La plebe, parte IV - 06
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Era stato deciso che alla infelice madre, se e quando risensasse, si
sarebbe detto che il bambino, durante il terribile periodo trascorso
della infermità di lei, era morto; ma ora, vedendone tanto spasimo,
giudicando che tal novella sarebbe stato un precipitarla di nuovo in
quello stato da cui appena era venuta fuori, sarebbe anzi molto più
facilmente un ucciderla addirittura, Modestina non ebbe il coraggio di
darle un colpo così crudele. Rispose adunque esitando che il piccino si
era dovuto per forza allontanarlo per dargliene una nutrice, ma che
Aurora intanto non istesso in pena per lui, al quale in ogni modo era
accuratamente provvisto.
L'inferma trovò per prima cosa che si sarebbe dovuto far venire questa
nutrice presso di lei, piuttosto che allontanare da lei il figliuolo;
volle sapere se il luogo dove egli era a balia fosse lontano, se lo si
sarebbe potuto aver di frequente colà dove essa giaceva inferma, che già
star lungo tempo senza vederlo, non la voleva a niun patto; se la
famiglia presso cui s'era allogato il bambino fosse tale da ispirare
tranquillità e fiducia per le cure che si avessero di lui: alle quali
cose tutte, Modestina, non preparata, rispose impacciatamente e con
affatto nessuna soddisfazione di Aurora.
Ed era già costei piena di dubbi parecchi e di ansie indefinite, quando
sopravvenne Padre Bonaventura, al quale con più ardore, con più
sollecita insistenza ella rivolse le interrogazioni medesime.
Il gesuita sedette presso al letto dell'inferma, cogli occhi bassi, le
mani incrociate sul ventre, la mossa d'uomo in sè raccolto, scambiò due
o tre occhiate colla Modestina che gli ammiccava di soppiatto per
significargli come la pietà le avesse consigliato di parlare alla
padrona un po' diversamente da quel che era stato inteso fra di loro, e
quando Aurora ebbe finito le sue domande e stava attendendo ansiosamente
risposta, il frate diede alle sue sembianze l'espressione d'un intimo,
profondo cordoglio, d'un rassegnato dolore, mandò un sospiro, levò gli
occhi al cielo, e tutto compunto incominciò un sermoncino di melliflua
rettorica per esporre che questa terra è una valle di lagrime, che Dio
non vuole si metta nella creatura tutto il nostro affetto, che dobbiamo
prepararci alle grandi prove e sostenerle con fermo animo, quando le ci
arrivano, eccetera, eccetera.
La povera madre che aveva notalo l'impaccio della cameriera, gli sguardi
scambiati fra costei ed il gesuita, interruppe ad un punto quella
predica con un grido straziante che partiva dal profondo dell'anima.
— Gran Dio! Mio figlio non è più!
Le rispose troppo eloquentemente il silenzio della cameriera e di Padre
Bonaventura. L'infelice arrovesciò il capo sui guanciali, divenne più
pallida che un cadavere, chiuse gli occhi e mandò un fievol gemito: era
svenuta.
— Misericordia! esclamò la Modestina: ella è morta.
Il gesuita si curvò sulla giacente ad esaminarne l'aspetto, e le pose
una mano sul cuore.
— No, diss'egli; la Provvidenza non le vuole far questa grazia.
Si dovette ricominciare la lotta colla morte, ed anco questa volta
vinsero la gioventù e la natura.
Ma una persona era intorno all'inferma che aveva di lei la massima pietà
e sentiva nel cuore un cocente rimorso dei fatti suoi: la povera
Eugenia. Ella si diceva di aver empiamente mancato alla solenne promessa
da lei data ad Aurora di fare ogni possibil cosa affine di salvarle il
figliuolo; degli spasimi che soffriva la madre orbata ella accusava sè
stessa che se avesse mantenuto fede, avrebbe potuto conservarle allato
il bambino. Qual modo avrebbe potuto avere per ciò non sapeva bene; ed
anzi talvolta per iscusarsi innanzi a sè stessa dicevasi che nessuno
affatto era in poter suo e lo avesse anche tentato, ella ad altro non
sarebbe riuscita che a farsi cacciare di colà; ma pur tuttavia non
poteva tranquillare la sua coscienza. Non aveva ella accettato un
compenso pel suo silenzio? Lo aveva fatto per suo figlio: ma doveva ella
per un vantaggio al suo sacrificare il figliuolo della donna che in lei
s'era affidata? Un pauroso presentimento, allora invadeva il suo animo.
Codesto le avrebbe recato disgrazia; Dio ne l'avrebbe punita, dicevasi;
ma purchè non la volesse punir poi nel figliuol suo! Raccapricciava a
questo pensiero. Se la sorte l'avesse voluta colpir poi colla pena del
taglione? Se anco a lei una mano crudele venisse a rapir poi quel frutto
delle sue viscere che già amava cotanto? Sentiva allora che togliere un
figlio a sua madre era il più iniquo delitto che si potesse compire: ed
ella di questo infame delitto s'era fatta complice! Infelice! I suoi
paurosi presentimenti dovevano aver ragione; ed ella stessa un anno dopo
doveva provare, prima di morire, lo spasimo atroce di vedersi rapito il
figliuolo.
Codesto faceva che amorosissime, incessanti, piene d'uno zelo
impareggiabile fossero le cure che Eugenia prodigava all'inferma.
Avrebbe dato tutto di sè per restituirle la salute e il figliuolo; la
sua vita non fosse stata necessaria per un altro essere, avrebbe offerta
anche quella in benefizio d'Aurora.
A questa intanto ritornando a poco a poco la salute e la possibilità,
non certo la voglia di vivere, era più forte rinato il desiderio di
conoscere ogni particolarità della morte del suo bambino. Voleva le si
dicesse ogni menoma cosa che riguardasse quel luttuoso avvenimento;
domandava dove fosse stato il corpicciuolo sepolto, voleva che colà
sorgesse un modesto tumulo a segnarne il luogo che sarebbe stato in
avvenire meta a frequenti e pietosi di lei pellegrinaggi, moveva
un'infinità di interrogazioni che mettevano in imbarazzo le due donne e
sopratutto l'Eugenia, alla quale sentendo per lei più simpatia, Aurora
volgeva con più amorevole insistenza, con più pressante supplicazione le
sue domande.
Eugenia non sapeva mentire. Oltre ciò, col pensare e ripensare a quel
crudele atto a cui ella aveva partecipato in danno della povera Aurora,
aveva finito per giungere alla conclusione che il male cagionato non era
irrimediabile; ella sapeva quali contrassegni fossero stati posti al
bambino, mercè cui poterlo riconoscere; svelando tutta la verità alla
giovane madre, questa poteva ottenere da Nariccia le dicesse il luogo
dove il fanciullo era stato abbandonato e, per via di que' certi indizi,
riaverlo: stava adunque discutendo seco stessa intorno all'opportunità
di tutto rivelare ad Aurora. Questa, da parte sua, guidata da una specie
di segreto istinto, aveva maturamente riflettuto seco stessa
sull'imbarazzo, sulle incertezze, sulle contraddizioni che aveva dovuto
notare nelle risposte fatte alle sue domande intorno la morte del
bambino, ed una vaga, inesplicabile speranza le era nata in cuore che la
si fosse voluta ingannare, che il suo figliuolo non fosse morto. Le
pareva impossibile che ella potesse rimanere ancora sulla terra quando
ne fossero partiti lo sposo ed anco il bambino; Dio avrebbe avuto tanta
pietà almeno da farla morire, lei pure; se la aveva conservata malgrado
tutto a questa vita, gli era dunque ch'ella ci aveva da fare ancora
qualche cosa, e qual altro dovere poteva incomberle oramai fuor quello
di madre?
