'anticamera
dell'appartamento di _suo zio_ il marchese.
— Annunziate al signor marchese che domando di parlargli senza indugio:
disse al cameriere con accento autorevole ma senza superbia.
Il marchese lo fece introdurre tosto e gli venne incontro sino alla
soglia del suo studio.
— Che imprudenza è questa! gli disse con accento che tentava e riusciva
pure d'esser amorevole, ma in cui però non suonava ancora la vera nota
dell'affetto. Avete già voluto levarvi e scender giù voi medesimo?
Dovevate farmi avvertito e sarei venuto io al capezzale del vostro
letto.
Maurilio non rispose che con un sorriso; pose con discreta freddezza la
sua mano nella destra che gli tendeva il marchese con fredda cortesia, e
se ne lasciò trarre per essa fino presso al focolare, dove sedette sul
seggiolone che il marchese gli additò in prospetto a quello su cui si
pose egli stesso.
Si guardarono un poco senza parlare. La situazione era strana e
difficile per ambedue le parti. Stranieri fino a quel momento di
esistenza, di abitudini, d'opinioni, di tutto; di presente le loro vite
venivano ad intrecciarsi e stavano dinanzi nelle condizioni d'una
intimità necessaria. Erano un problema l'uno all'altro. Qual effetto
nelle vicende della loro vita reciproca avrebbe avuto quel nuovo
elemento che veniva improvviso ad imporsi loro sotto le sembianze di
quel personaggio che ciascuno dei due aveva innanzi a sè? Quella testa
scarmigliata, quelle forme grossolane, quell'aspetto tra timido e
selvaggio, che il marchese esaminava con poca simpatia, erano dunque di
suo nipote? Era dunque verso quell'individuo ch'egli aveva il debito di
riparare tutti i torti della sua famiglia e che da quel punto doveva
incominciare l'opera sua? Non lo avrebbe mai immaginato sotto quella
sembianza; avrebbe più volentieri impreso il suo còmpito, se fosse stato
diverso il suo aspetto. Ma queste le erano puerilità: se lo disse il
marchese a sè medesimo con segreta rampogna ed impazienza de' fatti
suoi.
— Voi avete appreso tutto da Don Venanzio, Maurilio? domandò egli con
voce che pareva fare un leggero sforzo a parlare.
— Signor sì: rispose il giovane levando quel suo capo grosso, così
originale e caratteristico: e vengo a vedere che cosa Ella intende fare
di me.
Le parole e il modo con cui furono pronunziate non piacquero al
marchese. Frenò una mossa superba e quasi disdegnosa che glie ne venne;
e rispose con pacatezza, ma con accento di superiorità:
— Intendo fare di voi un uomo degno della vostra nascita e di noi. E
spero che in quest'opera voi mi ci vorrete con tutte le vostre forze
aiutare.
— Vorrei diventare un utile cittadino al mio paese: disse Maurilio con
quella sua voce sorda e l'accento peritoso che gli erano abituali quando
un sentimento od una passione non lo commovessero.
Baldissero stette alquanto in silenzio guardando sempre il nuovamente
acquistato nipote più con curiosità che con interesse, con una specie di
diffidenza più che con affetto. Ricordò le opinioni democratiche e
rivoluzionarie del giovane, e si domandò se non fosse spediente fargli
capir tosto che le avrebbe dovuto modificare; ma si rispose che il
momento per una simile discussione non era opportuno, che conveniva
lasciare che le condizioni della nuova esistenza, il veder le cose del
mondo da altro punto di mira e sotto altro rispetto, l'influsso del
mutato ambiente in cui si sarebbe trovato, avessero cominciato ad agire
sull'animo suo, come non dubitava che avverrebbe, così che le parole
impiegate a convertirlo di poi trovassero quindi un terreno già
preparato e molto più favorevole. In conseguenza rispose semplicemente
di questa fatta:
— E voi potete diventar tale e lo diverrete di sicuro se l'ingegno che
Dio vi ha dato impiegherete con zelo a conoscere la verità delle cose,
le giuste leggi che reggono le società ben ordinate, i doverosi rapporti
fra chi deve comandare e chi deve obbedire.
Maurilio sollevò la sua ampia fronte, ed un'espressione più risoluta
apparve sui suoi lineamenti e suonò nella sua voce:
— Comandare, diss'egli, deve la legge in cui si incarnino la giustizia e
la verità; ubbidire devono tutti.
Il marchese fece un atto che significava non volere a niun modo in quel
momento entrare in discussione; e successe un'altra pausa di pochi
minuti.
In questo frattempo Baldissero ricordò la promessa che aveva fatto al Re
di condurgli la sera l'autore di quelle pagine che avevano prodotta una
viva impressione in S. M. Si volse di nuovo con una certa vivezza verso
Maurilio.
— Questa sera io dovrei condurvi ad un colloquio, da cui molto può
dipendere il vostro avvenire. Potreste subitamente acquistarvi
un'invidiabile posizione. Si tratta d'un personaggio importante e molto
potente nello Stato, il quale ha letto quel vostro manoscritto
sequestratovi dalla Polizia e concepì desiderio di parlare a viva voce
con voi intorno a qualche argomento che in quelle pagine avete
accennato.
All'udir far parola di quel suo scartafaccio, in cui erano depositati
tutti i segreti non che del suo pensiero e dell'anima, ma dell'esistenza
e del cuore, all'idea che quelle sue espansioni, quelle rivelazioni
erano venute in mano d'estranei, passate da questo a quello, un subito
rossore salì alle guancie del giovane; il marchese che lo vide e
s'accorse come quello fosse segno di viva contrarietà e quasi di sdegno
e vergogna, s'affrettò a soggiungere:
— Ci terrei molto, vi dico in vero, ad attenere la promessa che feci a
quel cospicuo personaggio di presentarvi a lui questa sera medesima;
però il male che vi è sopravvenuto è una valevol ragione a scusarmi se
ci manco. Se dunque la vostra salute non vi consente di rendervi a
questo convegno, ditelo pure ed io ne renderò avvertito quel
personaggio.
Maurilio esitò un momento.
— Scusi, diss'egli poi: non potrei sapere di questo personaggio il nome
od almeno il grado?
Il marchese scosse la testa.
— Va tra' primi dello Stato, rispose: non posso per ora dirvi altro.
Il giovane stette di nuovo un momento sopra sè. Il suo primo pensiero fu
quello di giovarsi appunto del pretesto della sua salute per sottrarsi a
quel misterioso colloquio coll'incognito personaggio; ma poi come una
subita ispirazione lo ammonì ch'ei faceva male, che in codesto era forse
una fase del suo destino che gli si presentava, e che quindi gli
conveniva meglio risolutamente affrontarla.
— Ci andrò: disse con una certa vivacità Maurilio.
— Sta bene; ricordatevi che a quell'uomo innanzi a cui vi troverete
dovete più che rispetto riverenza. Non vi dico di mentire alle vostre
convinzioni, ma discutendo con quel personaggio, sostenendo anche le
vostre idee che da quelle di lui certo dissentiranno, vi raccomando la
moderazione e non solo nelle forme, ma direi eziandio nella sostanza.
