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La plebe, parte IV - 13
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vecchio oramai sull'orlo della fossa che col suo passo cadente
s'allontanava dal letto; tu sei la passione maggiore dell'anima umana,
tu sei la susta più potente della nostra volontà: chi sa servirsi di te
e sfruttare le tue ispirazioni e la tua forza, ha in pugno l'orgogliosa
umanità.
Verso le dieci del mattino, Meo, secondo che gli era stato ordinato da
Barnaba, venne a casa di quest'ultimo, e vi fu trattenuto ad ogni modo,
senza lasciarlo uscir più, premendo di molto al poliziotto che il servo
di Pelone più non tornasse nella bettola, nè fosse visto da alcuno dei
frequentatori di essa, non avendo Meo medesimo volontà nessuna di
tornarci, e giungendo inoltre opportuno per aiutare Andrea nelle cure da
darsi al ferito.
Barnaba, frattanto, condannato ad una forzata inerzia corporale,
lavorava di molto colla testa: veniva rifacendo nella fantasia tutto il
dramma avvenire che avrebbe avuto per conclusione una sua molteplice
vendetta verso quell'uomo il quale finora avea saputo a lui così bene
sottrarsi e nella coperta lotta vincerlo. Un istante solo aveva egli
pensato di mandare pel signor Commissario e svelargli quando venisse
ogni cosa, perchè s'affrettasse ad agire, nella paura che gli scellerati
potessero trovar modo da scivolare anche una volta fuor delle loro mani;
ma troppo era il suo desiderio di far egli tutto da sè, d'esser egli a
condurre a fine l'impresa e mostrare a' suoi superiori quale errore
avessero commesso condannandolo: ci teneva come un inventore alla sua
scoperta, il quale non può soffrire che un altro la metta in atto e se
ne faccia merito. Gli assassini credendolo spacciato, non avrebbero
stimato opportuna altra precauzione per guarentire il loro segreto e la
loro sicurezza; ed egli d'altronde ora colla cooperazione di _Macobaro_
poteva dirsi penetrato nel campo nemico. Si trattava solamente di guarir
presto, e poi egli avrebbe fatto meravigliare il signor Tofi e quanti
altri mai coi risultamenti che otterrebbe.
Egli era appunto in cosiffatti pensieri, quando in seguito alle vicende
che abbiamo visto, il signor Tofi medesimo entrava precipitoso nella
stanza del ferito e con lieta sorpresa riconosceva in lui il suo più
fido e più abile agente segreto.
Il signor Tofi era troppo accorto per far vedere che solamente al caso
egli dovesse la scoperta del covo in cui stava ritratto, come Achille
sotto la tenda, il suo subordinato; si avanzò verso il letto col suo
passo militare accelerato, il mento levato sopra il suo cravattone duro,
con aspetto più severo che soddisfatto, non ostante la compiacenza che
provava internamente per l'avvenutagli buona ventura di trovar lì chi
più desiderava.
— Ecchè, diss'egli col suo accento solito, mezzo di rampogna e mezzo di
comando; la ci vuol proprio tutta a stanarvi fuori. E mentre si fa più
forte il bisogno dei vostri servizi e si presenta più favorevole
l'occasione per farvi onore, voi state qui a poltrire in letto sotto il
pretesto di non so qual malattia? Forse che abbiamo il tempo di diventar
malati, noi? Forse che possiamo tener broncio e rifiutarci al nostro
dovere? Niente affatto. Ci conviene star sempre sulla breccia, il corpo
e lo spirito pronti. Animo su, fuori da quelle coltri che una grande
campagna incomincia, è già incominciata.
L'emozione della sorpresa vedendo entrare così inaspettato il signor
Commissario, aveva cagionato a Barnaba a tutta prima un certo rimescolìo
di sangue, per cui s'erano d'alquanto arrossate le sue guancie; ma poi,
dato giù quell'accorrere degli umori al capo, era tornata in lui la
pallidezza che lo dimostrava in preda ad una vera e non lieve sofferenza
di malattia. Tofi ciò vide e con alquanto più interesse che non avesse
fino allora manifestato, curvando un poco sopra il letto la sua alta e
rigida persona, soggiunse:
— Ma in realtà voi mi siete più bianco d'un cencio lavato. State dunque
male davvero?
Barnaba fece un segno affermativo.
— Sono andato fino alla porta della tomba, disse con un mesto sorriso, e
poco mancò, proprio assai poco, che non avessi più il bene di vederla,
signor Commissario.....
Questi volle saper tutto che era avvenuto al suo agente; e Barnaba
fattogli promettere che non avrebbe fatto nulla per iscoprire e cogliere
i colpevoli, gli raccontò in brevi termini l'aggressione di cui era
stato vittima.
Tofi stette un poco pensieroso, gli occhi fissi sul volto del giacente;
poi disse:
— Ed a chi ed a qual motivo credete voi dover attribuire questa
succhiellata?
Gli occhi di Barnaba si animarono un pochino.
— A chi? diss'egli. V'è una grande, orribile congrèga, di cui son presso
a scoprire le fila, v'è una scellerata e potente persona de' cui delitti
ho già quasi in mano le prove.... Si aveva tutto il possibile interesse
a farmi scomparire.
Questa volta il Commissario non fece più il sorriso d'incredulità che
era solito a fare quando Barnaba accennava a que' suoi sospetti intorno
ad un misterioso capo di un'orda di briganti.
— E perchè, domandò egli ancora, non volete ch'io cerchi de' vostri
assassini?
— Per più ragioni: rispose Barnaba. La prima è la mia sicurezza
medesima. Bisogna che si facciano l'idea ch'io sono sparito affatto, e
che del loro delitto non esiste traccia nè sospetto nessuno: per ciò
volli tenermi così nascosto e feci giurare ai pietosi che mi soccorsero
il più assoluto silenzio. Se altrimenti avvenisse, quell'associazione,
potente e così bene guidata com'è, avrebbe tosto mezzo di scoprirmi ed
una seconda volta mandare a buon fine il loro poco amorevol disegno a
mio riguardo. Poi è necessario ancora codesto perchè credendo tolto di
mezzo per sempre chi li minacciava, si rassicurino e non facciano
disperdere gl'indizi e le prove, di cui ho già tutti in mano gli
elementi. Per ultimo (e qui i suoi occhi brillarono vieppiù), perchè
voglio avere io il gusto ed il merito di fare le mie vendette.
Tofi fece un legger cenno d'acconsentimento.
— Sta bene, disse poi; ma frattanto l'audacia e il numero dei delitti
crescono ogni giorno, e preme porvi riparo il più presto. La notte di là
assassinarono l'usuraio Nariccia e la sua vecchia fante.
Barnaba si fece contare tutte le circostanze appurate di quel fatto.
— Ed Ella sospetta dei colpevoli? domandò poi.
— Sono certo: rispose vivamente Tofi. Gli assassini erano tre; due
furono i famosi _Stracciaferro_ e _Graffigna_.
E narrò il modo con cui di ciò erasi assicurato interrogando nella guisa
che abbiamo visto il paralitico Nariccia.
— Vi è il terzo ancora da scoprire: soggiunse poi.
— Eh! so ben io chi fu questo terzo: disse Barnaba con accento pieno di
convinzione.
Tofi si curvò su di lui.
— Sempre la vostra idea? interrogò abbassando la voce.
Il giacente fece un segno affermativo.
— Quel signorino elegante?
— Sì.
— Il dottor Quercia?
— Lui!... Non altri che lui! esclamò con forza Barnaba.