Da queste mutue disposizioni dei loro animi avvenne che una volta
finalmente che Aurora ed Eugenia eran rimaste sole, si fu molto presso a
venir fuori la verità. La figliuola del marchese aveva riprese le sue
dimande e le ripeteva con maggiori l'insistenza e la pressa; la cognata
di Modestina rispondeva più impacciata che mai. Aurora la guardava con
occhi penetranti che parea le volessero leggere nell'anima, e nella sua
voce si mise a palpitare, per così dire, un'emozione che era l'effetto
di un'incantevole speranza.
Ad un punto ella afferrò vivamente la mano della giovane, che teneva gli
occhi bassi ed era presa ancor essa da un notevolissimo turbamento.
— Eugenia, le disse con ineffabile passione, oh! ditemi il vero voi, oh
non vogliate ingannarmi voi pure!... È un sogno illusore che nacque
nella mia fantasia? è la voce del cielo che mi parla segretamente
all'anima? Una folle speranza mi è entrata in cuore.... Io non sono
tanto infelice come mi si vorrebbe far credere.... Mio figlio non è
compiutamente perduto per me, come sarebbe se lo possedesse la tomba....
La cognata di Modestina non ci resse; sollevò i suoi occhi in cui in
mezzo alle lagrime di commozione brillava la gioia di poter dare a
quell'afflita madre un conforto: con una famigliarità che non s'era mai
permesso e che ora pareva concederle la solennità del momento, ella
afferrò le mani della marchesina e le strinse forte.
Aurora indovinò la buona risposta che stava per uscire dalle labbra
tremolanti di quella donna; gittò un grido di giubilo e disse
affannosamente:
— Ah! Mio figlio vive?
Eugenia non aveva che un monosillabo da pronunciare per dar la risposta;
ma non lo potè profferire. Suonarono ad impedirglielo un passo e poi
tosto una voce d'uomo.
— Ritiratevi Eugenia: disse questa voce: debbo parlare alla signora
marchesa.
Le due donne si volsero in sussulto, Aurora contrariata, Eugenia
esterrefatta; era loro dinanzi la faccia scialba, falsa ed antipatica di
messer Nariccia.
— Che mi volete? domandò asciuttamente Aurora, appena Eugenia fu uscita
della stanza.
— Esporle gli ordini che ho ricevuti or ora da S. E. il marchese suo
padre.
— Quali sono?
— S. E., stomacata delle gazzarre rivoluzionarie che succedono in
Piemonte, se n'è partito e trovasi a Modena: mi ordina di andarvelo a
raggiungere.
— Ed io?
— Ella sarà condotta in pari tempo da Padre Bonaventura a quel monastero
che egli medesimo ha scelto.
Aurora si drizzò in piedi con vivacità.
— Io! Ad un monastero!
— Il marchese lo ha ordinato.
— Mostratemi la sua lettera.
— Eccola.
La giovane la lesse, e poi rimase un poco immobile, assorta in profonda
riflessione. Che cosa doveva ella fare? e che cosa avrebbe potuto se non
obbedire? Curvò la testa e disse con voce appena intelligibile:
— Sta bene: farò quel che vuole mio padre. Nariccia si dispose ad uscire
senz'altro: ma quando fu alla soglia, colla mano già sulla gruccia della
serratura, Aurora si riscosse e fece vivamente alcuni passi verso di
lui.
— Udite: diss'ella con accento quasi di supplicazione.
L'intendente si fermò e stette in attitudine di chi aspetta gli ordini
d'un suo superiore. La marchesina gli parlò con tutta la più soave
dolcezza della sua voce.
— Voi non avete alcuna ragione di volere il mio male. Che cosa vi ho io
fatto perchè abbiate da essermi nemico?
— Io sono il più fedele de' suoi servitori: rispose Nariccia colla sua
più ipocrita sembianza.
— Ho una voce in cuore che mi dice mio figlio non essere morto.... Ah!
io avrei per voi la maggiore riconoscenza del mondo, se voi foste così
pietoso da restituirmelo.
Nariccia alzò dalla punta de' suoi scarponi lo sguardo de' suoi occhi
birci, e lo fece guizzare un momento sulla faccia d'Aurora.
— Suo figlio? diss'egli poi colla voce flebile di chi con pena si decide
a parlare di cosa altrui dolorosa. Perchè la vuole tornar sempre su
questo per lei crudelissimo argomento? Oh! se io potessi
restituirglielo! Che cosa non farei per ciò? Ma la terra non rende più
la sua preda.
Aurora, dimentica un momento di quel suo riserbo di maniere con cui
aveva sempre trattato Nariccia, lo prese ad un braccio e glie lo strinse
forte.
— Mi giurate voi che il mio bambino è morto davvero? Me lo giurate
sull'anima vostra?
Nariccia, che conosceva perfettamente la teoria gesuitica delle
restrizioni mentali, rispose senza punto esitare:
— Glie lo giuro.
La giovane lasciò andare il braccio di lui, e le mani le caddero
abbandonatamente lungo il corpo con desolata rassegnazione.
— Partirò quando si voglia: diss'ella dopo un poco, facendo un atto che
indicava preferire a quel momento rimaner sola, e Nariccia s'affrettò a
levarsi dalla presenza di lei.
— Che cosa avete detto? Domandò l'intendente con feroce cipiglio ad
Eugenia, avutala sola tosto dopo quel colloquio con Aurora. Che cosa
avete lasciato capire alla marchesina?
Eugenia, allibita, non seppe che cosa rispondere.
— Traditrice: riprese più niquitoso che mai il tristo. Voi ora, tosto,
senza un minuto d'indugio, prendete le vostre robe ed uscite di questa
casa.
La misera, senza il menomo cenno di resistenza, si dispose ad obbedire.
Avrebbe voluto vedere ancora la padrona cui stava per abbandonare per
sempre, ma non le fu concesso. Nariccia per punirnela avrebbe anche
voluto privarla affatto di quella somma che le era stata promessa per
comprarne il complice silenzio, ma in ciò Modestina si intromise
efficacemente, ed aiutata da Padre Bonaventura ottenne che ciò nulla
meno Eugenia non fusse priva del pattuito compenso. Usci essa di quella
casa nè le si diminuì il rimorso del suo passivo concorso a quell'empio
delitto che ogni giorno le sembrava maggiore, di avere derubato ad una
madre il figliuolo; e molte volte anco di poi fu sul punto di rinviare a
chi l'aveva pagata i mal guadagnati denari, per riprendere il diritto di
dar compiutamente ascolto alla sua coscienza e rivelar tutta la verità
in una lettera alla marchesina Aurora.
Ma com'avrebb'ella fatto poscia per vivere? Tornare a Torino le
ripugnava profondamente: preferiva rimanere dove non si sapesse che suo
padre e suo marito erano condannati in carcere per truffa; pose la sua
dimora a Milano e cercò lavoro per guadagnarsi la vita. Presto conobbe
che non era così facile il trovare questo lavoro, principalmente a lei
nello stato di gravidanza inoltrata in cui si trovava. Se non avesse
avuto la somma pagatale da Nariccia avrebbe dovuto morire di fame essa
stessa, altro che poter bastare alle provviste necessarie pel nascituro,
ai bisogni di quest'esso quando fosse venuto al mondo. Ritenne con pena
il male acquistato denaro e si tacque.
