La plebe, parte IV - 08

Maurilio ricordò le parole che gli avevan detto Don Venanzio e Giovanni
Selva del colloquio avuto da costoro colla vecchia, nel quale essa aveva
preso l'impegno di fare fra due giorni importanti rivelazioni sulla
nascita di lui; non dubitò punto che gli ambigui detti della _Gattona_
non avessero rapporto a codesto, e impallidito per subita forte emozione
si accostò a lei d'un passo e disse con voce tremante:
— Parlerete voi dunque? Potete voi dunque squarciare il mistero, e
volete farlo?
— Si calmi: rispose la _Gattona_ indietrandosi: io, come da un pezzo la
direzione della mia coscienza, ho posto questo delicato affare nelle
mani di quel sant'uomo, di quel perfetto religioso che è Padre
Bonaventura. Questi ha desiderato appunto parlarle in proposito, e saprà
dirle quello che conviene....
— E dov'è questo Padre Bonaventura? proruppe con impazienza Maurilio.
Conducetemi adunque da lui.
Il frate laico si fece innanzi.
— Abbia la bontà di seguirmi, disse, ch'io ho l'ordine di condurla alla
cella di lui.
Maurilio non rispose che con un gesto impaziente e vibrato che
significava: — Andate, vi seguo.
Il portinaio prese in mano un lanternino acceso e s'avviò seguito dal
giovane; la _Gattona_ tenne dietro collo sguardo a quest'ultimo, finchè
l'uscio richiudendosi glie ne tolse la vista.
— Non lo avrei mai più immaginato di quella fatta, diss'ella fra sè; chi
lo direbbe mai, a vederlo, figliuolo d'una marchesina, com'era quella
creatura là che pareva un angioletto, e di un sì bel giovane, chè gli
era proprio bellissimo daddovero. Non ci ha punto di rassomiglianza nè
coll'uno nè coll'altra, eccetto gli occhi.... Ah sì, quegli occhi son
quelli della povera marchesina Aurora, i medesimi che ha eziandio
madamigella Virginia. Ora ch'e' mi guardava fiso, ci fu un momento che
mi parve proprio di vedere gli occhi di quella buon'anima là quando mi
raccomandava appunto il suo bambino....
Diede uno scossone come se assalita da un subito brivido.
— E se restituisco il suo figliuolo alla condizione che gli conviene, la
non avrà più da volermene quella benedett'anima là.... E questo
figliuolo dovrebbe pure essermi riconoscente della bella maniera.... Ah
se avessi potuto menare da me tutto questo affare senza intromissione di
Padre Bonaventura, sarebbe pure stato meglio pel mio interesse; ma come
farla? Il marchese non mi avrebbe manco dato retta; se avessi minacciato
uno scandalo mi avrebbe fors'anco mandato a finire in una casa di
custodia questi quattro dì che mi restano, e questo diavolo d'un frate
ha in mano tutti i fili della matassa. Lasciamo dunque far da lui; e son
certa che qualche cosa in mio vantaggio lo vorrà pur fare.... Andiamo a
casa.
Prese _Gognino_ per un braccio e tirandolo seco di mala grazia uscì del
portone, che richiuse cautamente dietro di sè.
Intanto Maurilio seguendo i passi della sua guida attraversava un lungo
andito appena se illuminato dalla fioca luce d'una lanterna, saliva
quattro branche d'una vasta e comoda scala, ed arrivava quasi a capo
d'un corridoio all'uscio d'una cella nel quale il frate laico picchiava
discretamente colla nocca delle dita.
— Avanti: diceva dall'interno una voce tanto piena di benevolenza che
l'avreste detta un'ostentazione.
Il portinaio aprì a mezzo il battente e cacciò dentro la testa.
— Gli è quel giovane ch'Ella aspetta, Reverendo: disse.
— Dio sia lodato! rispose quella voce ancora più compunta. Ch'egli
venga.
Il laico si trasse in disparte, con una mano aprì di meglio l'uscio,
coll'altra fece invito al giovane di passare e lo confermò colle parole:
— Entri: quello è Padre Bonaventura.
