La plebe, parte IV - 07

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lo esigeva in quel modo con cui sapeva imporre a chiunque l'ubbidienza
ed a cui non c'era caso di resistere. Modestina disse tutto dal
principio alla fine; e il marchese ascoltò colla massima attenzione.
— Come segni di riconoscimento: disse il vecchio di poi, come per
confermare viemmeglio nella sua memoria la cosa; egli ha seco il rosario
d'agata della mia defunta, un bottone di livrea di vostro marito e la
carta scritta dalla vostra mano?
— Sì, signor marchese.
— Sta bene. Andate e non parlate con anima viva di quanto avete detto, e
sia per tutti, anco per voi, come se qui non foste oggi venuta, come se
questo colloquio non avesse avuto luogo mai.
Modestina giurò il più assoluto silenzio e se ne fu a' fatti suoi. Il
marchese meditò tutto quel giorno profondamente e non volle veder
nessuno nè della famiglia nè dei conoscenti tranne il fidatissimo suo
servitore. Alla sera diede a quest'esso il comando di andar a prendere e
condur seco al palazzo messer Nariccia. Con costui, del quale erasi
fatto ora mai un giusto concetto, per riuscire sicuramente nel suo
disegno, il vecchio marchese aveva pensato usare un inganno. Gli disse
che vedendosi avvicinare ogni di più il fine della sua vita, il rimorso
lo aveva assalito di aver tolto alla figliuola il suo bambino ed un gran
desiderio gli era nato di restituire a quella poveretta suo figlio,
parendogli che dopo ciò più tranquillamente avrebbe potuto avviarsi
verso la tomba; aver udito con molta soddisfazione che al bambino erano
stati posti certi contrassegni per cui riconoscerlo e poter riaverlo,
Nariccia saper egli dove questo bambino si trovasse, glie io dicesse
perchè si fosse in grado senza ritardo, di provvedere pel ricupero del
medesimo.
Nariccia, con tutta la sua accortezza, cadde compiutamente nella rete.
La cosa era troppo naturale perchè non si avesse da crederla, chi non
sapesse qual provvista d'odio avesse continuato a rammontarsi, invece
che diminuire, nell'anima fiera e crudele del marchese contro il morto
Valpetrosa e il rampollo del sangue di lui. Attonito che il marchese
sapesse così bene ogni particolare della cosa, l'ex-intendente non osò
negar nulla; ma quando il suo antico padrone volle svelasse il luogo
dove il bambino era stato posto, fu egli l'uomo più impacciato del
mondo, e per torsi d'imbarazzo fini per dire:
— A S. E. non importerà gran che il sapere ch'e' si trovi in questo o in
quell'ospizio, purchè la conclusione sia ch'Ella riabbia il bambino. Di
qualcheduno Ella avrà pur sempre bisogno il quale vada a prenderlo; chi
può far ciò meglio di me che conosco appuntino i contrassegni, e so il
giorno e l'ora precisi in cui venne il neonato deposto? Affidi dunque a
me siffatto còmpito, ed io fra quindici giorni le prometto di
presentarle il bimbo con tutti quegli oggetti che, come S. E. conosce,
ne stabiliscono l'identità.
Il marchese guardò ben fisso un istante il suo interlocutore, e poi
disse:
— Sia pure.... fra quindici giorni la cosa deve esser fatta, e conto
aver nelle mani il bambino ed i contrassegni.... Se ci mancate, guai a
voi!... Non comparitemi più dinanzi che per annunziarmi il giorno e il
momento in cui potrete farmi la consegna di quel che voglio. E di tutto
questo sopratutto, assoluto silenzio con mio figlio e con Aurora....
Siamo intesi!
Nariccia si curvò in un profondo inchino.
— Andate.
I quindici giorni non erano ancora trascorsi quando Nariccia introdotto
furtivamente presso il marchese dicevagli a bassa voce:
— Eccellenza ho nelle mie mani il bimbo.
Uno strano lampo passò negli occhi del vecchio, il quale, con impeto che
pareva indicare tornato in lui tutto il primitivo vigore, si levò a
sedere sul letto.
— Dove ce l'avete?
— A casa mia.
— Proprio desso?
— Signor sì.
— E i contrassegni?
— Ancora nel sacchetto che cucì e gli appese al collo l'Eugenia.
— Sta bene.
Successe un momento di silenzio.