Aurora frattanto era stata condotta al monastero scelto da Padre
Bonaventura. Aveva ella domandato di Eugenia e meravigliatasi assai
dell'improvvisa di lei sparizione, ed erale stato risposto da tutti
d'accordo che, venuta prima che si credesse a maturanza la gestazione di
lei, aveva essa dovuto allontanarsi sollecitamente per disporsi al parto
che in quella casa non si doveva, nè si voleva avesse luogo. La
spiegazione era affatto naturale, ma tuttavia sembrava ad Aurora che un
momento avrebbe pur potuto averlo Eugenia a venirle dare il saluto
d'addio, e un intimo sospetto ch'ella si guardò bene dal manifestare ad
alcuno, l'avvertiva che par null'altro erasi impedito fra lei e quella
donna un ultimo colloquio che pel timore si ripigliasse fra loro quel
discorso cui la venuta di Nariccia aveva in sì mal punto interrotto. La
speranza convien dire che sia un'edera tenace e vivacissima quando
s'attacca al cuore d'una madre e per poco favorevoli che trovi le
circostanze pur vive, poichè un vago sentimento di essa, una specie di
lusinga continuò ad esistere nel fondo dell'anima di Aurora, cui ella
nascose quasi come un tesoro che temesse le venisse rapito, e ad
appurare la verità del quale sentimento ella si riprometteva di
impiegare ogni mezzo che le si presentasse ed appena potesse.
Modestina Luponi, pagata de' suoi servigi, fu congedata colle più serie
minaccie s'ella parlasse, e fra Bonaventura e Nariccia s'incaricarono di
vegliare sul suo silenzio. Ella, datasi in preda alla più sregolata
vita, non istette gran tempo che cadde nella miseria, vide, come udimmo
da lei medesima narrato, volgere a male sua figlia, e visse finalmente
di elemosine col raccattato nipotino di cui traeva, come sappiamo,
profitto, elemosine alle quali concorreva dapprima la famiglia
Baldissero e poi, quando l'attuale marchese, stomacato di lei, proibì la
si lasciasse ancora entrare nel suo palazzo, che la aiutava a guadagnare
Padre Bonaventura, rimasto sempre con lei in abbastanza intime
attinenze.
Aurora stette un anno circa nel monastero. Passato questo tempo, suo
fratello tornò di Spagna. La sua anima buona e generosa era tormentata
dal rimorso di tutto il male che aveva fatto a quella sorella, cui aveva
amato ed amava tuttavia pur tanto. Si adoperò presso il padre affinchè
Aurora fosse ripresa come prima in famiglia, posto compiutamente in
oblio, come se non fosse avvenuto mai, tutto il passato. Ma il marchese
padre disse che non altrimenti sua figlia avrebbe potuto degnamente
tornare e non sarebbe tornata alla società che al braccio d'uno sposo,
il quale coll'onorevolezza del suo nome coprisse tutto il disdoro
dell'episodio trascorso; Aurora da canto suo si mostrò riluttante ad
ogni modo a entrare di bel nuovo nel seno della famiglia, in quel luogo
pieno di memorie ora tanto dolorose per lei, in mezzo a persone che
avevano cagionato la sua irrimediabile sventura. Si rifiutò ella persino
a tutta prima a rivedere suo fratello che supplicava caldamente di
poterle andare a chieder perdono; e acconsentì finalmente a riceverlo,
perchè un nuovo disegno era nato in lei, attinente sempre a quella
incerta, irragionevole speranza che pur durava nel suo cuore.
Con qual animo si trovassero a fronte dopo tanto tempo e dopo le cose
intravvenute, fratello e sorella, è più facile immaginare che
descrivere. Il cuore palpitava ad entrambi, a lui di tenerezza soltanto;
a lei parte di commozione nel trovarsi a fronte il compagno della sua
infanzia, l'amico più caro della sua giovinezza, parte d'odio nel
pensare che quello era pur l'uccisore del suo Maurilio.
I primi minuti del colloquio furono penosamente impacciati. Fu Aurora
medesima che dominata dal concepito disegno, diede per prima più animata
andatura al discorso. Disse al fratello le sue vaghe speranze, aggiunse
che allora avrebbe perdonato a chi le aveva tolto il marito, quando egli
le avesse restituito il figliuolo. Il marchese non potè a meno che
trovare destituiti d'ogni buon fondamento quei dubbi onde si lusingava
l'amore materno d'Aurora: ma pure promise a lei ed a se stesso che tutto
avrebbe fatto per venire in chiaro della verità e se la cosa era
possibile, egli ad ogni costo avrebbe ritornato fra le braccia della
misera madre il bambino.
Per saper qualche cosa in proposito non gli si presentava che un mezzo:
quello d'interrogare la persona che da suo padre era stata incaricata di
accudire ad Aurora, l'intendente Nariccia; ed il marchese, benchè senza
la menoma credenza che i sospetti della sorella avessero ragione, si
recò da lui. Nariccia a quel tempo aveva già abbandonato il servizio
della casa di Baldissero e si era dato esclusivamente a quel bel
traffico d'usuraio che doveva gonfiare sino ai milioni la già rotonda
cifra dell'aver suo.
Non occorre dire come alle prime parole che il marchese figliuolo
diresse a quel tristo a tal riguardo, egli giurasse, e spergiurasse che
il bambino era morto per davvero, positivamente morto, e non c'era più
da discorrerne. Il fratello d'Aurora stava per partirsene, quando una
subita ispirazione suscitata in lui dal desiderio di non lasciar nulla
d'intentato per soddisfare all'assuntosi debito, lo fece arrestarsi e
ricorrere ad un argomento che, per la conoscenza cui già aveva del suo
interlocutore, sapeva potentissimo sull'animo di lui; promise che se mai
questo bambino non fosse morto e venisse ritrovato, si sarebbe disposti
a ricompensare chi lo recasse alla madre con una vistosa somma che si
lascierebbe fissare a quel fortunato medesimo a cui si dovrebbe il suo
rinvenimento.
Nariccia non fu tanto padrone di sè da non manifestare una certa
emozione onde fu sovraccolto, e il marchese che se ne accorse, cominciò
a sentire alquanto scossa la sua incredulità nei dubbi e nei
presentimenti della sorella. Ripetè le sue parole, insistette con
calore, fece ad ogni modo perchè quella emozione momentanea di Nariccia
si traducesse in qualche precisa parola, in qualche ulterior segno
soltanto onde un più sicuro concetto egli potesse farsi del fondamento o
della insussistenza di quella speranza; ma l'accorto impostore aveva
saputo metter tosto la maschera al suo volto impassibile e si rinchiuse
nelle precedenti negative espresse gli è vero con meno vigore di prima.
Il marchese uscì di colà coll'animo combattuto; stette parecchi giorni
infra due e si decise finalmente ad un grande ed audacissimo passo:
quello di aprirsene a suo padre.
CAPITOLO IV.
Nel marchese padre, da qualche tempo veniva declinando assai la salute,
ed avreste detto sfuggirgli a poco a poco la vita. Il suo carattere,
divenuto taciturno e melanconico, era pur tuttavia rimasto fiero ed
orgoglioso del pari. Usciva di rado fuor del palazzo, spessi giorni non
abbandonava il suo appartamento, di frequente non discendeva manco di
letto: non si lamentava mai di nessun male, non faceva nulla, non voleva
medico intorno a sè, amava rimaner solo, passavano dei giorni intieri
senza ch'ei disserrasse le labbra a dir pure una parola. Chi avesse
conosciuto l'intima storia degli ultimi anni passati, avrebbe potuto
dire che un interno rimorso con travaglio continuo ne consumava
l'esistenza, se il suo aspetto, l'espressione della sua fisionomia non
avessero fatto troppo aperto contrasto a tale supposizione. In lui non
c'era nulla dell'uomo che si pente o soltanto rimpiange quel che ha
fatto: nè una parola, nè pur la fugace mostra d'una sensazione. Padre
Bonaventura che il più delle volte era solo ammesso alla presenza di
lui, ed al quale non si rifiutava mai l'ingresso e il marchese pareva
tenere aperto il più riposto sacrario dell'anima sua, non udì mai
parola, non sorprese mai atto nè cenno qualsiasi da cui altra cosa si
potesse indurre se non questa: che il marchese ciò che aveva fatto
sarebbe disposto a ripeterlo di tutto punto, dove ne fosse il caso.
