La plebe, parte IV - 04
verso la sorella, di odio e di furore verso l'antico amico Valpetrosa.
I discorsi col padre non furono molto lunghi nè molto precisi; ma si
capirono ciò nulla meno i due Baldissero. Non si aspettava più, perchè
il figliuolo corresse a raggiungere il seduttore, se non le esatte
informazioni dalla Polizia del luogo dove quell'infame, secondo essi lo
appellavano, si fosse rimpiattato. Ma già fin d'allora era cosa usuale
che la Polizia non riuscisse a saper bene cosa nessuna che importasse
davvero.
Valpetrosa aveva le mille ragioni per nascondersi, fra cui era eziandio,
se non la principale, non delle ultime nemmanco, quella del ratto della
nobile ragazza torinese. Principalissima poi fra codeste ragioni era la
congiura politica, di cui egli era uno dei capi. Avvisato da quei
personaggi autorevoli, da cui egli aveva avute le efficaci commendatizie
per Torino, che il Governo austriaco era in sospetto della cospirazione
e stava per mettere la mano su alcuni fra i più compromessi di cui gli
era uno; Valpetrosa, consigliato a fuggirsi e non volendo ciò fare e per
non essere lontano al momento dell'insurrezione ch'egli sperava
possibile e prossima, e perchè sua moglie in uno stato già inoltrato di
gravidanza non avrebbe potuto sostenere il viaggio, ed egli non voleva
separarsene; Valpetrosa, dico, fece correr voce della sua partenza e
nascose il suo domestico focolare e sè stesso in un rimoto quartiere,
presso fidatissimi amici, dove nessuno mai sarebbe riuscito a scoprirlo.
La Polizia adunque fece sapere ai Baldissero che quel cotal individuo,
nominato Maurilio Valpetrosa, stato a Milano un po' di tempo, erasi
poscia partito di là e fuggito in Isvizzera, dove non si sapeva bene in
qual città avesse riparato.
Il figliuolo del marchese stava per partire in compagnia del suo amico
il conte di Castelletto per la Svizzera coll'animo di girarne tutte le
città e borghi e casolari finchè vi avesse trovato i fuggitivi, quando
la fatalità volle che sopraggiungesse a Torino la lettera che Aurora
aveva scritto al suo fratello a Madrid, la quale, arrivata colà quando
egli erane già partito, gli veniva rinviata. In questa lettera la
infelice pregava suo fratello perchè non la volesse condannare
severamente egli stesso, perchè si facesse intercessore di pietà e
perdono eziandio verso il padre così che non proseguisse col suo odio e
colla sua maledizione lei e l'uomo che essa amava: queste supplicazioni
le faceva non tanto in nome suo, ella di cui certo la colpa meritava
ogni pena, ma in nome dell'innocente creatura che stava per nascere.
Pensasse egli e chiamasse al pensiero del padre che quella creatura era
pure sangue loro e che il proteggerla, l'amarla era in essi ad ogni modo
un debito. Sè affermava piena di tristi presentimenti, aver paura della
morte, sentire tremenda pesar sul suo capo la collera paterna, tremare,
piangere, abbrividire al solo pensiero che quando avrebbe dato la luce
al frutto già dilettissimo delle sue viscere, potrebbe per lei
dischiudersi la tomba; affronterebbe con animo più calmo il fatale
momento, non si spaventerebbe più dell'avvenire quando sapesse che
almanco suo figlio non sarebbe fatto reo di quella colpa ch'ei non
aveva, avrebbe trovato malgrado tutto nella famiglia di sua madre una
famiglia eziandio. Da quanto aveva potuto scorgere e capire delle
condizioni del suo sposo, avrebbe potuto nascere agevolmente il caso in
cui l'innocente nascituro sarebbe stato esposto anco alle strette del
bisogno: oh il diletto fratello di sua madre, quegli che aveva tanto
amato la infelice Aurora, non l'abbandonasse, non lasciasse che a quel
misero si chiudesse affatto come ad un estraneo il cuore e la casa
dell'avo. Se sciolta da queste paure ella sarebbe lieta pur anco
morendo. Affinchè suo fratello potesse farle risposta, l'imprudente
scriveva il preciso indirizzo del luogo in cui Valpetrosa nascondeva la
donna dell'amor suo e se stesso.
