La plebe, parte IV - 15

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trovatello, e nacque in esso un nuovo sentimento che ancora non s'era
fatto vivo verso quell'infelice che gli era venuto innanzi, raccattato,
per così dire, nel fango della strada: un sentimento d'orgoglio ch'egli
avesse di suo sangue nelle vene, che fosse nato di sua sorella.
— Coi suoi talenti, col mio appoggio e colle aderenze della nostra
famiglia, colla stima del Re (e potesse anco acquistarne la
benevolenza!) dove non può egli giungere?
Così pensava non senza compiacenza il marchese; ma di colpo venne a
turbarlo il ricordo delle parole dettegli da fra' Bonaventura: e se
Maurilio fosse davvero quell'incorreggibile rivoluzionario, reo di
sovversivi intendimenti da far inorridire? Che farne? Come gloriarsi
d'averlo tralcio del proprio tronco? Il Re se ne sarebbe sgomentato ben
presto, poi sdegnato: egli stesso, il marchese, quando manifestasse i
legami di parentela che a lui annodavano quel temerario, correrebbe
pericolo di scadere nella estimazione e nella benevolenza del Re.
Giunse a palazzo e scese di carrozza con animo perplesso. Il suo
cameriere gli venne incontro e gli disse coi soliti accento e modi pieni
di rispetto:
— Il parroco Don Venanzio attende gli ordini di V. E. nello studio.
Il marchese mandò un lieve sospiro di soddisfazione; avrebbe udito sulle
labbra del vecchio prete i consigli della vera religione e la vera voce
del dovere.
— Solo? domandò egli.
— Signor no: vi è pure il segretario.
Baldissero sostò un momento; parve esitare; si domandò a sè stesso se
dovesse o no vedere in quel momento il giovane della cui sorte
trattavasi, se e quale effetto la vista di lui avrebbe prodotto sulla
definitiva risoluzione ch'egli doveva prendere. L'esitazione fu corta:
si disse che era appunto il meglio lo studiare ancora, subito, in tal
punto, la fisionomia di quel giovane; entrò risolutamente nel gabinetto
di studio. I due che stavano colà seduti si alzarono con rispetto; e il
vecchio sacerdote fece un passo verso il marchese, come si fa per la
persona che giunge desiosamente aspettata; ma Baldissero aveva rivolto
lo sguardo e l'attenzione esclusivamente sopra Maurilio. In quel momento
la sua impressione tornò ad essere quella poco favorevole che ne aveva
avuta la prima volta in cui il giovane era comparso ai suoi occhi.
Quella testa grossa, ispida, direi quasi, e quelle sembianze tormentate;
quell'occhio affondato e quella bocca larga a labbra pallide e sottili;
quel corpo ricurvo e quelle manaccie grossolane gli presentavano un
complesso così lontano dal tipo aristocratico di eleganza e di
leggiadria che era quello della sua famiglia, e il quale così
egregiamente era incarnato nella infelice sua sorella, che il marchese
non potè a meno di dirsi: «È impossibile che costui sia mio nipote.»
Don Venanzio cominciò egli a parlare.
— Signor marchese, eccoci ancora ad implorare la sua protezione per un
altro massimo favore.
— È cosa che riguarda Lei? domandò Baldissero sviando finalmente gli
occhi dalla faccia di Maurilio, il quale sotto a quello sguardo,
freddamente scrutatore e quasi ostile, sentiva, per la naturale sua
timidità, confondersi e smarrirsi. Il tono poi con cui era fatta la
domanda del marchese diceva chiaramente: «Badate che se si tratta d'un
interesse vostro, Don Venanzio, sono dispostissimo a soddisfarvi, non
così se si tratta d'altri.»
— No, signore, rispose il parroco, riguarda anche ciò questo mio
figliolo d'adozione.
Il marchese non diè risposta alcuna; sedette e fe' cenno agli altri due
sedessero anche loro; la sua mossa era quella d'un uomo disposto ad
ascoltare.