Maurilio non rispose; ma fra se stesso andava pensando con molta
curiosità chi sarebbe mai stato quell'uomo. Il marchese continuò:
— Potreste, vi ripeto, guadagnarvi di botto un posto onorifico e
rilevante..... Ad ogni modo, consultate anche le vostre attitudini e le
vostre propensioni, vi troveremo poi un impiego negli uffizi del
Governo.
— Perdoni: interruppe il giovane: ma io non intendo assumere verun
impiego governativo.
Baldissero lo guardò con istupore.
— Non volete voi servire il vostro paese?
— Sì; ma non è l'unico modo di servirlo quello d'imbrancarsi alla
schiera burocratica, e non credo neppure che quel modo sia il migliore.
Voglio rendermi utile più ch'io possa al mio paese, ma rimanendo libero
cittadino.
— Gl'impiegati sono essi schiavi? disse asciuttamente il marchese.
— Hanno un vincolo di più che gli altri. Hanno limitato e definito in
certi limiti, troppo stretti per me, il loro campo d'azione; hanno
esaurita e consumata ogni iniziativa individuale, prima che possano
manifestarla. Sono ruote d'una macchina, necessarie sì quando non
eccedono, ingombratrici e dannose quando ve ne ha troppe, non sono mai
fecondi inventori nè propagatori di verità onde la coltura umana e il
benessere generale s'accrescano.
Il marchese tornò a guardare il giovane con meraviglia.
— Ma che cosa vorreste voi dunque fare? che cosa essere?
— Vo' farmi banditore indipendente di verità al popolo ed al Governo;
voglio promuovere la diffusione del vero e del giusto negli ordini
politici, economici e sociali.
— Maurilio: interruppe il marchese con quella sua voce grave di una
incontestabile imponenza; voi siete giovane e le cose del mondo avete
visto finora traverso una lente sformatrice degli oggetti, quali sono le
proprie sventure. Prima di conchiudere dai vostri studi, prima di farvi
ammaestratore altrui, compite que' primi, allargate la cerchia delle
vostre osservazioni, fate maggior messe di più seria esperienza, e
lasciate maturare ancora meglio il giudizio.
Maurilio s'inchinò leggermente.
— Ella ha ragione: disse con ossequio, ma con una fredda fermezza
insieme che indicava non egli esser mai per lasciarsi smuovere dalle sue
idee. Questo appunto, e non altro desidero ancor io.
Successe un momento di silenzio. Il giovane aveva reclinata la testa,
s'era di nuovo incurvato del corpo secondo la sua abitudine, e teneva
gli occhi fissi sui fiorami del tappeto; il marchese lo guardava con una
curiosità come diffidente, quasi ostile. Cercava egli discernere nel suo
interno quali sentimenti gli ispirasse quell'individuo, e non sapeva
riuscirci. Era insieme un interesse ed un sospetto, quasi una paura;
un'attrazione ed una ripugnanza. Avrebbe voluto poter levare al
riacquistato nipote almeno dieci anni affine di esser in grado di
ridurlo quale egli lo avrebbe desiderato; pensava, anche senza volerlo,
al consiglio di fra' Bonaventura, di dare a quell'individuo una buona
somma e mandarlo nelle più lontane regioni.
— Maurilio, dopo un poco riprese a dire lo zio, converrà che vi faccia
conoscere tutta la vostra famiglia. Quando volete voi essere presentato
ai vostri congiunti?
Maurilio vide passarsi dinanzi la splendida aureola delle chiome d'oro
di Virginia. Sussultò, arrossì, impallidì, ed esclamò con tono che
pareva di sgomento:
— No, no.... non ancora.
Il marchese lo guardò stupito; egli dominò la sua emozione, e soggiunse
più freddamente:
— La mia famiglia sa ella già tutti i miei casi e l'esser mio?
— No: rispose il marchese; ma è mia intenzione apprenderli tosto a chi
si deve.
— Or bene, riprese il giovane con accento di preghiera; se Ella non
dissente, io desidererei, prima di entrare in questa nuova esistenza,
andarmene al villaggio dove fui allevato, passare alcuni giorni di
raccoglimento, di pace, di sovvenire e d'addio al passato. Don Venanzio
parte domani: con suo permesso, io ve lo accompagnerei. Al mio ritorno
prenderei nella famiglia quel posto ch'Ella mi vuole restituito.
Lo zio accondiscese sollecito, e quasi soddisfatto. Avrebbe avuto alcuni
giorni da preparare allo strano avvenimento la moglie, i figliuoli e la
nipote; avrebbe potuto riflettere di meglio sul da farsi, riguardo al
giovane medesimo.
Maurilio non volle quella sera sedersi pel pranzo alla tavola della
famiglia. Salì nella sua camera, dove chiese ed ottenne dallo zio
permesso di rimanervi, finchè lo si sarebbe fatto chiamare per recarsi a
quel misterioso convegno di cui il marchese gli aveva parlato. Non potè
mangiare neppur un boccone; l'eccitamento de' suoi spiriti e de' suoi
nervi era tale che non poteva star fermo, nè arrestar la mente sopra
un'idea. Don Venanzio venne più tardi a fargli compagnia; ma furono
impotenti a calmarlo anche le dolci esortazioni di quel brav'uomo.
Quando un lacchè venne ad avvertirlo che il marchese lo attendeva per
salire in carrozza, Maurilio era in uno stato quasi d'orgasmo che
avrebbe potuto del pari, nel colloquio a cui si recava, produrre questi
due effetti: o togliergli del tutto la libertà della mente e la capacità
di spiegarsi, o dargli un'audacia ed un'eloquenza non ordinaria di
parola.
Zio e nipote salirono in carrozza senza parlare; e in breve furono alla
loro meta; Maurilio scendendo vide che si trovavano sul principio di
quel viale medesimo che conduceva alla fabbrica dei Benda. Entrarono per
un cancello di ferro che loro venne aperto da un uomo avvolto in un
ferraiuolo, e preceduti da quest'uomo, che evidentemente li stava
aspettando, furono introdotti in una camera a pian terreno d'una
palazzina posta al di sotto di uno dei bastioni del giardino reale,
palazzina che Maurilio sapeva essere stata comprata da poco tempo dal
Re.
Furono lasciati soli in quella stanza modestamente arredata, parcamente
illuminata da una lampada colla ventola, ma acconciamente riscaldata. Vi
era tanto silenzio tutt'intorno che pareva proprio d'essere all'infuori
della vita chiassosa d'una gran città. Il solo rumore che s'udiva era il
_tic tac_ d'un grande orologio posto sulla caminiera.
Pochi momenti passarono, e nessuno dei due venuti pensò pure a rompere
quell'alto silenzio. Poi una tenda di panno verde che pendeva ad una
porta si sollevò da una parte, e comparve un uomo che, quantunque
vestito da borghese, aveva l'aspetto soldatesco.
— Marchese, disse costui parlando piano come per rispettare ancor egli
quel silenzio; si compiaccia venir qua un momento.
— Attendetemi qui: disse il marchese a Maurilio, e passando sotto la
tenda, entrò nella stanza vicina coll'uomo che era venuto a chiamarlo.