Il marchese figlio non lesse quella lettera, che avreste detto scritta
con inchiostro di lagrime, senza grande commozione. Il suo tanto affetto
per Aurora non era spento, ed a quelle umili e calde preghiere gli si
era tutto risuscitato in cuore insieme con una immensa pietà. Si recò
incontanente dal padre a dargli comunicazione di quello scritto ed a
prenderne gli ordini ulteriori.
Mentre nel rileggere forte a suo padre le parole della sorella la voce
tremava al giovane marchese, ed alla fine non erano senza lagrime i suoi
occhi, il fiero capo di quella famiglia ascoltò ogni cosa con aspetto
freddo, maligno, quasi ironico, e poichè il figliuolo si fu taciuto, un
baleno di feroce soddisfacimento passò ne' suoi sguardi.
— Ah ah! esclamò egli con un sogghigno. Ella stessa ci rivela il covo
della mala bestia. Non avrete dunque da sciupar tempo e fatica per
andarla a schiacciare.
Il figliuolo sentì nel suo cuore generoso tutto aperto in quel momento
alla pietà, entrare una profonda amarezza ed un raccapriccio, che erano
una dolorosissima pena. Ripiegò lentamente la lettera di sua sorella e
disse con voce sommessa ed accento d'un gelato rispetto e d'una
malvogliosa sommessione a suo padre:
— Che cosa mi ordina Ella adunque di fare? Nel volto del marchese
apparve più spiccata quell'espressione d'una fierezza mista a crudeltà,
che guastava la bellezza scultoria di quei lineamenti.
— Avete bisogno degli ordini miei? disse con superba severità. Non vi
dicono abbastanza quali sieno la coscienza del vostro dovere e il
sentimento dell'onore?....
Il figliuolo interruppe con qualche vivacità:
— Sì padre, per quanto riguarda _lui_.... ma essa? Aurora? (e pronunziò
questo nome quasi esitando); ma il figlio che ne nascerà?
Il marchese padre corrugò la fronte molto minacciosamente:
— Quello non è sangue nostro: proruppe; invano vorrebb'essa, quella
perduta, impietosirmi su quel figliuolo d'ignobil padre, d'un perfido e
abbominato e disprezzevol lignaggio. Nulla possono aver di comune i
Baldissero con quella schiatta di volgo... Ma cominciamo a punir _lui_.
Tolto di mezzo quel vile, penseremo alla disgraziata ed al frutto della
sua colpa.
Il fratello d'Aurora accennò voler insistere, e il padre, come per torsi
di subito ogni ulteriore fastidio in proposito, soggiunse, non
lasciandolo parlare:
— Ad ogni modo non dimenticherò mai che quella è mia figlia.
Il giovane marchese sapeva anche troppo che nessuna sollecitazione
avrebbe mai potuto ottenere di più e di meglio da suo padre a questo
riguardo: s'inchinò in segno di riverente acquiescenza, e si tacque.
Quel giorno medesimo partirono alla volta di Milano il fratello
d'Aurora, il conte di Castelletto ed un capitano delle Guardie, amico
dei due precedenti, il quale venticinque anni dopo, all'epoca del nostro
racconto, abbiamo trovato governatore della città di Torino. Insieme con
loro partiva eziandio l'intendente del marchese, messer Nariccia, con
particolari e segrete istruzioni del suo padrone.
Per far conoscere quali fossero queste istruzioni, ci convien qui
riferire un segreto colloquio che poche ore prima della partenza aveva
avuto luogo fra il marchese padre, l'intendente e Padre Bonaventura, in
quel tempo giovane gesuita d'una trentina d'anni, molto operoso e
inframmettente, frequentatore assiduissimo e graditissimo di tutte le
case dei nobili.
