La plebe, parte IV - 05
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di quel tristo ben può pensarsi cotanto orribile disegno) uno scellerato
proposito di ferire mortalmente al cuore la misera donna, annunziò la
cosa in modo che Aurora svenne e parve dovesse morire di quel colpo
ancor essa. La madre di Valpetrosa non aveva guari maggior forza e
coraggio della sposa di lui. Il trafitto recato con ogni precauzione a
casa, non potè parlar più, non potè più esprimere che cogli sguardi i
suoi ultimi addii alle dilette persone del suo cuore, e raccomandarle
ancora a Nariccia, e morì fra le braccia delle sconsolatissime donne.
Fu allora che primamente Baldissero ardì entrare in quella casa in cui
egli aveva recato il dolore. Aurora giaceva priva di sensi abbandonata
sul corpo di suo marito che abbracciava strettamente: la vecchia madre,
in un accesso di dolore furibondo, malediva colei che aveva portato al
suo figliuolo la barbara morte immatura.
Baldissero sentì stringersi il cuore, e fino da quel momento gli penetrò
nell'animo quel dubbio crudele che gli abbiamo udito manifestare tanti
anni dopo all'epoca del nostro racconto, quando si domandava, s'egli
aveva avuto il diritto di troncare colla spada dell'omicida il nodo di
quelle due esistenze, se Dio aveva da perdonargli l'aver versato quel
sangue.
Mentre il marchese rimaneva colà fermo, immobile, sovraccolto, la faccia
pallida, i lineamenti contratti, stretto il cuore da un'emozione
impossibile a dirsi, Nariccia gli si appressò rispettosamente, e gli
parlò piano:
— Che ordina Ella si faccia?
Il fratello d'Aurora volse su di lui uno sguardo torbido e semispento.
— Lasciamo quell'infelice al suo dolore. L'intendente s'appressò ancora
di più al figliuolo del suo padrone e soggiunse con voce ancora più
bassa:
— Mi rincresce, ma ho altri ordini da S. E. il marchese suo padre.
Baldissero levò la testa con qualche vivacità:
— Ah! quali?
— Trar subito fuori di questa casa l'illustrissima signora marchesina
Aurora.
— Per condurla dove?
— Ho già preso a pigione una comoda casetta fuori di città dove è
intenzione di S. E. che nascostamente da tutti la stia finchè siasi
sgravata... E mi pare opportuno profittare di questo suo stato medesimo
per togliere la signora marchesina di qua.
Il marchese stette un momento sopra pensiero e poi rispose
asciuttamente:
— Fate quel che vi ha comandato mio padre.
Quando Aurora tornò in sè la si trovò in letto entro una stanza che non
aveva visto mai, con intorno un medico sconosciuto, la sua cameriera
Modestina e dietro le cortine del letto l'ombra d'un uomo ch'ella non
poteva scorgere chi fosse.
Dapprincipio non la si ricordò di nulla; non sentiva che un
indolorimento generale, e per raccogliere il suo pensiero aveva bisogno
d'uno sforzo penosissimo che gli tornava come una viva trafittura al
cervello. Ma poi venne la funesta memoria: gittò un grido e volle
gettarsi giù dal letto: ve la trattennero con amorosa violenza.
— Lasciatemi, lasciatemi.... Il mio Maurilio!.... Il mio Maurilio!....
Dov'è?... Voglio vederlo ancora.... Siate pietosi.... Vo' morire con
lui.
L'ombra d'uomo dietro le tende s'agitò, si mosse e come tratto da una
forza esteriore, venne fuori con passo lento, quasi riluttante fino
all'arrivo degli sguardi della giacente.
Questa mandò un'esclamazione soffocata che pareva di sorpresa: si lasciò
andare sul letto senza più sforzi per togliersene, guardò fiso fiso un
istante la faccia di quell'uomo che pareva non poter riconoscere. Dopo
un poco allargò le pupille, come sotto l'impressione d'un insuperabile
orrore, si trasse indietro sui cuscini più che potè, allungando innanzi
le braccia come per respingere un'orribile visione ed esclamò con
accento pieno di ribrezzo, di sdegno, d'odio:
— Via, via, via!.... Tu qui!.... Tu osi venir qui!...
Il fratello d'Aurora si ritrasse; uscì di quella stanza con infinita
oppressura dell'anima.
La misera diede nuovamente in ismanie: ma il medico che le stava al
fianco trovò pure le magiche parole con cui ricondurla alla calma,
infonderle forza e coraggio.
— Se la fa di questa guisa, le disse, la si uccide.
Aurora lo guardò con una certa espressione che significava chiaramente:
— E che m'importa? Se gli è questo appunto ch'io voglio!
Ma il medico lesto a soggiungere:
— E la sua morte sarà quella eziandio della innocente creaturina che
porta nel suo seno. Ella ha l'obbligo, il sacrosanto obbligo di
conservarsi per suo figlio.
Aurora non rispose parola: ma si calmò di presente; stette lungo tempo
sopra pensiero, muta, immobile, appena se con sembianza di viva, tanto
era pallida, solo che tratto tratto due grosse lagrime le colavano giù
delle guancie. Quando il medico tornò a vederla, ella gli disse piano:
— Ha ragione. Debbo vivere per mio figlio: e lo voglio... Mi faccia
guarire.
Il medico si pose con tutta la sua scienza e con tutto il suo zelo a
lottare contro la morte che pareva aver già posto il suo artiglio su
quella infelice; e la lotta fu varia, lunga, dolorosa.
Mai non fu che il marchese fratello d'Aurora le comparisse dinanzi: il
medico lo aveva assolutamente proibito: ma Baldissero seguiva con ansia
e sollecitudine l'andamento della malattia di lei, nè si sarebbe mosso
di colà se notizie arrivate di Madrid non avessero costrettolo ad una
ratta partenza. Suo figlio nato da poco, Ettore, era stato assalito da
una di quelle malattie infantili che tante vite mietono nella prima età
e temevasi pei giorni suoi. Il marchese raccomandò la sorella a
Nariccia, e partì.
Ed era proprio in buone mani, la povera Aurora, affidata alle cure di
quel tristo uomo di Nariccia, il quale veniva dicendosi fra sè con
cinica e scellerata speranza:
— Se questa donna morisse, portando seco nel mondo di là il frutto del
suo amore, chi vi sarebbe ancora a cui dovrei dar conto dei capitali di
Valpetrosa?
Legalmente egli s'era già governato di modo da non avere ostacolo
nessuno alla sua ruba, poichè aveva fra le carte dell'ucciso Valpetrosa
frugato, trovato quella sua dichiara che certificava simulata la
cessione, presala e distruttala: ma se la vedova e il figliuolo del
derubato sparissero, tanto di meglio: alla madre di Maurilio contava
dare una piccola somma per azzittirla.
Ma dopo alcuni giorni intorno all'ammalata venne da Torino un'altra
persona, mandata dal padre medesimo di lei: il frate Bonaventura, il
quale Aurora guarita e liberata, doveva poi condurre al scelto
monastero: e la misera vedova di Valpetrosa fu dunque in piena balìa di
queste tre persone: Nariccia, il gesuita e la fante Modestina Luponi.
Quella che per si poco tempo era stata sua suocera non sapeva dove
Aurora fosse riparata, nè ancorchè lo avesse saputo avrebbe cercato
vederla: ned Aurora chiese mai menomamente di lei.