Don Venanzio, senz'attendere altra licenza, prese ad esporre ciò che per
essi volevasi. Disse della misteriosità della nascita di Maurilio, dei
segni di riconoscimento trovati appo lui, del caso meraviglioso che
pochi giorni prima li aveva posti a contatto colla _Gattona_, della
certezza che ci aveva costei conoscere la famiglia a cui apparteneva il
giovane, dell'obbligo che quella vecchia mendicante si era assunto di
svelare la verità dopo due giorni. Soggiunse come fosse allora
intravvenuto un nuovo fatto, l'intromettersi cioè del gesuita, fra'
Bonaventura, di cui narrò il colloquio cercato ed avuto la sera innanzi
con Maurilio. Stupito e messo in sospetto da ciò, egli stesso, Don
Venanzio, era tornato dalla _Gattona_ ad interrogarnela, e non aveva
potuto trarne fuori se non che la chiave del segreto era davvero in mano
di quel gesuita di lei confessore, e ch'ella non altrimenti avrebbe
parlato che se il frate glie ne avesse dato licenza. Don Venanzio aveva
capito che quella vecchia, o direttamente o per mezzo del gesuita, aveva
fatto conoscere alla famiglia, forse potente, di cui Maurilio aveva
diritto di portare il nome, che il fanciullo voluto smarrito era lì,
pronto a rivendicare i suoi diritti; e quella famiglia aveva forse
empiamente deciso di respingerlo. In tale emergenza egli aveva pensato
ricorrere eziandio alla efficace protezione del marchese. Era un'opera
di giustizia e di carità che doveva tentare il generoso animo d'un
tant'uomo. Come se già sapesse appuntino i dubbi e le obbiezioni che
voleva sottoporgli e intorno a cui voleva consultarlo il marchese, tutte
combattè e distrusse le sofistiche ragioni che si vorrebbero accampare
per esimersi dal sacrosanto dovere di riconoscere quell'abbandonato
fanciullo, e lo fece con quell'eloquenza bonaria e semplice del cuore
che è la più efficace su persona d'animo eletto, e ci mise tanto calore
che non so chi non ne sarebbe stato vinto.
Il marchese ascoltò immobile, curva sul petto la testa, nascondendosi
colla palma la faccia sotto il pretesto di sostenervi la fronte: quando
il sacerdote ebbe finito, stette un momento ancora in silenzio e senza
fare atto di sorta: poi trasse giù dal viso la mano, e rivolse a
Maurilio uno sguardo che non era più quello quasi ripugnante di prima.
— Signor.... Maurilio. (Esitò un momento a pronunziare questo nome,
quasi avessero difficoltà le sue labbra a spiccarnelo, ma poi lo disse
con una certa emozione poco meno che affettuosa). Signor Maurilio, così
parlò con voce lenta e sommessa, Ella ha dunque alcuni contrassegni.
Desidererei vederli. Vorrebbe favorire di mostrarmeli?
Maurilio, che li aveva presso di sè, fu lesto a porgerli al marchese.
Questi riconobbe al primo colpo d'occhio il rosario di sua sorella, e lo
prese affrettatamente, con mano tremante. Sentì una subita tenerezza
ineffabile invadergli l'anima. Avrebbe voluto portarselo alle labbra e
baciarlo: ma non osò. Ogni suo dubbio a quella vista era dileguato: gli
parve scorgere Aurora medesima uscita dal suo sepolcro e venutagli
innanzi a dirgli: «questo è mio figlio.» Quante preghiere non aveva ella
innalzato al cielo, tenendo quel rosario tra mano! Di quante lagrime non
l'aveva essa bagnato! Sotto la protezione di quel pietoso amuleto, di
quella preziosa reliquia famigliare, aveva ella voluto porre il suo
figliuolo, raccomandandolo alla Divina Consolatrice di tutti gli umani
dolori; ed ecco che quella reliquia appunto riconduceva alla famiglia di
lei quel figliolo cui una barbara malignità aveva voluto sbandire. Si
domandò s'egli non dovesse di subito aprirgli le braccia e dirgli: «tu
se' mio sangue.» Guardò ancora la faccia strana del giovane. Non ostante
la sua emozione, durava nel suo animo verso Maurilio un segreto
sentimento, quasi un istinto, di ripulsione. Si disse che non conveniva
lasciarsi guidare ad un passo irrevocabile dalla commozione d'un
momento, che occorreva prendere una decisione definitiva a sangue più
raffreddo: desiderò parlare ancora e più specialmente di ciò con Don
Venanzio.
— Mi lasci questi oggetti, la prego, diss'egli a Maurilio. Nessuno più
di me, le assicuro, s'interessa nè può interessarsi per Lei e per questi
suoi casi... E di ciò appunto, e di quel che sia da farsi, desidero ora
stesso parlare con Don Venanzio.