Il marchese padre aveva raccontato al gesuita la scoperta avvenuta del
luogo in cui si nascondevano i fuggitivi e la partenza che stava per
avvenire del figliuolo affine di coglierli alla posta; poscia, guardando
fisso il frate con quella sua aria imperiosa che voleva dire: le mie
parole hanno da accettarsi senza discussione, e parlando con una certa
simulata deferenza, nella quale pure si faceva sentire il tono
orgoglioso della superiorità, soggiunse:
— Ella, quantunque viva all'infuori delle esigenze e delle passioni del
mondo, pur sa, reverendo, quali siano gli obblighi che a noi,
gentiluomini, impone l'onore della famiglia, e a quelli nè io nè mio
figlio non saremo per mancare giammai.
Padre Bonaventura incrocicchiò le mani, le serrò al petto che teneva
ricurvo, levò un momentino gli occhi al soffitto e poi li abbassò tutto
compunto, mandando un profondo sospiro che voleva significare:
— Eh! pur troppo conosco le crudeli esigenze dell'onore mondano: le
deploro, ma sono disposto a dar loro passata.
Il marchese continuava:
— Ciò riguardo a quello scellerato; ma riguardo a mia figlia ed al
frutto della sua colpa, sento il bisogno di consultarmi con un buon
religioso qual è Lei, padre Bonaventura.
Il gesuita s'inchinò.
— Di udire dalle sue labbra se le mie decisioni possono approvarsi da
Quel di lassù, come sento che le approva e stima necessarie la mia
coscienza.
Queste parole erano dette con una maschera di umiltà sì mal messa che di
sotto appariva agevolmente e più effettivo ancora il vero intendimento
del favellante, che suonava: «Voglio che mi diate la ragione, e
coll'autorità del vostro carattere religioso consecriate come opera
irriprovevole lo sfogo della mia passione.»
Bonaventura prese il contegno di chi si mette ad ascoltare con profonda,
vivacissima attenzione.
— Disgiunta dal suo vile seduttore, mia figlia sarà tenuta in luogo dove
nessuno la veda nè pur la sappia finchè siasi liberata... Dopo, appena
guarita, entrerà in un monastero, dove rimarrà finchè... finchè
decideremo noi che basti... Lei, padre Bonaventura, mi farà il favore di
cercarmi un monastero acconcio, in cui possa ravvedersi quella povera
anima, espiare colle preghiere e colle macerazioni della carne il
proprio fallo, e dove nello stesso tempo non si dimentichi che quella è
figliuola del marchese di Baldissero.
Il gesuita tornò ad inchinarsi.
— Mi farò una premura d'obbedirla, Eccellenza, diss'egli, e spero che
riuscirò a soddisfarla compiutamente.
Successe un istante di silenzio; il marchese pareva non voler più dir
nulla; il frate, chinato un poco verso il suo interlocutore, stava nella
mossa di chi aspetta il principale del discorso; Nariccia, rimasto
sempre a bocca chiusa, seduto un po' discosto, guardava di sottecchi
colle sue pupille bircie ora l'uno ora l'altro.
— E?... e?... disse poi il frate.
— Che cosa? interrogò il marchese superbamente.
— E il fanciullo? susurrò con voce sommessa che quasi non s'udiva, padre
Bonaventura.
Nella faccia del marchese apparì quella feroce espressione che già gli
conosciamo.
— Quel fanciullo, diss'egli a voce bassa, ma fremente, è l'onta della
mia famiglia personificata: e come questa onta si de' cancellare, così
egli ha da scomparire.
Padre Bonaventura si trasse indietro colla seggiola; Nariccia fece un
leggier trasalto sulla sua.
— Scomparire! esclamò il frate; come la intende, signor marchese?
Questi si piegò verso il gesuita.
— Che privilegio può aver egli ad una sorte diversa da quella degli
altri frutti di simili colpe? La famiglia di suo padre andrà dispersa,
nella nostra non può entrare: non gli resta che il destino del
trovatello. Sarà posto come tale in un ospizio.
I due che udivano queste parole erano troppo soggetti al potente
personaggio che parlava, per manifestare in alcun modo, anche il più
lieve, la menoma riprovazione, e fors'anco non sentivano neppure entro
sè veruno sentimento siffatto; ma tuttavia a que' detti del marchese
tenne dietro un silenzio che tornò per tutti impaccioso e che nessuno
sapeva rompere.