— Ho da portarglielo qui io stesso quel bambino; domandò poscia
Nariccia: o che cosa ne debbo fare?
— Stassera, a mezzanotte, siate sveglio in casa vostra e pronto ad
accogliervi chi si presenterà. Verrà alcuno, a cui consegnerete ogni
cosa.
— Come si farà egli riconoscere per inviato da V. E.?
— Lo riconoscerete.
L'antico intendente non aggiunse più verbo.
Un anno o poco più era allora trascorso dalla morte di Maurilio; anche
allora si era in una fredda notte invernale come quella in cui vedemmo
cominciare il nostro racconto, e Nariccia, mentre battevano le dodici
ore al non lontano campanile della parrocchia, andava e veniva nella
fredda stanzuccia da lui abitata a quel tempo, fermandosi di quando in
quando innanzi ad una tavola sovra cui, avvolto in povere ma pulite
fascie, stava un bimbo di pochi mesi d'età, il quale dalla pallidezza
del piccolo viso, dagli occhi chiusi, dai guaiti di dolore che mandava
tratto tratto, pareva più presso a morire che non altro. L'antico
intendente non era per nulla contento dei fatti suoi, e volgendo lo
sguardo a quel fanciullo, i suoi occhi avevano un'espressione di
rincrescimento, di dispetto, di disappunto che impossibile il
descriverla. Dalla presenza di lui, Nariccia aveva sperato un momento
nuovi guadagni, maggiori di quelli che glie ne avrebbe dati il vecchio
marchese il quale non aveva promesso nulla. Dalla marchesina Aurora e da
suo fratello avrebbe egli osato domandare quel più che gli piacesse e le
sue esigenze sarebbero state subìte: dal marchese padre non poteva
pretendere nulla. Andava egli mulinando seco stesso con rabbia di questa
sua disavventura e pensando se non avrebbe potuto trovar modo per cui
raggirare il mandatario dell'antico suo padrone (e ancora non sapeva
egli tampoco chi sarebbe), quando un picchio nell'uscio lo avvertì che
la persona aspettata era giunta.
Nariccia aprì e vide entrare due uomini imbaccuccati nei mantelli, uno,
che pareva camminare a stento, sorreggendosi all'altro. Nel secondo
riconobbe tosto il servo fidatissimo del marchese, e nel primo, quando
abbassò la falda onde si copriva la faccia, dovette ravvisare con
infinita meraviglia il marchese medesimo, a cui una specie di febbre che
gli faceva lucicchiare gli occhi, unita ad una energica volontà, aveva
data la forza di sorgere e di venirsene segretamente fin là egli stesso.
— Lei Eccellenza: esclamò inchinandosi Nariccia che vide ogni
possibilità di ulteriore inganno affatto svanita.
Il marchese non rispose; andò dritto, diviato alla tavola su cui stava
il bambino e lo guardò — la similitudine è vecchissima, ma è l'unica che
si attagli — come falco che guarda la preda cui ha da ghermire. Serrò al
petto le braccia e stette un istante immobile; tutta la sua vitalità,
avreste detto, raccolta nello sguardo. Intorno a lui regnava un silenzio
di morte.
Volse di poi la faccia verso Nariccia e domandò bruscamente:
— È desso?
La sua voce aveva una vibrazione metallica che le dava un carattere più
imperioso ancora e più aspro.
Nariccia s'inchinò profondamente in segno di affermazione.
— Le prove? Ridomandò col medesimo accento il marchese.
L'antico intendente si accostò al bimbo, levò di intorno a lui un
sacchettino di tela che, appiccatogli per un legaccio al collo, stava
nascosto in un risvolto delle fascie e lo porse al marchese senza aprir
bocca.
Il padre d'Aurora aprì quella tasca e ne trasse fuori gli oggetti che vi
si contenevano; erano quelli che sappiamo: il rosario, il bottone e la
cartolina scritta dalla Luponi. Esaminò ben bene ogni cosa; poi come se
quegli oggetti gli bruciassero le mani li depose sulla tavola. Si
accostò vieppiù al fantolino, gli passò intorno al collo il cordone del
sacchetto che allora era vuoto, e si chinò su di esso a fisarlo ancora
di meglio. Cercava con avido sguardo una rassomiglianza che non riusciva
a trovare.
— È strano, disse poi, quasi parlando a se stesso: nulla vi ha in questi
tratti che ricordi quelli di _colui_... nè quelli pur di mia figlia....