— Dove son io? Pensò Maurilio rimasto solo e guardandosi intorno come
per cercare alcuna cosa che rispondesse alla fattagli domanda. Chi è che
mi vuol parlare? Innanzi a cui mi troverò io fra poco?
Una idea che gli parve matta venne ad affacciarsi alla sua mente. Quella
casa era proprietà del Re; se questo medesimo fosse l'alto personaggio
che voleva interrogarlo? Sentì una specie di brivido corrergli per le
vene, tremò, ebbe paura, e pensò un momento cercar di fuggire: ma poi
tosto dopo un sentimento di riazione ebbe luogo in lui. Oh! se pur
fosse! Se in faccia all'incarnazione più spiccata dell'ordine politico e
sociale, alla rappresentazione più valida e suprema del potere e
dell'autorità umana egli si trovasse e potesse parlare a tu per tu e
dire la verità delle cose, i sentimenti delle masse, i bisogni della
plebe!..... Ma egli ci avrebbe valuto? Sentì un impulso d'orgoglio e di
temerità in quel sovreccitamento che non l'aveva ancora abbandonato, e
si affermò che, se non la capacità di fare presso Carlo Alberto la parte
del marchese di Posa di Schiller, il coraggio egli l'avrebbe avuto di
certo.
Scosse ad un punto le spalle e sorrise di se medesimo. Gli parevano
queste chimere assurde. Si accostò senza volerlo a quella tenda verde
dietro a cui era sparito il marchese: udì appena il susurro di voci che
parlavan sommesso. Passeggiò in lungo ed in largo sopra il morbido
tappeto che ammortiva il suono de' suoi passi. Andò poscia a sedersi
presso il camino dove fiammeggiava un gran fuoco, si prese colle mani la
testa e stette ad aspettare con una specie d'ansietà che gli faceva
battere il cuore e sembrar lunghi i minuti.
Un quarto d'ora o poco più era passato, quando la tenda si sollevò di
nuovo e tornò in quella camera il marchese.
— Passate di là, diss'egli a Maurilio. Il signore che vuol parlarvi vi
aspetta. Rispondete alle sue interrogazioni con franchezza, ma pesate
bene le vostre parole. Quando vi si darà il congedo, mi ritroverete in
questa sala.
Maurilio sentì più forte il batter del cuore, camminò quasi barcollando
verso la porta, e spinto dal marchese entrò nella camera vicina; l'uscio
si richiuse dietro di lui.
Era una camera vasta quanto la precedente, riscaldata del pari, ma
ancora più modesta a giudicarne da quel poco che si vedeva, perchè la
era ancora più scura. In fondo era una tavola abbastanza grande, coperta
da un tappeto verde di panno finissimo e sopravi una lampada colla
ventola ancor essa sul globo di cristallo. Questa lampada era stata
calata giù dal suo piedistallo perchè il cerchio di luce che mandava
all'intorno fosse meno ampio e tutto si contenesse sulla superficie
della tavola. Sopra il tappeto di questa vedevansi alcune carte
ripiegate per lo lungo e un gran portafogli su cui impresso in oro uno
stemma reale.
Seduto colà, con un gomito appoggiato alla tavola e il mento nel concavo
della mano, stava un uomo che appariva di alta statura. Aveva la faccia
nell'ombra e i lineamenti non si potevano discernere; ma scorgevasi una
vasta fronte e un viso lungo e pallidissimo. I raggi della lampada
cadevano di pieno sulla mano sinistra ch'egli teneva chiusa a pugno sul
tappeto e la facevano vedere magra, color di cera, ossea, eppure
elegante.
Maurilio s'era fermato sulla soglia, esitante, con un impaccio timoroso.
— S'avanzi: disse una voce sorda ma con accento gentile ed
incoraggiativo: s'avanzi e sieda costì.
Quella mano chiusa a pugno che posava sulla tavola, si aprì, e con mossa
piena di garbo accennò ad una seggiola posta a due passi da quella su
cui stava chi aveva parlato.
Il giovane s'avanzò lentamente fino a mettere la destra sulla spalliera
della seggiola che gli era stata additata, e il suo sguardo cercava
intanto penetrare nell'ombra a discernere i lineamenti di quello per lui
sconosciuto personaggio. Da quello scuriccio vedeva egli due occhi
fissi, con certa espressione d'autorevolezza venire indagando eziandio
il volto di lui che s'avanzava; e siccome anche questo volto trovavasi
nell'ombra, ecco la mano, che aveva fatto invito a Maurilio di sedere,
urtare nella ventola e farla piegare così che un fascio di raggi, di
colpo, battesse sulla figura del nuovo venuto. Il giovane chiuse gli
occhi come abbacinato, e sentendo sopra sè lo sguardo scrutatore di
quell'incognito, arrossì. Fu un momento, il coprilume tornò a posto e
quella voce grave e sommessa che aveva già parlato, disse di nuovo:
— Sieda, signor Valpetrosa.
Maurilio sussultò. Era la prima volta che gli veniva dato quel nome: e
senza sapere chi fosse che ora l'aveva pronunziato, parvegli che
dall'autorevolezza di quell'accento le sue nuove condizioni ricevessero
una più decisa ricognizione, una specie di consecrazione.
— Ella dunque sa il mio vero nome? diss'egli sedendo ed affondando
sempre in quell'ombra, oltre il cerchio di luce, il suo sguardo
curiosamente intentivo.
— Il marchese mi disse tutto testè: rispose con dignitosa semplicità lo
sconosciuto. Ciò le provi quanta fiducia abbia in me il suo zio e mi
faccia ritenere non indegno anche della sua.
Gli occhi di Maurilio cominciavano a penetrare la oscurità in cui le
fattezze di quel personaggio si riparavano; vide a queste ultime parole
sulle labbra di chi le aveva dette un sorriso che gli parve enimmatico:
potè discernere due guancie pallide e scarne con pomelli sporgenti sotto
le occhiaie affondate, due folti baffi nerissimi sopra una bocca larga,
sottile, d'una fredda e mesta espressione. L'idea, il sospetto, la paura
che gli si erano affacciati poco prima nella stanza vicina tornarono in
lui più forti. Quella figura non era essa quella del Re, cui pochi
giorni prima, la sera del ballo all'_Accademia Filarmonica_, egli aveva
visto sullo scalone di quel palazzo passargli a pochi passi di distanza
in tutta la pompa del suo grado? Volle rispondere alcune parole, e non
ne trovò punto; non seppe che inchinarsi, e frattanto pensava: «che mi
dirà egli? e che gli dirò io?»
Il Re da parte sua aveva ravvisato in quel giovane una figura che già
gli era venuta dinanzi altra volta. Egli vedeva passare sotto ai suoi
occhi tanti e tanti de' suoi sudditi, che il dove e il come avesse visto
costui non seppe trovare di subito nella sua memoria: ma quell'incontro
era stato così speciale e nella sua semplicità così inaspettato e
straordinario che non tardò a venirgli a mente. Rivide lo scalone adorno
ed illuminato, i fiori, le piante e fra queste la faccia curiosa,
esaminatrice, quasi interrogativa di quel giovane popolano. Alla sua
indole molto inchinevole alle mistiche ubbie, parve questa, più che
un'opera del caso, quasi un incontro preparatogli dalla Provvidenza,
forse per dargliene appunto aiuti al compimento della sua missione di
re.