Il Commissario affondò le sue mani nelle lunghe tasche del suo
soprabito, posò il mento sul cravattone e fece due giri per la stanza,
assorto in profonda riflessione. Poi tornò a piantarsi alla sponda del
letto del suo subordinato.
— I vostri sospetti non li accuso più d'impossibili, diss'egli; ma
l'affare è molto delicato e conviene trattare con prudenza molta.
Esitò un momentino e poi con brusco accento, come se l'avesse amara seco
per dover pronunziare quelle parole:
— Che cosa penserete voi dover fare? domandò.
— Poco o nulla rispose Barnaba. Raccogliere tutti gli indizi possibili,
ma quasi di soppiatto, sorvegliare attentamente, ma senza che appaia.
Sarebbe buon partito mostrare d'aver preso uno svarione e mettersi
apparentemente in una falsa strada; oppure far vedere che, disperati di
venirne a capo di nulla, si rinuncia alla ricerca..... Intanto io,
grazie a Dio guarirò e se non si dà imprudentemente la sveglia, farò
cogliere al covo tutta la masnada.
— Guarite dunque presto: conchiuse il Commissario. Verrò a tenervi
informato d'ogni cosa che avvenga, e consulteremo assieme.
Barnaba fece un piccolo moto.
— Non temete, s'affrettò a dire il signor Tofi, userò ogni fatta
precauzione, perchè non mi si veda.
— Va bene... la ringrazio: soggiunse il ferito: ma perdoni ad una mia
domanda, di cui Ella comprenderà per me l'importanza. Come giunse Ella a
scoprire la mia dimora?
Tofi stette un momento a pensare, poi non vedendo inconveniente nessuno
nel dir la verità, raccontò tutto quello che era successo al povero
Andrea. Barnaba confermò che questo disgraziato era stato tutta quella
notte con lui e pregò vivamente perchè il Commissario s'adoperasse a
farlo liberare. Il signor Tofi ciò promise e mantenne la parola. Quattro
giorni dopo il suo arresto, Andrea era restituito alla libertà.
L'infelice appena fuori della porta del carcere, corse come un
indemoniato all'ospedale dove aveva lasciato sua moglie, che gli pareva
mille anni non aver più vista... Aimè! Era troppo tardi!
Andrea andò quasi correndo fino al letto in cui aveva lasciato sua
moglie.
— Paolina, Paolina, voleva gridare, finalmente sono qua di nuovo.... e
non ti lascierò più.... e verrò tutti i giorni; ma l'emozione lo serrava
talmente alla strozza che non altro potè uscirne fuori, che una specie
di rantolo.
Il pover'uomo benedisse questa emozione che gli impediva il parlare,
poichè vide la donna che giaceva in quel letto così immobile e
tranquilla che ben pareva immersa in placido sonno. Volta sopra un
fianco, ella si copriva colle lenzuola la faccia, sì che non se ne
potevano scorgere i lineamenti. Andrea volendo rispettare quel sonno
prezioso, si accostò pian piano e sedette sopra lo scanno che si trovava
appiè del letto, fissando quella testa che mezzo si nascondeva sotto le
coltri.
— Il dormire le fa del bene: diceva frattanto fra sè: poverina! che
sorpresa l'aspetta ora che si svegli!... La mi domanderà dove sono stato
e che cosa ho fatto... Come ho da risponderle?... La verità, no: troppo
le sarebbe crudele; se v'è caso in cui debba essere perdonata una bugia,
si è questo... Le dirò che sono stato a lavorare... sì, che ho trovato
dove allogarmi ed assai bene... Ciò invece le gioverà... E poi la mi
domanderà dei bimbi... E le dirò che stanno bene; e che glie li condurrò
domani... Quel buon signore che li ha condotti all'ospizio e che venne a
darmene delle nuove mi assicurò che son sani e vispi... Ho ancor io
tanto bisogno di vederli!... Ma la mia prima visita non poteva essere
che per te, mia buona Paolina, mia cara Paolina... Ah come mi sono
accorto che ti voglio bene, sai!... Ad esser lontano ho sentito che tu
mi sei necessaria alla vita; vedendoti a soffrire ho capito che ti
volevo ancora il gran bene d'una volta, perchè darei mille delle mie
vite per allungarti e far lieta la tua... E son io che ti ho fatto
soffrire... Oh me scellerato!... Ma d'ora innanzi...
Gli parve che l'inferma avesse fatto un moto, ed egli si levò di scatto
per essere pronto a gettarsi su di lei e baciarla. La giacente aveva sì
cambiato un poco la mossa, ma non s'era sveglia. Però la faccia rimaneva
ora un pochino più scoperta, ed Andrea, mirando quella piccola lista di
fronte che si presentava ai suoi sguardi, ricevette una strana
impressione.
— La non mi par lei: disse facendo un passo indietro quasi con
isgomento.
Guardò dintorno e riconobbe che quello era proprio il letto in cui aveva
lasciata Paolina, mirò il numero, ch'egli sapeva discernere, e vide che
non s'era sbagliato; ma pure più e meglio guardava quella testa, lo
stare di quel corpo abbandonato e più gli sembrava che la donna giacente
in quel letto non era la sua Paolina. Una vaga inquietudine lo prese.
Che cosa non avrebbe dato per saper leggere ed appurare qual nome fosse
scritto sul cartellino che pendeva a capoletto? Mentre si guardava
ansioso dintorno come per cercare mezzo alcuno di sincerarsi, ecco
accostarsi a quella volta la suora di carità ch'egli aveva veduta dare
le sue cure a Paolina. Andrea le mosse all'incontro con un'esclamazione
quasi di gioia:
— Ah! mi dica Lei come sta la mia Paolina... È ben sempre in questo
letto, è ben essa quella che vedo? Sono qui da cinque minuti; ma la
dorme sempre... Ciò le farà del bene, non è vero?... E che cosa dicono i
dottori?
La faccia della monaca si turbò talmente che Andrea ne rimase
spaventato.
— O Dio! soggiunse, la trovano forse peggiorata? Era essa molto male
alla visita di questa mattina?
La monaca scosse mestamente la testa.
— No: rispos'ella con voce ed accento pieni di compassione: questa
mattina ella non era male.
Andrea mandò un sospiro di sollievo: in quel momento la donna che era
nel letto si svegliò e volgendosi supina, scoprì affatto il suo volto.
Il marito di Paolina si precipitò verso di lei; ma tosto si ritrasse
indietro allato alla suora che per trattenerlo gli aveva posto sul
braccio una mano.
— Ma quella non è mia moglie! esclamò egli.
— No: disse la suora volgendo in là lo sguardo, vostra moglie da ieri
non è più qui.
Una folle speranza balenò all'anima del povero uomo.
— Uscita forse? domandò egli: Dio ci avrebbe già fatta la grazia di
guarirla?
Vide dall'espressione della faccia di quella monaca quanto fosse fallace
una simile speranza.
— Ah no, soggiunse, codesto non è possibile. L'hanno dunque traslocata
in qualche altro ospizio?... oppure solamente in qualche altra sala?...
Forse in una stanza particolare... Oimè! forse appunto perchè il suo
male era aggravato?...
Un barlume di quella che era pur troppo la tremenda verità cominciava ad
apparire alla sua mente; ma egli non voleva lasciarsene illuminare.
— Per carità, la mi dica dov'è mia moglie? scongiurò egli giungendo le
mani.
La monaca che stimò la terribile rivelazione fosse meglio non farla in
quel luogo, dove lo scoppio del dolore di quell'infelice avrebbe potuto
nuocere alla ammalate che stavano tutt'intorno, prese Andrea per mano e
gli disse:
— Venite meco e saprete ogni cosa.