Maurilio s'alzò e tolse commiato. Era uscito appena dallo studio del
marchese, che un domestico venne a dirgli come la contessina Virginia
desiderasse parlargli. Il giovane ebbe in pensiero per prima cosa
rifiutarsi d'andare da lei, ma non l'osò: si compresse con una mano il
cuore e seguì il domestico che lo conduceva nel quartiere della nobile
donzella.
Il marchese teneva sempre in mano il rosario di Aurora, e lo guardava
con occhi umidi di pianto; quando Maurilio fu fuor della stanza, egli
non resse più alla piena del suo affetto e baciò quel rosario con
passione.
Don Venanzio sorse di scatto in piedi, tutto commosso.
— Che? esclamò egli. Ella dunque, signor marchese, riconosce questo
contrassegno? Ella forse sa?...
— Tutto. La famiglia del suo protetto è la mia: sua madre fu mia
sorella.
Il vecchio prete alzò le mani tremanti verso il cielo, e con voce piena
d'esultanza, di riconoscenza, di ammirazione, esclamò:
— Divina Provvidenza! Come sono profondi i tuoi disegni! come
imperscrutabili le tue vie!... Tu il figliuolo scacciato l'hai
ricondotto al focolare domestico, oltre l'arrivo del senno umano, e me
hai voluto stromento della tua grazia al miserello. Posso io dunque
cantare il _nunc dimictis_?
— La sua parte non è finita, Don Venanzio, disse il marchese. Le tocca
ancora rassicurare la mia coscienza, dileguare i miei dubbi, illuminare
la mia mente.
Senz'altro più, espose francamente, cordialmente, interamente il più
segreto dei suoi pensieri a questo riguardo e confessò tutte le sue
esitazioni e ripugnanze. Il vecchio sacerdote combattè ogni cosa ad una
ad una: affermò che non ostante i varii errori che riconosceva egli
stesso nei giudizi e nelle opinioni di Maurilio, la mente di costui
elettissima e l'animo nobilissimo lo facevano tuttavia degno della
miglior sorte e del miglior nome del mondo; soggiunse che quand'anche
non fosse così, il dovere della famiglia ond'egli era nato rimaneva pur
sempre il medesimo e bisognava compirlo; certo era meno piacevole lo
aver da accogliere un cotale che aveva sempre vissuto in isfera diversa
da quella che si avrebbe voluto, con idee e costumi affatto diversi,
colla disgrazia d'aver dovuto assaggiare della carcere per delittuosa
imputazione; ma di tutto ciò a chi la colpa? alla famiglia medesima che
lo aveva rigettato e posto in quelle condizioni; e parte dell'ammenda
che ella doveva farne, sarebbe stato eziandio il passar sopra a codesto,
il superare quelle antipatie e quelle ripugnanze. Il marchese era troppo
uno spirito superiore per non comprendere codesto, per volere ad un
individuo fare pagare il fio di risultamenti dovuti alle circostanze ed
al fatto altrui: d'altronde Maurilio, ingiustamente accusato, aveva
visto solennemente proclamata la sua innocenza ed aveva da quella bolgia
infernale dove era stato precipitato, della miseria, della carcere,
della malvagia compagnia, portata fuori un'anima sempre onesta, la qual
cosa era merito maggiore di molto che non quello di chi, favorito da
ogni condizione, non fallì mai.
Un'ora durò il colloquio fra Don Venanzio ed il marchese. Questi che
aveva ad un tratto affacciate in corpo tutte le sue obbiezioni, non le
venne più ripetendo a seconda che il buono ed umile prete di campagna,
coll'impeto della sua eloquenza naturale, rozza anzi, ma efficace, col
calore d'un'anima sempre giovanile ed ardente pel bene, il quale si
crede compire un'opera di apostolato, le andava distruggendo ad una ad
una. Ascoltava e li, il marchese, con mossa che dinotava tutta
l'attenzione prestata al suo interlocutore e la potenza riflessiva
impiegata dalla sua mente; sorreggeva secondo il solito la testa alla
sua mano bianca ed affilata, mentre lo sguardo stava fiso sulla fiamma
che volteggiava nel focolare; di quando in quando frammischiava alle
argomentazioni del parroco un dubbio, un'osservazione, una richiesta,
che erano come un nuovo incentivo al fuoco del discorso del protettore
di Maurilio.