Eppure egli veniva morendosi a poco a poco. Tutti lo scorgevano intorno
a lui, e lo scorgeva e mostrava saperlo egli pure. Quando gli si parlava
di cose avvenire, aveva un certo sorriso sulle sue labbra tirate che
mostrava com'egli non avesse più illusione di sorta sul suo destino.
L'orizzonte del suo futuro, nel pensiero come nelle parole, egli lo
limitava alla data di pochi mesi: allo scultore aveva dato egli stesso
la commissione del bassorilievo che nel sepolcro di famiglia avrebbe
segnato la sua fossa e fissatogli il tempo in cui avrebbe dovuto essere
compito; nelle mani del Re aveva rassegnato tutte le sue cariche di
Corte, e la solitudine di cui voleva essere circondato oramai era per
lui la preparazione a morire.
E che così fosse era persuaso quant'altri mai anche Nariccia. La morte
del marchese avrebbe potuto mutare le condizioni e le convenienze del
già intendente verso la famiglia, rapporto all'episodio doloroso che
riguardava la marchesina Aurora. Le parole del fratello di costei
aprirono allo scellerato un nuovo campo di speculazioni in proposito.
Certo egli era già che la povera madre avrebbe pagato vistosamente per
riavere il figliuolo creduto morto; ora le s'aggiungeva il fratello:
destramente maneggiandosi egli avrebbe potuto ricavare e dall'uno e
dall'altra i migliori guadagni del mondo, se la paura del vecchio
marchese non ne lo avesse ad ogni modo trattenuto. Ma questa paura
poteva dileguarsi: pochi mesi ancora, e chi la ispirava facilmente non
sarebbe stato più. Che cosa avrebb'egli ottenuto dai figliuoli suoi
quando egli si fosse presentato loro col bambino ricuperato, adducendo
incontrovertibili prove dell'identità del medesimo? E giustamente il
giorno dopo quello in cui era venuto da Nariccia il fratello d'Aurora a
fargliene le aperture che sappiamo, il marchese padre, assalito da nuova
debolezza, si sentiva nell'impossibilità di levarsi di letto e
confessava esser preso da una tale languidezza che gli pareva quasi
sciolto il legame che tiene l'anima incatenata al corpo. Alcuni giorni
passarono in cui quel malore venne via via crescendo; parve all'infermo
stesso fosse opportuno farsi amministrare i sacramenti onde la religione
conforta la morte dei cristiani, e fra' Bonaventura a cui glie ne disse,
pensò a tutt'altro che a dissentire.
Codesto spinse vieppiù Nariccia alla determinazione di adoprarsi in
guisa da potere, morto il marchese, presentare ad Aurora il bambino
fatto rivivere; vedremo più tardi come e che cosa egli facesse per ciò;
ma intanto si può dire fin d'ora che in breve tutto fu da lui immaginato
e preparato, perchè dopo la morte del vecchio marchese fossero
soddisfatti i voti e le speranze d'Aurora.
E di costei che cosa ne avveniva? La cresciuta infermità del padre e
l'avvicinatosi pericolo avevano consigliato al fratello d'Aurora di
tentare una riconciliazione fra il moribondo e la figliuola. Al primo
fece, per mezzo di fra' Bonaventura, inculcare la virtù del perdono,
alla seconda scrisse egli medesimo dicendo esser obbligo de' figli
innanzi all'agonia de' genitori obliar tutto e cancellar dall'animo
anche i più giusti risentimenti. Riuscì ad ottenere che il padre
consentisse ad accogliere la figliuola, e questa non si rifiutasse ad
entrare di nuovo nella casa paterna. Tra padre e figlia nel ritrovarsi
in presenza di nuovo dopo tali e tanti avvenimenti, non si scambiò una
parola d'affetto, nè un cenno pure qualsiasi che alludesse a quanto era
passato. Fu peggio che freddo il loro contegno: il dovere solo riuniva
ora quelle due persone fra esse, non più la menoma corrente di
benevolenza; nel contegno del vecchio, anzi, un'irritazione quasi un
accanimento d'ostilità, frenato, ma non punto sminuito da quello che
aveva voluto la morte di Valpetrosa e le lagrime amarissime d'Aurora.
Questa si pose a dare al padre tutte quelle cure che lo stato di lui
richiedeva, che il suo dovere di figlia imponevale; ma il vecchio mostrò
che quelle attenzioni e la presenza medesima di lei tornavangli
fastidiose, ed Aurora si tenne, per quanto le convenienze permettevano,
lontana dal letto e dalla camera paterna.
In questo stato di cose il marchese figliuolo ebbe l'infelicissima
ispirazione di credere che il vecchio padre non avrebbe voluto scendere
nella tomba senza riparare, quando ciò si potesse, al soverchio dolore
dato alla figliuola, alla barbara ingiustizia usata verso l'innocente di
lei creaturina, se pur era vero che il bambino vivo fosse stato
strappato alle braccia della madre, e condannato al disonore ed alle
miserie del trovatello. Aspettò un di in cui parve tornato qualche poco
più di forza all'infermo, e chiamando in aiuto tutto il coraggio ond'era
capace, entrò risolutamente nel discorso, e disse a suo padre dei
sospetti di Aurora, del passo ch'egli aveva fatto presso Nariccia,
dell'ambiguo contegno di costui onde ancor egli aveva sentito qualche
dubbio cui prima non avrebbe accolto mai, e finì colle più calde
suppliche e deprecazioni affinchè, se tanta crudeltà era stata veramente
commessa, non si tardasse oltre a rimediarvi, non volesse il malato
tenere sotto il peso di sì grave risponsabilità la sua vecchiaia. Il
marchese padre al discorso del figliuolo rimase in apparenza
perfettamente insensibile, da un vivo lampeggiar d'occhi all'infuori che
alle prime parole udite gli accese lo sguardo e poi tosto si spense.
Quando il fratello d'Aurora si fu taciuto, il vecchio volse verso di lui
un sogghigno ironico ed una faccia beffarda.
— E tu credi a codeste fandonie? diss'egli. Un diplomatico tuo pari, un
uomo d'ingegno, come ti ho sempre creduto!... Va, lasciami tranquillo, e
non venire altrimenti a turbare la mia quiete con simili fiabe.
Ma rimasto solo, il vecchio marchese fece venire a sè il suo servo di
confidenza e gli comandò senza indugio, andasse in cerca della Modestina
e glie la menasse il più sollecitamente possibile, facendola passare per
la segreta scaletta del palazzo e in ora tale che i figliuoli di lui non
potessero non che vederla, ma neppure avere il menomo sentore della sua
venuta. Fu egli prontamente obbedito, e poche ore dopo, quella che
doveva poi essere sopranominata la _Gattona_, trovavasi presso al letto
del vecchio marchese. Questo esigeva da lei gli raccontasse la verità,
ma proprio e tutta la verità di quello che era accaduto alla nascita di
quel bambino, cui egli aveva voluto e voleva per l'affatto smarrito; e
sarebbe detto che il bambino, durante il terribile periodo trascorso
della infermità di lei, era morto; ma ora, vedendone tanto spasimo,
giudicando che tal novella sarebbe stato un precipitarla di nuovo in
quello stato da cui appena era venuta fuori, sarebbe anzi molto più
facilmente un ucciderla addirittura, Modestina non ebbe il coraggio di
darle un colpo così crudele. Rispose adunque esitando che il piccino si
era dovuto per forza allontanarlo per dargliene una nutrice, ma che
Aurora intanto non istesso in pena per lui, al quale in ogni modo era
accuratamente provvisto.