Non andò gran tempo che una quarta persona si aggiunse a prestare le sue
cure alla giacente, e queste furono le cure veramente amorevoli ch'ella
ebbe. La cameriera, Modestina, si lagnava che da sola erale troppo
faticoso e poco meno che impossibile il bastare ai moltissimi ed
incessanti uffizi da rendersi all'ammalata, e siccome se a quella
piccola schiera in mezzo a cui viveva Aurora era da aggiungersi una
persona, questa volevasi delle più fidate, Modestina, che tutta oramai
s'era posta ai servigi di Nariccia e di Padre Bonaventura uniti in una
comune e strettissima lega d'interessi, suggerì ella stessa una donna
che secondo lei poteva ed era dispostissima ad aiutarla nell'accudire
l'inferma, senza pericolo di ciarle o d'indiscrezioni qualsiasi: ed era
questa insieme una buona opera che la Modestina, in quel tempo non
ancora trista del tutto, come quando la conoscemmo noi sotto il nome di
_Gattona_, invecchiata e pezzente, faceva in vantaggio d'una povera
vittima, che era sua cognata, la moglie di suo fratello Michele,
soprannominato più tardi _Stracciaferro_.
E qui ci occorre fare una nuova digressione per narrare brevemente la
storia di questa infelice.
Si chiamava Eugenia ed era figliuola di un armaiuolo; questi che un
tempo se la ricavava per benino, aveva fatto dare alla figliuola un po'
d'educazione di cui essa, dotata d'un ingegno non comune, d'una buona
volontà eccezionale e di una rarissima disposizione ad apprendere, aveva
tratto un tal profitto che si sarebbe giudicato impossibile. Bellissima
e virtuosissima, aveva intorno una nuvola di galanti, da cui era la sua
saviezza sola a difenderla, perchè sua madre era morta, e suo padre,
sempre inclinato al vizio, s'era ora buttato sulla mala strada
addirittura e crescevano in lui lo sciupo del danaro, la smania dei
bagordi nella proporzione diretta con cui diminuivano il lavoro ed i
guadagni.
Michele era allora maestro di scherma; era di umore irascibile, di
carattere impetuoso, d'abitudini manesche, conscio della sua forza e
facilmente tracotante, ma non aveva commesso ancora atto che si potesse
dir disonesto. La sua abilità nel mestiere gli dava sufficienti
guadagni, e il marchese di Baldissero dietro la raccomandazione della
cameriera di sua figlia (sorella di Michele) lo aveva fatto nominare
eziandio maestro all'Accademia militare. Per ragione del suo mestiere.
Michele aveva dapprima conosciuto l'armaiuolo padre di Eugenia, e veduto
poscia quest'essa se n'era fieramente innamorato. Aveva cercato ogni
maniera per diventare intrinseco dell'armaiuolo; e siccome la più facile
era quella di farglisi compagno nella vita disordinata ch'ei menava,
Michele, il quale aveva pur esso le medesime tendenze, non trascurò
questo mezzo e divenne il compagno assiduo delle orgie e dei bagordi di
quello sciagurato, il quale in breve tempo ebbe la maggiore ammirazione
e della robustezza di stomaco del maestro di scherma che ingollava vino
a bizzeffe senza manco darsene per inteso e della forza straordinaria
dei muscoli di lui che lo facevano temuto e rispettato da tutti e la
miglior salvaguardia per quelli che fossero dalla sua in ogni baruffa
che potesse nascere, tanto che non poteva più passarsela senza l'amico
Michele.
Quando adunque quest'ultimo ebbe fatto appena un cenno del suo amore per
Eugenia e del suo desiderio d'ottenerla, il padre di lei glie la gettò,
come si suol dire, fra le braccia, lieto e di far cosa grata al suo
amicone, e per dir tutto il vero, di sbarazzarsi d'un imbarazzo e d'una
spesa.
Eugenia non amava nessuno, ma l'ideale dell'uomo a cui avrebbe voluto
dare il suo bel cuore ed il suo animo eletto era ben diverso da quello
che suo padre le presentava in isposo. La grossolanità fisica, morale ed
intellettiva di quell'omaccione facevano il più spiccato contrapposto
colla delicatezza di lei: tutto in essa si ribellava a codesta che in
fatti era una mostruosa unione, e più che un presentimento la certezza
d'un'infelicissima sorte le si affacciava alla mente. Volle contrastare,
ma essa era debole, mite, timida; ed ai primi peritosissimi detti che
ardì pronunziare di opposizione e diniego, il padre la rimbeccò con tale
violenza ch'ella non ebbe altro scampo che curvare il capo e tacersi.
Sposò adunque Michele, ma senza farsi la menoma illusione sul conto di
lui, sulla possibilità di trarlo a miglior condotta, sul destino che
l'aspettava: andò realmente come vittima rassegnata all'altare, e le sue
previsioni e le sue paure avevano pur troppo ad essere tutte effettuate!
La condotta di Michele non si mutò pel matrimonio e non accennò neppure
volersi mutare; ma tuttavia da principio l'amore che aveva per Eugenia,
se con questo nobil nome può pure chiamarsi il sentimento affatto
materiale di desiderio che gli ispirava la bellezza di quella giovane,
la mite dolcezza di lei e quell'influsso inesplicabile che in certa
misura esercita anche sull'animo più rozzo la grazia d'una donna
gentile, poterono ottenere che almanco verso la moglie quello sciagurato
usasse alcun riguardo e mostrasse qualche rispetto: così che quando
tornava a casa concitato dai bevuti liquori, coll'anima sconvolta e
l'umore inasprito dalla perdita nel giuoco, dalle liti che sempre
finivano male pei suoi avversari grazie alla sua forza erculea, e cui
sempre era il suo spirito tracotante a provocare, Michele cercava di
nascondere il suo stato alla giovane moglie e si faceva uno studio di
non dirigerle pure la parola. Ma questa specie di suggezione non volle
durar lungo tempo. Non tardò guari ad accorgersi il marito, che la sua
presenza, i suoi modi, le grossolane manifestazioni de' suoi ardori non
cagionavano in Eugenia che una ripugnanza invano voluta dissimulare;
sotto l'azione del dispetto ch'e' ne sentì, scomparve anche quella
suggezione che prima si prendeva di lei; cominciò dalle rampogne e da
quelle ond'era capace la sua anima bassa e volgare, ne venne alle
minaccie, senza più riguardo nessuno si mostrò in tutta la bruttezza
della sua indole; la qual cosa se fosse atta a scemare quel sentimento
di ripulsione che era in lei giudicatelo voi.
Frattanto, come sempre accade, anche le condizioni materiali di quella
famigliuola andavano peggiorando. Il padre d'Eugenia aveva fatto capo ad
un fallimento in conseguenza del quale aveva dovuto smettere il fondaco
e vivere oramai di varii, incerti e non sempre onorevoli spedienti, a
cercare e mettere in atto i quali concorreva massimamente Michele.
Questi da parte sua, per la mala condotta, aveva perduto il posto da
maestro all'_Accademia militare_, e vedeva ogni dì più dimagrarsi di
accorrenti e di allievi la sua _sala di scherma_. Se _malesuada_,
secondo il poeta latino, è la fame, più mal consigliero ancora è il
vizio che non ha più mezzi di soddisfare le sue accanite ed empie
voglie: un dì Michele e lo suocero furono implicati in un certo processo
di truffa, ed andarono tuttidue a far conoscenza la prima volta col pane
di prigione. Furono condannati a più anni di carcere: il padre d'Eugenia
dopo non molto tempo ci morì; lo sciagurato di lei marito fu onninamente
perduto, perchè colà strinse conoscenza e lega coi più scellerati fra i
delinquenti, primo dei quali quel _Graffigna_ che, conosciuto ben tosto
il giunto della corazza in quel robusto colosso, seppe colla sua felina
accortezza insinuarvisi nell'animo e governarlo a suo talento.