Ed e' mi par molto piccino....
Si volse al servo che era sempre rimasto in un angolo con riserbatissima
discrezione:
— Venite un po' qua: gli disse. Guardate questo bambino. Vi par egli che
abbia un anno di età?
Il domestico s'appressò e guardò.
— Veramente è assai piccolo: disse.
Il marchese teneva gli occhi fissi su Nariccia, il quale stava
impassibile.
— Ma, soggiunse il servitore, di bambini a quel tempo è difficilissimo
poter giudicare a vista i mesi che hanno.
— Egli è deboluccio, a quanto pare, disse allora Nariccia, è da un po'
di giorni ch'è separato dalla nutrice, ha sofferto.
Il marchese tornò a prendere in mano e ad esaminare l'un dopo l'altro
gli oggetti che dovevano certificare la identità del figliuolo di
Maurilio. Non v'era cosa da opporvi, erano proprio dessi: il rosario che
il marchese ricordava aver appartenuto a sua moglie, il bottone collo
stemma a lui ben noto dei de Meyrand, la scritta col carattere di
Modestina. Stette ancora un poco in silenzio: non una fibra del suo
cuore palpitò di tenerezza, nè di compassione per quel povero infante,
che seguitava di quando in quando a gemicolare; poi si volse in là, come
se gli fosse uggioso il vederlo e disse a Nariccia:
— Rimettetegli addosso quella roba.
Fu caso o fu volere della Provvidenza? Mentre il marchese intendeva che
quegli oggetti fossero riposti entro la piccola tasca cui egli stesso
aveva rimessa al collo del bambino, Nariccia non fece altro che ficcarli
in mezzo ai risvolti della fascia che lo cingeva, lasciando pendere
vuoto il sacchetto al collo di lui.
— Nariccia, disse poscia il marchese con quel suo accento che era da
incutere timore a chicchessiasi: voi mi avete disubbidito, e ciò non
dimenticherò mai più. Quel bambino non aveva da trovarsi mai, e voi
stesso dovevate smarrirne le traccie: eccovelo invece innanzi agli
occhi... Ora me ne impadronisco e ne dispongo io stesso.... Stolto voi
se poteste credere ch'io mi lasciassi vincere da debolezza d'animo
fiacco e rimpiangere e voler mutare quello che ho fatto. Il figliuolo di
quel miserabile ho condannato alla sorte che gli spetta, e non ne avrà
altra nel mondo.... Voi, voi non mi comparirete più dinanzi, eccetto che
un mio ordine espresso vi richiami.
L'antico intendente non trovò parole da rispondere: era furibondo nel
suo intimo contro se stesso per esser caduto nella pania; s'inchinò
profondamente innanzi al marchese che passava più fiero che mai
dirigendosi all'uscio per partire.
— Prendete quell'involto: comandò il padre d'Aurora al servo,
accennandogli con un moto della testa il bambino: e seguitemi.
Se ne uscirono così tuttedue. Il vecchio, come se gli fosse tornata
tutta la vigoria della salute, camminava diritto della persona, colla
sua mossa superba e l'aspetto pieno d'autorità; il domestico lo seguiva
in silenzio. Si avviarono verso una delle strade le peggio rinomate
della vecchia città; e quando furono alquanto inoltrati per essa, il
marchese si fermò; il suo fidato servitore s'arrestò del pari,
interrogando collo sguardo, colla parola non osava, il padrone su ciò
che si dovesse fare.
Non v'era anima viva in quella fredda oscurità della notte; una brezza
sottile e ghiaccia soffiava alle cantonate. Il marchese additò il mezzo
dell'acciottolato della strada, dove un rigagnolo fangoso tutto
congelato rendeva ronchioso il terreno.
— Deponetelo colà: comandò al servitore.
Questi, fosse pietà che lo assalisse, o non potesse credere a tanta
barbarie nel suo padrone, esitò.
— Avete capito? disse il marchese con quell'accento che non permetteva
indugio all'obbedire.
Il servo si chinò a terra e depose pianamente su quella fanghiglia
gelata il suo fardello.
— Poverino! pensava egli: domattina lo troveranno tutto un ghiacciuolo.
Mentre stava per rialzarsi, la voce del padrone gli diede un altro
comando:
— Toglietegli quel sacchetto che gli pende dal collo e riponetelo nelle
vostre tasche.