L'inferma trovò per prima cosa che si sarebbe dovuto far venire questa
nutrice presso di lei, piuttosto che allontanare da lei il figliuolo;
volle sapere se il luogo dove egli era a balia fosse lontano, se lo si
sarebbe potuto aver di frequente colà dove essa giaceva inferma, che già
star lungo tempo senza vederlo, non la voleva a niun patto; se la
famiglia presso cui s'era allogato il bambino fosse tale da ispirare
tranquillità e fiducia per le cure che si avessero di lui: alle quali
cose tutte, Modestina, non preparata, rispose impacciatamente e con
affatto nessuna soddisfazione di Aurora.
Ed era già costei piena di dubbi parecchi e di ansie indefinite, quando
sopravvenne Padre Bonaventura, al quale con più ardore, con più
sollecita insistenza ella rivolse le interrogazioni medesime.
Il gesuita sedette presso al letto dell'inferma, cogli occhi bassi, le
mani incrociate sul ventre, la mossa d'uomo in sè raccolto, scambiò due
o tre occhiate colla Modestina che gli ammiccava di soppiatto per
significargli come la pietà le avesse consigliato di parlare alla
padrona un po' diversamente da quel che era stato inteso fra di loro, e
quando Aurora ebbe finito le sue domande e stava attendendo ansiosamente
risposta, il frate diede alle sue sembianze l'espressione d'un intimo,
profondo cordoglio, d'un rassegnato dolore, mandò un sospiro, levò gli
occhi al cielo, e tutto compunto incominciò un sermoncino di melliflua
rettorica per esporre che questa terra è una valle di lagrime, che Dio
non vuole si metta nella creatura tutto il nostro affetto, che dobbiamo
prepararci alle grandi prove e sostenerle con fermo animo, quando le ci
arrivano, eccetera, eccetera.
La povera madre che aveva notalo l'impaccio della cameriera, gli sguardi
scambiati fra costei ed il gesuita, interruppe ad un punto quella
predica con un grido straziante che partiva dal profondo dell'anima.
— Gran Dio! Mio figlio non è più!
Le rispose troppo eloquentemente il silenzio della cameriera e di Padre
Bonaventura. L'infelice arrovesciò il capo sui guanciali, divenne più
pallida che un cadavere, chiuse gli occhi e mandò un fievol gemito: era
svenuta.
— Misericordia! esclamò la Modestina: ella è morta.
Il gesuita si curvò sulla giacente ad esaminarne l'aspetto, e le pose
una mano sul cuore.
— No, diss'egli; la Provvidenza non le vuole far questa grazia.
Si dovette ricominciare la lotta colla morte, ed anco questa volta
vinsero la gioventù e la natura.
Ma una persona era intorno all'inferma che aveva di lei la massima pietà
e sentiva nel cuore un cocente rimorso dei fatti suoi: la povera
Eugenia. Ella si diceva di aver empiamente mancato alla solenne promessa
da lei data ad Aurora di fare ogni possibil cosa affine di salvarle il
figliuolo; degli spasimi che soffriva la madre orbata ella accusava sè
stessa che se avesse mantenuto fede, avrebbe potuto conservarle allato
il bambino. Qual modo avrebbe potuto avere per ciò non sapeva bene; ed
anzi talvolta per iscusarsi innanzi a sè stessa dicevasi che nessuno
affatto era in poter suo e lo avesse anche tentato, ella ad altro non
sarebbe riuscita che a farsi cacciare di colà; ma pur tuttavia non
poteva tranquillare la sua coscienza. Non aveva ella accettato un
compenso pel suo silenzio? Lo aveva fatto per suo figlio: ma doveva ella
per un vantaggio al suo sacrificare il figliuolo della donna che in lei
s'era affidata? Un pauroso presentimento, allora invadeva il suo animo.
Codesto le avrebbe recato disgrazia; Dio ne l'avrebbe punita, dicevasi;
ma purchè non la volesse punir poi nel figliuol suo! Raccapricciava a
questo pensiero. Se la sorte l'avesse voluta colpir poi colla pena del
taglione? Se anco a lei una mano crudele venisse a rapir poi quel frutto
delle sue viscere che già amava cotanto? Sentiva allora che togliere un
figlio a sua madre era il più iniquo delitto che si potesse compire: ed
ella di questo infame delitto s'era fatta complice! Infelice! I suoi
paurosi presentimenti dovevano aver ragione; ed ella stessa un anno dopo
doveva provare, prima di morire, lo spasimo atroce di vedersi rapito il
figliuolo.
Codesto faceva che amorosissime, incessanti, piene d'uno zelo
impareggiabile fossero le cure che Eugenia prodigava all'inferma.
Avrebbe dato tutto di sè per restituirle la salute e il figliuolo; la
sua vita non fosse stata necessaria per un altro essere, avrebbe offerta
anche quella in benefizio d'Aurora.
A questa intanto ritornando a poco a poco la salute e la possibilità,
non certo la voglia di vivere, era più forte rinato il desiderio di
conoscere ogni particolarità della morte del suo bambino. Voleva le si
dicesse ogni menoma cosa che riguardasse quel luttuoso avvenimento;
domandava dove fosse stato il corpicciuolo sepolto, voleva che colà
sorgesse un modesto tumulo a segnarne il luogo che sarebbe stato in
avvenire meta a frequenti e pietosi di lei pellegrinaggi, moveva
un'infinità di interrogazioni che mettevano in imbarazzo le due donne e
sopratutto l'Eugenia, alla quale sentendo per lei più simpatia, Aurora
volgeva con più amorevole insistenza, con più pressante supplicazione le
sue domande.
Eugenia non sapeva mentire. Oltre ciò, col pensare e ripensare a quel
crudele atto a cui ella aveva partecipato in danno della povera Aurora,
aveva finito per giungere alla conclusione che il male cagionato non era
irrimediabile; ella sapeva quali contrassegni fossero stati posti al
bambino, mercè cui poterlo riconoscere; svelando tutta la verità alla
giovane madre, questa poteva ottenere da Nariccia le dicesse il luogo
dove il fanciullo era stato abbandonato e, per via di que' certi indizi,
riaverlo: stava adunque discutendo seco stessa intorno all'opportunità
di tutto rivelare ad Aurora. Questa, da parte sua, guidata da una specie
di segreto istinto, aveva maturamente riflettuto seco stessa
sull'imbarazzo, sulle incertezze, sulle contraddizioni che aveva dovuto
notare nelle risposte fatte alle sue domande intorno la morte del
bambino, ed una vaga, inesplicabile speranza le era nata in cuore che la
si fosse voluta ingannare, che il suo figliuolo non fosse morto. Le
pareva impossibile che ella potesse rimanere ancora sulla terra quando
ne fossero partiti lo sposo ed anco il bambino; Dio avrebbe avuto tanta
pietà almeno da farla morire, lei pure; se la aveva conservata malgrado
tutto a questa vita, gli era dunque ch'ella ci aveva da fare ancora
qualche cosa, e qual altro dovere poteva incomberle oramai fuor quello
di madre?