Maurilio entrò, e dietro di lui la porta fu richiusa dal frate portinaio
che se ne andò ai fatti suoi. La cella era abbastanza vasta: le pareti,
scialbate a calce, bianchissime, senz'altro ornamento; un lettuccio
basso in un angolo, sopra di esso appiccati al muro un quadro
rappresentante San Luigi Gonzaga, un acquasantino di cristallo, una
palma; in faccia al letto un sofà semplicemente impagliato, seggiole
compagne intorno, appoggiate alle pareti; presso la finestra, che faceva
quasi riscontro alla porta, una tavola coperta d'un tappeto verde, la
quale serviva di scrivania; sopra di essa delle carte, un calamaio, una
croce piuttosto alta di legno nero inverniciato che si drizzava sopra la
base di due scalini, dietro questa croce uno specchietto accortamente
posto così che vi si riflettesse la figura di chiunque entrasse nella
cella da poterla vedere ed esaminare chi si trovasse seduto alla tavola;
presso a questo una piccola scancìa piena di libri.
Padre Bonaventura stava appunto seduto a codesta sua tavola su cui era
posta una lampada con una ventola che ne rifletteva giù la luce; così
che Maurilio entrando non vide che le spalle larghe del frate e la
grossa persona avvolte d'una vestaccia di lana nera. Ma il gesuita diede
colla mano un piccol colpo alla ventola della lampada e rialzandola fece
correre i raggi della luce, da una parte sulla faccia di chi entrava,
dall'altra sullo specchietto appostato dietro la croce. Il nostro
giovane che s'avanzava guardando non senza molta curiosità verso il
famoso gesuita ancora immobile al suo posto, potè vedere riflesso nello
specchietto lo sguardo acuto, investigatore, penetrante che fra'
Bonaventura fissava sui lineamenti di lui che gli si dipingevano
innanzi. Maurilio fece un sorriso; la ventola s'abbassò di nuovo sulla
fiamma della lampada, e il volto del giovane rimase all'oscuro; il frate
s'alzò e volse verso il nuovo venuto una faccia piena di benevolenza, di
cordialità, di interesse e di bonaria semplicità, espressione di
sembianze che era evidentemente preparata e sincera come il complimento
di un adulatore.
Tese a Maurilio tuttedue le sue mani bianche, grassotte, morbide e
carezzevoli, e disse con quel suo accento di sdolcinata gentilezza:
— Sia Ella il benvenuto nella umil cella del povero frate. Avrei dovuto
io stesso recarmi da Lei; ma non sapendo come e dove trovarla per un
colloquio segretissimo, quale dev'essere il nostro.... E poi un monaco
non può uscire a gironzare la sera. (Mostrò le sue due file di denti a
dispetto dell'età ancora bianchissimi e tutti presenti in un sorriso
tutto ameno, e soggiunse:) E d'altra parte la cosa premeva e bisognava
proprio che di stassera avessi l'onore di avere con esso Lei una
conferenza.
Siccome colle sue aveva afferrato le mani grosse e ruvide del giovane,
lo trasse per queste sino al sofà e ve lo fece sedere.
— Benchè noi non ci conosciamo affatto, riprese egli a dire, sedendogli
presso, noi dobbiamo parlare come due amici, due vecchi amici. La mi
permetta di usare con Lei d'una famigliarità che la mia età, il mio
carattere, ed anche, come vedrà, le circostanze possono permettermi, e
m'ascolti con pazienza ed attenzione.
L'idea di questo colloquio con Maurilio in Padre Bonaventura, ecco di
che modo era nata.
Abbiamo visto, come _Gognino_, tornato presso la nonna dopo l'arresto di
Maurilio che aveva interrotto la prima di quelle lezioni che il giovane
s'era assunto di dare al povero orfanello, avesse narrato alla vecchia
che lo interrogava tutto quello che era successo: le parole dettegli, e
che nel bambino erano state meravigliosamente impresse, la seguita
invasione degli agenti polizieschi, la perquisizione e l'arresto,
coll'episodio del bottone uguale a quello che possedeva la vecchia; ed
abbiamo visto che la _Gattona_ aveva creduto di dover tosto affrettarsi
a riferir tutto ciò a Padre Bonaventura, dal quale quella mattina
medesima, nelle prime ore del giorno, erasi già recata a raccontare
l'avventura della sera precedente, l'incontro cioè fatto da _Gognino_
d'un cotale che voleva pagar lei perchè lo lasciasse far da maestro al
bambino.