La povera moglie di Michele rimase adunque sola, senza mezzi di fortuna,
con una salute resa cagionevole dai sofferti affanni, coll'onta d'avere
padre e marito colpevoli, e per maggior sventura portando nel seno un
frutto del materiale amore di Michele. Gli era in queste condizioni che
l'aveva lasciata la Modestina, quando insieme colla padroncina erasi
fuggita per alla volta di Milano. Siccome Eugenia erasi venuta
raccomandando più volte alla cognata, e questa non poteva a meno che
sentire alcuna pietà per lo stato veramente compassionevole in cui
quell'infelice era ridotta, trattandosi poscia di avere qualcheduna a
compagna nelle cure da prestarsi alla marchesina Aurora, la sorella di
Michele propose e riuscì a fare aggradire da Padre Bonaventura e da
Nariccia che a questo ufficio fosse chiamata Eugenia, della segretezza
della quale essa si rendeva compiutamente garante. Aveva inoltre la
Modestina in codesto un'altra idea ed un'altra speranza: ed era che
Eugenia essendo per diventar madre ancor essa, quantunque la liberazione
di lei dovesse venire qualche mese dopo quella di Aurora, potesse
tuttavia combinarsi che la medesima diventasse poi nutrice, custode ed
allevatrice del figliuolo della marchesina, la qual cosa
all'immaginativa non infeconda della Modestina si presentava come
sorgente e cagione di prosperità e di vantaggi, non che per sua cognata,
ma eziandio per sè.
Padre Bonaventura, incaricato di arruolare a quella piccola schiera
l'Eugenia, di darle le sue istruzioni e di condurla seco, riuscì
compiutamente nella sua missione; e come già dissi, Aurora ebbe quindi
delle cure veramente amorevoli, poichè l'anima pietosa della nuova
attendente a' suoi bisogni non tardò a porre in lei e nelle sue
condizioni il maggior interesse possibile ed un verace, sincero affetto.
Venne finalmente il giorno fatale. Aurora diede alla luce un bambino, di
cui, fino da quel primo stadio di vita, non potevano essere più dilicate
le forme, nè più avvenente l'aspetto. Nel trasporto ineffabile di quella
divina gioia della maternità, la misera dimenticò tutti i suoi passati
dolori, tutto il buio dell'avvenire che le si minacciava. Coprì quella
piccola, bellissima creaturina di baci e di lacrime, in cui si stemperò
la infinita tenerezza dell'anima sua; le parve fosse ricomparsa in
quelle deboli forme di neonato per accompagnarla ancora nella vita,
l'anima amorosa di quell'uomo che essa aveva supremamente amato: tutto
il suo mondo, l'esistenza, ogni affetto sentì concentrati per sempre in
quel debole bambinello, che già pareva sorriderle. Si ricordò di botto
del voto tante volte manifestato dal suo sposo, che il nascituro, se
maschio, portasse il medesimo nome di lui; volle che presso al suo letto
senza ritardo Padre Bonaventura battezzasse il neonato e gl'imponesse
tosto quel nome adorato: Maurilio; dopo tanti e tanti giorni di spasimi,
di affanni, di atrocissimi tormenti, la misera sentì finalmente un
istante di celestiale beatitudine quando, stringendosi al suo seno suo
figlio, cadde in un lieve sopore, di cui sentiva il riposo, e nel quale
pure si sentiva vivere, e sentiva fra le sue braccia il dolce carco del
figlio, sopore di cui non è descrivibile, appena immaginabile, se non da
una madre, la profonda dolcezza.
E intanto l'intendente di suo padre ed il gesuita pensavano a darle un
nuovo e massimo dolore, congiuravano per decidere il come toglierle quel
bambino condannato all'obblio, alla miseria morale e materiale del
trovatello, dall'odio implacabile di colui che era pure suo avolo.
Ben sapevano che farla acconsentire a separarsi dal suo figliuolo era
cosa impossibile; erano più che certi, quand'ella avesse avuto sentore
dello scellerato loro disegno, che Aurora avrebbe difeso il bambino
colla forza indomabile di quell'amore materno che non ha pari sulla
terra; decisero pertanto ricorrere all'astuzia, e levarle di letto il
piccino quando la fosse addormentata.
Vedete meraviglia di quel sovrumano affetto di madre! Mentre i due
tristi nella camera vicina complottavano a bassa voce, proprio come si
fa per combinare un delitto, Aurora dormiva chetamente nel più soave de'
riposi che si possa gustar mai: pareva dunque affatto propizio quel
momento medesimo ad eseguire l'empio rapimento, e i due malvagi non
vollero perder tempo; entrarono dunque con infinita precauzione in
quella stanza dove presso il letto della dormiente stavano sedute le due
cognate Modestina ed Eugenia. Ma non avevano appena varcata quella
soglia con passo guardingo, che la puerpera si svegliava in sussulto e
fissava su di loro uno sguardo inquieto, scrutatore, sospettoso,
sgomento. Un inesplicabile istinto l'aveva di subito riscossa ed
ammonita del pericolo; strinse fra le braccia il neonato e chiese a que'
due con accento in cui c'era alquanto dell'orgogliosa supremazia della
famiglia Baldissero:
— Che cosa vogliono? Perchè entrano nella mia camera senza farsi
annunziare mentr'io riposo?
L'imbarazzo ch'ella scorse sul volto dell'uno e dell'altro, accrebbe i
suoi sospetti. Nariccia si confuse in umili proteste e domande di
perdono; il frate parlò dell'interesse che aveva per la salute temporale
e spirituale di lei e dei debiti del suo ministero che lo chiamavano
intorno a chi soffrisse sì dell'anima che del corpo. Aurora giurò a se
stessa che non avrebbe smesso nè dì nè notte della più attenta vigilanza
sul suo bambino.
Rimasti un poco, Nariccia tolse licenza pel primo e passando innanzi
alla Modestina le fece un piccol cenno che le comandava lo seguisse
nelle altre stanze; la cameriera comprese e si affrettò ad obbedire;
dopo alcuni minuti anche fra Bonaventura s'alzò e partì. Aurora, per una
affatto nuova finezza d'intuizione e d'indovinamento, comprese press'a
poco ciò che si voleva: si rivolse con accalorato accento all'Eugenia
che era rimasta sola:
— Tu, le disse, mostri all'aspetto di avere un'anima bella e pietosa;
stai per diventar madre tu pure e proverai, e già senti per certo che
stretto, indissolubil legame ci avvince alla creatura delle nostre
viscere; per la pietà che l'ispirano i casi miei, per l'amor di Dio, per
quell'essere che avrà vita da te, Eugenia, ti scongiuro, tu non
tradirmi, tu non unirti a chi vuole i miei danni, tu aiutami a difender
me e mio figlio dalle insidie altrui.
La povera donna aveva gli occhi e la voce pieni di pianto. Eugenia
commossa promise tutto ciò che volle l'inferma.
— Vogliono disgiungermi da mio figlio, continuava quest'essa, lo sento,
lo so. Mio figlio che è l'unico bene che mi rimane!
Prese il bambino, lo sollevò all'altezza della sua faccia e lo baciò con
passione.
— Povero piccino! Nato appena, hai già nemici così accaniti che ti
vogliono togliere tutta la ventura che ti ha concesso Iddio, l'amor di
tua madre. Eugenia, se tu vuoi che la Provvidenza conceda fortuna a tuo
figlio, sta dalla mia parte e concorri meco a salvarmelo.... Dio!