Successe un silenzio. Carlo Alberto si passava lentamente sulla fronte
quella mano con cui prima sosteneva il suo volto; Maurilio, convinto
sempre più che quello fosse il suo Re innanzi a cui si trovava, sentiva
accrescersi l'interno suo turbamento, ma in mezzo al medesimo
l'eccitazione de' suoi nervi, aiutata dalla volontà, faceva spuntare ed
afforzava l'ardimento.
Carlo Alberto s'era ritratto alquanto dalla tavola, appoggiando il dorso
alla spalliera, e la sua faccia trovavasi quindi ancora più nell'ombra:
seguitava a tacere e i suoi occhi scrutavano sempre la fisionomia di
quell'individuo ch'egli stesso aveva voluto gli fosse condotto dinanzi.
Quel volto solcato da rughe troppo precoci, quella fronte intelligente,
ma per così dire tormentata, quello sguardo timoroso ed audace, sommesso
insieme e pure potente non gli piacevano, ma tuttavia gl'ispiravano una
certa curiosità benevola. Aveva tante volte immaginato potersi trovare a
tu per tu col suo popolo senza intermediari e sentirne la voce vera; ed
ora che gli pareva questo popolo gli stesse appunto davanti incarnato in
quell'individuo che aveva sofferto colla parte più misera di esso, non
sapeva come prendersela, quali interrogazioni muovergli, che cosa
volerne. Era come una fattucchiera novizia che ha evocato la prima volta
uno spirito e non sa più che farsene quando esso è comparso: egli aveva
evocato il genio delle nuove idee liberali, lo spirito delle teorie
democratiche le quali venivano ad accamparsi contro la monarchia quale
il passato l'aveva fatta, ed egli, il rappresentante di questa
monarchia, che pure in uno slancio di ambizione e diciamo anche di
generosità giovanile, aveva combattuta, egli si peritava a domandare il
motto di quella sfinge popolare di cui avrebbe pur voluto essere
l'Edipo.
— La sua vita sinora fu molto fortunosa: così cominciò il Re a parlare
dopo un poco; e la Provvidenza le darà certamente compenso in avvenire
dei travagli passati, i quali mi pare avranno a riuscire non infruttuosi
nè per Lei medesima, nè per la società, se quelle traversie hanno volto
il suo intelletto allo studio di gravi quistioni, ed hanno arricchito
d'esperienza la sua mente.
Carlo Alberto si tacque; Maurilio non aprì labbro nè fece pure una
mossa.
— Ho letto alcune pagine di quel suo scritto in cui con molto.... (esitò
come per cercare una parola acconcia che non gli veniva alle labbra) con
molto ardimento Ella affronta i più ponderosi quesiti ch'io creda
esistere intorno alle sorti delle società umane.
Allungò la destra e, preso il portafogli, ne trasse fuori lo
scartafaccio di Maurilio, il quale, nel vederlo, arrossì fino alle
orecchie.
Il Re continuava:
— Ma crede Ella che le soluzioni da Lei proposte, i rimedi da Lei messi
innanzi sieno valevoli a far cessare il male? La sua formola suprema,
s'io l'ho ben capita è la seguente: migliorare lo stato morale e
materiale dei poveri.
Maurilio chinò il capo per esprimere che quello precisamente era il suo
concetto.
— Ma questo è l'intendimento e il desiderio di tutti: ed è l'opera che
proseguono, con prudenza e secondo le circostanze consentono, i
legittimi governi. La democrazia a cui Ella fa appello col suo
ingannevole motto di _libertà_, parola elastica, mal definita sempre e
non definibile, appunto perchè traduce un concetto non esatto o non
acconcio alla natura umana; la democrazia, dalle leggi agrarie dei
Gracchi all'infame terrore della rivoluzione di Francia, non ha mai
potuto far nulla in pro appunto di quelle classi che più sono degne
d'interessamento e più hanno bisogno di soccorso. Il male pur troppo è
una fatalità della esistenza terrena tanto nell'individuo come nelle
agglomerazioni sociali, e per queste si traduce nella miseria di parte
dei loro componenti. Rimedio assoluto non c'è e non ci può essere;
qualche temperamento possono arrecarlo soltanto due virtù che c'insegna
la nostra santa fede; la carità e la rassegnazione.
Il Re s'interruppe di nuovo. Tornò ad appoggiare la fronte alla mano e
stette colle pupille immobili che con isguardo vago si fissavano
nell'ombra, come se vi cercasse ancora idee e parole che più non gli si
presentavano.
Maurilio aspettò un istante; ma poi capì che a lui ora toccava parlare.
Chiamò a rassegna i suoi pensieri e sentì con ispavento che invece di
accorrere fuggivano dalla sua chiama: sentì vuoto, come arido il
cervello, si turbò forte, maledisse la sua timidezza, fece uno sforzo
violento di volontà che gli raccolse il sangue nel capo e gli suscitò
nel cervello un turbinio vertiginoso, aprì le labbra e non ne uscì suono
veruno, volle cominciare a parlare e non sapeva che cosa avesse da dire,
non riuscì che a balbettare con voce tremola e soffocata:
— Maestà....
Carlo Alberto si riscosse vivamente; si tirò indietro della persona con
rapida mossa, come se un subito pericolo gli fosse sorto dinanzi ed egli
volesse ripararsene nell'ombra; i suoi occhi dalla luce semispenta e
serrò le mani in atto di preghiera, con indicibile ardore di desiderio,
con inesprimibile passione, con supremo impulso di fede.
— Spirito mio benigno! disse. Madre mia, non abbandonarmi!