Quando fu trascorsa quell'ora che ho detto, il marchese finalmente si
mosse, tirò giù dal capo la destra e lasciò scorgere la sua nobile
fisionomia colle traccia di alquanta commozione, si alzò in piedi,
drizzando la sua alta e distinta persona e mandò un sospiro che avreste
potuto interpretare come di rassegnazione o come di sollievo.
— Sia fatta la sua volontà, Don Venanzio....
Questi fece un atto come volendo protestare; il marchese s'affrettò a
soggiungere:
— Che credo sia pure quella di Dio. Il figliuolo di mia sorella sarà
accolto in casa mia..... come il figliuolo di mia sorella.
Pose mano al fiocco del cordone che pendeva presso il camino, ed una
scampanellata ferma, risoluta, imperiosa avvisò il cameriere che S. E.
aveva bisogno di lui.
— Dite al segretario si compiaccia di venir qui subito; comandò il
marchese al servo presentatosi sollecito alla porta.
Il cameriere notò l'uso del verbo _compiacersi_, acquistò una maggiore
stima che non avesse per l'innanzi ad un segretario, in favore de! quale
S. E. si serviva di tali termini, e si affrettò verso il quartiere di
Maurilio più rispettoso che non avrebbe mai creduto di dover essere
verso un cotale che egli aveva visto entrare in quella casa in sì poveri
arnesi.
Don Venanzio ed il marchese attendevano con una certa emozione
d'ansietà. Dieci minuti passarono e nessuno venne; il marchese,
impaziente, lasciò trascorrere ancora altri cinque minuti e poi diede
con forza un'altra tirata al cordone del campanello.
Si vide poco dopo fra la portiera dell'uscio la faccia del solito
cameriere; ma questa faccia aveva un'espressione di contrarietà
mortificata, di disappunto, d'imbarazzo che dinotava essere avvenuta
qualche novità che lo turbava.
— E così? domandò asciuttamente il marchese.
— Il segretario non c'è: rispose il cameriere con quell'impaccio nella
parola che aveva nell'espressione del volto.
— Perchè non venire ad avvisarmene subito?
— Volli far cercare più accuratamente di lui e sapere che cosa ne
fosse.....
— Avete fatto male: interruppe con severo accento il padrone; ciò
ch'egli faccia o non faccia non ha da chiamare in nessun modo la vostra
attenzione.
Il cameriere mandò giù il rimprovero con un inchino.
— Appena torni il signor Maurilio, lo si mandi da me.
Il servo non si mosse e fece un atto come chi ha qualche cosa da dire e
non osa.
— Che avete da soggiungere? domandò il marchese, il quale di ciò si
accorse.
— Vorrei dire a S. E. che dubito molto che il signor segretario torni a
palazzo.
Baldissero e Don Venanzio si riscossero e si guardarono in viso
meravigliati.
— Perchè dite voi questo? domandò il primo.
— Perchè il signor Maurilio è partito svestendo gli abiti che qui gli
erano stati dati e riprendendo i suoi logori che aveva deposti, ed il
custode, al quale diede una lettera, mi disse che egli aveva un'aria
talmente stralunata che da lui ad un pazzo ci correva poco.
Nuova e dolorosa meraviglia nel marchese e nel sacerdote.
— Ma gli è forse successo qualche cosa? domandò Baldissero: nessuno
saprebbe dire alcuna cosa che ci guidasse a scoprire la ragione di
questo fatto?
Il cameriere si strinse nelle spalle come uno che non sa niente.
— Voi avete detto che ha lasciato una lettera al custode: disse Don
Venanzio.
— Sì signore.
— E questa lettera?
— L'ho qui. Il signor Maurilio aveva pur detto al custode di non
consegnarla che fra un'ora; ma io ho creduto bene di farmela tuttavia
rimetter subito. È appunto diretta a Lei.
— A me! esclamò Don Venanzio, date, date qui.
La prese con mano premurosa dal domestico che gliela porse, e ne guardò
con sollecitudine la soprascritta; era di mano di Maurilio, ma nel
tracciare i caratteri dell'indirizzo quella mano era così fattamente
agitata che tutta sconvolta era riuscita la scrittura.
— Andate, disse il marchese al servitore che si affrettò ad ubbidire.
Legga, Don Venanzio, soggiunse quando furono soli, e se quello che si
contiene colà dentro crede potermelo comunicare, mi leverà dall'ansiosa
curiosità onde son preso.