Da queste mutue disposizioni dei loro animi avvenne che una volta
finalmente che Aurora ed Eugenia eran rimaste sole, si fu molto presso a
venir fuori la verità. La figliuola del marchese aveva riprese le sue
dimande e le ripeteva con maggiori l'insistenza e la pressa; la cognata
di Modestina rispondeva più impacciata che mai. Aurora la guardava con
occhi penetranti che parea le volessero leggere nell'anima, e nella sua
voce si mise a palpitare, per così dire, un'emozione che era l'effetto
di un'incantevole speranza.
Ad un punto ella afferrò vivamente la mano della giovane, che teneva gli
occhi bassi ed era presa ancor essa da un notevolissimo turbamento.
— Eugenia, le disse con ineffabile passione, oh! ditemi il vero voi, oh
non vogliate ingannarmi voi pure!... È un sogno illusore che nacque
nella mia fantasia? è la voce del cielo che mi parla segretamente
all'anima? Una folle speranza mi è entrata in cuore.... Io non sono
tanto infelice come mi si vorrebbe far credere.... Mio figlio non è
compiutamente perduto per me, come sarebbe se lo possedesse la tomba....
La cognata di Modestina non ci resse; sollevò i suoi occhi in cui in
mezzo alle lagrime di commozione brillava la gioia di poter dare a
quell'afflita madre un conforto: con una famigliarità che non s'era mai
permesso e che ora pareva concederle la solennità del momento, ella
afferrò le mani della marchesina e le strinse forte.
Aurora indovinò la buona risposta che stava per uscire dalle labbra
tremolanti di quella donna; gittò un grido di giubilo e disse
affannosamente:
— Ah! Mio figlio vive?
Eugenia non aveva che un monosillabo da pronunciare per dar la risposta;
ma non lo potè profferire. Suonarono ad impedirglielo un passo e poi
tosto una voce d'uomo.
— Ritiratevi Eugenia: disse questa voce: debbo parlare alla signora
marchesa.
Le due donne si volsero in sussulto, Aurora contrariata, Eugenia
esterrefatta; era loro dinanzi la faccia scialba, falsa ed antipatica di
messer Nariccia.
— Che mi volete? domandò asciuttamente Aurora, appena Eugenia fu uscita
della stanza.
— Esporle gli ordini che ho ricevuti or ora da S. E. il marchese suo
padre.
— Quali sono?
— S. E., stomacata delle gazzarre rivoluzionarie che succedono in
Piemonte, se n'è partito e trovasi a Modena: mi ordina di andarvelo a
raggiungere.
— Ed io?
— Ella sarà condotta in pari tempo da Padre Bonaventura a quel monastero
che egli medesimo ha scelto.
Aurora si drizzò in piedi con vivacità.
— Io! Ad un monastero!
— Il marchese lo ha ordinato.
— Mostratemi la sua lettera.
— Eccola.
La giovane la lesse, e poi rimase un poco immobile, assorta in profonda
riflessione. Che cosa doveva ella fare? e che cosa avrebbe potuto se non
obbedire? Curvò la testa e disse con voce appena intelligibile:
— Sta bene: farò quel che vuole mio padre. Nariccia si dispose ad uscire
senz'altro: ma quando fu alla soglia, colla mano già sulla gruccia della
serratura, Aurora si riscosse e fece vivamente alcuni passi verso di
lui.
— Udite: diss'ella con accento quasi di supplicazione.
L'intendente si fermò e stette in attitudine di chi aspetta gli ordini
d'un suo superiore. La marchesina gli parlò con tutta la più soave
dolcezza della sua voce.
— Voi non avete alcuna ragione di volere il mio male. Che cosa vi ho io
fatto perchè abbiate da essermi nemico?
— Io sono il più fedele de' suoi servitori: rispose Nariccia colla sua
più ipocrita sembianza.
— Ho una voce in cuore che mi dice mio figlio non essere morto.... Ah!
io avrei per voi la maggiore riconoscenza del mondo, se voi foste così
pietoso da restituirmelo.
Nariccia alzò dalla punta de' suoi scarponi lo sguardo de' suoi occhi
birci, e lo fece guizzare un momento sulla faccia d'Aurora.
— Suo figlio? diss'egli poi colla voce flebile di chi con pena si decide
a parlare di cosa altrui dolorosa. Perchè la vuole tornar sempre su
questo per lei crudelissimo argomento? Oh! se io potessi
restituirglielo! Che cosa non farei per ciò? Ma la terra non rende più
la sua preda.
Aurora, dimentica un momento di quel suo riserbo di maniere con cui
aveva sempre trattato Nariccia, lo prese ad un braccio e glie lo strinse
forte.
— Mi giurate voi che il mio bambino è morto davvero? Me lo giurate
sull'anima vostra?
Nariccia, che conosceva perfettamente la teoria gesuitica delle
restrizioni mentali, rispose senza punto esitare:
— Glie lo giuro.
La giovane lasciò andare il braccio di lui, e le mani le caddero
abbandonatamente lungo il corpo con desolata rassegnazione.
— Partirò quando si voglia: diss'ella dopo un poco, facendo un atto che
indicava preferire a quel momento rimaner sola, e Nariccia s'affrettò a
levarsi dalla presenza di lei.
— Che cosa avete detto? Domandò l'intendente con feroce cipiglio ad
Eugenia, avutala sola tosto dopo quel colloquio con Aurora. Che cosa
avete lasciato capire alla marchesina?
Eugenia, allibita, non seppe che cosa rispondere.
— Traditrice: riprese più niquitoso che mai il tristo. Voi ora, tosto,
senza un minuto d'indugio, prendete le vostre robe ed uscite di questa
casa.
La misera, senza il menomo cenno di resistenza, si dispose ad obbedire.
Avrebbe voluto vedere ancora la padrona cui stava per abbandonare per
sempre, ma non le fu concesso. Nariccia per punirnela avrebbe anche
voluto privarla affatto di quella somma che le era stata promessa per
comprarne il complice silenzio, ma in ciò Modestina si intromise
efficacemente, ed aiutata da Padre Bonaventura ottenne che ciò nulla
meno Eugenia non fusse priva del pattuito compenso. Usci essa di quella
casa nè le si diminuì il rimorso del suo passivo concorso a quell'empio
delitto che ogni giorno le sembrava maggiore, di avere derubato ad una
madre il figliuolo; e molte volte anco di poi fu sul punto di rinviare a
chi l'aveva pagata i mal guadagnati denari, per riprendere il diritto di
dar compiutamente ascolto alla sua coscienza e rivelar tutta la verità
in una lettera alla marchesina Aurora.
Ma com'avrebb'ella fatto poscia per vivere? Tornare a Torino le
ripugnava profondamente: preferiva rimanere dove non si sapesse che suo
padre e suo marito erano condannati in carcere per truffa; pose la sua
dimora a Milano e cercò lavoro per guadagnarsi la vita. Presto conobbe
che non era così facile il trovare questo lavoro, principalmente a lei
nello stato di gravidanza inoltrata in cui si trovava. Se non avesse
avuto la somma pagatale da Nariccia avrebbe dovuto morire di fame essa
stessa, altro che poter bastare alle provviste necessarie pel nascituro,
ai bisogni di quest'esso quando fosse venuto al mondo. Ritenne con pena
il male acquistato denaro e si tacque.