Puniscimi de' miei falli nella più crudel guisa che tu vuoi, ma non in
questa, non togliendomi questo povero innocente. Lo raccomando alla tua
pietà, Vergine Santa, che conoscesti l'amore di madre; mi raccomando
anche a te, anima di mia madre, che non devi volere tanto strazio della
tua figliuola.
Un'idea le venne, quasi un'ispirazione, staccò dal capoletto il rosario
d'agata di sua madre, cui aveva portato seco e lo passò al collo del
neonato, come volendo porlo con ciò sotto l'immediata protezione di
quell'anima benedetta.
— Questo rosario, soggiunse, ti sia, o Maurilio, come un sacrosanto
talismano. Tu non avrai a lasciarlo più nella tua vita.... Ricordatene
anche tu, Eugenia, e s'io morissi, lo dirai tu a mio figlio: «quella è
la memoria di tua madre, serbala cara come un pegno dell'amor suo.»
In questo frattempo, nella camera vicina Nariccia e Padre Bonaventura
riuscivano senza troppi sforzi, colla promessa d'una somma in di più di
quelle già stipulate, a trarre complice al loro proposito la Modestina.
Bene pareva dapprima a costei troppo crudel cosa quella che le veniva
proposta a danno della sua padrona; ella aveva sì immaginato che quel
figliuolo d'un matrimonio odiato e disprezzato dal marchese sarebbe
tenuto lontano dalla nobile famiglia ed aveva anzi contato che ella
stessa potrebbe fare dei buoni guadagni in proposito, dando come nutrice
al bambino l'Eugenia che fra pochi mesi sarebbe stata madre ancor essa e
facendosi accettare lei medesima come allevatrice e custode di esso: mai
più non avrebbe creduto che quell'innocente bambino fosse gettato fra i
trovatelli e che essa a codesto avesse da por mano; ma quella certa
somma che ho detto vinse ogni scrupolo.
La sorte volle favorire essa medesima gli empi disegni orditi a danno
del figliuolo di Valpetrosa: una violentissima febbre sopravvenuta ad
Aurora, pose e tenne in grave pericolo parecchi giorni la vita di lei e
la trasse per una settimana affatto fuor di senno. Nariccia pensò
opportunissima l'occasione di fare sparire il bambino. Modestina essa
medesima lo prese dal letto della madre assalita dal delirio; ma
Eugenia, che aveva data pochi giorni prima alla infelice madre la
promessa che noi sappiamo, tentò con ogni suo mezzo opporsi all'iniquo
ratto. Ebbe essa tutti contro di sè, anche la cognata, e finì per cedere
più che all'autorità di Padre Bonaventura, che impiegò tutti i mezzi
della sua eloquenza gesuitica a persuaderla, alla promessa d'una somma
che le assicurava un boccone di pane per quel tempo in cui la nascita e
le prime cure da darsi a quella creatura ch'ella portava nel suo seno le
avrebbero impedito di poter lavorare tanto da guadagnarsene.
Nariccia avrebbe egli medesimo recato seco l'infante e dispostone a suo
grado, senza che nessun degli altri complici sapesse il come. Eugenia
pregò che almanco al collo del bambino si lasciasse il rosario che la
madre gli aveva messo, come vedemmo, e che alcun altro segno gli si
ponesse per cui poterlo riconoscere poi in quell'ospizio od in
quell'altro luogo qualunque in cui l'infelice venisse abbandonato.
Modestina entrò facilmente nelle ragioni della cognata; una specie di
sentimento superstizioso la persuase che s'ella a quel misero, cui
concorreva a rigettar dal seno della famiglia, dèsse alcun mezzo per cui
gli fosse possibile poi il rinvenire ancora questa famiglia medesima,
diminuirebbe la gravità del suo fallo; pose in un sacchetto fatto
appositamente il rosario d'agata, un bottone di livrea che aveva
appartenuto a suo marito, domestico un tempo della casa de Meyrand, ed
un biglietto, che scrisse ella medesima, per dire a coloro, chiunque si
fossero, nelle cui mani capitasse il neonato, qual nome fosse il suo e
per raccomandarlo alla loro pietà, e quel sacchetto unì alle fascie onde
il bambino era avvolto. Nariccia lo prese con sè tal quale una notte e
partissi solo con esso in un legnetto che guidava egli stesso, senza che
alcuno mai sapesse a qual parte si dirigesse. Stette assente parecchi
giorni e poi tornò presso di Aurora; ma il giorno prima erasi egli
presentato al marchese padre ed avevagli detto:
— Tutto è aggiustato.
— Aurora? Aveva domandato il marchese fissando lo sguardo interrogativo
sul suo intendente.
— Le nacque un figliuolo.
— E?...
— E questi è sparito.
— Morto?
— No: ma finchè Ella vorrà sarà come se sia tale.
— Lo vorrò sempre: disse con voce secca il marchese.
Nariccia s'inchinò.
— E sarà secondo il suo volere.
— Voi sapete dove egli si trova?
L'intendente fece un cenno affermativo.
— E se voleste rinvenirlo ancora, lo potreste?
— Signor sì.
— Gli avete lasciati mezzi di riconoscerlo?
— Glie li ho lasciati.
— Ed alcun altro li conosce?
— Signor no. Fuori di me nessuno potrebbe riaverlo.
— Sarà il meglio che questo modo lo dimentichiate anche voi.
Nariccia tornò ad inchinarsi senza rispondere.
Il marchese si alzò, prese da uno stipo un forte sacchetto di denari e
lo pose in mano all'intendente.
— Eccovi trenta mila lire: disse: ne darete venti mila a quell'ospizio
che voi sapete perchè sieno conservate a quell'esposto consegnato nel
giorno e nell'ora e coi connotati che voi indicherete: il resto vi
risarcirà delle spese che avete dovuto incontrare in quest'occasione.
Nariccia prese i denari, s'inchinò profondamente ed uscì senza
aggiungere parola. Nessuno degli ospizi di trovatelli che esistevano
allora in Italia ebbe pure un soldo di quella somma. Che cosa il
trist'uomo avesse poi fatto del figliuolo di quel Valpetrosa che tanto
si era in lui affidato, non è ancora giunto il momento di saperlo, ma lo
apprenderemo poi.
Dopo quel colloquio col marchese padre, l'intendente ripartiva per la
Lombardia e giungeva nella riposta casa dove era ricoverata Aurora,
trovandola ancora nel medesimo stato di delirante e nel medesimo pencolo
di vita. Ma pure quell'infelice donna (e fu questa per lei una
ventura?), contro ogni previsione, potè resistere a quel male e
vincerlo. Un bel dì la si svegliò come da un lungo sonno, colla mente
intorpidita, rotta tutta la persona, confuse tutte le sensazioni, ma
presente la volontà, riviva la coscienza, tornata la memoria. Non si
poteva movere, ma fece uno sforzo per cui riuscì a staccare da sè la
mano e tenderla nel letto a sè vicino al luogo dove stava suo figlio;
non trovò nulla; radunò ogni suo vigore per volger la testa e con grande
stento lo potè fare; non vide nulla. Volle mandare un grido e fece un
sobbalzo nel letto per levarsi a sedere: ricadde sui guanciali e la voce
le spirò come un gemito di dolore sulle labbra. Modestina che era in
quel tempo sola nella camera le fu accosto sollecitamente.
— Che ha, signora marchesa? disse ella; e vedendo lo sguardo
intelligente con cui la padrona la fissava, soggiunse: Dio sia lodato!
Ella è pur finalmente tornata in sè.