Don Venanzio ruppe il suggello, spiegò il foglio con mano che tremava un
pochino, inforcò gli occhiali, e lesse.
«Parto. Dove me ne vada non so. Forse al villaggio dove imparai
primamente a soffrire. Potessi chiudere questa vita nel luogo in cui la
sentii cominciare a pesare su me colla gravezza del dolore!... La mia
sorte, la mia famiglia, il mistero della mia nascita, che m'importa più?
Cessi da indagini che a nulla mi possono giovare. Quando anche fossi
figlio d'un re, che me ne verrebbe oramai?... Mi sento circondato
dappertutto da una tenebra fitta. Vorrei che fossero le ombre della
morte. Le mando un saluto dal cuore... Forse l'ultimo... In questa casa
non posso rimaner più, non debbo... Ho la testa che minaccia di
rompersi... il cuore mi sembra che voglia saltarmi fuori dal petto.....
Non mi stupirei che l'uno e l'altra scoppiassero... Addio.»
— O mio Dio! esclamò il buon sacerdote quando ebbe letto, tutto
sgomento: ma che cosa può essere avvenuto? A quel poverino ha dato di
sicuro volta il cervello.
Ricordò che pochi anni prima una forte scossa morale aveva già ridotto
Maurilio al punto che la sua smarrita ragione lo aveva spinto al
suicidio da cui lo aveva salvo Giovanni Selva; ricordò la grave
pericolosa infermità che di poi lo aveva travagliato, temette anche
questa volta una simile vicenda e pari effetti: senz'altra spiegazione,
come uomo che non ha tempo nessuno d'indugiarsi, prese sollecitamente il
suo cappello a tre punte che aveva posto sopra una seggiola dritto
contro la spalliera, e si mosse per uscire.
— Ma che fu dunque? domandò il marchese con inquieta premura. Non posso
io saper nulla?
Don Venanzio s'arrestò sui due piedi e porse al marchese la dissennata
lettera di Maurilio.
— Legga, legga pure.
Baldissero la prese e lesse avidamente.
— Or dunque, che conta Ella di fare?
— Vado a cercare di quel disgraziato...
— Dove?
— A casa dei suoi amici, dove abitò finora: ma chi sa se ce lo
troverò.... Ah!
Una buona idea eragli venuta. Maurilio aveva scritto che forse si
sarebbe recato al villaggio, correndo giù per la strada che vi
conduceva, chi sa che non si sarebbe potuto raggiungere. Ne disse al
marchese, il quale trovò molto giusta l'idea, e per attuarla meglio pose
a disposizione del buon vecchio prete una sua carrozza. Dieci minuti
dopo Don Venanzio partiva al trotto serrato di due buoni cavalli per
correr dietro al fuggitivo.
Ma che cosa aveva dunque tratto il povero Maurilio a sì subita e pazza
risoluzione?
Che la nobile fanciulla da lui amata gli avrebbe parlato di Francesco
Benda, egli n'era sicuro. Non esisteva altro punto d'attinenza fra lei e
lui, e abbastanza ne lo preveniva l'istinto del proprio cuore. Il suo
amore senza speranza pur si ribellava furibondo al pensiero dell'amore
di quella donna per un altro. Senza speranza! Sì, tale era stato
l'affetto suo fin allora, tale ed anche più doveva essere al presente,
avendo egli acquistato certezza che Francesco Benda aveva ottenuto quel
sommo bene a cui egli non aveva osato pur mai aspirare. Eppure, vedete
stranezza della sua natura, in lui non era così. Ciò che gli accadeva da
due giorni era tanto straordinario che pareva avergli ispirato una
insensata fiducia anche nell'impossibile. In que' sogni matti e
sragionevoli che il bollore della gioventù presenta alla fantasia di
ciascheduno, creando un avvenire meravigliosamente eccezionale che non
si potrà effettuare giammai, ancor egli aveva avute a questo proposito
le sue pazze chimere, di cui poscia amaramente sorrideva e si riprendeva
egli stesso. Aveva sognato poter diventare illustre, grande, celebre,
potente colla forza sola del suo ingegno e del suo valore, e raccolta
una somma ingente di gloria venire a metterla a' piedi dell'adorata
fanciulla, che non avrebbe più potuto stimarlo da meno e respingerlo con
disprezzo. Ma ora ad avvicinarlo a lei, più sollecitamente e più
naturalmente e con maggiore ancora la desiderata efficacia, sembrava
volere adoperarsi la sorte. Tutto quello che gli era capitato, induceva
in lui la certezza di appartenere egli ad una nobile e potente famiglia.