L'uomo si lasciò guidare come un fanciullo.
— Andiamo a vederla? domandò. Mi conduce dov'è Paolina?
La monaca non rispose. Lo introdusse nelle camere della Direzione, e
colà fattolo sedere, incominciò a dire:
— Voi siete padre di famiglia, non è vero?
Andrea guardava intorno come per iscoprire dove fosse la sua moglie.
— Sì signora, rispose: ho una nidiata di bambini in piccola età.
— Bisogna dunque aver forza e coraggio per loro. A voi tocca adesso
l'amarli per due.
Andrea divenne pallido pallido; allargò tanto di occhi e fissò la monaca
tutto sgomento: le sue mani agitate spiegazzavano il suo berrettaccio, e
colle labbra che tremavano balbettò:
— Amarli per due?.... Non capisco.
Il vero era che egli cominciava a capire pur troppo.
— Sì, disse gravemente la monaca mettendogli una mano sulla spalla.
Sulla terra siete ora voi solo ad amarli i vostri bimbi; la madre loro
li ama e li protegge dal cielo.
Si sarebbe potuto credere ad uno scoppio di dolore nel povero Andrea;
invece egli rimase mutolo, gli occhi e la bocca larghi, quasi attonito;
avreste detto che non avesse capito. Stette in silenzio così alcuni
minuti fissando con pupille smarrite la monaca, la quale gli teneva
sempre, con atto pietoso, la mano sulla spalla.
— Paolina adunque? diss'egli poi con un soffio di voce, e le ciglia gli
si misero a tremolare leggermente.
La suora di carità non rispose che con una mossa mestissima, additando
il cielo.
— Morta!? esclamò l'infelice con voce serrata nella strozza. Ah! non è
possibile.... Morta senza ch'io più la vedessi?... Morta senza che mi
perdonasse.... Ah no, no, non deve esser vero.... Per carità mi dica che
non è vero.
— Vi ripeterò invece che bisogna abbiate forza e coraggio, rassegnarvi
alla volontà di Dio e mettervi in grado d'adempire giustamente a tutti i
doveri che partendosi da questa terra ella vi ha lasciato.
Andrea si cacciò le due mani convulse nella chioma arruffata, cui parve
volersi strappare; la monaca, paurosa ch'egli incrudelisse contro se
stesso, volle prendergli una mano, ma il misero la respinse da sè
bruscamente, senza profferire pure una parola: poi piantati i due gomiti
sulle ginocchia, nascose fra le mani nere ed incallite la faccia e
stette così alquanto tempo, immobile, senza dar segno nessuno di
sentimento nè di vita. La suora di carità avvisò che il meglio era
lasciarlo tranquillo nel suo dolore, e stette alcuni passi in là,
guardandolo pietosamente.
Dopo un poco un singhiozzo eruppe dalla gola del pover'uomo, un
singhiozzo penoso come un vero grido di strazio; le mani gli si
contrassero sulla faccia che coprivano, come se colle unghie la
volessero disfare, e una sequela di singulti che gli scuotevano tutta la
persona, parevano rompergli il petto.
— Coraggio! disse la suora di carità accostandoglisi di nuovo.
Andrea trasse giù dal viso le mani e mostrò delle sembianze che il
dolore aveva così sconvolte da non parere più quelle di prima.
— Mi dica quando e come ella sia morta.... La mi avrà chiamato..... mi
avrà accusato di non venire..... Povera donna!.... Morta senza una mano
amica a chiuderle gli occhi!... Mi dica tutto.
— No: essa non potè accusarvi, essa non soffrì, perchè Iddio pietoso non
volle che dopo quel colpo fatale la infelice tornasse più in senno.
L'uomo drizzò vivamente la testa.
— Colpo fatale! esclamò con una vivace sorpresa che pareva quasi una
violenza: che colpo?
— Quello di sapervi arrestato...
Andrea si drizzò di scatto, mandando più un urlo che un grido.
— La lo seppe!... Chi fu lo sciagurato che gliel disse?
La monaca raccontò come la cosa fosse passata e quindi la colpa non era
di nessuno.
Andrea si percosse coi due pugni chiusi la fronte.
— Infame, scellerato, gridò, sono dunque io, son io che l'ho uccisa.....
Ah perchè non sono morto io prima, nel tempo che ero un onest'uomo, e
ch'ella mi amava!... Ma la mi faccia ancora sta carità, sora madre, la
mi dica quando è morta la poverina.
— Ieri sera alle otto.
— Ma allora non è ancora sotterrata, esclamò con una specie di
soddisfazione e di speranza il miser uomo. Posso ancora vederla...
voglio vederla....
Congiunse le mani in atto supplichevole, spiegazzando fra esse il suo
berrettaccio.
— Ho bisogno di vederla, soggiunse, mi accordi questo favore, la
prego... Vuole che io la lasci portare in terra per sempre, senza darle
un ultimo addio?... La mi conduca presso di lei, la faccia sta carità,
la supplico in nome di quella povera morta. Debbo domandarle almanco
perdono innanzi al suo cadavere.
La monaca fu commossa ed impacciata. Ella non sapeva se quel cadavere
trovavasi ancora nel deposito dell'ospedale: in ogni caso ciò dipendeva
dalla direzione, e temeva che un simile permesso non venisse mai
accordato.
— Proviamo: insisteva con passione il pover'uomo: andiamo da chi
comanda, io li pregherò tanto che mi vorranno usare questa grazia.
La suora di carità cedette, la grazia fu concessa ad Andrea, e questi,
accompagnato da un uomo di servizio s'avviò tremando verso la camera di
deposito dei morti dell'ospedale. Il custode ne aprì la bassa porticina,
e l'operaio entrò in una stanza bassa, oscura, in cui sopra un lungo
tavolato stava, coperta da un lurido panno, la forma stecchita di un
cadavere.
Andrea si sentì mancare il cuore e le gambe; si appoggiò alla fredda
parete umidiccia per non cadere. Ogni suo coraggio era ito. Avrebbe
voluto fuggire, se ne avesse avute le forze; la testa gli tenzonava in
modo strano, doloroso; quasi gli sfuggiva la coscienza di sè; la mente,
come dire, gli si svaporava e parevagli non essere nella realtà delle
cose, ma in un sogno d'incubo. Guardava quella striscia di poca luce
livida che penetrava dal finestròlo, lambiva passando le pieghe di
quello sporco sudario e andava a perdersi nel fondo grigiastro.
L'immobile rigidità di quel cadavere attirava i suoi occhi e gli destava
insieme una ripulsione di ribrezzo. Che? Era la sua Paolina che stava
là, di quella guisa, insensibile, senza che più potesse vederlo,
sentirlo, muoversi alla sua voce?
Il custode, cui quegl'indugi impazientavano, guardò con aria
interrogativa Andrea, come per domandargliene:
— Ebbene? e che si fa ora?
Andrea fece un cenno col capo e colla mano, che l'uomo comprese di
subito e cui si affrettò ad ubbidire: prese per un lembo il lenzuolo che
copriva il cadavere e lo trasse via bruscamente. Andrea, come se in quel
punto fosse rotto il fascino che lo teneva avvinto, si precipitò innanzi
le braccia tese verso quelle forme d'essere umano che gli apparivano
nella loro nudità; ma retrocesse di botto, come respinto da una mano al
petto. Era il cadavere d'un uomo.
Si volse al custode domandandogli quasi con rabbia:
— Ma mia moglie?... Cerco di mia moglie, io... dov'è?
Il custode si strinse nelle spalle.
— Questo, rispose, è l'unico cadavere che abbiamo per il momento; un
povero diavolo morto questa mattina.