Il domestico ubbidì; poi si volse al padrone per vedere se altro ancora
avesse da fare; ma in quella nel marchese parve venir meno ad un tratto
tutta quell'energia che fino allora lo aveva sostenuto: egli si appoggiò
alla muraglia della casa presso cui si trovava, e disse con voce appena
se intelligibile:
— Ah! mi sento mancare.
D'un balzo il servitore gli fu presso e lo sorresse nelle sue braccia.
— Glie l'avevo detto io, Eccellenza, che non si avventurasse a tanto
sforzo.
— Conducetemi a casa: mormorò il vecchio, abbandonandosi nelle braccia
del servo, il quale recandoselo quasi in braccio, s'affrettò verso il
palazzo, vi penetrò per la porticina e la scaletta, e senza che alcuno
avesse pur sentore della loro uscita, lo guidò nel suo appartamento e lo
coricò, mentre i denti del vecchio battevano dalla febbre.
Due ore dopo, il marchese alquanto riconfortato, disse al servo che non
s'era mosso dal suo fianco:
— Datemi qui quel sacchetto.
Il domestico se lo trasse di saccoccia e lo porse al giacente; ma questi
lo ebbe appena tocco colla sua mano che mandò un'esclamazione di rabbia
e disappunto: il sacchetto era vuoto.
Il marchese credette ad un inganno di Nariccia e mandò tosto da costui
quel suo servo fidatissimo perchè ne tornasse ad ogni modo con quegli
oggetti che aver voleva in poter suo. Il domestico fu di corsa in casa
l'usuraio, ma non potè ottenerne che le più vive proteste, aver egli
rimesso addosso al bambino quei contrassegni: e il mandatario del
marchese s'affrettò allora verso quel luogo dove il fanciullo era stato
abbandonato. Era presso l'alba e un pallidissimo chiarore già spuntava
sopra la collina all'orizzonte: qualche passo di cittadino mattiniere
incominciava a suonare per le strade ancora oscure, in cui venivano
spegnendosi i lampioni municipali; alcuni carri di ortolano e di lattaio
dei dintorni facevano saltare le loro ceste e le loro bigoncie correndo
sull'acciottolato al trotto dei loro ronzini sollecitati dal chioccare
importuno della frusta. Giunto a quel luogo dove il fanciullo era stato
deposto, il servo non vide più nulla; invano percorse tutta quella
straducola, il fantolino era scomparso. Dovette ritornare con queste
novelle al suo padrone, che ne rimase assai poco soddisfatto. Pareva al
marchese che il suo proposito di volere affatto smarrita quella
creaturina, corresse così pericolo di non venire ottenuto, e un giorno o
l'altro potesse ripresentarsi innanzi alla nobile sua famiglia
quell'essere che a suo vedere ne incarnava una disgraziata vergogna.
Ma, tra le emozioni di quella notte, la rabbia del non compiuto
successo, lo strapazzo fisico che la sua volontà aveva imposto al corpo
affaticato ed infermo, avvenne che la malattia del marchese il giorno
dopo s'aggravò notevolmente, ed una settimana non era ancora trascorsa
che un mesto corteo accompagnava a Baldissero, per seppellirla nel
fastoso sepolcro de' suoi maggiori, la salma del padre di Aurora.
Questa un anno dopo acconsentiva a sposare il conte di Castelletto, il
quale l'amava tuttavia, e del quale essa ignorava compiutamente la parte
avuta in quel funesto duello che le aveva tolto il primo marito. Che
ogni ulteriore ricerca del figliuolo fosse inutil cosa, le nuove
asseveranze di Nariccia congiunte colle parole del defunto marchese
avevano finito per mandare persuasi tanto Aurora medesima quanto il
fratello di lei. Da questo maritaggio nasceva poscia Virginia; ed era
questa giunta appena ai due anni, che un fatalissimo destino la orbava
del padre e della madre, e questa, morendo, la raccomandava al fratello,
a cui finalmente aveva perdonato di tutto l'animo.
Di questa lugubre storia narrava il marchese a Virginia quelle cose
soltanto ch'egli sapeva e che potevano conferire all'assunto ch'egli
s'era proposto: di far vedere alla fanciulla come un amore per uomo che
non appartenesse alla sua classe non potesse avere altro risultamento
che di dolori e sventure. Quali fossero le impressioni di Virginia
sarebbe stato difficilissimo giudicare dal suo aspetto: tanto ella aveva
ascoltato e tanto rimase anco di poi immota, senza un accento, senza uno
sguardo, senza un atto che ne rivelasse l'intimo sentire. E se avesse
dovuto dire quali fossero queste sue impressioni, non avrebbe manco
saputo ella stessa, poichè le si affollavano intralciate, confuse, poco
meno che inestricabili.