L'apparizione così ardentemente invocata, con tanto desiderio attesa,
non ebbe luogo; ma pure, come se, anche invisibile, quello spirito
amoroso esercitasse un benigno influsso sull'animo travagliato del
giovane, questi sentì una certa calma succedere alla tumultuosa
agitazione di poc'anzi. Le savie parole del parroco che erano penetrate
nella sua mente inavvertite, cominciarono allora a staccarsi, per così
dire, dal ripostiglio cerebrale ove s'erano poste ed a sfilargli innanzi
all'intelletto coll'autorevolezza d'un'ammonizione e colla efficacia
d'un consiglio amichevole. Egli credeva in una intelligenza superiore
ordinatrice degli umani eventi; credeva nella ragionevolezza del
destino, tanto di quello dell'umanità, quanto del proprio. Se in lui
erano state poste quelle forze di volontà e d'ingegno non era perchè
inutilmente le si consumassero in isterili tormenti d'una passione
impossibile. Quella potenza che lo aveva voluto plasmato a quel modo,
dominato da quegli affetti, afflitto da quelle sciagure, aveva di certo
voluto che ad alcuna cosa approdasse tutto questo, che alcun
risultamento da ciò ne riuscisse. Quella stessa infelice ed ora empia
passione, appigliandosi al suo cuore non era destinata forse che a
distruggere in lui per sempre ogni tendenza di femmineo amore, perchè
tutte e soltanto le sue capacità si volgessero a quel còmpito che gli
era assegnato in pro dell'umanità. Una nobile superbia, una generosa
ambizione si levarono allora nell'anima sua. Gli parve sentire
nell'intimo della coscienza una voce che lo assicurasse chiamato
all'importanza d'una efficacissima parte in pro del progresso umano. La
sventura del suo affetto, e la scoperta delle sue nuove condizioni lo
sacravano apostolo operatore di quelle nuove idee che fino allora aveva
solamente vagheggiato nella solitudine delle sue meditazioni. _Sursum
corda_, credette sentirsi a gridare nell'anima da una voce discesa dal
cielo. Il divino entusiasmo del sacrificio gli si accese nel cuore, e
gli salì, per servirmi dell'espressione biblica, come fumo di vin nuovo,
al cervello. Ricordò quello che avevagli detto poc'anzi il marchese, che
avrebbegli procurato una sorte degna di lui. Quale sarebbe stata questa
sorte? Ebbe una subita smania di determinare senza ritardo il suo
destino, di fissare le linee di quella parte ch'egli voleva ed avrebbe
dovuto sostenere. Aveva bisogno di occupare in questa fatta pensieri la
mente perchè non vi si cacciasse di nuovo e dominatrice l'immagine di
Virginia. Saltò giù del letto: era debole e le gambe lo reggevano a
stento: ma la volontà gli tenne luogo di forze. Si vestì e con passo
oscillante scese le scale e venne a presentarsi nell'anticamera
dell'appartamento di _suo zio_ il marchese.
— Annunziate al signor marchese che domando di parlargli senza indugio:
disse al cameriere con accento autorevole ma senza superbia.
Il marchese lo fece introdurre tosto e gli venne incontro sino alla
soglia del suo studio.
— Che imprudenza è questa! gli disse con accento che tentava e riusciva
pure d'esser amorevole, ma in cui però non suonava ancora la vera nota
dell'affetto. Avete già voluto levarvi e scender giù voi medesimo?
Dovevate farmi avvertito e sarei venuto io al capezzale del vostro
letto.
Maurilio non rispose che con un sorriso; pose con discreta freddezza la
sua mano nella destra che gli tendeva il marchese con fredda cortesia, e
se ne lasciò trarre per essa fino presso al focolare, dove sedette sul
seggiolone che il marchese gli additò in prospetto a quello su cui si
pose egli stesso.
Si guardarono un poco senza parlare. La situazione era strana e
difficile per ambedue le parti. Stranieri fino a quel momento di
esistenza, di abitudini, d'opinioni, di tutto; di presente le loro vite
venivano ad intrecciarsi e stavano dinanzi nelle condizioni d'una
intimità necessaria. Erano un problema l'uno all'altro. Qual effetto
nelle vicende della loro vita reciproca avrebbe avuto quel nuovo
elemento che veniva improvviso ad imporsi loro sotto le sembianze di
quel personaggio che ciascuno dei due aveva innanzi a sè? Quella testa
scarmigliata, quelle forme grossolane, quell'aspetto tra timido e
selvaggio, che il marchese esaminava con poca simpatia, erano dunque di
suo nipote? Era dunque verso quell'individuo ch'egli aveva il debito di
riparare tutti i torti della sua famiglia e che da quel punto doveva
incominciare l'opera sua? Non lo avrebbe mai immaginato sotto quella
sembianza; avrebbe più volentieri impreso il suo còmpito, se fosse stato
diverso il suo aspetto. Ma queste le erano puerilità: se lo disse il
marchese a sè medesimo con segreta rampogna ed impazienza de' fatti
suoi.
— Voi avete appreso tutto da Don Venanzio, Maurilio? domandò egli con
voce che pareva fare un leggero sforzo a parlare.
— Signor sì: rispose il giovane levando quel suo capo grosso, così
originale e caratteristico: e vengo a vedere che cosa Ella intende fare
di me.
Le parole e il modo con cui furono pronunziate non piacquero al
marchese. Frenò una mossa superba e quasi disdegnosa che glie ne venne;
e rispose con pacatezza, ma con accento di superiorità:
— Intendo fare di voi un uomo degno della vostra nascita e di noi. E
spero che in quest'opera voi mi ci vorrete con tutte le vostre forze
aiutare.
— Vorrei diventare un utile cittadino al mio paese: disse Maurilio con
quella sua voce sorda e l'accento peritoso che gli erano abituali quando
un sentimento od una passione non lo commovessero.
Baldissero stette alquanto in silenzio guardando sempre il nuovamente
acquistato nipote più con curiosità che con interesse, con una specie di
diffidenza più che con affetto. Ricordò le opinioni democratiche e
rivoluzionarie del giovane, e si domandò se non fosse spediente fargli
capir tosto che le avrebbe dovuto modificare; ma si rispose che il
momento per una simile discussione non era opportuno, che conveniva
lasciare che le condizioni della nuova esistenza, il veder le cose del
mondo da altro punto di mira e sotto altro rispetto, l'influsso del
mutato ambiente in cui si sarebbe trovato, avessero cominciato ad agire
sull'animo suo, come non dubitava che avverrebbe, così che le parole
impiegate a convertirlo di poi trovassero quindi un terreno già
preparato e molto più favorevole. In conseguenza rispose semplicemente
di questa fatta:
— E voi potete diventar tale e lo diverrete di sicuro se l'ingegno che
Dio vi ha dato impiegherete con zelo a conoscere la verità delle cose,
le giuste leggi che reggono le società ben ordinate, i doverosi rapporti
fra chi deve comandare e chi deve obbedire.
Maurilio sollevò la sua ampia fronte, ed un'espressione più risoluta
apparve sui suoi lineamenti e suonò nella sua voce:
— Comandare, diss'egli, deve la legge in cui si incarnino la giustizia e
la verità; ubbidire devono tutti.
Il marchese fece un atto che significava non volere a niun modo in quel
momento entrare in discussione; e successe un'altra pausa di pochi
minuti.
In questo frattempo Baldissero ricordò la promessa che aveva fatto al Re
di condurgli la sera l'autore di quelle pagine che avevano prodotta una
viva impressione in S. M. Si volse di nuovo con una certa vivezza verso
Maurilio.
— Questa sera io dovrei condurvi ad un colloquio, da cui molto può
dipendere il vostro avvenire. Potreste subitamente acquistarvi
un'invidiabile posizione. Si tratta d'un personaggio importante e molto
potente nello Stato, il quale ha letto quel vostro manoscritto
sequestratovi dalla Polizia e concepì desiderio di parlare a viva voce
con voi intorno a qualche argomento che in quelle pagine avete
accennato.