— Mia moglie morì ieri sera alle otto.
— Ah! ho capito. Fu trasportata questa mattina all'alba.
— Dove?.... già al cimitero?
— No: rispose il custode scotendo con una certa grave mestizia il capo.
Un'inquietudine, ch'egli stesso non avrebbe saputo spiegare, s'impadronì
del povero Andrea.
— Dove l'hanno portata adunque?
— All'anfiteatro: rispose il custode abbassando la voce.
Andrea non capiva questa parola, ma ne sentì una tremenda paura. Aveva
udito dir mille volte che i corpi dei poveri morti all'ospedale erano
mandati in un certo luogo, dove si tagliuzzavano in presenza di una
frotta di giovani. Un orribile sospetto del vero gli fece spuntare un
sudor freddo alle radici dei capelli.
— Anfiteatro! ripetè egli. Che volete dire?
— Sì, all'anfiteatro anatomico.
Andrea si ricordò allora che quel luogo esecrato si chiamava appunto
così. Come! La sua Paolina esposta a tale onta, a tale insulto, a tale
profanazione! Afferrò per le braccia il custode e gli gridò con furore:
— Non voglio, non voglio... Andatemela a riprendere..... subito..... ve
lo comando ve ne prego.
Il custode gli fece capire ch'egli non ci poteva nulla.
— Ma che debbo fare io adunque? Ditemelo voi, consigliatemi voi... Per
Dio! non voglio che mi si tratti così la mia Paolina: voglio salvarla ad
ogni costo, dovessi cacciar fuoco all'intiera città.
Il custode che non era malcontento di liberarsi al più presto di
codestui, gli disse:
— Andate voi stesso colà, e potrete forse ottener che vi restituiscano
il cadavere... Ma correteci tosto, se volete arrivare a tempo.
— È vero! esclamò Andrea, battendosi la fronte, ed uscito precipitoso di
là, corse come un indemoniato verso l'anfiteatro anatomico.
Il portinaio dello stabilimento arrestò quest'uomo fuori di sè che
entrava con tanto impeto, e gli domandò che cercasse.
— Mia moglie, rispose Andrea che pareva non aver più fiato in corpo.
— Vostra moglie! esclamò il portinaio, allargando tanto d'occhi. Oh che
la vi gira? Qui non vi sono donne....
L'operaio a cui la ragione era presso a smarrirsi davvero, prese pei
panni al petto il portinaio e scotendolo con aria di minaccia, gridò:
— Sì, che la c'è.... È fra i morti che si vogliono squartare.... Ma io
non permetterò tale scelleraggine. Voglio che la mi si restituisca....
Non andrò via finchè non me l'abbiate restituita... Voglio portarmela
via io colle mia braccia, adesso, subito, e guai a voi, guai a tutti!...
Il custode ebbe paura: chiamò in suo soccorso alcuni inservienti, ed
Andrea fu cacciato nella strada, se con buona grazia, pensatelo voi. Il
pover'uomo smaniò, gridò, bestemmiò; ma ad un puntò si calmò di botto,
perchè capì che in quel modo non avrebbe ottenuto nulla, che intanto il
tempo passava, e che ogni minuto trascorso poteva recare alla sua
Paolina quel supremo orribile sfregio, ch'egli voleva evitarle. L'esser
povero è una debolezza, è un'impotenza assoluta; capì che senza
intravvento, senza protezione di nessuno egli non avrebbe mai potuto
riuscire nel suo intento; ma a chi rivolgersi? chi pregare? chi c'era a
cui egli potesse con sicurezza e con efficacia ricorrere? Si ricordò in
buon punto di quel pietoso signore che la Provvidenza aveva mandato in
suo aiuto quel momento in cui era stato arrestato alla porta
dell'ospedale, e si disse che non c'era altri a cui potesse
indirizzarsi. Ne sapeva il nome e conosceva il luogo dov'egli aveva il
suo fondaco, e corse con tutte le forze che gli rimanevano dal libraio
signor Defasi.
Noi sappiamo già qual cuore pietoso avesse questo galantuomo, e quindi
non ci stupiremo s'egli sentisse con molto interesse la scucita
narrazione del povero Andrea smarrito dal dolore e si proponesse senza
indugio di efficacemente aiutarlo. Ma gli era il modo che non sapeva
trovare; egli non conosceva nessuno che avesse attinenza con quello
stabilimento, e capiva che non conveniva andare per vie indirette, ma
far presto per la più breve strada se volevasi arrivare a tempo. Di
soccorrere ad Andrea in tutte le spese che necessariamente sarebbero
occorse per far trasportare il cadavere al Campo Santo e farnelo
seppellire, già aveva deciso seco stesso; ma il principale era di
giungere ad impadronirsi di questo minacciato cadavere. Pensò rivolgersi
al professore incaricato dell'insegnamento anatomico: ma egli non lo
conosceva personalmente, e quel tale aveva una fama di burbero che non
incoraggiava di molto a fare un tentativo presso di lui. Anche al signor
Defasi venne ad un tratto l'ispirazione d'un'idea. Si ricordò che i
bambini di quell'operaio erano stati ricoverati nell'ospizio dietro
l'opera del dottor Quercia; questo signore che tanto faceva parlare di
sè, nella sua qualità di medico, doveva avere conoscenza e forse
autorità in quella sfera, e non si sarebbe certamente rifiutato
d'adoperarsi in favore di quel pover'uomo. Per fortuna egli sapeva
l'indirizzo del Quercia, e presa una carrozza da nolo, in pochi minuti
ebbe condotto al quartiere di Gian-Luigi il disperato Andrea.
Colà una gran sorpresa attendeva il sig. Defasi. Insieme col dottor
Quercia, il quale aveva subito fatto introdurre i due sopravvenuti
appena annunziatigli, stava un uomo, un giovane dalle strane sembianze,
vestito in panni eleganti, che parevano impacciarlo, con un'espressione
sulla pallida faccia tra di soddisfacimento e di dolore, che male
avreste saputo spiegare. All'ingresso del signor Defasi questo tale si
alzò e si trasse alquanto in là come se avesse tentato sottrarsi alla
vista del nuovo venuto, ed un leggiero rossore salì alle sue guancie
pallide ed incavate. Defasi, infervorato nel còmpito che si era assunto,
prese ad esporre il caso di Andrea e la ragione della loro venuta, senza
fare troppa attenzione a quell'individuo che stava in compagnia di
Quercia; Andrea rimaneva presso l'uscio rotolando fra le sue mani
convulse il berretto e guardando con occhi lucidi d'un ardore febbrile,
che supplicavano più di tutte le possibili parole.
Il dottor Quercia, appena ebbe udito il racconto di Defasi, senza porre
tempo in mezzo, esclamò con tutta la vivacità d'un buon cuore commosso:
— L'aggiusterò io, stieno tranquilli..... Io conosco appunto chi
conviene per ciò..... Corriamo senza perder tempo: fo attaccare la mia
carrozza... anzi mando a prenderne una che faremo più presto.....
Defasi disse ch'egli ne aveva impegnata una, la quale stava appunto
attendendo nella strada.
— Benissimo: soggiunse Luigi. Allora non domando che un mezzo minuto di
tempo, tanto da calzare un pastrano, e prendere il cappello, e sono con
loro.
Passò prestamente nella camera vicina, e Defasi allora si volse verso
quell'altro personaggio, a cui non aveva ancor badato; ma quegli, benchè
senza affettazione, volse in là il capo, come se desiderasse non
appiccar discorso. Pur tuttavia al libraio parve riconoscerlo: quella
vasta fronte, quegli occhi profondi, quel petto ricurvo gli ricordavano
s'allontanava dal letto; tu sei la passione maggiore dell'anima umana,
tu sei la susta più potente della nostra volontà: chi sa servirsi di te
e sfruttare le tue ispirazioni e la tua forza, ha in pugno l'orgogliosa
umanità.