Superiore ad ogni altra era una grande compassione per la povera sua
madre. Dapprima però la sua era stata come una delusione: la madre, di
cui ella non ricordava nulla, di cui non conosceva che la mite
fisionomia dall'aria dolorosamente rassegnata, la quale le volgeva un
mesto sorriso dal ritratto ch'ella teneva appeso a capoletto come un
quadro di Madonna, la madre era per lei qualche cosa di sopraterreno, di
superiore a tutte le cose e le passioni del mondo, ed udire parlare di
cosa che poteva dirsi fallo di lei, tornava a Virginia quasi una
profanazione. Poi tosto la somiglianza del suo coll'affetto di sua madre
le destò un più ardente trasporto di simpatia verso la memoria di
quell'estinta che tanto aveva sofferto; sentì un subito moto di
repulsione verso lo zio che aveva tal dolore inflitto alla povera donna,
verso quello zio che pure era stato così buono per lei sempre, e ch'ella
s'era avvezza ad amare e venerare come padre. La barriera fra sè ed il
giovane ch'essa amava, già sapeva quasi insuperabile, il racconto dello
zio le dimostrava che era tale senza rimedio: non aveva ella mai nutrito
lusinga di speranze, ma ora più chiaro di prima le appariva l'assoluta
impossibilità d'ogni ventura.
Quand'ebbe finito il suo racconto, lo zio le prese fra le sue tuttedue
le mani e le disse con accento di amorevolezza infinita:
— Se io non fossi stato assente, Aurora, mi avrebbe confidato l'amor
suo, come tu hai fatto or ora del tuo; e sai tu quello che io le avrei
detto? «L'amor tuo è una follia: se tu vi resisti potrà esserti un
dolore, ma se ti abbandoni ad esso, sarà una colpa. Sul dolore il tempo
sparge a poco a poco pur sempre il suo balsamo infallibile, la colpa non
si cancella mai più. Tutti nella vita possono trovarsi nella cruda lotta
del dovere e della passione: per noi, classe privilegiata, questa lotta
può aver luogo più facilmente, in più frequenti occasioni, perchè sono
molti più i nostri doveri; e dobbiamo trovare nell'animo nostro tanta
forza che basti a tutti i doveri, anche quelli speciali della nostra
casta. Una fanciulla del nostro sangue non può sposare un plebeo, non
deve dunque amarlo, deve soffocare ad ogni costo l'amore che per esso
abbia imprudentemente lasciato nascersi in cuore...»
Virginia interruppe con un'esclamazione, e si levò pallida in volto,
risoluta nell'aspetto.
— Come io non isperi nulla di codesto amore, già glie lo affermai, zio;
già lo dissi al signor Benda medesimo. Viva o muoia quell'infelice, noi
siamo separati per sempre, lo so, non mi ribello a questo decreto del
nostro destino, non ripeterò l'errore della mia povera madre....
S'_egli_ vive non le prometto di cancellarmelo dal cuore. Non amerò
altri più sulla terra. Ma non lo rivedrò mai. S'_egli_ muore, voglio,
zio, vederlo un'ultima volta, dargli un ultimo addio; ed Ella non deve
negarmelo.
Il marchese fece un atto che pareva d'assentimento: e la nobil fanciulla
con mossa dignitosa e severa partissi; allora osò entrare nello studio
del padrone il cameriere, che recava: Padre Bonaventura essere venuto
lungo la giornata per parlare al signor marchese che trovavasi assente
dal palazzo, essere tornato la sera, ed averlo rinviato i domestici
dietro il preciso ordine di S. E. di nemmanco annunziarle chiunque si
fosse di persone estranee alla famiglia, aver quindi il gesuita mandato
testè una letterina pel marchese che si veniva a presentargli.
Baldissero prese quella lettera e la lesse. Era concepita ne' seguenti
termini:
«Eccellenza.
«Un gravissimo motivo mi spinge a domandarle l'onore d'una
conferenza con Lei, quanto più presto Ella voglia degnarsi
d'accordarmela.