All'udir far parola di quel suo scartafaccio, in cui erano depositati
tutti i segreti non che del suo pensiero e dell'anima, ma dell'esistenza
e del cuore, all'idea che quelle sue espansioni, quelle rivelazioni
erano venute in mano d'estranei, passate da questo a quello, un subito
rossore salì alle guancie del giovane; il marchese che lo vide e
s'accorse come quello fosse segno di viva contrarietà e quasi di sdegno
e vergogna, s'affrettò a soggiungere:
— Ci terrei molto, vi dico in vero, ad attenere la promessa che feci a
quel cospicuo personaggio di presentarvi a lui questa sera medesima;
però il male che vi è sopravvenuto è una valevol ragione a scusarmi se
ci manco. Se dunque la vostra salute non vi consente di rendervi a
questo convegno, ditelo pure ed io ne renderò avvertito quel
personaggio.
Maurilio esitò un momento.
— Scusi, diss'egli poi: non potrei sapere di questo personaggio il nome
od almeno il grado?
Il marchese scosse la testa.
— Va tra' primi dello Stato, rispose: non posso per ora dirvi altro.
Il giovane stette di nuovo un momento sopra sè. Il suo primo pensiero fu
quello di giovarsi appunto del pretesto della sua salute per sottrarsi a
quel misterioso colloquio coll'incognito personaggio; ma poi come una
subita ispirazione lo ammonì ch'ei faceva male, che in codesto era forse
una fase del suo destino che gli si presentava, e che quindi gli
conveniva meglio risolutamente affrontarla.
— Ci andrò: disse con una certa vivacità Maurilio.
— Sta bene; ricordatevi che a quell'uomo innanzi a cui vi troverete
dovete più che rispetto riverenza. Non vi dico di mentire alle vostre
convinzioni, ma discutendo con quel personaggio, sostenendo anche le
vostre idee che da quelle di lui certo dissentiranno, vi raccomando la
moderazione e non solo nelle forme, ma direi eziandio nella sostanza.
Maurilio non rispose; ma fra se stesso andava pensando con molta
curiosità chi sarebbe mai stato quell'uomo. Il marchese continuò:
— Potreste, vi ripeto, guadagnarvi di botto un posto onorifico e
rilevante..... Ad ogni modo, consultate anche le vostre attitudini e le
vostre propensioni, vi troveremo poi un impiego negli uffizi del
Governo.
— Perdoni: interruppe il giovane: ma io non intendo assumere verun
impiego governativo.
Baldissero lo guardò con istupore.
— Non volete voi servire il vostro paese?
— Sì; ma non è l'unico modo di servirlo quello d'imbrancarsi alla
schiera burocratica, e non credo neppure che quel modo sia il migliore.
Voglio rendermi utile più ch'io possa al mio paese, ma rimanendo libero
cittadino.
— Gl'impiegati sono essi schiavi? disse asciuttamente il marchese.
— Hanno un vincolo di più che gli altri. Hanno limitato e definito in
certi limiti, troppo stretti per me, il loro campo d'azione; hanno
esaurita e consumata ogni iniziativa individuale, prima che possano
manifestarla. Sono ruote d'una macchina, necessarie sì quando non
eccedono, ingombratrici e dannose quando ve ne ha troppe, non sono mai
fecondi inventori nè propagatori di verità onde la coltura umana e il
benessere generale s'accrescano.
Il marchese tornò a guardare il giovane con meraviglia.
— Ma che cosa vorreste voi dunque fare? che cosa essere?
— Vo' farmi banditore indipendente di verità al popolo ed al Governo;
voglio promuovere la diffusione del vero e del giusto negli ordini
politici, economici e sociali.
— Maurilio: interruppe il marchese con quella sua voce grave di una
incontestabile imponenza; voi siete giovane e le cose del mondo avete
visto finora traverso una lente sformatrice degli oggetti, quali sono le
proprie sventure. Prima di conchiudere dai vostri studi, prima di farvi
ammaestratore altrui, compite que' primi, allargate la cerchia delle
vostre osservazioni, fate maggior messe di più seria esperienza, e
lasciate maturare ancora meglio il giudizio.
Maurilio s'inchinò leggermente.
— Ella ha ragione: disse con ossequio, ma con una fredda fermezza
insieme che indicava non egli esser mai per lasciarsi smuovere dalle sue
idee. Questo appunto, e non altro desidero ancor io.
Successe un momento di silenzio. Il giovane aveva reclinata la testa,
s'era di nuovo incurvato del corpo secondo la sua abitudine, e teneva
gli occhi fissi sui fiorami del tappeto; il marchese lo guardava con una
curiosità come diffidente, quasi ostile. Cercava egli discernere nel suo
interno quali sentimenti gli ispirasse quell'individuo, e non sapeva
riuscirci. Era insieme un interesse ed un sospetto, quasi una paura;
un'attrazione ed una ripugnanza. Avrebbe voluto poter levare al
riacquistato nipote almeno dieci anni affine di esser in grado di
ridurlo quale egli lo avrebbe desiderato; pensava, anche senza volerlo,
al consiglio di fra' Bonaventura, di dare a quell'individuo una buona
somma e mandarlo nelle più lontane regioni.
— Maurilio, dopo un poco riprese a dire lo zio, converrà che vi faccia
conoscere tutta la vostra famiglia. Quando volete voi essere presentato
ai vostri congiunti?
Maurilio vide passarsi dinanzi la splendida aureola delle chiome d'oro
di Virginia. Sussultò, arrossì, impallidì, ed esclamò con tono che
pareva di sgomento:
— No, no.... non ancora.
Il marchese lo guardò stupito; egli dominò la sua emozione, e soggiunse
più freddamente:
— La mia famiglia sa ella già tutti i miei casi e l'esser mio?
— No: rispose il marchese; ma è mia intenzione apprenderli tosto a chi
si deve.
— Or bene, riprese il giovane con accento di preghiera; se Ella non
dissente, io desidererei, prima di entrare in questa nuova esistenza,
andarmene al villaggio dove fui allevato, passare alcuni giorni di
raccoglimento, di pace, di sovvenire e d'addio al passato. Don Venanzio
parte domani: con suo permesso, io ve lo accompagnerei. Al mio ritorno
prenderei nella famiglia quel posto ch'Ella mi vuole restituito.
Lo zio accondiscese sollecito, e quasi soddisfatto. Avrebbe avuto alcuni
giorni da preparare allo strano avvenimento la moglie, i figliuoli e la
nipote; avrebbe potuto riflettere di meglio sul da farsi, riguardo al
giovane medesimo.
Maurilio non volle quella sera sedersi pel pranzo alla tavola della
famiglia. Salì nella sua camera, dove chiese ed ottenne dallo zio
permesso di rimanervi, finchè lo si sarebbe fatto chiamare per recarsi a
quel misterioso convegno di cui il marchese gli aveva parlato. Non potè
mangiare neppur un boccone; l'eccitamento de' suoi spiriti e de' suoi
nervi era tale che non poteva star fermo, nè arrestar la mente sopra
un'idea. Don Venanzio venne più tardi a fargli compagnia; ma furono
impotenti a calmarlo anche le dolci esortazioni di quel brav'uomo.
Quando un lacchè venne ad avvertirlo che il marchese lo attendeva per
salire in carrozza, Maurilio era in uno stato quasi d'orgasmo che
avrebbe potuto del pari, nel colloquio a cui si recava, produrre questi
due effetti: o togliergli del tutto la libertà della mente e la capacità
di spiegarsi, o dargli un'audacia ed un'eloquenza non ordinaria di
parola.