Aurora frattanto era stata condotta al monastero scelto da Padre
Bonaventura. Aveva ella domandato di Eugenia e meravigliatasi assai
dell'improvvisa di lei sparizione, ed erale stato risposto da tutti
d'accordo che, venuta prima che si credesse a maturanza la gestazione di
lei, aveva essa dovuto allontanarsi sollecitamente per disporsi al parto
che in quella casa non si doveva, nè si voleva avesse luogo. La
spiegazione era affatto naturale, ma tuttavia sembrava ad Aurora che un
momento avrebbe pur potuto averlo Eugenia a venirle dare il saluto
d'addio, e un intimo sospetto ch'ella si guardò bene dal manifestare ad
alcuno, l'avvertiva che par null'altro erasi impedito fra lei e quella
donna un ultimo colloquio che pel timore si ripigliasse fra loro quel
discorso cui la venuta di Nariccia aveva in sì mal punto interrotto. La
speranza convien dire che sia un'edera tenace e vivacissima quando
s'attacca al cuore d'una madre e per poco favorevoli che trovi le
circostanze pur vive, poichè un vago sentimento di essa, una specie di
lusinga continuò ad esistere nel fondo dell'anima di Aurora, cui ella
nascose quasi come un tesoro che temesse le venisse rapito, e ad
appurare la verità del quale sentimento ella si riprometteva di
impiegare ogni mezzo che le si presentasse ed appena potesse.
Modestina Luponi, pagata de' suoi servigi, fu congedata colle più serie
minaccie s'ella parlasse, e fra Bonaventura e Nariccia s'incaricarono di
vegliare sul suo silenzio. Ella, datasi in preda alla più sregolata
vita, non istette gran tempo che cadde nella miseria, vide, come udimmo
da lei medesima narrato, volgere a male sua figlia, e visse finalmente
di elemosine col raccattato nipotino di cui traeva, come sappiamo,
profitto, elemosine alle quali concorreva dapprima la famiglia
Baldissero e poi, quando l'attuale marchese, stomacato di lei, proibì la
si lasciasse ancora entrare nel suo palazzo, che la aiutava a guadagnare
Padre Bonaventura, rimasto sempre con lei in abbastanza intime
attinenze.
Aurora stette un anno circa nel monastero. Passato questo tempo, suo
fratello tornò di Spagna. La sua anima buona e generosa era tormentata
dal rimorso di tutto il male che aveva fatto a quella sorella, cui aveva
amato ed amava tuttavia pur tanto. Si adoperò presso il padre affinchè
Aurora fosse ripresa come prima in famiglia, posto compiutamente in
oblio, come se non fosse avvenuto mai, tutto il passato. Ma il marchese
padre disse che non altrimenti sua figlia avrebbe potuto degnamente
tornare e non sarebbe tornata alla società che al braccio d'uno sposo,
il quale coll'onorevolezza del suo nome coprisse tutto il disdoro
dell'episodio trascorso; Aurora da canto suo si mostrò riluttante ad
ogni modo a entrare di bel nuovo nel seno della famiglia, in quel luogo
pieno di memorie ora tanto dolorose per lei, in mezzo a persone che
avevano cagionato la sua irrimediabile sventura. Si rifiutò ella persino
a tutta prima a rivedere suo fratello che supplicava caldamente di
poterle andare a chieder perdono; e acconsentì finalmente a riceverlo,
perchè un nuovo disegno era nato in lei, attinente sempre a quella
incerta, irragionevole speranza che pur durava nel suo cuore.
Con qual animo si trovassero a fronte dopo tanto tempo e dopo le cose
intravvenute, fratello e sorella, è più facile immaginare che
descrivere. Il cuore palpitava ad entrambi, a lui di tenerezza soltanto;
a lei parte di commozione nel trovarsi a fronte il compagno della sua
infanzia, l'amico più caro della sua giovinezza, parte d'odio nel
pensare che quello era pur l'uccisore del suo Maurilio.
I primi minuti del colloquio furono penosamente impacciati. Fu Aurora
medesima che dominata dal concepito disegno, diede per prima più animata
andatura al discorso. Disse al fratello le sue vaghe speranze, aggiunse
che allora avrebbe perdonato a chi le aveva tolto il marito, quando egli
le avesse restituito il figliuolo. Il marchese non potè a meno che
trovare destituiti d'ogni buon fondamento quei dubbi onde si lusingava
l'amore materno d'Aurora: ma pure promise a lei ed a se stesso che tutto
avrebbe fatto per venire in chiaro della verità e se la cosa era
possibile, egli ad ogni costo avrebbe ritornato fra le braccia della
misera madre il bambino.
Per saper qualche cosa in proposito non gli si presentava che un mezzo:
quello d'interrogare la persona che da suo padre era stata incaricata di
accudire ad Aurora, l'intendente Nariccia; ed il marchese, benchè senza
la menoma credenza che i sospetti della sorella avessero ragione, si
recò da lui. Nariccia a quel tempo aveva già abbandonato il servizio
della casa di Baldissero e si era dato esclusivamente a quel bel
traffico d'usuraio che doveva gonfiare sino ai milioni la già rotonda
cifra dell'aver suo.
Non occorre dire come alle prime parole che il marchese figliuolo
diresse a quel tristo a tal riguardo, egli giurasse, e spergiurasse che
il bambino era morto per davvero, positivamente morto, e non c'era più
da discorrerne. Il fratello d'Aurora stava per partirsene, quando una
subita ispirazione suscitata in lui dal desiderio di non lasciar nulla
d'intentato per soddisfare all'assuntosi debito, lo fece arrestarsi e
ricorrere ad un argomento che, per la conoscenza cui già aveva del suo
interlocutore, sapeva potentissimo sull'animo di lui; promise che se mai
questo bambino non fosse morto e venisse ritrovato, si sarebbe disposti
a ricompensare chi lo recasse alla madre con una vistosa somma che si
lascierebbe fissare a quel fortunato medesimo a cui si dovrebbe il suo
rinvenimento.
Nariccia non fu tanto padrone di sè da non manifestare una certa
emozione onde fu sovraccolto, e il marchese che se ne accorse, cominciò
a sentire alquanto scossa la sua incredulità nei dubbi e nei
presentimenti della sorella. Ripetè le sue parole, insistette con
calore, fece ad ogni modo perchè quella emozione momentanea di Nariccia
si traducesse in qualche precisa parola, in qualche ulterior segno
soltanto onde un più sicuro concetto egli potesse farsi del fondamento o
della insussistenza di quella speranza; ma l'accorto impostore aveva
saputo metter tosto la maschera al suo volto impassibile e si rinchiuse
nelle precedenti negative espresse gli è vero con meno vigore di prima.
Il marchese uscì di colà coll'animo combattuto; stette parecchi giorni
infra due e si decise finalmente ad un grande ed audacissimo passo:
quello di aprirsene a suo padre.
CAPITOLO IV.
Nel marchese padre, da qualche tempo veniva declinando assai la salute,
ed avreste detto sfuggirgli a poco a poco la vita. Il suo carattere,
divenuto taciturno e melanconico, era pur tuttavia rimasto fiero ed
orgoglioso del pari. Usciva di rado fuor del palazzo, spessi giorni non
abbandonava il suo appartamento, di frequente non discendeva manco di
letto: non si lamentava mai di nessun male, non faceva nulla, non voleva
medico intorno a sè, amava rimaner solo, passavano dei giorni intieri
senza ch'ei disserrasse le labbra a dir pure una parola. Chi avesse
conosciuto l'intima storia degli ultimi anni passati, avrebbe potuto
dire che un interno rimorso con travaglio continuo ne consumava
l'esistenza, se il suo aspetto, l'espressione della sua fisionomia non
avessero fatto troppo aperto contrasto a tale supposizione. In lui non
c'era nulla dell'uomo che si pente o soltanto rimpiange quel che ha
fatto: nè una parola, nè pur la fugace mostra d'una sensazione. Padre
Bonaventura che il più delle volte era solo ammesso alla presenza di
lui, ed al quale non si rifiutava mai l'ingresso e il marchese pareva
tenere aperto il più riposto sacrario dell'anima sua, non udì mai
parola, non sorprese mai atto nè cenno qualsiasi da cui altra cosa si
potesse indurre se non questa: che il marchese ciò che aveva fatto
sarebbe disposto a ripeterlo di tutto punto, dove ne fosse il caso.