«Si tratta d'un importante scoperta, d'un avvenimento da non
credersi, se non ci fossero le prove materiali e palpabili, d'un
vero miracolo della divina Provvidenza.
«Esso riguarda un fatto doloroso, pur troppo, della sua
famiglia, al quale Iddio volle che ancor io avessi una parte; e
per quanto io senta pena e ripugnanza a venirla ad intrattenere
di quel funesto argomento, a rievocare fatalissimi ricordi, in
presenza della gravità della cosa, sento il debito di farlo.
«Quando V. E. mi abbia inteso, mi perdonerà, e sarà persuasa che
altro non mi muove che l'interesse, l'affetto e la reverenza che
ho sempre avuta e che ho per la nobile di Lei casa e con cui mi
protesto
«Suo Umil.mo e Devot.mo Servo
«Padre BONAVENTURA
_della Compagnia di Gesù_.»
Il marchese, nel leggere queste parole, provò una dolorosa scossa. Qual
poteva essere il fatto della sua famiglia a cui aveva partecipato il
gesuita, se non quello appunto del quale aveva fino allora discorso alla
nipote, e con quanta pena dell'anima, Dio vel dica! E che cosa poteva
essere il nuovo avvenimento di cui faceva cenno il frate, il miracolo
della Provvidenza ch'egli diceva riguardo a quella funesta storia?
Invero doveva pur confessare egli a se stesso che da due giorni tutto in
lui e intorno a lui pareva cospirare a far rivivere quelle sanguinose
memorie che dopo tanti anni dovevano essere e pensava egli stesso
obliterate e sepolte: tutto, il suo pensiero, il suo rinascente rimorso,
gli eventi che parevano voler riprodurre per la nipote le tristi vicende
avvenute alla sorella. Era dunque veramente la Provvidenza che veniva
preparando le cose allo scoppio di qualche nuovo episodio di quel dramma
non ancora finito? Ma quale?... Una viva impazienza, un'ansiosa
curiosità lo assalse di saper tosto che cosa fosse questo mistero
adombratogli dalle parole del frate. Fu sul punto di uscire egli stesso
e recarsi senza indugio al convento dei Gesuiti al Carmine; ma si
trattenne. Scrisse e mandò a Padre Bonaventura la seguente risposta:
«Il marchese di Baldissero aspetta a casa sua il Reverendo Padre
Bonaventura domani alle ore nove della mattina.»


CAPITOLO V.

Quella medesima sera, in cui successero i tristi fatti che abbiamo
narrati alla fabbrica dei Benda, Maurilio, ignaro di quelle funeste
vicende, avendo sfuggito ogni compagnia, perchè desideroso di rimaner
solo col tumulto de' suoi pensieri, col cumulo de' suoi affetti e delle
sue passioni, se ne tornava verso il palazzo Baldissero, ora sua dimora,
a lento passo, dopo un lungo giro fatto nella parte più solitaria della
città, insensibile all'aria frizzante della sera, quando alla cantonata
proprio del palazzo medesimo, vide un piccolo essere spiccarsi dalla
parete, e ponendoglisi dinanzi dirgli colla voce rauca d'un bambino
assiderato dal freddo:
— Giusto Lei che aspettavo; ho una commissione da farle.
Maurilio riconobbe la vocina, la faccia patita ma intelligente, l'occhio
vivo e la testa arruffata di _Gognino_ il nipote della _Gattona_.
— Tu qui? diss'egli assalito di subito da una specie di rincrescimento
d'aver perfettamente obliato il suo piccolo protetto. E m'aspettavi?
— Gnor sì. È la nonna che mi ci ha mandato e guai se me ne andavo prima
di averla vista e parlatole.
— E come sapevi tu che io sarei venuto qui in questa strada?
— Lo si seppe andando a cercare di Lei al suo antico quartiere, là, dove
l'altro dì la mi disse di tante belle cose, quando poi son venuti ad
arrestarla.
Maurilio sentì una specie di tenerezza a queste parole del fanciullo.
— Tu non le hai dimenticate le cose ch'io ti dissi? domandò ponendogli
con atto affettuoso la mano sul capo.
— Oh no.... non ancora: rispose ingenuamente _Gognino_.
— È dunque la tua nonna che ti manda in cerca di me a quest'ora?
— Non è mica lei che la vuole: gli è Padre Bonaventura.