Padre Bonaventura era già stato punto da curiosità molta di sapere chi e
che cosa fosse quell'originale di cui s'era fatto lasciare la polizza,
da lui stesso data alla _Gattona_, con sopravi scritto il suo nome e
l'indirizzo della sua abitazione. Quando la vecchia venne più tardi a
narrargli le cose sopravvenute, il gesuita che non aveva ancora avuto
tempo ad occuparsi di quello sconosciuto, vide anzi tutto che egli non
aveva giudicato male mettendo quell'individuo in ischiera coi fautori ed
apostoli delle novità politiche e sociali, dei liberali amatori e
credenti del progresso, amici e patrocinatori dei cosidetti diritti dei
popoli e va dicendo: i discorsi tenuti a _Gognino_ e il successivo
arresto, col sequestro delle carte, di certo per motivi politici, ne lo
chiarivano abbastanza, e il buon Padre Bonaventura si riprometteva di
raccomandare egli stesso quel dabbene a cui si dovesse, così bene da
farlo torre per un po' di tempo alla propaganda attiva de' suoi
detestabili principii avversi (è la formola solita) al trono ed
all'altare. Ma quello che soggiunse di poi la _Gattona_ lo interessò ben
altrimenti, e senza ch'egli concepisse di botto un definitivo progetto
da attuare, intravide però senza indugio, che se fondati fossero i
sospetti dalla vecchia manifestatigli alcuna cosa poteva da lui
combinarsi che riuscir potesse in vantaggio suo proprio dapprima (cosa
che non era da obliarsi nè trascurarsi), in vantaggio della buona causa,
quella dell'assolutismo e della Compagnia di Gesù.
I sospetti della _Gattona_ si presentavano con una non disprezzabile
apparenza di fondamento. Il nome stesso che quel giovane portava, cui la
Luponi medesima aveva scritto su quel suo biglietto, perchè chiunque
nelle cui mani capitasse il bambino glie lo lasciasse, nome tutt'altro
che comune in queste provincie; il cognome di Nulla, che lasciava
supporre in chi io portava, e che probabilmente se l'era dato, la
condizione di fanciullo senza famiglia, e l'aver egli un oggetto simile
ad uno di quei pochi che erano stati posti come segni di riconoscimento
al bambino della marchesina Aurora, erano indizi da tenerne conto; e
Padre Bonaventura che aveva avuta tanta parte in quegli avvenimenti
della famiglia Baldissero, decise di volere il più sollecitamente
possibile appurare la cosa.
Congedata la vecchia colla raccomandazione di attendere, di non fare
nulla da sè e di venirgli a riferire poi tosto ogni menoma cosa che in
proposito capitasse, o cui ella venisse ulteriormente a scoprire, il
gesuita, per prima cosa, pensò recarsi da messer Nariccia, il quale in
codesto poteva dare gli elementi più sicuri per formarsi un esatto
giudizio, come quello che solo sapeva dove e come fosse stato
abbandonato il bambino della infelice vedova di Valpetrosa.
L'usuraio fu assai cauto nelle sue risposte, nè, quantunque molto
rimanesse meravigliato alle parole del frate, e fosse colto proprio alla
sprovveduta, ci fu verso che si lasciasse sfuggire parola alcuna da cui
l'accorto suo interlocutore potesse argomentare o indovinare alcun che
di quanto era succeduto dopo che Nariccia col bimbo erasi partito dalla
casa in cui la puerpera dolorava in lotta colla morte. Nariccia, senza
però dirne ragione veruna, si rimase a dire che egli non credeva punto
punto che il giovane di cui si trattava fosse il figliuolo di
Valpetrosa, che tuttavia la cosa meritava attenzione, e prima di
pigliare un partito e di agire in qualunque senso si fosse, conveniva
ben bene appurarla. Il frate, incerto come prima, anzi più di prima,
perocchè si fosse ora persuaso che quel tristo di Nariccia aveva in suo
potere una parte di segreto che a lui era affatto sconosciuta, uscì di
là e risolvette informarsi tosto di quanto riguardava quell'individuo
misterioso che si faceva chiamare Maurilio Nulla. A lui siffatta cosa
era facilissima per le relazioni che aveva nelle alte sfere governative
e per l'ascendente cui su tutti i più cospicui e potenti pubblici
funzionari avevano la Compagnia a cui il frate apparteneva e
personalmente egli medesimo uno dei maggiorenti di quella temuta e
intromettentesi società. Non istette perciò guari ad apprendere gran
parte dei fatti, dell'indole e delle tendenze di chi lo interessava.