Aurora diceva mille cose col suo sguardo acceso; ma le labbra non
poterono che sommessamente balbettare:
— Mio figlio?
proposito di ferire mortalmente al cuore la misera donna, annunziò la
cosa in modo che Aurora svenne e parve dovesse morire di quel colpo
ancor essa. La madre di Valpetrosa non aveva guari maggior forza e
coraggio della sposa di lui. Il trafitto recato con ogni precauzione a
casa, non potè parlar più, non potè più esprimere che cogli sguardi i
suoi ultimi addii alle dilette persone del suo cuore, e raccomandarle
ancora a Nariccia, e morì fra le braccia delle sconsolatissime donne.
Fu allora che primamente Baldissero ardì entrare in quella casa in cui
egli aveva recato il dolore. Aurora giaceva priva di sensi abbandonata
sul corpo di suo marito che abbracciava strettamente: la vecchia madre,
in un accesso di dolore furibondo, malediva colei che aveva portato al
suo figliuolo la barbara morte immatura.
Baldissero sentì stringersi il cuore, e fino da quel momento gli penetrò
nell'animo quel dubbio crudele che gli abbiamo udito manifestare tanti
anni dopo all'epoca del nostro racconto, quando si domandava, s'egli
aveva avuto il diritto di troncare colla spada dell'omicida il nodo di
quelle due esistenze, se Dio aveva da perdonargli l'aver versato quel
sangue.
Mentre il marchese rimaneva colà fermo, immobile, sovraccolto, la faccia
pallida, i lineamenti contratti, stretto il cuore da un'emozione
impossibile a dirsi, Nariccia gli si appressò rispettosamente, e gli
parlò piano:
— Che ordina Ella si faccia?
Il fratello d'Aurora volse su di lui uno sguardo torbido e semispento.
— Lasciamo quell'infelice al suo dolore. L'intendente s'appressò ancora
di più al figliuolo del suo padrone e soggiunse con voce ancora più
bassa:
— Mi rincresce, ma ho altri ordini da S. E. il marchese suo padre.
Baldissero levò la testa con qualche vivacità:
— Ah! quali?
— Trar subito fuori di questa casa l'illustrissima signora marchesina
Aurora.
— Per condurla dove?
— Ho già preso a pigione una comoda casetta fuori di città dove è
intenzione di S. E. che nascostamente da tutti la stia finchè siasi
sgravata... E mi pare opportuno profittare di questo suo stato medesimo
per togliere la signora marchesina di qua.
Il marchese stette un momento sopra pensiero e poi rispose
asciuttamente:
— Fate quel che vi ha comandato mio padre.
Quando Aurora tornò in sè la si trovò in letto entro una stanza che non
aveva visto mai, con intorno un medico sconosciuto, la sua cameriera
Modestina e dietro le cortine del letto l'ombra d'un uomo ch'ella non
poteva scorgere chi fosse.
Dapprincipio non la si ricordò di nulla; non sentiva che un
indolorimento generale, e per raccogliere il suo pensiero aveva bisogno
d'uno sforzo penosissimo che gli tornava come una viva trafittura al
cervello. Ma poi venne la funesta memoria: gittò un grido e volle
gettarsi giù dal letto: ve la trattennero con amorosa violenza.
— Lasciatemi, lasciatemi.... Il mio Maurilio!.... Il mio Maurilio!....
Dov'è?... Voglio vederlo ancora.... Siate pietosi.... Vo' morire con
lui.
L'ombra d'uomo dietro le tende s'agitò, si mosse e come tratto da una
forza esteriore, venne fuori con passo lento, quasi riluttante fino
all'arrivo degli sguardi della giacente.
Questa mandò un'esclamazione soffocata che pareva di sorpresa: si lasciò
andare sul letto senza più sforzi per togliersene, guardò fiso fiso un
istante la faccia di quell'uomo che pareva non poter riconoscere. Dopo
un poco allargò le pupille, come sotto l'impressione d'un insuperabile
orrore, si trasse indietro sui cuscini più che potè, allungando innanzi
le braccia come per respingere un'orribile visione ed esclamò con
accento pieno di ribrezzo, di sdegno, d'odio:
— Via, via, via!.... Tu qui!.... Tu osi venir qui!...
Il fratello d'Aurora si ritrasse; uscì di quella stanza con infinita
oppressura dell'anima.
La misera diede nuovamente in ismanie: ma il medico che le stava al
fianco trovò pure le magiche parole con cui ricondurla alla calma,
infonderle forza e coraggio.
— Se la fa di questa guisa, le disse, la si uccide.
Aurora lo guardò con una certa espressione che significava chiaramente:
— E che m'importa? Se gli è questo appunto ch'io voglio!
Ma il medico lesto a soggiungere:
— E la sua morte sarà quella eziandio della innocente creaturina che
porta nel suo seno. Ella ha l'obbligo, il sacrosanto obbligo di
conservarsi per suo figlio.
Aurora non rispose parola: ma si calmò di presente; stette lungo tempo
sopra pensiero, muta, immobile, appena se con sembianza di viva, tanto
era pallida, solo che tratto tratto due grosse lagrime le colavano giù
delle guancie. Quando il medico tornò a vederla, ella gli disse piano:
— Ha ragione. Debbo vivere per mio figlio: e lo voglio... Mi faccia
guarire.
Il medico si pose con tutta la sua scienza e con tutto il suo zelo a
lottare contro la morte che pareva aver già posto il suo artiglio su
quella infelice; e la lotta fu varia, lunga, dolorosa.
Mai non fu che il marchese fratello d'Aurora le comparisse dinanzi: il
medico lo aveva assolutamente proibito: ma Baldissero seguiva con ansia
e sollecitudine l'andamento della malattia di lei, nè si sarebbe mosso
di colà se notizie arrivate di Madrid non avessero costrettolo ad una
ratta partenza. Suo figlio nato da poco, Ettore, era stato assalito da
una di quelle malattie infantili che tante vite mietono nella prima età
e temevasi pei giorni suoi. Il marchese raccomandò la sorella a
Nariccia, e partì.
Ed era proprio in buone mani, la povera Aurora, affidata alle cure di
quel tristo uomo di Nariccia, il quale veniva dicendosi fra sè con
cinica e scellerata speranza:
— Se questa donna morisse, portando seco nel mondo di là il frutto del
suo amore, chi vi sarebbe ancora a cui dovrei dar conto dei capitali di
Valpetrosa?
Legalmente egli s'era già governato di modo da non avere ostacolo
nessuno alla sua ruba, poichè aveva fra le carte dell'ucciso Valpetrosa
frugato, trovato quella sua dichiara che certificava simulata la
cessione, presala e distruttala: ma se la vedova e il figliuolo del
derubato sparissero, tanto di meglio: alla madre di Maurilio contava
dare una piccola somma per azzittirla.
Ma dopo alcuni giorni intorno all'ammalata venne da Torino un'altra
persona, mandata dal padre medesimo di lei: il frate Bonaventura, il
quale Aurora guarita e liberata, doveva poi condurre al scelto
monastero: e la misera vedova di Valpetrosa fu dunque in piena balìa di
queste tre persone: Nariccia, il gesuita e la fante Modestina Luponi.
Quella che per si poco tempo era stata sua suocera non sapeva dove
Aurora fosse riparata, nè ancorchè lo avesse saputo avrebbe cercato
vederla: ned Aurora chiese mai menomamente di lei.