Zio e nipote salirono in carrozza senza parlare; e in breve furono alla
loro meta; Maurilio scendendo vide che si trovavano sul principio di
quel viale medesimo che conduceva alla fabbrica dei Benda. Entrarono per
un cancello di ferro che loro venne aperto da un uomo avvolto in un
ferraiuolo, e preceduti da quest'uomo, che evidentemente li stava
aspettando, furono introdotti in una camera a pian terreno d'una
palazzina posta al di sotto di uno dei bastioni del giardino reale,
palazzina che Maurilio sapeva essere stata comprata da poco tempo dal
Re.
Furono lasciati soli in quella stanza modestamente arredata, parcamente
illuminata da una lampada colla ventola, ma acconciamente riscaldata. Vi
era tanto silenzio tutt'intorno che pareva proprio d'essere all'infuori
della vita chiassosa d'una gran città. Il solo rumore che s'udiva era il
_tic tac_ d'un grande orologio posto sulla caminiera.
Pochi momenti passarono, e nessuno dei due venuti pensò pure a rompere
quell'alto silenzio. Poi una tenda di panno verde che pendeva ad una
porta si sollevò da una parte, e comparve un uomo che, quantunque
vestito da borghese, aveva l'aspetto soldatesco.
— Marchese, disse costui parlando piano come per rispettare ancor egli
quel silenzio; si compiaccia venir qua un momento.
— Attendetemi qui: disse il marchese a Maurilio, e passando sotto la
tenda, entrò nella stanza vicina coll'uomo che era venuto a chiamarlo.
— Dove son io? Pensò Maurilio rimasto solo e guardandosi intorno come
per cercare alcuna cosa che rispondesse alla fattagli domanda. Chi è che
mi vuol parlare? Innanzi a cui mi troverò io fra poco?
Una idea che gli parve matta venne ad affacciarsi alla sua mente. Quella
casa era proprietà del Re; se questo medesimo fosse l'alto personaggio
che voleva interrogarlo? Sentì una specie di brivido corrergli per le
vene, tremò, ebbe paura, e pensò un momento cercar di fuggire: ma poi
tosto dopo un sentimento di riazione ebbe luogo in lui. Oh! se pur
fosse! Se in faccia all'incarnazione più spiccata dell'ordine politico e
sociale, alla rappresentazione più valida e suprema del potere e
dell'autorità umana egli si trovasse e potesse parlare a tu per tu e
dire la verità delle cose, i sentimenti delle masse, i bisogni della
plebe!..... Ma egli ci avrebbe valuto? Sentì un impulso d'orgoglio e di
temerità in quel sovreccitamento che non l'aveva ancora abbandonato, e
si affermò che, se non la capacità di fare presso Carlo Alberto la parte
del marchese di Posa di Schiller, il coraggio egli l'avrebbe avuto di
certo.
Scosse ad un punto le spalle e sorrise di se medesimo. Gli parevano
queste chimere assurde. Si accostò senza volerlo a quella tenda verde
dietro a cui era sparito il marchese: udì appena il susurro di voci che
parlavan sommesso. Passeggiò in lungo ed in largo sopra il morbido
tappeto che ammortiva il suono de' suoi passi. Andò poscia a sedersi
presso il camino dove fiammeggiava un gran fuoco, si prese colle mani la
testa e stette ad aspettare con una specie d'ansietà che gli faceva
battere il cuore e sembrar lunghi i minuti.
Un quarto d'ora o poco più era passato, quando la tenda si sollevò di
nuovo e tornò in quella camera il marchese.
— Passate di là, diss'egli a Maurilio. Il signore che vuol parlarvi vi
aspetta. Rispondete alle sue interrogazioni con franchezza, ma pesate
bene le vostre parole. Quando vi si darà il congedo, mi ritroverete in
questa sala.
Maurilio sentì più forte il batter del cuore, camminò quasi barcollando
verso la porta, e spinto dal marchese entrò nella camera vicina; l'uscio
si richiuse dietro di lui.
Era una camera vasta quanto la precedente, riscaldata del pari, ma
ancora più modesta a giudicarne da quel poco che si vedeva, perchè la
era ancora più scura. In fondo era una tavola abbastanza grande, coperta
da un tappeto verde di panno finissimo e sopravi una lampada colla
ventola ancor essa sul globo di cristallo. Questa lampada era stata
calata giù dal suo piedistallo perchè il cerchio di luce che mandava
all'intorno fosse meno ampio e tutto si contenesse sulla superficie
della tavola. Sopra il tappeto di questa vedevansi alcune carte
ripiegate per lo lungo e un gran portafogli su cui impresso in oro uno
stemma reale.
Seduto colà, con un gomito appoggiato alla tavola e il mento nel concavo
della mano, stava un uomo che appariva di alta statura. Aveva la faccia
nell'ombra e i lineamenti non si potevano discernere; ma scorgevasi una
vasta fronte e un viso lungo e pallidissimo. I raggi della lampada
cadevano di pieno sulla mano sinistra ch'egli teneva chiusa a pugno sul
tappeto e la facevano vedere magra, color di cera, ossea, eppure
elegante.
Maurilio s'era fermato sulla soglia, esitante, con un impaccio timoroso.
— S'avanzi: disse una voce sorda ma con accento gentile ed
incoraggiativo: s'avanzi e sieda costì.
Quella mano chiusa a pugno che posava sulla tavola, si aprì, e con mossa
piena di garbo accennò ad una seggiola posta a due passi da quella su
cui stava chi aveva parlato.
Il giovane s'avanzò lentamente fino a mettere la destra sulla spalliera
della seggiola che gli era stata additata, e il suo sguardo cercava
intanto penetrare nell'ombra a discernere i lineamenti di quello per lui
sconosciuto personaggio. Da quello scuriccio vedeva egli due occhi
fissi, con certa espressione d'autorevolezza venire indagando eziandio
il volto di lui che s'avanzava; e siccome anche questo volto trovavasi
nell'ombra, ecco la mano, che aveva fatto invito a Maurilio di sedere,
urtare nella ventola e farla piegare così che un fascio di raggi, di
colpo, battesse sulla figura del nuovo venuto. Il giovane chiuse gli
occhi come abbacinato, e sentendo sopra sè lo sguardo scrutatore di
quell'incognito, arrossì. Fu un momento, il coprilume tornò a posto e
quella voce grave e sommessa che aveva già parlato, disse di nuovo:
— Sieda, signor Valpetrosa.
Maurilio sussultò. Era la prima volta che gli veniva dato quel nome: e
senza sapere chi fosse che ora l'aveva pronunziato, parvegli che
dall'autorevolezza di quell'accento le sue nuove condizioni ricevessero
una più decisa ricognizione, una specie di consecrazione.
— Ella dunque sa il mio vero nome? diss'egli sedendo ed affondando
sempre in quell'ombra, oltre il cerchio di luce, il suo sguardo
curiosamente intentivo.
— Il marchese mi disse tutto testè: rispose con dignitosa semplicità lo
sconosciuto. Ciò le provi quanta fiducia abbia in me il suo zio e mi
faccia ritenere non indegno anche della sua.