Seppe che Maurilio era appunto un trovatello, come egli aveva supposto,
che era stato arrestato come nemico del Governo, che presso di lui s'era
sequestrato uno scritto incendiario pieno delle massime più sovversive,
ma che rivelavano un gran talento, così che dal Commissario di Polizia
al generale dei Carabinieri, da questo al Governatore, dal Governatore
al marchese di Baldissero, e dalle mani del marchese era pervenuto
niente meno che in quelle stesse del Re.
I Gesuiti furono sempre abbastanza accorti per riconoscere la potenza
dell'ingegno, e prima di perseguitarlo nemico a loro ed alla loro causa,
hanno sempre cercato di acquistarselo, di arruolarlo nelle proprie
schiere, a difesa del loro principii, mercè blandizie, in cui sono
maestri, e vantaggi personali con cui sanno comprare, o quanto meno
avvolgere le coscienze meno salde ed inconcusse. Di questa guisa essi
ottengono due guadagni: tolgono ai nemici una forza e ne accrescono la
propria parte. Padre Bonaventura era dei più accorti in codesta caccia
al paretaio delle giovani coscienze, e maestro insuperabile di blandizie
e di sofismi rincalzati dalle promesse; più intelligenze, nella sua
lunga carriera di intrigante politico e domestico, era già riuscito ad
inretire. Ei non credeva a profondità di convinzioni che le renda
incrollabili. Nei giovani considerava che agisse più la fantasia che il
ragionamento, e che le idee liberali seducessero le ardenti intelligenze
parte per quello sbarbaglio di generosità onde lucicchiano, parte per
sentimento fors'anco inconscio d'ambizione in chi non è nulla e vuol
pervenire, d'invidia in chi non ha mezzi di potenza verso chi li ha, il
qual sentimento trova uno sfogo nei patrocinio delle idee democratiche e
spera un appagamento nel trionfo delle medesime. Credeva che per tutti
la corazza della coscienza avesse un giunto per cui penetrare nel lato
debole e vincerla; la difficoltà era nello scoprire quel giunto, ed
egli, senza troppa superbia, che i fatti glie l'avevano provato più e
più volte, poteva dirsi abilissimo a codesto.
Non era forse il caso ora di usare di questa abilità verso quel cotal
personaggio che andava in cerca per le vie de' figliuoli del popolo,
affine di insinuar loro il catechismo sovversivo delle idee liberali? Se
si fosse potuto farne un affigliato, un diffonditore de' _buoni_
principii, che trionfo! E se mai stato egli fosse in vero figliuolo
della sorella del marchese, val quanto dire appartenente ad una delle
prime, più ricche e più potenti famiglie dello Stato, qual vantaggio
maggiore! Però, siccome fra le cose apprese del passato di Maurilio
aveva saputo eziandio che egli era rimasto alcun tempo presso il libraio
Defasi, col quale egli era in relazione, e cui conosceva il primo
onest'uomo del mondo, fra' Bonaventura decise di andare a chiederne a
costui, per farsi di quel giovane e del suo valore un più esatto
concetto.
Il signor Defasi, se vi ricorda, nel giovane derelitto, cui la
Provvidenza gli aveva un giorno menato innanzi privo d'ogni mezzo di
sussistenza, aveva posto dapprima la maggiore delle affezioni, e,
conosciutone lo straordinario ingegno, una speciale stima eziandio, che
di tanto aveva rafforzata la sua benevolenza per lui, da fargli
concepire il disegno di dare a quell'orfano senza nome la mano di sua
figlia; e Maurilio fino ad un certo tempo aveva corrisposto alla
generosità ed all'affetto del suo benefattore con tutto lo zelo e la
riconoscenza ond'era capace. Ma di poi, per sua disavventura, era
piombato addosso al povero giovane quel suo matto amore per la nobile
fanciulla Virginia di Castelletto, e il dominio di questa infelice
passione lo aveva mandato ad una stranezza di condotta che il suo buon
principale aveva cominciato per compiangere soltanto e per tentare di
voler guarire, credendola effetto d'infermità. La sorte che perseguitava
il povero trovatello aveva voluto che Nariccia, sapendo Maurilio
allogato presso del libraio, si credesse in obbligo di avvertire costui
come quel giovane fosse stato per mesi e mesi in carcere sotto l'accusa
di un orrendo misfatto, come egli stesso, che aveva avuta la
dabbenaggine di prenderlo poi al suo servizio, l'avesse dovuto scacciare
di casa sua, perchè aveva avute le prove che quello sciagurato
sfacciatamente lo derubava.