Fu il signor di Baldissero che dopo un poco riprese a dire come
complemento del precedente discorso:
— A quell'ospizio, nello stesso tempo che sarà presentato il bambino,
arriverà una vistosa somma d'elemosina, così che tutti i compagni di
sventura di quel frutto della colpa avranno dalla sua venuta alcun
giovamento; e nello stesso tempo, a propiziare la divina pietà all'anima
medesima di quell'empio che mi rapì la figliuola, alla nostra così
crudelmente provata famiglia ed alla sorte del neonato, intendo
presentare alcuna offerta alle chiese dei Ss. Martiri e della Madonna
del Carmine, che sarà di due lampade d'argento, e pregare la loro
carità, reverendi padri, a voler dire un centinaio di messe a mia
intenzione.
Padre Bonaventura s'inchinò più basso di quello che non avesse ancora
fatto per l'innanzi, e disse col suo tono mellifluo, colla sua voce
untuosa, coi suoi occhi bassi e colle sue mani incrociate:
— S. E. invero è sempre un esemplare di sentimenti religiosi e di
generosità. Iddio saprà darle compenso, e dileguate queste poche nubi,
vedrà che le manderà più splendido il sereno di quella felicità anche
terrena che la si merita.
Fece una pausa, mandò un sospiro, strabuzzì degli occhi e poi riprese
con maggior compunzione:
— Ah! certo Ella ora si trova in una penosa condizione. La nostra divina
religione inculca il perdono delle offese, ed io che conosco il suo bel
cuore so quanto sarebbe pur dolce a Lei il perdonare.
Il marchese fece una smorfia, che smentiva ricisamente l'allegazione del
frate.
— Ma, continuava questi, pur troppo noi non possiamo aggiustare il mondo
e le cose come vogliamo, e ci conviene accettare quali sono le
circostanze in cui ci volle mettere la Provvidenza. Ella, pel grado che
occupa, pel lignaggio a cui appartiene, per le condizioni sociali in cui
si trova ha certi obblighi, certe necessità su cui non può transigere,
ed è volontà divina che ciascuno compia suoi doveri varii secondo il
diverso stato. Considerata adunque bene ogni cosa, io credo che V. E, fu
bene ispirata nelle sue decisioni, e che a Lei, nel metterle in atto,
non sarà per mancare il divino aiuto.
Il marchese si alzò; e gli altri ne seguirono lo esempio.
— Non dubitavo punto che avrei trovato anche questa volta in Lei, padre
Bonaventura, quel religioso prudente e di buon consiglio che sempre mi
si mostrò. Ecco dunque ciò che rimane da farsi. Voi Nariccia partirete
con mio figlio per essere colà sopra luogo a provvedere a tutto ciò che
possa occorrere. A voi l'incarico di condurre Aurora nel più rimoto
ritiro che sappiate trovare; a voi quello di togliere, quando sia tempo,
dal fianco di lei il neonato... A Lei, padre Bonaventura, l'accorrere
presso la infelice a farle udire la voce di Dio e condurla al
convento... Io, quella disgraziata, non la vo' manco vedere... Non ho
bisogno di dirvi, Nariccia, che tutto quanto occorrerà, potrete
spendere.
Il gesuita e l'Intendente uscirono insieme, e il secondo accompagnò il
primo per un tratto di strada verso il suo convento.
Non si parlarono per un po': sembrava che evitassero perfino di
guardarsi. Ad un punto fu il frate che, chinatosi vivamente verso il suo
compagno, gli disse all'orecchio:
— Credo che fareste bene a mettere un segno a quel bambino nell'esporlo,
affinchè in un caso qualunque lo si potesse riavere... Non si sa mai
quel che possa arrivare!...
Nariccia fissò entro gli occhi il gesuita e gli sguardi di quei due
maliziosi s'affondarono l'un nell'altro.
— Ci ho già pensato: disse poi l'intendente. E continuarono la loro
strada in silenzio.