Avrebbe dunque avuto un nome, un grado, un titolo pari a quelli di lei:
essa avrebbe potuto e dovuto trattarlo come eguale, ed egli starle
dinanzi senza umiltà e vergogna di soggezione e d'inferiorità. Nel suo
animo di plebeo che aveva sino allora lottato colla miseria e s'era
trovato oppresso dall'abbiezione del suo stato, entrò ad un tratto un
sentimento d'orgoglio aristocratico, di cui si vergognò poco stante, ma
che pure, anche passando solamente, lasciò in lui una certa traccia, un
effetto inavvertito. Si disse che Virginia di sì nobile casato, di sì
aristocratico sangue, non avrebbe potuto sposare un borghese come
Francesco Benda. Quel pregiudizio delle vane distinzioni di classi
sociali per nascita, che allora era così potente nella nostra società,
quel pregiudizio ch'egli aveva trovato stolto e condannato sempre per lo
addietro, parve a tal punto una verità al suo spirito momentaneamente
traviato. Una fanciulla come Virginia poteva ella amare un uomo a cui
non avrebbe dato la mano? Contraddisse, contestò l'evidenza delle prove
che il suo dolore aveva scorte dell'amore di lei per Francesco: le
interpretò con un quasi volontario errore nella più falsa guisa del
mondo: ed anche quando, riavutosi da quella febbre, potè più giustamente
apprezzare le cose, pure a sua insaputa, alcun che glie ne rimase al
fondo dell'animo di quelle pazze speranze.
Pur tuttavia quando Maurilio, fatto chiamare da Virginia, entrò nel
salottino in cui essa lo attendeva, vi fu con una timidità palpitante
che pareva quasi una ripugnanza. Era un salottino tappezzato di seta
cilestrina, e in mezzo, come un angelo nell'azzurro del cielo, cinta la
fronte d'un'aureola, spiccava la bella figura della ragazza, ornato il
capo del ricco volume dei suoi fulvi capelli. La splendeva come una
visione di paradiso. Maurilio la guardò ratto ed atterrò gli occhi con
paurosa confusione e si sentì tremare nelle più intime fibre. Stette
egli immobile presso la porta e non seppe trovare una parola.
Essa gli si accostò con qualche sollecitudine, colla sicurezza di
persona che non ha la menoma esitanza nè vergogna intorno a ciò che sta
per dire o per fare. Era pallida più dell'usato, gli occhi splendevano
d'una fiamma speciale, v'era un'inquietudine contenuta, una
supplicazione involontaria nella mossa.
— Signore; diss'ella con espressione di non dissimulato, vivissimo
interesse. Che notizie ha Ella del suo amico l'avvocato Benda?
Era la domanda che appunto s'aspettava Maurilio: eppure ad udirla egli
diede in un trasalto come se ad un tratto avesse sentito una punta
figgerglisi in cuore; sollevò ratto le palpebre, e le sue pupille color
del mare incontrarono lo sguardo delle pupille color del mare di lei. Fu
come un urto di due elettricità; e se ne sprigionò una potente scintilla
che variamente li scosse ambidue. Virginia travide un segreto nella
profondità di quell'anima che le aveva balenato dinanzi; le parve di
botto che quella persona non era nuova per essa, nè indifferente al suo
destino; dove l'avesse già vista e quando, quella fronte tormentata, non
sapeva, ma sentì che una qualche indefinibile attinenza correva fra
quello sconosciuto e lei. La sua fierezza avrebbe voluto sdegnarsi
dell'audacia di quello sguardo che sembrava volerle entrare nell'anima,
della temerità di quell'essere a lei di tanto inferiore, che pareva
aversi ad intromettere nella sua vita; ma negli occhi di quell'uomo
eravi pure tanto dolore che non potè a meno di sentirne compassione la
sua generosa anima di donna. Non fu una simpatia, fu una pietà. Il suo
sguardo mostrò ad un punto il risentimento ed il perdono; aveva appena
lampeggiato lo sdegno che già risplendeva caramente in quella leggiadra
pupilla una mitezza divina.
Quello che passava nell'interno del giovane chi lo potrebbe esprimere?