Non andò gran tempo che una quarta persona si aggiunse a prestare le sue
cure alla giacente, e queste furono le cure veramente amorevoli ch'ella
ebbe. La cameriera, Modestina, si lagnava che da sola erale troppo
faticoso e poco meno che impossibile il bastare ai moltissimi ed
incessanti uffizi da rendersi all'ammalata, e siccome se a quella
piccola schiera in mezzo a cui viveva Aurora era da aggiungersi una
persona, questa volevasi delle più fidate, Modestina, che tutta oramai
s'era posta ai servigi di Nariccia e di Padre Bonaventura uniti in una
comune e strettissima lega d'interessi, suggerì ella stessa una donna
che secondo lei poteva ed era dispostissima ad aiutarla nell'accudire
l'inferma, senza pericolo di ciarle o d'indiscrezioni qualsiasi: ed era
questa insieme una buona opera che la Modestina, in quel tempo non
ancora trista del tutto, come quando la conoscemmo noi sotto il nome di
_Gattona_, invecchiata e pezzente, faceva in vantaggio d'una povera
vittima, che era sua cognata, la moglie di suo fratello Michele,
soprannominato più tardi _Stracciaferro_.
E qui ci occorre fare una nuova digressione per narrare brevemente la
storia di questa infelice.
Si chiamava Eugenia ed era figliuola di un armaiuolo; questi che un
tempo se la ricavava per benino, aveva fatto dare alla figliuola un po'
d'educazione di cui essa, dotata d'un ingegno non comune, d'una buona
volontà eccezionale e di una rarissima disposizione ad apprendere, aveva
tratto un tal profitto che si sarebbe giudicato impossibile. Bellissima
e virtuosissima, aveva intorno una nuvola di galanti, da cui era la sua
saviezza sola a difenderla, perchè sua madre era morta, e suo padre,
sempre inclinato al vizio, s'era ora buttato sulla mala strada
addirittura e crescevano in lui lo sciupo del danaro, la smania dei
bagordi nella proporzione diretta con cui diminuivano il lavoro ed i
guadagni.
Michele era allora maestro di scherma; era di umore irascibile, di
carattere impetuoso, d'abitudini manesche, conscio della sua forza e
facilmente tracotante, ma non aveva commesso ancora atto che si potesse
dir disonesto. La sua abilità nel mestiere gli dava sufficienti
guadagni, e il marchese di Baldissero dietro la raccomandazione della
cameriera di sua figlia (sorella di Michele) lo aveva fatto nominare
eziandio maestro all'Accademia militare. Per ragione del suo mestiere.
Michele aveva dapprima conosciuto l'armaiuolo padre di Eugenia, e veduto
poscia quest'essa se n'era fieramente innamorato. Aveva cercato ogni
maniera per diventare intrinseco dell'armaiuolo; e siccome la più facile
era quella di farglisi compagno nella vita disordinata ch'ei menava,
Michele, il quale aveva pur esso le medesime tendenze, non trascurò
questo mezzo e divenne il compagno assiduo delle orgie e dei bagordi di
quello sciagurato, il quale in breve tempo ebbe la maggiore ammirazione
e della robustezza di stomaco del maestro di scherma che ingollava vino
a bizzeffe senza manco darsene per inteso e della forza straordinaria
dei muscoli di lui che lo facevano temuto e rispettato da tutti e la
miglior salvaguardia per quelli che fossero dalla sua in ogni baruffa
che potesse nascere, tanto che non poteva più passarsela senza l'amico
Michele.
Quando adunque quest'ultimo ebbe fatto appena un cenno del suo amore per
Eugenia e del suo desiderio d'ottenerla, il padre di lei glie la gettò,
come si suol dire, fra le braccia, lieto e di far cosa grata al suo
amicone, e per dir tutto il vero, di sbarazzarsi d'un imbarazzo e d'una
spesa.
Eugenia non amava nessuno, ma l'ideale dell'uomo a cui avrebbe voluto
dare il suo bel cuore ed il suo animo eletto era ben diverso da quello
che suo padre le presentava in isposo. La grossolanità fisica, morale ed
intellettiva di quell'omaccione facevano il più spiccato contrapposto
colla delicatezza di lei: tutto in essa si ribellava a codesta che in
fatti era una mostruosa unione, e più che un presentimento la certezza
d'un'infelicissima sorte le si affacciava alla mente. Volle contrastare,
ma essa era debole, mite, timida; ed ai primi peritosissimi detti che
ardì pronunziare di opposizione e diniego, il padre la rimbeccò con tale
violenza ch'ella non ebbe altro scampo che curvare il capo e tacersi.
Sposò adunque Michele, ma senza farsi la menoma illusione sul conto di
lui, sulla possibilità di trarlo a miglior condotta, sul destino che
l'aspettava: andò realmente come vittima rassegnata all'altare, e le sue
previsioni e le sue paure avevano pur troppo ad essere tutte effettuate!
La condotta di Michele non si mutò pel matrimonio e non accennò neppure
volersi mutare; ma tuttavia da principio l'amore che aveva per Eugenia,
se con questo nobil nome può pure chiamarsi il sentimento affatto
materiale di desiderio che gli ispirava la bellezza di quella giovane,
la mite dolcezza di lei e quell'influsso inesplicabile che in certa
misura esercita anche sull'animo più rozzo la grazia d'una donna
gentile, poterono ottenere che almanco verso la moglie quello sciagurato
usasse alcun riguardo e mostrasse qualche rispetto: così che quando
tornava a casa concitato dai bevuti liquori, coll'anima sconvolta e
l'umore inasprito dalla perdita nel giuoco, dalle liti che sempre
finivano male pei suoi avversari grazie alla sua forza erculea, e cui
sempre era il suo spirito tracotante a provocare, Michele cercava di
nascondere il suo stato alla giovane moglie e si faceva uno studio di
non dirigerle pure la parola. Ma questa specie di suggezione non volle
durar lungo tempo. Non tardò guari ad accorgersi il marito, che la sua
presenza, i suoi modi, le grossolane manifestazioni de' suoi ardori non
cagionavano in Eugenia che una ripugnanza invano voluta dissimulare;
sotto l'azione del dispetto ch'e' ne sentì, scomparve anche quella
suggezione che prima si prendeva di lei; cominciò dalle rampogne e da
quelle ond'era capace la sua anima bassa e volgare, ne venne alle
minaccie, senza più riguardo nessuno si mostrò in tutta la bruttezza
della sua indole; la qual cosa se fosse atta a scemare quel sentimento
di ripulsione che era in lei giudicatelo voi.
Frattanto, come sempre accade, anche le condizioni materiali di quella
famigliuola andavano peggiorando. Il padre d'Eugenia aveva fatto capo ad
un fallimento in conseguenza del quale aveva dovuto smettere il fondaco
e vivere oramai di varii, incerti e non sempre onorevoli spedienti, a
cercare e mettere in atto i quali concorreva massimamente Michele.
Questi da parte sua, per la mala condotta, aveva perduto il posto da
maestro all'_Accademia militare_, e vedeva ogni dì più dimagrarsi di
accorrenti e di allievi la sua _sala di scherma_. Se _malesuada_,
secondo il poeta latino, è la fame, più mal consigliero ancora è il
vizio che non ha più mezzi di soddisfare le sue accanite ed empie
voglie: un dì Michele e lo suocero furono implicati in un certo processo
di truffa, ed andarono tuttidue a far conoscenza la prima volta col pane
di prigione. Furono condannati a più anni di carcere: il padre d'Eugenia
dopo non molto tempo ci morì; lo sciagurato di lei marito fu onninamente
perduto, perchè colà strinse conoscenza e lega coi più scellerati fra i
delinquenti, primo dei quali quel _Graffigna_ che, conosciuto ben tosto
il giunto della corazza in quel robusto colosso, seppe colla sua felina
accortezza insinuarvisi nell'animo e governarlo a suo talento.