Verso le dieci del mattino, Meo, secondo che gli era stato ordinato da
Barnaba, venne a casa di quest'ultimo, e vi fu trattenuto ad ogni modo,
senza lasciarlo uscir più, premendo di molto al poliziotto che il servo
di Pelone più non tornasse nella bettola, nè fosse visto da alcuno dei
frequentatori di essa, non avendo Meo medesimo volontà nessuna di
tornarci, e giungendo inoltre opportuno per aiutare Andrea nelle cure da
darsi al ferito.
Barnaba, frattanto, condannato ad una forzata inerzia corporale,
lavorava di molto colla testa: veniva rifacendo nella fantasia tutto il
dramma avvenire che avrebbe avuto per conclusione una sua molteplice
vendetta verso quell'uomo il quale finora avea saputo a lui così bene
sottrarsi e nella coperta lotta vincerlo. Un istante solo aveva egli
pensato di mandare pel signor Commissario e svelargli quando venisse
ogni cosa, perchè s'affrettasse ad agire, nella paura che gli scellerati
potessero trovar modo da scivolare anche una volta fuor delle loro mani;
ma troppo era il suo desiderio di far egli tutto da sè, d'esser egli a
condurre a fine l'impresa e mostrare a' suoi superiori quale errore
avessero commesso condannandolo: ci teneva come un inventore alla sua
scoperta, il quale non può soffrire che un altro la metta in atto e se
ne faccia merito. Gli assassini credendolo spacciato, non avrebbero
stimato opportuna altra precauzione per guarentire il loro segreto e la
loro sicurezza; ed egli d'altronde ora colla cooperazione di _Macobaro_
poteva dirsi penetrato nel campo nemico. Si trattava solamente di guarir
presto, e poi egli avrebbe fatto meravigliare il signor Tofi e quanti
altri mai coi risultamenti che otterrebbe.
Egli era appunto in cosiffatti pensieri, quando in seguito alle vicende
che abbiamo visto, il signor Tofi medesimo entrava precipitoso nella
stanza del ferito e con lieta sorpresa riconosceva in lui il suo più
fido e più abile agente segreto.
Il signor Tofi era troppo accorto per far vedere che solamente al caso
egli dovesse la scoperta del covo in cui stava ritratto, come Achille
sotto la tenda, il suo subordinato; si avanzò verso il letto col suo
passo militare accelerato, il mento levato sopra il suo cravattone duro,
con aspetto più severo che soddisfatto, non ostante la compiacenza che
provava internamente per l'avvenutagli buona ventura di trovar lì chi
più desiderava.
— Ecchè, diss'egli col suo accento solito, mezzo di rampogna e mezzo di
comando; la ci vuol proprio tutta a stanarvi fuori. E mentre si fa più
forte il bisogno dei vostri servizi e si presenta più favorevole
l'occasione per farvi onore, voi state qui a poltrire in letto sotto il
pretesto di non so qual malattia? Forse che abbiamo il tempo di diventar
malati, noi? Forse che possiamo tener broncio e rifiutarci al nostro
dovere? Niente affatto. Ci conviene star sempre sulla breccia, il corpo
e lo spirito pronti. Animo su, fuori da quelle coltri che una grande
campagna incomincia, è già incominciata.
L'emozione della sorpresa vedendo entrare così inaspettato il signor
Commissario, aveva cagionato a Barnaba a tutta prima un certo rimescolìo
di sangue, per cui s'erano d'alquanto arrossate le sue guancie; ma poi,
dato giù quell'accorrere degli umori al capo, era tornata in lui la
pallidezza che lo dimostrava in preda ad una vera e non lieve sofferenza
di malattia. Tofi ciò vide e con alquanto più interesse che non avesse
fino allora manifestato, curvando un poco sopra il letto la sua alta e
rigida persona, soggiunse:
— Ma in realtà voi mi siete più bianco d'un cencio lavato. State dunque
male davvero?
Barnaba fece un segno affermativo.
— Sono andato fino alla porta della tomba, disse con un mesto sorriso, e
poco mancò, proprio assai poco, che non avessi più il bene di vederla,
signor Commissario.....
Questi volle saper tutto che era avvenuto al suo agente; e Barnaba
fattogli promettere che non avrebbe fatto nulla per iscoprire e cogliere
i colpevoli, gli raccontò in brevi termini l'aggressione di cui era
stato vittima.
Tofi stette un poco pensieroso, gli occhi fissi sul volto del giacente;
poi disse:
— Ed a chi ed a qual motivo credete voi dover attribuire questa
succhiellata?
Gli occhi di Barnaba si animarono un pochino.
— A chi? diss'egli. V'è una grande, orribile congrèga, di cui son presso
a scoprire le fila, v'è una scellerata e potente persona de' cui delitti
ho già quasi in mano le prove.... Si aveva tutto il possibile interesse
a farmi scomparire.
Questa volta il Commissario non fece più il sorriso d'incredulità che
era solito a fare quando Barnaba accennava a que' suoi sospetti intorno
ad un misterioso capo di un'orda di briganti.
— E perchè, domandò egli ancora, non volete ch'io cerchi de' vostri
assassini?
— Per più ragioni: rispose Barnaba. La prima è la mia sicurezza
medesima. Bisogna che si facciano l'idea ch'io sono sparito affatto, e
che del loro delitto non esiste traccia nè sospetto nessuno: per ciò
volli tenermi così nascosto e feci giurare ai pietosi che mi soccorsero
il più assoluto silenzio. Se altrimenti avvenisse, quell'associazione,
potente e così bene guidata com'è, avrebbe tosto mezzo di scoprirmi ed
una seconda volta mandare a buon fine il loro poco amorevol disegno a
mio riguardo. Poi è necessario ancora codesto perchè credendo tolto di
mezzo per sempre chi li minacciava, si rassicurino e non facciano
disperdere gl'indizi e le prove, di cui ho già tutti in mano gli
elementi. Per ultimo (e qui i suoi occhi brillarono vieppiù), perchè
voglio avere io il gusto ed il merito di fare le mie vendette.
Tofi fece un legger cenno d'acconsentimento.
— Sta bene, disse poi; ma frattanto l'audacia e il numero dei delitti
crescono ogni giorno, e preme porvi riparo il più presto. La notte di là
assassinarono l'usuraio Nariccia e la sua vecchia fante.
Barnaba si fece contare tutte le circostanze appurate di quel fatto.
— Ed Ella sospetta dei colpevoli? domandò poi.
— Sono certo: rispose vivamente Tofi. Gli assassini erano tre; due
furono i famosi _Stracciaferro_ e _Graffigna_.
E narrò il modo con cui di ciò erasi assicurato interrogando nella guisa
che abbiamo visto il paralitico Nariccia.
— Vi è il terzo ancora da scoprire: soggiunse poi.
— Eh! so ben io chi fu questo terzo: disse Barnaba con accento pieno di
convinzione.
Tofi si curvò su di lui.
— Sempre la vostra idea? interrogò abbassando la voce.
Il giacente fece un segno affermativo.
— Quel signorino elegante?
— Sì.
— Il dottor Quercia?
— Lui!... Non altri che lui! esclamò con forza Barnaba.
Il Commissario affondò le sue mani nelle lunghe tasche del suo
soprabito, posò il mento sul cravattone e fece due giri per la stanza,
assorto in profonda riflessione. Poi tornò a piantarsi alla sponda del
letto del suo subordinato.