Il signor Defasi provò a queste rivelazioni tutta la amarezza d'un
disinganno, e non potè fare che il sospetto e la diffidenza non
entrassero in lui verso quel giovane che gli era stato ed ancora gli era
sì caro, e del quale gli strani contegni da qualche tempo assunti davano
ampia ragione ad una poco benevola interpretazione e ad una prudente
sorveglianza de' fatti suoi. Avvenne, come udimmo narrato da Maurilio
medesimo, che un giorno il libraio trovasse sparito un rotolo di monete
d'oro del valore di cinquecento lire ch'egli aveva riposto nel cassetto
del suo banco. Interrogatine tutti della famiglia, e niuno sapendone dar
ragguaglio di sorta, era inevitabile lo accusare di questa scomparsa
colui che tanto era venuto in sospetto, e il quale, per una strana
coincidenza, di tutto il giorno, obliando il dover suo, non s'era
lasciato vedere a bottega. Maurilio quindi era stato scacciato da quella
casa e da quell'impiego, come udimmo narrare da lui medesimo a Giovanni
Selva. Ma qual fu la sorpresa, la pena e il rimorso del buon Defasi,
quando parecchi mesi di poi, avendo non so per qual guasto da far
aggiustare il suo banco, il rotolino delle monete d'oro si trovò in uno
stretto spazio fra la rivestitura esteriore e il cassettino che non
correva sino al fondo, sdrucciolato colà chi sa per che caso! L'onesto
libraio avrebbe dato qualunque cosa per riparare l'avvenuto errore, più
ancora per non averlo fatto. Cercò istantemente del giovane; ma egli ne
aveva perdute affatto le traccie, e Maurilio, pieno di vergogna, si
guardava bene dal farsi vivo per quella famiglia e studiosamente evitava
perfino di passare per la strada in cui erano l'abitazione e il fondaco
dei Defasi. Il suo antico principale dovette rimanersi ad un inutile
rimorso, ma nell'anima di lui generosa, avvenne una tal riazione in
favore dell'innocente calunniato ch'egli cessò di prestar fede a tutto
quanto riguardo a lui avevagli detto di male messer Nariccia (l'accusa
ch'egli stesso gli aveva mossa era effetto d'un deplorabile errore;
perchè non sarebbe stato la stessa cosa delle accuse precedenti?); e
rinacquero più forti e più vivi l'affetto per quell'infelice, la stima e
l'ammirazione per quell'intelligenza superiore di molto a quante intorno
a sè Defasi avesse mai conosciute.
Da ciò avvenne che quando Padre Bonaventura fu da lui a chiedere di
Maurilio, il libraio ne intessè tale un elogio della mente, del cuore,
della volontà, della dottrina, che il gesuita si confermò ancora di
meglio nel suo proposito di guadagnare alla buona causa quella valente
individualità. Non fosse anche quegli che si sospettava, sarebbe sempre
stato per la Compagnia un buon acquisto. La riuscita del tentativo di
seduzione il gesuita la vedeva facile, tanto più trattandosi d'un povero
abbandonato, senza famiglia, senza sostanze, senza punto avvenire. Chi
sa che non lo si potesse indurre a vestire l'abito nero della Compagnia!
Egli, conosciuto quel giovane e tastatolo, avrebbe giudicate se
conveniva spingere innanzi le indagini intorno alla sua origine, o pur
lasciarle nel buio, e si riserbava d'agire a seconda, anche riguardo
alle possibilità del contegno che avrebbe assunto il marchese; ma gli
avvenimenti camminavano più rapidi e decisi che al gesuita non piacesse,
e la Gallona veniva ad informarlo di quanto era occorso fra lei e Don
Venanzio e Giovanni Selva, e del meraviglioso fatto che quel giovane già
trovavasi in qualità di segretario, introdotto ed albergato nel palazzo
medesimo dei Baldissero.