La povera moglie di Michele rimase adunque sola, senza mezzi di fortuna,
con una salute resa cagionevole dai sofferti affanni, coll'onta d'avere
padre e marito colpevoli, e per maggior sventura portando nel seno un
frutto del materiale amore di Michele. Gli era in queste condizioni che
l'aveva lasciata la Modestina, quando insieme colla padroncina erasi
fuggita per alla volta di Milano. Siccome Eugenia erasi venuta
raccomandando più volte alla cognata, e questa non poteva a meno che
sentire alcuna pietà per lo stato veramente compassionevole in cui
quell'infelice era ridotta, trattandosi poscia di avere qualcheduna a
compagna nelle cure da prestarsi alla marchesina Aurora, la sorella di
Michele propose e riuscì a fare aggradire da Padre Bonaventura e da
Nariccia che a questo ufficio fosse chiamata Eugenia, della segretezza
della quale essa si rendeva compiutamente garante. Aveva inoltre la
Modestina in codesto un'altra idea ed un'altra speranza: ed era che
Eugenia essendo per diventar madre ancor essa, quantunque la liberazione
di lei dovesse venire qualche mese dopo quella di Aurora, potesse
tuttavia combinarsi che la medesima diventasse poi nutrice, custode ed
allevatrice del figliuolo della marchesina, la qual cosa
all'immaginativa non infeconda della Modestina si presentava come
sorgente e cagione di prosperità e di vantaggi, non che per sua cognata,
ma eziandio per sè.
Padre Bonaventura, incaricato di arruolare a quella piccola schiera
l'Eugenia, di darle le sue istruzioni e di condurla seco, riuscì
compiutamente nella sua missione; e come già dissi, Aurora ebbe quindi
delle cure veramente amorevoli, poichè l'anima pietosa della nuova
attendente a' suoi bisogni non tardò a porre in lei e nelle sue
condizioni il maggior interesse possibile ed un verace, sincero affetto.
Venne finalmente il giorno fatale. Aurora diede alla luce un bambino, di
cui, fino da quel primo stadio di vita, non potevano essere più dilicate
le forme, nè più avvenente l'aspetto. Nel trasporto ineffabile di quella
divina gioia della maternità, la misera dimenticò tutti i suoi passati
dolori, tutto il buio dell'avvenire che le si minacciava. Coprì quella
piccola, bellissima creaturina di baci e di lacrime, in cui si stemperò
la infinita tenerezza dell'anima sua; le parve fosse ricomparsa in
quelle deboli forme di neonato per accompagnarla ancora nella vita,
l'anima amorosa di quell'uomo che essa aveva supremamente amato: tutto
il suo mondo, l'esistenza, ogni affetto sentì concentrati per sempre in
quel debole bambinello, che già pareva sorriderle. Si ricordò di botto
del voto tante volte manifestato dal suo sposo, che il nascituro, se
maschio, portasse il medesimo nome di lui; volle che presso al suo letto
senza ritardo Padre Bonaventura battezzasse il neonato e gl'imponesse
tosto quel nome adorato: Maurilio; dopo tanti e tanti giorni di spasimi,
di affanni, di atrocissimi tormenti, la misera sentì finalmente un
istante di celestiale beatitudine quando, stringendosi al suo seno suo
figlio, cadde in un lieve sopore, di cui sentiva il riposo, e nel quale
pure si sentiva vivere, e sentiva fra le sue braccia il dolce carco del
figlio, sopore di cui non è descrivibile, appena immaginabile, se non da
una madre, la profonda dolcezza.
E intanto l'intendente di suo padre ed il gesuita pensavano a darle un
nuovo e massimo dolore, congiuravano per decidere il come toglierle quel
bambino condannato all'obblio, alla miseria morale e materiale del
trovatello, dall'odio implacabile di colui che era pure suo avolo.
Ben sapevano che farla acconsentire a separarsi dal suo figliuolo era
cosa impossibile; erano più che certi, quand'ella avesse avuto sentore
dello scellerato loro disegno, che Aurora avrebbe difeso il bambino
colla forza indomabile di quell'amore materno che non ha pari sulla
terra; decisero pertanto ricorrere all'astuzia, e levarle di letto il
piccino quando la fosse addormentata.
Vedete meraviglia di quel sovrumano affetto di madre! Mentre i due
tristi nella camera vicina complottavano a bassa voce, proprio come si
fa per combinare un delitto, Aurora dormiva chetamente nel più soave de'
riposi che si possa gustar mai: pareva dunque affatto propizio quel
momento medesimo ad eseguire l'empio rapimento, e i due malvagi non
vollero perder tempo; entrarono dunque con infinita precauzione in
quella stanza dove presso il letto della dormiente stavano sedute le due
cognate Modestina ed Eugenia. Ma non avevano appena varcata quella
soglia con passo guardingo, che la puerpera si svegliava in sussulto e
fissava su di loro uno sguardo inquieto, scrutatore, sospettoso,
sgomento. Un inesplicabile istinto l'aveva di subito riscossa ed
ammonita del pericolo; strinse fra le braccia il neonato e chiese a que'
due con accento in cui c'era alquanto dell'orgogliosa supremazia della
famiglia Baldissero:
— Che cosa vogliono? Perchè entrano nella mia camera senza farsi
annunziare mentr'io riposo?
L'imbarazzo ch'ella scorse sul volto dell'uno e dell'altro, accrebbe i
suoi sospetti. Nariccia si confuse in umili proteste e domande di
perdono; il frate parlò dell'interesse che aveva per la salute temporale
e spirituale di lei e dei debiti del suo ministero che lo chiamavano
intorno a chi soffrisse sì dell'anima che del corpo. Aurora giurò a se
stessa che non avrebbe smesso nè dì nè notte della più attenta vigilanza
sul suo bambino.
Rimasti un poco, Nariccia tolse licenza pel primo e passando innanzi
alla Modestina le fece un piccol cenno che le comandava lo seguisse
nelle altre stanze; la cameriera comprese e si affrettò ad obbedire;
dopo alcuni minuti anche fra Bonaventura s'alzò e partì. Aurora, per una
affatto nuova finezza d'intuizione e d'indovinamento, comprese press'a
poco ciò che si voleva: si rivolse con accalorato accento all'Eugenia
che era rimasta sola:
— Tu, le disse, mostri all'aspetto di avere un'anima bella e pietosa;
stai per diventar madre tu pure e proverai, e già senti per certo che
stretto, indissolubil legame ci avvince alla creatura delle nostre
viscere; per la pietà che l'ispirano i casi miei, per l'amor di Dio, per
quell'essere che avrà vita da te, Eugenia, ti scongiuro, tu non
tradirmi, tu non unirti a chi vuole i miei danni, tu aiutami a difender
me e mio figlio dalle insidie altrui.
La povera donna aveva gli occhi e la voce pieni di pianto. Eugenia
commossa promise tutto ciò che volle l'inferma.
— Vogliono disgiungermi da mio figlio, continuava quest'essa, lo sento,
lo so. Mio figlio che è l'unico bene che mi rimane!
Prese il bambino, lo sollevò all'altezza della sua faccia e lo baciò con
passione.
— Povero piccino! Nato appena, hai già nemici così accaniti che ti
vogliono togliere tutta la ventura che ti ha concesso Iddio, l'amor di
tua madre. Eugenia, se tu vuoi che la Provvidenza conceda fortuna a tuo
figlio, sta dalla mia parte e concorri meco a salvarmelo.... Dio!