Eppure egli veniva morendosi a poco a poco. Tutti lo scorgevano intorno
a lui, e lo scorgeva e mostrava saperlo egli pure. Quando gli si parlava
di cose avvenire, aveva un certo sorriso sulle sue labbra tirate che
mostrava com'egli non avesse più illusione di sorta sul suo destino.
L'orizzonte del suo futuro, nel pensiero come nelle parole, egli lo
limitava alla data di pochi mesi: allo scultore aveva dato egli stesso
la commissione del bassorilievo che nel sepolcro di famiglia avrebbe
segnato la sua fossa e fissatogli il tempo in cui avrebbe dovuto essere
compito; nelle mani del Re aveva rassegnato tutte le sue cariche di
Corte, e la solitudine di cui voleva essere circondato oramai era per
lui la preparazione a morire.
E che così fosse era persuaso quant'altri mai anche Nariccia. La morte
del marchese avrebbe potuto mutare le condizioni e le convenienze del
già intendente verso la famiglia, rapporto all'episodio doloroso che
riguardava la marchesina Aurora. Le parole del fratello di costei
aprirono allo scellerato un nuovo campo di speculazioni in proposito.
Certo egli era già che la povera madre avrebbe pagato vistosamente per
riavere il figliuolo creduto morto; ora le s'aggiungeva il fratello:
destramente maneggiandosi egli avrebbe potuto ricavare e dall'uno e
dall'altra i migliori guadagni del mondo, se la paura del vecchio
marchese non ne lo avesse ad ogni modo trattenuto. Ma questa paura
poteva dileguarsi: pochi mesi ancora, e chi la ispirava facilmente non
sarebbe stato più. Che cosa avrebb'egli ottenuto dai figliuoli suoi
quando egli si fosse presentato loro col bambino ricuperato, adducendo
incontrovertibili prove dell'identità del medesimo? E giustamente il
giorno dopo quello in cui era venuto da Nariccia il fratello d'Aurora a
fargliene le aperture che sappiamo, il marchese padre, assalito da nuova
debolezza, si sentiva nell'impossibilità di levarsi di letto e
confessava esser preso da una tale languidezza che gli pareva quasi
sciolto il legame che tiene l'anima incatenata al corpo. Alcuni giorni
passarono in cui quel malore venne via via crescendo; parve all'infermo
stesso fosse opportuno farsi amministrare i sacramenti onde la religione
conforta la morte dei cristiani, e fra' Bonaventura a cui glie ne disse,
pensò a tutt'altro che a dissentire.
Codesto spinse vieppiù Nariccia alla determinazione di adoprarsi in
guisa da potere, morto il marchese, presentare ad Aurora il bambino
fatto rivivere; vedremo più tardi come e che cosa egli facesse per ciò;
ma intanto si può dire fin d'ora che in breve tutto fu da lui immaginato
e preparato, perchè dopo la morte del vecchio marchese fossero
soddisfatti i voti e le speranze d'Aurora.
E di costei che cosa ne avveniva? La cresciuta infermità del padre e
l'avvicinatosi pericolo avevano consigliato al fratello d'Aurora di
tentare una riconciliazione fra il moribondo e la figliuola. Al primo
fece, per mezzo di fra' Bonaventura, inculcare la virtù del perdono,
alla seconda scrisse egli medesimo dicendo esser obbligo de' figli
innanzi all'agonia de' genitori obliar tutto e cancellar dall'animo
anche i più giusti risentimenti. Riuscì ad ottenere che il padre
consentisse ad accogliere la figliuola, e questa non si rifiutasse ad
entrare di nuovo nella casa paterna. Tra padre e figlia nel ritrovarsi
in presenza di nuovo dopo tali e tanti avvenimenti, non si scambiò una
parola d'affetto, nè un cenno pure qualsiasi che alludesse a quanto era
passato. Fu peggio che freddo il loro contegno: il dovere solo riuniva
ora quelle due persone fra esse, non più la menoma corrente di
benevolenza; nel contegno del vecchio, anzi, un'irritazione quasi un
accanimento d'ostilità, frenato, ma non punto sminuito da quello che
aveva voluto la morte di Valpetrosa e le lagrime amarissime d'Aurora.
Questa si pose a dare al padre tutte quelle cure che lo stato di lui
richiedeva, che il suo dovere di figlia imponevale; ma il vecchio mostrò
che quelle attenzioni e la presenza medesima di lei tornavangli
fastidiose, ed Aurora si tenne, per quanto le convenienze permettevano,
lontana dal letto e dalla camera paterna.
In questo stato di cose il marchese figliuolo ebbe l'infelicissima
ispirazione di credere che il vecchio padre non avrebbe voluto scendere
nella tomba senza riparare, quando ciò si potesse, al soverchio dolore
dato alla figliuola, alla barbara ingiustizia usata verso l'innocente di
lei creaturina, se pur era vero che il bambino vivo fosse stato
strappato alle braccia della madre, e condannato al disonore ed alle
miserie del trovatello. Aspettò un di in cui parve tornato qualche poco
più di forza all'infermo, e chiamando in aiuto tutto il coraggio ond'era
capace, entrò risolutamente nel discorso, e disse a suo padre dei
sospetti di Aurora, del passo ch'egli aveva fatto presso Nariccia,
dell'ambiguo contegno di costui onde ancor egli aveva sentito qualche
dubbio cui prima non avrebbe accolto mai, e finì colle più calde
suppliche e deprecazioni affinchè, se tanta crudeltà era stata veramente
commessa, non si tardasse oltre a rimediarvi, non volesse il malato
tenere sotto il peso di sì grave risponsabilità la sua vecchiaia. Il
marchese padre al discorso del figliuolo rimase in apparenza
perfettamente insensibile, da un vivo lampeggiar d'occhi all'infuori che
alle prime parole udite gli accese lo sguardo e poi tosto si spense.
Quando il fratello d'Aurora si fu taciuto, il vecchio volse verso di lui
un sogghigno ironico ed una faccia beffarda.
— E tu credi a codeste fandonie? diss'egli. Un diplomatico tuo pari, un
uomo d'ingegno, come ti ho sempre creduto!... Va, lasciami tranquillo, e
non venire altrimenti a turbare la mia quiete con simili fiabe.
Ma rimasto solo, il vecchio marchese fece venire a sè il suo servo di
confidenza e gli comandò senza indugio, andasse in cerca della Modestina
e glie la menasse il più sollecitamente possibile, facendola passare per
la segreta scaletta del palazzo e in ora tale che i figliuoli di lui non
potessero non che vederla, ma neppure avere il menomo sentore della sua
venuta. Fu egli prontamente obbedito, e poche ore dopo, quella che
doveva poi essere sopranominata la _Gattona_, trovavasi presso al letto
del vecchio marchese. Questo esigeva da lei gli raccontasse la verità,
ma proprio e tutta la verità di quello che era accaduto alla nascita di
quel bambino, cui egli aveva voluto e voleva per l'affatto smarrito; e
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