Conveniva prendere sollecita risoluzione. L'intromettersi del virtuoso
parroco vivamente rincresceva al frate intrigante. Quegli avrebbe spinto
la sua azione sino al compiuto conseguimento della verità; era utile
affrettarsi a farsene egli stesso merito ed entrando innanzi a quegli
altri agire presso il marchese per cercare di volgere le cose secondo il
proprio interesse. Incaricava quindi la _Gattona_ di menargli ad ogni
costo innanzi quella sera stessa il giovane, ed egli domandava pel
domani udienza al marchese il quale di quel giorno aveva chiusa a tutti
la porta del suo studio. Secondo il risultamento del suo colloquio con
Maurilio, fra' Bonaventura avrebbe determinato il modo di regolarsi col
marchese, i consigli da dargli e la direzione per cui avviare i
propositi del medesimo.
Maurilio e il gesuita si trovavano dunque seduti l'uno accosto
dell'altro, sul piano impagliato del sofà, nella modesta cella del
frate, al dubbio chiarore d'una lampada, i cui raggi erano impediti di
espandersi all'intorno da un coprilume. Si osservavano attentamente,
quasi cercando cogliersi l'un dell'altro nel volto il segreto pensiero e
le intenzioni: di fra' Bonaventura la conoscenza del mondo e degli
uomini, l'abilità accresciuta dall'uso continuo, facevano un osservatore
acutissimo, il cui sguardo penetrava molto agevolmente entro l'anima di
chi gli stava innanzi; Maurilio, dalla diffidenza cui la specialità
delle sue condizioni aveva fatta in lui naturale, dal sospetto che gli
nasceva spontaneo per la nota volpina falsità del gesuita, dall'altezza
medesima del suo ingegno, il quale, quando veramente esista, prova in
ogni cosa a cui si applichi, aveva tutti i mezzi onde passare fuor fuori
i raggiri e gli inganni del suo interlocutore. Era dunque una lotta fra
due capaci e degni campioni; ma sul principio il vantaggio stette da
parte del monaco, perchè il pensiero che in quel colloquio egli avrebbe
appreso alcuna cosa del suo destino diede al giovane un'emozione, che
congiunta a quella cui soleva sempre da principio destargli la sua
timidezza in ogni nuovo contatto con altre personalità, arrivò quasi
alle proporzioni d'un turbamento.
A Padre Bonaventura la vista di Maurilio fece la medesima impressione
che aveva fatta alla vecchia Modestina Luponi.
— Che? disse fra sè. Questi sarebbe il figliuolo della bella marchesina
Aurora? Fidatevi ai contrassegni della schiatta! Ecco il discendente di
due leggiadre creature dalle più fini forme aristocratiche, al quale una
misera vita in mezzo all'ambiente plebeo ha dato tutte le sembianze d'un
figliuolo della plebe.
La sua attenzione fu però chiamata dall'intelligente ampiezza della
fronte e dalla misteriosa potenza di quegli occhi color del mare e come
il mare profondi.
— Oh oh! costà in quel cranio non c'è davvero un cervello di pan bollito
e in codesta non bella scatola ossea sta un'anima che non è volgare...
Ed a Volontà come stiamo?
Osservò le protuberanze ben disegnate e spiccanti dell'alto della
fronte, la quale si drizzava sul viso perpendicolare come il frontone
d'un tempio.
— Uhm! soggiunse, non sarà facile fargli cambiar di convinzioni.... Ma
avrà egli vere convinzioni?... Speriamo di no.
E mentre lo conduceva, come ho detto, a sedersi presso di lui sul sofà,
con aspetto, alti e voce benevolissimi e carezzevoli, il gesuita veniva
pensando:
— Egli ha sofferto di molto; se ne vedono le traccie sul volto
travagliato e nel corpo che ci ha patito. Deve avere una rabbia
maledetta contro il destino che gli è toccato, e una più maledetta
smania di ricattarsi coi godimenti.... Se noi gli apriamo il passo alle
gioie ed alle soddisfazioni mondane, e gli diciamo: son tue se ci vieni
con noi; egli ci si precipiterà senza punto curarsi più qual sia la
bandiera che gli faremo sventolare sul capo.... Se non ne faremo un
gesuita, potremo farne un gesuitante.... Forse!
Maurilio aveva il respiro impacciato, come preso da un lieve affanno, e
più impacciato il labbro che non sapeva trovare parola; il gesuita gli
prese di nuovo una mano fra le sue e dissegli più amorevolmente che mai:
— Mio caro amico, caro figliuolo.... La mi permette ch'io la chiami
così?... S'immagina Ella qualche poco il motivo che mi ha fatto mandarla
a pregare di venire qui?