Puniscimi de' miei falli nella più crudel guisa che tu vuoi, ma non in
questa, non togliendomi questo povero innocente. Lo raccomando alla tua
pietà, Vergine Santa, che conoscesti l'amore di madre; mi raccomando
anche a te, anima di mia madre, che non devi volere tanto strazio della
tua figliuola.
Un'idea le venne, quasi un'ispirazione, staccò dal capoletto il rosario
d'agata di sua madre, cui aveva portato seco e lo passò al collo del
neonato, come volendo porlo con ciò sotto l'immediata protezione di
quell'anima benedetta.
— Questo rosario, soggiunse, ti sia, o Maurilio, come un sacrosanto
talismano. Tu non avrai a lasciarlo più nella tua vita.... Ricordatene
anche tu, Eugenia, e s'io morissi, lo dirai tu a mio figlio: «quella è
la memoria di tua madre, serbala cara come un pegno dell'amor suo.»
In questo frattempo, nella camera vicina Nariccia e Padre Bonaventura
riuscivano senza troppi sforzi, colla promessa d'una somma in di più di
quelle già stipulate, a trarre complice al loro proposito la Modestina.
Bene pareva dapprima a costei troppo crudel cosa quella che le veniva
proposta a danno della sua padrona; ella aveva sì immaginato che quel
figliuolo d'un matrimonio odiato e disprezzato dal marchese sarebbe
tenuto lontano dalla nobile famiglia ed aveva anzi contato che ella
stessa potrebbe fare dei buoni guadagni in proposito, dando come nutrice
al bambino l'Eugenia che fra pochi mesi sarebbe stata madre ancor essa e
facendosi accettare lei medesima come allevatrice e custode di esso: mai
più non avrebbe creduto che quell'innocente bambino fosse gettato fra i
trovatelli e che essa a codesto avesse da por mano; ma quella certa
somma che ho detto vinse ogni scrupolo.
La sorte volle favorire essa medesima gli empi disegni orditi a danno
del figliuolo di Valpetrosa: una violentissima febbre sopravvenuta ad
Aurora, pose e tenne in grave pericolo parecchi giorni la vita di lei e
la trasse per una settimana affatto fuor di senno. Nariccia pensò
opportunissima l'occasione di fare sparire il bambino. Modestina essa
medesima lo prese dal letto della madre assalita dal delirio; ma
Eugenia, che aveva data pochi giorni prima alla infelice madre la
promessa che noi sappiamo, tentò con ogni suo mezzo opporsi all'iniquo
ratto. Ebbe essa tutti contro di sè, anche la cognata, e finì per cedere
più che all'autorità di Padre Bonaventura, che impiegò tutti i mezzi
della sua eloquenza gesuitica a persuaderla, alla promessa d'una somma
che le assicurava un boccone di pane per quel tempo in cui la nascita e
le prime cure da darsi a quella creatura ch'ella portava nel suo seno le
avrebbero impedito di poter lavorare tanto da guadagnarsene.
Nariccia avrebbe egli medesimo recato seco l'infante e dispostone a suo
grado, senza che nessun degli altri complici sapesse il come. Eugenia
pregò che almanco al collo del bambino si lasciasse il rosario che la
madre gli aveva messo, come vedemmo, e che alcun altro segno gli si
ponesse per cui poterlo riconoscere poi in quell'ospizio od in
quell'altro luogo qualunque in cui l'infelice venisse abbandonato.
Modestina entrò facilmente nelle ragioni della cognata; una specie di
sentimento superstizioso la persuase che s'ella a quel misero, cui
concorreva a rigettar dal seno della famiglia, dèsse alcun mezzo per cui
gli fosse possibile poi il rinvenire ancora questa famiglia medesima,
diminuirebbe la gravità del suo fallo; pose in un sacchetto fatto
appositamente il rosario d'agata, un bottone di livrea che aveva
appartenuto a suo marito, domestico un tempo della casa de Meyrand, ed
un biglietto, che scrisse ella medesima, per dire a coloro, chiunque si
fossero, nelle cui mani capitasse il neonato, qual nome fosse il suo e
per raccomandarlo alla loro pietà, e quel sacchetto unì alle fascie onde
il bambino era avvolto. Nariccia lo prese con sè tal quale una notte e
partissi solo con esso in un legnetto che guidava egli stesso, senza che
alcuno mai sapesse a qual parte si dirigesse. Stette assente parecchi
giorni e poi tornò presso di Aurora; ma il giorno prima erasi egli
presentato al marchese padre ed avevagli detto:
— Tutto è aggiustato.
— Aurora? Aveva domandato il marchese fissando lo sguardo interrogativo
sul suo intendente.
— Le nacque un figliuolo.
— E?...
— E questi è sparito.
— Morto?
— No: ma finchè Ella vorrà sarà come se sia tale.
— Lo vorrò sempre: disse con voce secca il marchese.
Nariccia s'inchinò.
— E sarà secondo il suo volere.
— Voi sapete dove egli si trova?
L'intendente fece un cenno affermativo.
— E se voleste rinvenirlo ancora, lo potreste?
— Signor sì.
— Gli avete lasciati mezzi di riconoscerlo?
— Glie li ho lasciati.
— Ed alcun altro li conosce?
— Signor no. Fuori di me nessuno potrebbe riaverlo.
— Sarà il meglio che questo modo lo dimentichiate anche voi.
Nariccia tornò ad inchinarsi senza rispondere.
Il marchese si alzò, prese da uno stipo un forte sacchetto di denari e
lo pose in mano all'intendente.
— Eccovi trenta mila lire: disse: ne darete venti mila a quell'ospizio
che voi sapete perchè sieno conservate a quell'esposto consegnato nel
giorno e nell'ora e coi connotati che voi indicherete: il resto vi
risarcirà delle spese che avete dovuto incontrare in quest'occasione.
Nariccia prese i denari, s'inchinò profondamente ed uscì senza
aggiungere parola. Nessuno degli ospizi di trovatelli che esistevano
allora in Italia ebbe pure un soldo di quella somma. Che cosa il
trist'uomo avesse poi fatto del figliuolo di quel Valpetrosa che tanto
si era in lui affidato, non è ancora giunto il momento di saperlo, ma lo
apprenderemo poi.
Dopo quel colloquio col marchese padre, l'intendente ripartiva per la
Lombardia e giungeva nella riposta casa dove era ricoverata Aurora,
trovandola ancora nel medesimo stato di delirante e nel medesimo pencolo
di vita. Ma pure quell'infelice donna (e fu questa per lei una
ventura?), contro ogni previsione, potè resistere a quel male e
vincerlo. Un bel dì la si svegliò come da un lungo sonno, colla mente
intorpidita, rotta tutta la persona, confuse tutte le sensazioni, ma
presente la volontà, riviva la coscienza, tornata la memoria. Non si
poteva movere, ma fece uno sforzo per cui riuscì a staccare da sè la
mano e tenderla nel letto a sè vicino al luogo dove stava suo figlio;
non trovò nulla; radunò ogni suo vigore per volger la testa e con grande
stento lo potè fare; non vide nulla. Volle mandare un grido e fece un
sobbalzo nel letto per levarsi a sedere: ricadde sui guanciali e la voce
le spirò come un gemito di dolore sulle labbra. Modestina che era in
quel tempo sola nella camera le fu accosto sollecitamente.
— Che ha, signora marchesa? disse ella; e vedendo lo sguardo
intelligente con cui la padrona la fissava, soggiunse: Dio sia lodato!
Ella è pur finalmente tornata in sè.
Aurora diceva mille cose col suo sguardo acceso; ma le labbra non
poterono che sommessamente balbettare:
— Mio figlio?
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