Il suo sguardo acceso avvolgeva, abbracciava con audace potenza la
bellezza fisica di quella nobil fanciulla, e si sforzava di penetrarle
nell'anima, ad abbracciarla del pari; nello stesso tempo supplicava con
ardenza e commozione infinita. Egli sentiva, in presenza di quella
adorata beltà, adergersi la passione, invaderlo, farsi più potente della
sua timidità, d'ogni riserbo, d'ogni riguardo, d'ogni suggerimento della
ragione, d'ogni dettame di convenienza, padroneggiarlo, torgli le redini
della volontà, stimolargli il cervello come una trionfante pazzia. Le
più spropositate idee gli tenzonavano nella testa, le più audaci parole
gli gorgogliavano nella gola; un lieve impulso ancora ed avrebbe
traboccato ed avrebbe prorotto il torrente della sua passione.
Fece uno sforzo supremo per frenarsi. Conveniva parlare. Virginia aveva
sviato da lui lo sguardo e rimaneva immobile attendendo risposta alla
sua domanda. Il povero Maurilio riuscì a pronunziare con voce sorda e
affaticata, le seguenti parole:
— Di Benda non ho notizia alcuna.
Virginia, da quel nome richiamata per intero all'argomento che le
premeva più di tutto al mondo, lo guardò con un'espressione di mite
rimprovero.
— Come! esclamò essa, mentre sì gravi avvenimenti successero e tanto
pericolo minacciò l'esistenza del suo amico e della famiglia di lui,
Ella non ebbe premura di saperne questa mattina le novelle?
La innamorata fanciulla che aveva vegliato in pena tutta la notte, che
aveva con ispavento appreso della rivolta degli operai e de' gravi fatti
che l'avevano accompagnata, che null'altro pensiero più aveva in mente
fuor quello dell'amor suo, considerava quasi per impossibile che in
altri avesse ad essere tanta indifferenza a tal riguardo. Maurilio, alle
ultime parole di lei, ebbe sulle labbra un sorriso amarissimo, onde la
fanciulla provò sdegno insieme, e pena e sgomento. Quel sorriso diceva
che il giovane aveva avuto ben altro a cui pensare, che del ferito e
delle sue sorti poco si curava ed anche peggio, che la ragazza sperando
in lui un aiuto erasi ingannata, che piuttosto avrebbe trovato in esso
un alleato ai nemici del suo amore. Ella si pentì subitamente della
fiducia che aveva creduto poter riporre in quell'essere; si rimutò nelle
sembianze compiutamente, s'allontanò da lui di qualche passo, e
riprendendo tutta la naturale fierezza del suo contegno, disse con
accento severo:
— Mi sono dunque ingannata a crederla un amico del signor Benda?
Per Maurilio quel mutamento fu come se gli si spegnesse subitamente agli
occhi la luce del sole. Tese le mani supplichevole ed esclamò:
— No, no; la non s'è ingannata. Sono un amico, un amico a tutta
prova..... Mi comandi e farò quanto so, quanto posso.....
S'interruppe perchè l'emozione gli faceva gruppo alla gola e non
lasciava più varco alle parole. Virginia stette un momento in silenzio,
come riflettendo, e pareva che il suo spirito fosse corso lontano da
quel luogo, ed ella non badasse più a chi gli stava dinanzi. Dopo un
poco scosse la sua leggiadra testa, s'avvicinò ad un mobile e prese in
mano una lettera che vi stava sopra: si rivolse di nuovo a Maurilio e
parlò con una semplicità affatto naturale.
— Io m'interesso di molto a quella famiglia. La signorina Maria
figliuola del signor Giacomo, fu mia compagna di collegio ed abbiamo
rinnovato pochi giorni fa un'intrinsichezza da amiche.....
Si tacque ad un tratto; si domandò perchè la diceva tutto ciò a
codestui: che aveva ella bisogno di scusare o di spiegare soltanto la
sua condotta? Arrossì alquanto: e dopo un istante riprese con accento
più altero che non fosse prima:
— Ho da mandare questa lettera di condoglianza e di conforto alla mia
amica..... Avevo pensato, poichè credevo ch'Ella si recasse colà, pregar
Lei di recargliela a nome mio.
Maurilio delle parole di Virginia aveva capito poco o nulla; il suo capo
confuso sempre peggio gli tenzonava con maggiore intensità, per poco non
aveva smarrita la giusta percezione delle cose e la coscienza di sè;
viveva come in un sogno, anzi meglio come in un parosismo di febbre,
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