Gli occhi di Maurilio cominciavano a penetrare la oscurità in cui le
fattezze di quel personaggio si riparavano; vide a queste ultime parole
sulle labbra di chi le aveva dette un sorriso che gli parve enimmatico:
potè discernere due guancie pallide e scarne con pomelli sporgenti sotto
le occhiaie affondate, due folti baffi nerissimi sopra una bocca larga,
sottile, d'una fredda e mesta espressione. L'idea, il sospetto, la paura
che gli si erano affacciati poco prima nella stanza vicina tornarono in
lui più forti. Quella figura non era essa quella del Re, cui pochi
giorni prima, la sera del ballo all'_Accademia Filarmonica_, egli aveva
visto sullo scalone di quel palazzo passargli a pochi passi di distanza
in tutta la pompa del suo grado? Volle rispondere alcune parole, e non
ne trovò punto; non seppe che inchinarsi, e frattanto pensava: «che mi
dirà egli? e che gli dirò io?»
Il Re da parte sua aveva ravvisato in quel giovane una figura che già
gli era venuta dinanzi altra volta. Egli vedeva passare sotto ai suoi
occhi tanti e tanti de' suoi sudditi, che il dove e il come avesse visto
costui non seppe trovare di subito nella sua memoria: ma quell'incontro
era stato così speciale e nella sua semplicità così inaspettato e
straordinario che non tardò a venirgli a mente. Rivide lo scalone adorno
ed illuminato, i fiori, le piante e fra queste la faccia curiosa,
esaminatrice, quasi interrogativa di quel giovane popolano. Alla sua
indole molto inchinevole alle mistiche ubbie, parve questa, più che
un'opera del caso, quasi un incontro preparatogli dalla Provvidenza,
forse per dargliene appunto aiuti al compimento della sua missione di
re.
Successe un silenzio. Carlo Alberto si passava lentamente sulla fronte
quella mano con cui prima sosteneva il suo volto; Maurilio, convinto
sempre più che quello fosse il suo Re innanzi a cui si trovava, sentiva
accrescersi l'interno suo turbamento, ma in mezzo al medesimo
l'eccitazione de' suoi nervi, aiutata dalla volontà, faceva spuntare ed
afforzava l'ardimento.
Carlo Alberto s'era ritratto alquanto dalla tavola, appoggiando il dorso
alla spalliera, e la sua faccia trovavasi quindi ancora più nell'ombra:
seguitava a tacere e i suoi occhi scrutavano sempre la fisionomia di
quell'individuo ch'egli stesso aveva voluto gli fosse condotto dinanzi.
Quel volto solcato da rughe troppo precoci, quella fronte intelligente,
ma per così dire tormentata, quello sguardo timoroso ed audace, sommesso
insieme e pure potente non gli piacevano, ma tuttavia gl'ispiravano una
certa curiosità benevola. Aveva tante volte immaginato potersi trovare a
tu per tu col suo popolo senza intermediari e sentirne la voce vera; ed
ora che gli pareva questo popolo gli stesse appunto davanti incarnato in
quell'individuo che aveva sofferto colla parte più misera di esso, non
sapeva come prendersela, quali interrogazioni muovergli, che cosa
volerne. Era come una fattucchiera novizia che ha evocato la prima volta
uno spirito e non sa più che farsene quando esso è comparso: egli aveva
evocato il genio delle nuove idee liberali, lo spirito delle teorie
democratiche le quali venivano ad accamparsi contro la monarchia quale
il passato l'aveva fatta, ed egli, il rappresentante di questa
monarchia, che pure in uno slancio di ambizione e diciamo anche di
generosità giovanile, aveva combattuta, egli si peritava a domandare il
motto di quella sfinge popolare di cui avrebbe pur voluto essere
l'Edipo.
— La sua vita sinora fu molto fortunosa: così cominciò il Re a parlare
dopo un poco; e la Provvidenza le darà certamente compenso in avvenire
dei travagli passati, i quali mi pare avranno a riuscire non infruttuosi
nè per Lei medesima, nè per la società, se quelle traversie hanno volto
il suo intelletto allo studio di gravi quistioni, ed hanno arricchito
d'esperienza la sua mente.
Carlo Alberto si tacque; Maurilio non aprì labbro nè fece pure una
mossa.
— Ho letto alcune pagine di quel suo scritto in cui con molto.... (esitò
come per cercare una parola acconcia che non gli veniva alle labbra) con
molto ardimento Ella affronta i più ponderosi quesiti ch'io creda
esistere intorno alle sorti delle società umane.
Allungò la destra e, preso il portafogli, ne trasse fuori lo
scartafaccio di Maurilio, il quale, nel vederlo, arrossì fino alle
orecchie.
Il Re continuava:
— Ma crede Ella che le soluzioni da Lei proposte, i rimedi da Lei messi
innanzi sieno valevoli a far cessare il male? La sua formola suprema,
s'io l'ho ben capita è la seguente: migliorare lo stato morale e
materiale dei poveri.
Maurilio chinò il capo per esprimere che quello precisamente era il suo
concetto.
— Ma questo è l'intendimento e il desiderio di tutti: ed è l'opera che
proseguono, con prudenza e secondo le circostanze consentono, i
legittimi governi. La democrazia a cui Ella fa appello col suo
ingannevole motto di _libertà_, parola elastica, mal definita sempre e
non definibile, appunto perchè traduce un concetto non esatto o non
acconcio alla natura umana; la democrazia, dalle leggi agrarie dei
Gracchi all'infame terrore della rivoluzione di Francia, non ha mai
potuto far nulla in pro appunto di quelle classi che più sono degne
d'interessamento e più hanno bisogno di soccorso. Il male pur troppo è
una fatalità della esistenza terrena tanto nell'individuo come nelle
agglomerazioni sociali, e per queste si traduce nella miseria di parte
dei loro componenti. Rimedio assoluto non c'è e non ci può essere;
qualche temperamento possono arrecarlo soltanto due virtù che c'insegna
la nostra santa fede; la carità e la rassegnazione.
Il Re s'interruppe di nuovo. Tornò ad appoggiare la fronte alla mano e
stette colle pupille immobili che con isguardo vago si fissavano
nell'ombra, come se vi cercasse ancora idee e parole che più non gli si
presentavano.
Maurilio aspettò un istante; ma poi capì che a lui ora toccava parlare.
Chiamò a rassegna i suoi pensieri e sentì con ispavento che invece di
accorrere fuggivano dalla sua chiama: sentì vuoto, come arido il
cervello, si turbò forte, maledisse la sua timidezza, fece uno sforzo
violento di volontà che gli raccolse il sangue nel capo e gli suscitò
nel cervello un turbinio vertiginoso, aprì le labbra e non ne uscì suono
veruno, volle cominciare a parlare e non sapeva che cosa avesse da dire,
non riuscì che a balbettare con voce tremola e soffocata:
— Maestà....
Carlo Alberto si riscosse vivamente; si tirò indietro della persona con
rapida mossa, come se un subito pericolo gli fosse sorto dinanzi ed egli
volesse ripararsene nell'ombra; i suoi occhi dalla luce semispenta e
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