— Padre Bonaventura! esclamò Maurilio stupito: che può aver meco da
spartire costui?
Il frate era conosciuto in tutta Torino come uno dei più influenti,
operosi ed intriganti fra i gesuiti che allora tenevano nella cosa
pubblica un'autorità incontestata, a cui nessuno osava pure opporsi: il
nostro giovane amico poi conosceva ancora più particolarmente i meriti e
le gesta di quel cotale, perchè di lui gli aveva discorso a dovere
Giovanni Selva, il quale all'influsso di quel tristo doveva la sua
esclusione dalla casa di suo padre.
Alla domanda di Maurilio, _Gognino_ non sapeva far alcuna risposta, e
non ne fece, contentandosi a stringersi nelle spalle.
— E dunque, riprese Maurilio, che hai tu da dirmi a nome di codesto
Padre Bonaventura?
— Che le ha da parlare di cose d'importanza e di premura che la
riguardano.
— Me?
— Gnor sì. E che perciò la aspetta questa sera medesima colaggiù al
convento; ed io ci ho ordine dalla nonna di accompagnarla fino dal fra'
laico portinaio e non lasciarla finchè non abbia acconsentito a venire.
Il primo impulso di Maurilio fu una viva curiosità di conoscere la
ragione di questo appello, cui, per quanto immaginasse non sapeva
indovinare: e già era per avviarsi, quando una quasi istintiva
diffidenza lo trattenne.
— E s'io non ci volessi andare a trovare quel gesuita? diss'egli al
fanciullo, che stava osservandolo con un'aspettazione che pareva quasi
ansietà.
— Ah! disse vivamente _Gognino_ con una fiduciosa ingenuità da ragazzo:
ci venga per far piacere a me soltanto. Se io non la conduco almanco
fino alla portieria del Carmine, dove la mi sta aspettando, la nonna
crederà che invece di fare secondo il suo comando, io sono andato a
baloccarmi, e me ne dà una famosa strigliatina.
Maurilio sorrise mestamente, e non disse altro più che questa parola:
— Andiamo.
_Gognino_ si mosse camminando zoppo e rattratto pel dolor dei geloni e
per l'intirizzimento delle sue piccole membra, e Maurilio gli tenne
dietro.
Erano aspettati. La _Gattona_ nel vedersi dinanzi quel giovane, sentì
entro il suo inaridito cuore di vecchia ipocrita un certo non so che da
potersi quasi dire una emozione; qualche cosa di più che una curiosità
la punse di vedere, di esaminare ben bene quell'individuo, e
piantandosegli in faccia lo squadrò ben bene coi suoi piccoli occhietti
infossati nel suo vecchio ceffo da uccello di rapina coperto di
pergamena, mentre con voce lentamente trascinata e più aspra e fessa del
solito gli veniva dicendo:
— Sia lodato Dio e la Madonna ch'Ella sia venuta. Avevo paura che la non
volesse dar retta alle parole di _Gognino_. E sarei pure andata io ad
aspettarla per la strada; ma una povera vecchia mia pari a questa fredda
brezza di notte star ferma impiantata c'è da lasciar subito le sue
quattro miserabili ossa. Ho pregato tanto il mio santo protettore e la
santissima Vergine che....
A Maurilio lo sguardo fisso, scrutatore della vecchia dava un
inesplicabile fastidio, quasi un'irritazione; le parole di lei gli
producevano un'impazienza uggiosa; sentiva una più spiccata ripugnanza
per quell'essere degradato.
— Eccomi qua: interrupp'egli bruscamente. Se son venuto gli è, perchè
non credeste che Luchino avesse mancato di ubbidirvi, chè altrimenti non
avrei visto ragione alcuna di rendermi all'invito di Padre Bonaventura,
che non mi conosce, ch'io non conosco, e col quale non ho attinenza di
sorta.
— Ah! esclamò la vecchia con un'espressione di zelo e d'interesse che
ognuno avrebbe detta esagerata: la non si penta d'esser venuta, sa!...
Ella volle farmi del bene, a me ed al mio nipotino, e mai non fu carità
nessuna così presto e così largamente ricompensata dal Cielo....
Ringrazio la bontà divina che mi volle così presto esaudita nelle mie
preghiere.... Questa povera e umile vecchia, questa abbietta creatura
volle Iddio fosse stromento de' suoi decreti; e per cagion mia Ella
potesse finalmente....
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