— I vostri sospetti non li accuso più d'impossibili, diss'egli; ma
l'affare è molto delicato e conviene trattare con prudenza molta.
Esitò un momentino e poi con brusco accento, come se l'avesse amara seco
per dover pronunziare quelle parole:
— Che cosa penserete voi dover fare? domandò.
— Poco o nulla rispose Barnaba. Raccogliere tutti gli indizi possibili,
ma quasi di soppiatto, sorvegliare attentamente, ma senza che appaia.
Sarebbe buon partito mostrare d'aver preso uno svarione e mettersi
apparentemente in una falsa strada; oppure far vedere che, disperati di
venirne a capo di nulla, si rinuncia alla ricerca..... Intanto io,
grazie a Dio guarirò e se non si dà imprudentemente la sveglia, farò
cogliere al covo tutta la masnada.
— Guarite dunque presto: conchiuse il Commissario. Verrò a tenervi
informato d'ogni cosa che avvenga, e consulteremo assieme.
Barnaba fece un piccolo moto.
— Non temete, s'affrettò a dire il signor Tofi, userò ogni fatta
precauzione, perchè non mi si veda.
— Va bene... la ringrazio: soggiunse il ferito: ma perdoni ad una mia
domanda, di cui Ella comprenderà per me l'importanza. Come giunse Ella a
scoprire la mia dimora?
Tofi stette un momento a pensare, poi non vedendo inconveniente nessuno
nel dir la verità, raccontò tutto quello che era successo al povero
Andrea. Barnaba confermò che questo disgraziato era stato tutta quella
notte con lui e pregò vivamente perchè il Commissario s'adoperasse a
farlo liberare. Il signor Tofi ciò promise e mantenne la parola. Quattro
giorni dopo il suo arresto, Andrea era restituito alla libertà.
L'infelice appena fuori della porta del carcere, corse come un
indemoniato all'ospedale dove aveva lasciato sua moglie, che gli pareva
mille anni non aver più vista... Aimè! Era troppo tardi!
Andrea andò quasi correndo fino al letto in cui aveva lasciato sua
moglie.
— Paolina, Paolina, voleva gridare, finalmente sono qua di nuovo.... e
non ti lascierò più.... e verrò tutti i giorni; ma l'emozione lo serrava
talmente alla strozza che non altro potè uscirne fuori, che una specie
di rantolo.
Il pover'uomo benedisse questa emozione che gli impediva il parlare,
poichè vide la donna che giaceva in quel letto così immobile e
tranquilla che ben pareva immersa in placido sonno. Volta sopra un
fianco, ella si copriva colle lenzuola la faccia, sì che non se ne
potevano scorgere i lineamenti. Andrea volendo rispettare quel sonno
prezioso, si accostò pian piano e sedette sopra lo scanno che si trovava
appiè del letto, fissando quella testa che mezzo si nascondeva sotto le
coltri.
— Il dormire le fa del bene: diceva frattanto fra sè: poverina! che
sorpresa l'aspetta ora che si svegli!... La mi domanderà dove sono stato
e che cosa ho fatto... Come ho da risponderle?... La verità, no: troppo
le sarebbe crudele; se v'è caso in cui debba essere perdonata una bugia,
si è questo... Le dirò che sono stato a lavorare... sì, che ho trovato
dove allogarmi ed assai bene... Ciò invece le gioverà... E poi la mi
domanderà dei bimbi... E le dirò che stanno bene; e che glie li condurrò
domani... Quel buon signore che li ha condotti all'ospizio e che venne a
darmene delle nuove mi assicurò che son sani e vispi... Ho ancor io
tanto bisogno di vederli!... Ma la mia prima visita non poteva essere
che per te, mia buona Paolina, mia cara Paolina... Ah come mi sono
accorto che ti voglio bene, sai!... Ad esser lontano ho sentito che tu
mi sei necessaria alla vita; vedendoti a soffrire ho capito che ti
volevo ancora il gran bene d'una volta, perchè darei mille delle mie
vite per allungarti e far lieta la tua... E son io che ti ho fatto
soffrire... Oh me scellerato!... Ma d'ora innanzi...
Gli parve che l'inferma avesse fatto un moto, ed egli si levò di scatto
per essere pronto a gettarsi su di lei e baciarla. La giacente aveva sì
cambiato un poco la mossa, ma non s'era sveglia. Però la faccia rimaneva
ora un pochino più scoperta, ed Andrea, mirando quella piccola lista di
fronte che si presentava ai suoi sguardi, ricevette una strana
impressione.
— La non mi par lei: disse facendo un passo indietro quasi con
isgomento.
Guardò dintorno e riconobbe che quello era proprio il letto in cui aveva
lasciata Paolina, mirò il numero, ch'egli sapeva discernere, e vide che
non s'era sbagliato; ma pure più e meglio guardava quella testa, lo
stare di quel corpo abbandonato e più gli sembrava che la donna giacente
in quel letto non era la sua Paolina. Una vaga inquietudine lo prese.
Che cosa non avrebbe dato per saper leggere ed appurare qual nome fosse
scritto sul cartellino che pendeva a capoletto? Mentre si guardava
ansioso dintorno come per cercare mezzo alcuno di sincerarsi, ecco
accostarsi a quella volta la suora di carità ch'egli aveva veduta dare
le sue cure a Paolina. Andrea le mosse all'incontro con un'esclamazione
quasi di gioia:
— Ah! mi dica Lei come sta la mia Paolina... È ben sempre in questo
letto, è ben essa quella che vedo? Sono qui da cinque minuti; ma la
dorme sempre... Ciò le farà del bene, non è vero?... E che cosa dicono i
dottori?
La faccia della monaca si turbò talmente che Andrea ne rimase
spaventato.
— O Dio! soggiunse, la trovano forse peggiorata? Era essa molto male
alla visita di questa mattina?
La monaca scosse mestamente la testa.
— No: rispos'ella con voce ed accento pieni di compassione: questa
mattina ella non era male.
Andrea mandò un sospiro di sollievo: in quel momento la donna che era
nel letto si svegliò e volgendosi supina, scoprì affatto il suo volto.
Il marito di Paolina si precipitò verso di lei; ma tosto si ritrasse
indietro allato alla suora che per trattenerlo gli aveva posto sul
braccio una mano.
— Ma quella non è mia moglie! esclamò egli.
— No: disse la suora volgendo in là lo sguardo, vostra moglie da ieri
non è più qui.
Una folle speranza balenò all'anima del povero uomo.
— Uscita forse? domandò egli: Dio ci avrebbe già fatta la grazia di
guarirla?
Vide dall'espressione della faccia di quella monaca quanto fosse fallace
una simile speranza.
— Ah no, soggiunse, codesto non è possibile. L'hanno dunque traslocata
in qualche altro ospizio?... oppure solamente in qualche altra sala?...
Forse in una stanza particolare... Oimè! forse appunto perchè il suo
male era aggravato?...
Un barlume di quella che era pur troppo la tremenda verità cominciava ad
apparire alla sua mente; ma egli non voleva lasciarsene illuminare.
— Per carità, la mi dica dov'è mia moglie? scongiurò egli giungendo le
mani.
La monaca che stimò la terribile rivelazione fosse meglio non farla in
quel luogo, dove lo scoppio del dolore di quell'infelice avrebbe potuto
nuocere alla ammalate che stavano tutt'intorno, prese Andrea per mano e
gli disse:
— Venite meco e saprete ogni cosa.
L'uomo si lasciò guidare come un fanciullo.