Maurilio esitò un momento a rispondere: trasse un grosso respiro, come
chiamando in suo soccorso il fiato che l'emozione gli impediva di venir
liberamente alla gola, tolse dalle mani del gesuita la sua destra fredda
come un pezzo di ghiaccio e incrociando le dita delle mani che premeva
forte sulle sue ginocchia, rispose poscia con quella sua voce
ordinariamente sorda e contenuta, che non aveva vibrazione ed armonia se
non quando la potenza di un'idea o di un affetto scuoteva l'intimo esser
suo:
— Le parole della nonna di Luchino me ne diedero un sospetto.... Ella
vuole parlarmi della famiglia che fu mia e che mi ha rigettato.
— Adagio, disse il gesuita con quel suo accento dolcereccio che gli era
abituale, accompagnato da un pari sorriso. Secondo il benedetto uso di
tutta la gioventù, Ella galoppa colla fantasia, e le sue supposizioni
vanno al di là del vero.
Maurilio diede in un leggero trasalto e volse al frate la sua faccia più
turbata e più impallidita di prima.
— Che? interrogò egli: non ha da esser questo l'argomento del nostro
colloquio? Non sono io dunque ancora al punto fatale in cui metterò
finalmente la mano sul motto dell'enimma che è la mia vita?
— La mi fa due interrogazioni a cui non posso fare la medesima risposta.
Alla prima posso dare un'affermativa: sì, noi siamo qui appunto per
discorrere amichevolmente di alcune cose, di qualche circostanza che
possono influire sulle ulteriori determinazioni da prendersi per parte
di certuni cui tale argomento interessa massimamente. Quanto alla
seconda interrogazione, se cioè ora Ella possa scoprir tutto ciò che la
riguarda, debbo, con mio gran rincrescimento, rispondere che io non ho
nè qualità, nè mandato per rivelarle dei segreti che posso conoscere, ma
che non m'appartengono....
Maurilio s'alzò di scatto da sedere e girò tutt'intorno alla stanza uno
sguardo fra sospettoso e investigatore.
— Che cosa sono dunque venuto a fare qui? Che cose, che circostanze son
quelle intorno a cui mi si vuole discorrere, e forse scrutare? Se Ella
non può aprirmi il vero, perchè sciupare tuttedue il tempo in inutili
parole, che nulla hanno da conchiudere?
Padre Bonaventura tornò a prendere per la mano il giovane, sorridendo
più benignamente che mai, lo trasse con dolce violenza a sedere di nuovo
presso di lui, e con accento di amorevolezza paterna passando dal Lei a
dargli del più domestico Voi, gli disse:
— Oh impazienza giovenile! Le nostre parole hanno tutt'altro che da
essere inutili e non conchiudere nulla. E se da loro al contrario avesse
da dipendere più questa, o più quella vicenda della vostra sorte?
Maurilio fissò il suo occhio, che in questo momento era oscuro come un
cielo abbuiato, e in cui dal fondo delle occhiaie balenavano lampi
annunziatori di un'interna tempesta.
Il frate gesuita riprese:
— Voi sapete di già, per le parole sfuggite alla _Gattona_, che la
famiglia a cui _forse_ voi potreste avere alcun diritto di appartenere è
una illustre e nobile famiglia.
Il giovane non potè frenare una mossa di soddisfazione, di superbia.
— Ah ah! egli è ambizioso: disse a se stesso Padre Bonaventura, che non
cessava di tener il suo sguardo felino fisso sul lineamenti del suo
interlocutore. Buono! è questa una presa da poterlo afferrare.
— Or bene, continuava il frate, questa famiglia, troverete ragionevole
anche voi, che voglia conoscere qual sia e che cosa pensi
quell'individuo il quale si presenta ora fatto e cresciuto per
appartenerle.
Maurilio, che era oramai tornato in tutta la calma del suo spirito,
chiese con una velata ironia:
— È questo dunque un esame che mi si è chiamato a subire?
— È una conversazione amichevole, come vi ho già detto, in cui, spero
che andremo d'accordo.
— E di ciò ha Ella ricevuto incarico da codesta mia famiglia?
— Non vi dico che sia così: rispose gesuiticamente fra' Bonaventura; ma
fate come se così fosse.
Il giovane incrociò le braccia al petto in una mossa di superba
aspettazione.