— Andiamo a vederla? domandò. Mi conduce dov'è Paolina?
La monaca non rispose. Lo introdusse nelle camere della Direzione, e
colà fattolo sedere, incominciò a dire:
— Voi siete padre di famiglia, non è vero?
Andrea guardava intorno come per iscoprire dove fosse la sua moglie.
— Sì signora, rispose: ho una nidiata di bambini in piccola età.
— Bisogna dunque aver forza e coraggio per loro. A voi tocca adesso
l'amarli per due.
Andrea divenne pallido pallido; allargò tanto di occhi e fissò la monaca
tutto sgomento: le sue mani agitate spiegazzavano il suo berrettaccio, e
colle labbra che tremavano balbettò:
— Amarli per due?.... Non capisco.
Il vero era che egli cominciava a capire pur troppo.
— Sì, disse gravemente la monaca mettendogli una mano sulla spalla.
Sulla terra siete ora voi solo ad amarli i vostri bimbi; la madre loro
li ama e li protegge dal cielo.
Si sarebbe potuto credere ad uno scoppio di dolore nel povero Andrea;
invece egli rimase mutolo, gli occhi e la bocca larghi, quasi attonito;
avreste detto che non avesse capito. Stette in silenzio così alcuni
minuti fissando con pupille smarrite la monaca, la quale gli teneva
sempre, con atto pietoso, la mano sulla spalla.
— Paolina adunque? diss'egli poi con un soffio di voce, e le ciglia gli
si misero a tremolare leggermente.
La suora di carità non rispose che con una mossa mestissima, additando
il cielo.
— Morta!? esclamò l'infelice con voce serrata nella strozza. Ah! non è
possibile.... Morta senza ch'io più la vedessi?... Morta senza che mi
perdonasse.... Ah no, no, non deve esser vero.... Per carità mi dica che
non è vero.
— Vi ripeterò invece che bisogna abbiate forza e coraggio, rassegnarvi
alla volontà di Dio e mettervi in grado d'adempire giustamente a tutti i
doveri che partendosi da questa terra ella vi ha lasciato.
Andrea si cacciò le due mani convulse nella chioma arruffata, cui parve
volersi strappare; la monaca, paurosa ch'egli incrudelisse contro se
stesso, volle prendergli una mano, ma il misero la respinse da sè
bruscamente, senza profferire pure una parola: poi piantati i due gomiti
sulle ginocchia, nascose fra le mani nere ed incallite la faccia e
stette così alquanto tempo, immobile, senza dar segno nessuno di
sentimento nè di vita. La suora di carità avvisò che il meglio era
lasciarlo tranquillo nel suo dolore, e stette alcuni passi in là,
guardandolo pietosamente.
Dopo un poco un singhiozzo eruppe dalla gola del pover'uomo, un
singhiozzo penoso come un vero grido di strazio; le mani gli si
contrassero sulla faccia che coprivano, come se colle unghie la
volessero disfare, e una sequela di singulti che gli scuotevano tutta la
persona, parevano rompergli il petto.
— Coraggio! disse la suora di carità accostandoglisi di nuovo.
Andrea trasse giù dal viso le mani e mostrò delle sembianze che il
dolore aveva così sconvolte da non parere più quelle di prima.
— Mi dica quando e come ella sia morta.... La mi avrà chiamato..... mi
avrà accusato di non venire..... Povera donna!.... Morta senza una mano
amica a chiuderle gli occhi!... Mi dica tutto.
— No: essa non potè accusarvi, essa non soffrì, perchè Iddio pietoso non
volle che dopo quel colpo fatale la infelice tornasse più in senno.
L'uomo drizzò vivamente la testa.
— Colpo fatale! esclamò con una vivace sorpresa che pareva quasi una
violenza: che colpo?
— Quello di sapervi arrestato...
Andrea si drizzò di scatto, mandando più un urlo che un grido.
— La lo seppe!... Chi fu lo sciagurato che gliel disse?
La monaca raccontò come la cosa fosse passata e quindi la colpa non era
di nessuno.
Andrea si percosse coi due pugni chiusi la fronte.
— Infame, scellerato, gridò, sono dunque io, son io che l'ho uccisa.....
Ah perchè non sono morto io prima, nel tempo che ero un onest'uomo, e
ch'ella mi amava!... Ma la mi faccia ancora sta carità, sora madre, la
mi dica quando è morta la poverina.
— Ieri sera alle otto.
— Ma allora non è ancora sotterrata, esclamò con una specie di
soddisfazione e di speranza il miser uomo. Posso ancora vederla...
voglio vederla....
Congiunse le mani in atto supplichevole, spiegazzando fra esse il suo
berrettaccio.
— Ho bisogno di vederla, soggiunse, mi accordi questo favore, la
prego... Vuole che io la lasci portare in terra per sempre, senza darle
un ultimo addio?... La mi conduca presso di lei, la faccia sta carità,
la supplico in nome di quella povera morta. Debbo domandarle almanco
perdono innanzi al suo cadavere.
La monaca fu commossa ed impacciata. Ella non sapeva se quel cadavere
trovavasi ancora nel deposito dell'ospedale: in ogni caso ciò dipendeva
dalla direzione, e temeva che un simile permesso non venisse mai
accordato.
— Proviamo: insisteva con passione il pover'uomo: andiamo da chi
comanda, io li pregherò tanto che mi vorranno usare questa grazia.
La suora di carità cedette, la grazia fu concessa ad Andrea, e questi,
accompagnato da un uomo di servizio s'avviò tremando verso la camera di
deposito dei morti dell'ospedale. Il custode ne aprì la bassa porticina,
e l'operaio entrò in una stanza bassa, oscura, in cui sopra un lungo
tavolato stava, coperta da un lurido panno, la forma stecchita di un
cadavere.
Andrea si sentì mancare il cuore e le gambe; si appoggiò alla fredda
parete umidiccia per non cadere. Ogni suo coraggio era ito. Avrebbe
voluto fuggire, se ne avesse avute le forze; la testa gli tenzonava in
modo strano, doloroso; quasi gli sfuggiva la coscienza di sè; la mente,
come dire, gli si svaporava e parevagli non essere nella realtà delle
cose, ma in un sogno d'incubo. Guardava quella striscia di poca luce
livida che penetrava dal finestròlo, lambiva passando le pieghe di
quello sporco sudario e andava a perdersi nel fondo grigiastro.
L'immobile rigidità di quel cadavere attirava i suoi occhi e gli destava
insieme una ripulsione di ribrezzo. Che? Era la sua Paolina che stava
là, di quella guisa, insensibile, senza che più potesse vederlo,
sentirlo, muoversi alla sua voce?
Il custode, cui quegl'indugi impazientavano, guardò con aria
interrogativa Andrea, come per domandargliene:
— Ebbene? e che si fa ora?
Andrea fece un cenno col capo e colla mano, che l'uomo comprese di
subito e cui si affrettò ad ubbidire: prese per un lembo il lenzuolo che
copriva il cadavere e lo trasse via bruscamente. Andrea, come se in quel
punto fosse rotto il fascino che lo teneva avvinto, si precipitò innanzi
le braccia tese verso quelle forme d'essere umano che gli apparivano
nella loro nudità; ma retrocesse di botto, come respinto da una mano al
petto. Era il cadavere d'un uomo.
Si volse al custode domandandogli quasi con rabbia:
— Ma mia moglie?... Cerco di mia moglie, io... dov'è?
Il custode si strinse nelle spalle.
— Questo, rispose, è l'unico cadavere che abbiamo per il momento; un
povero diavolo morto questa mattina.
— Mia moglie morì ieri sera alle otto.
— Ah! ho capito. Fu trasportata questa mattina all'alba.
— Dove?.... già al cimitero?
— No: rispose il custode scotendo con una certa grave mestizia il capo.
Un'inquietudine, ch'egli stesso non avrebbe saputo spiegare, s'impadronì
del povero Andrea.
— Dove l'hanno portata adunque?
— All'anfiteatro: rispose il custode abbassando la voce.
Andrea non capiva questa parola, ma ne sentì una tremenda paura. Aveva
udito dir mille volte che i corpi dei poveri morti all'ospedale erano
mandati in un certo luogo, dove si tagliuzzavano in presenza di una
frotta di giovani. Un orribile sospetto del vero gli fece spuntare un
sudor freddo alle radici dei capelli.
— Anfiteatro! ripetè egli. Che volete dire?
— Sì, all'anfiteatro anatomico.
Andrea si ricordò allora che quel luogo esecrato si chiamava appunto
così. Come! La sua Paolina esposta a tale onta, a tale insulto, a tale
profanazione! Afferrò per le braccia il custode e gli gridò con furore:
— Non voglio, non voglio... Andatemela a riprendere..... subito..... ve
lo comando ve ne prego.
Il custode gli fece capire ch'egli non ci poteva nulla.
— Ma che debbo fare io adunque? Ditemelo voi, consigliatemi voi... Per
Dio! non voglio che mi si tratti così la mia Paolina: voglio salvarla ad
ogni costo, dovessi cacciar fuoco all'intiera città.
Il custode che non era malcontento di liberarsi al più presto di
codestui, gli disse:
— Andate voi stesso colà, e potrete forse ottener che vi restituiscano
il cadavere... Ma correteci tosto, se volete arrivare a tempo.
— È vero! esclamò Andrea, battendosi la fronte, ed uscito precipitoso di
là, corse come un indemoniato verso l'anfiteatro anatomico.
Il portinaio dello stabilimento arrestò quest'uomo fuori di sè che
entrava con tanto impeto, e gli domandò che cercasse.
— Mia moglie, rispose Andrea che pareva non aver più fiato in corpo.
— Vostra moglie! esclamò il portinaio, allargando tanto d'occhi. Oh che
la vi gira? Qui non vi sono donne....
L'operaio a cui la ragione era presso a smarrirsi davvero, prese pei
panni al petto il portinaio e scotendolo con aria di minaccia, gridò:
— Sì, che la c'è.... È fra i morti che si vogliono squartare.... Ma io
non permetterò tale scelleraggine. Voglio che la mi si restituisca....
Non andrò via finchè non me l'abbiate restituita... Voglio portarmela
via io colle mia braccia, adesso, subito, e guai a voi, guai a tutti!...
Il custode ebbe paura: chiamò in suo soccorso alcuni inservienti, ed
Andrea fu cacciato nella strada, se con buona grazia, pensatelo voi. Il
pover'uomo smaniò, gridò, bestemmiò; ma ad un puntò si calmò di botto,
perchè capì che in quel modo non avrebbe ottenuto nulla, che intanto il
tempo passava, e che ogni minuto trascorso poteva recare alla sua
Paolina quel supremo orribile sfregio, ch'egli voleva evitarle. L'esser
povero è una debolezza, è un'impotenza assoluta; capì che senza
intravvento, senza protezione di nessuno egli non avrebbe mai potuto
riuscire nel suo intento; ma a chi rivolgersi? chi pregare? chi c'era a
cui egli potesse con sicurezza e con efficacia ricorrere? Si ricordò in
buon punto di quel pietoso signore che la Provvidenza aveva mandato in
suo aiuto quel momento in cui era stato arrestato alla porta
dell'ospedale, e si disse che non c'era altri a cui potesse
indirizzarsi. Ne sapeva il nome e conosceva il luogo dov'egli aveva il
suo fondaco, e corse con tutte le forze che gli rimanevano dal libraio
signor Defasi.
Noi sappiamo già qual cuore pietoso avesse questo galantuomo, e quindi
non ci stupiremo s'egli sentisse con molto interesse la scucita
narrazione del povero Andrea smarrito dal dolore e si proponesse senza
indugio di efficacemente aiutarlo. Ma gli era il modo che non sapeva
trovare; egli non conosceva nessuno che avesse attinenza con quello
stabilimento, e capiva che non conveniva andare per vie indirette, ma
far presto per la più breve strada se volevasi arrivare a tempo. Di
soccorrere ad Andrea in tutte le spese che necessariamente sarebbero
occorse per far trasportare il cadavere al Campo Santo e farnelo
seppellire, già aveva deciso seco stesso; ma il principale era di
giungere ad impadronirsi di questo minacciato cadavere. Pensò rivolgersi
al professore incaricato dell'insegnamento anatomico: ma egli non lo
conosceva personalmente, e quel tale aveva una fama di burbero che non
incoraggiava di molto a fare un tentativo presso di lui. Anche al signor
Defasi venne ad un tratto l'ispirazione d'un'idea. Si ricordò che i
bambini di quell'operaio erano stati ricoverati nell'ospizio dietro
l'opera del dottor Quercia; questo signore che tanto faceva parlare di
sè, nella sua qualità di medico, doveva avere conoscenza e forse
autorità in quella sfera, e non si sarebbe certamente rifiutato
d'adoperarsi in favore di quel pover'uomo. Per fortuna egli sapeva
l'indirizzo del Quercia, e presa una carrozza da nolo, in pochi minuti
ebbe condotto al quartiere di Gian-Luigi il disperato Andrea.
Colà una gran sorpresa attendeva il sig. Defasi. Insieme col dottor
Quercia, il quale aveva subito fatto introdurre i due sopravvenuti
appena annunziatigli, stava un uomo, un giovane dalle strane sembianze,
vestito in panni eleganti, che parevano impacciarlo, con un'espressione
sulla pallida faccia tra di soddisfacimento e di dolore, che male
avreste saputo spiegare. All'ingresso del signor Defasi questo tale si
alzò e si trasse alquanto in là come se avesse tentato sottrarsi alla
vista del nuovo venuto, ed un leggiero rossore salì alle sue guancie
pallide ed incavate. Defasi, infervorato nel còmpito che si era assunto,
prese ad esporre il caso di Andrea e la ragione della loro venuta, senza
fare troppa attenzione a quell'individuo che stava in compagnia di
Quercia; Andrea rimaneva presso l'uscio rotolando fra le sue mani
convulse il berretto e guardando con occhi lucidi d'un ardore febbrile,
che supplicavano più di tutte le possibili parole.
Il dottor Quercia, appena ebbe udito il racconto di Defasi, senza porre
tempo in mezzo, esclamò con tutta la vivacità d'un buon cuore commosso:
— L'aggiusterò io, stieno tranquilli..... Io conosco appunto chi
conviene per ciò..... Corriamo senza perder tempo: fo attaccare la mia
carrozza... anzi mando a prenderne una che faremo più presto.....
Defasi disse ch'egli ne aveva impegnata una, la quale stava appunto
attendendo nella strada.
— Benissimo: soggiunse Luigi. Allora non domando che un mezzo minuto di
tempo, tanto da calzare un pastrano, e prendere il cappello, e sono con
loro.
Passò prestamente nella camera vicina, e Defasi allora si volse verso
quell'altro personaggio, a cui non aveva ancor badato; ma quegli, benchè
senza affettazione, volse in là il capo, come se desiderasse non
appiccar discorso. Pur tuttavia al libraio parve riconoscerlo: quella
vasta fronte, quegli occhi profondi, quel petto ricurvo gli ricordavano
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