E di molte cose ne aveva pensato il tristo Nariccia. Egli aveva
continuato a mantenersi in relazione col rapitore d'Aurora; quando
Valpetrosa stava per partire, aveva scritto all'intendente dei
Baldissero quella lettera di cui il _medichino_ aveva letta una parte
salvata dalla fiamma, allorchè _Graffigna_, che se n'era impadronito in
casa dell'assassinato Nariccia, aveva voluto porgergli fuoco da
accendere il sigaro.
Ritirate da Valpetrosa le quindici mila lire che aveva creduto
necessarie per la sua fuga con Aurora, un altrettanto e più di spettanza
del giovane milanese rimaneva tuttavia presso Nariccia; e questi,
posseduto fin dalla sua prima giovinezza da una smania feroce di
arricchire, dalla passione dell'avaro e da quel rabbioso amore dell'oro
onde cotanto si degrada l'anima umana, all'apprendere la venuta del
fratello d'Aurora e il suo disegno di vendetta su Valpetrosa, aveva
pensato che quando questi nello scontro con Baldissero morisse, quella
somma rimarrebbe sua senz'altro.
Quando arrivarono in Milano Baldissero coi suoi due padrini e Nariccia,
quest'ultimo, mentre gli altri per l'ora troppo tarda decidevano di non
presentarsi a Valpetrosa che il domattina, di soppiatto e sollecitamente
recavasi dallo sposo d'Aurora ad avvisarlo di quel che lo minacciava. Il
giovane ebbe una forte emozione che non cercò nemmeno dissimulare: ah!
non era timore per sè, che dotato egli era d'ogni valore; ma era paura,
viva paura del dolore e della sorte che sarebbero toccati a sua moglie
ed al figliuolo suo nascituro. Macchiarsi egli del sangue del fratello
di lei era grave al suo pensiero, ed era più grave ancora il pensare
ch'egli stesso potesse nello scontro soccombere. Per intanto ciò che
premeva era fare in modo che Aurora non avesse a concepire pure un
sospetto della minacciata sventura, da avanzarle almanco delle ore
penosissime di spasimi e paure. Decise a quest'effetto che il mattino
vegnente si sarebbe appostato fin di buon'ora sulla strada ad aspettare
la venuta dei padrini di Baldissero, perchè non avessero da entrargli in
casa ed esser visti dalla sposa, la quale, riconoscendoli, avrebbe
potuto agevolmente indovinare il motivo della loro presenza. Già di
molto erasi turbata Aurora del vedere l'intendente di suo padre, e
benchè le avessero detto che cagione di questa venuta erano gli affari
d'interesse tuttavia pendenti fra quell'uomo e suo marito, tuttavia una
specie d'istinto la teneva in un'ansietà piena di sospetti.
La seconda e rilevantissima cosa a cui volle provvedere Valpetrosa fu il
destino della moglie e del figliuolo da nascere. E per ciò a cui aveva
egli da affidarsi se non a Nariccia, al quale la sua fama di religioso
dava aria di onesto, e che, nelle attinenze sino allora avute,
all'inesperto e confidente giovane era apparso fedele e leale? Lo pregò
volesse egli assumere codesta opera pietosissima; salvasse Aurora e il
suo bambino dall'ira e dalle vendette della famiglia di lei; gli
consigliò la moglie e la madre da cui la morte lui disgiungesse,
Nariccia facesse riparare in qualche oscuro, rimotissimo luogo della
Svizzera, e là sovvenisse di quanto abbisognavano quelle infelici; egli,
Valpetrosa, con una ultima lettera da consegnarsi loro in caso di sua
morte, avrebbe alle medesime manifestato come in tutto e per tutto
dovessero in lui rimettersi ed a lui affidarsi.
Quanto ai mezzi di vivere, quanto alle fortune di quelle poverette, ohi
come si dolse allora Valpetrosa d'avere così sconsideratamente sciupata
tanta parte dell'aver suo! Ma quel che rimaneva, come fare perchè
rimanesse e bastasse al sostentamento della famigliuola, e s'aumentasse
da fornir poi al figlio che doveva nascere se non un'agiatezza, quanto
meno una sicurezza del pane? Qui si trovarono a fronte la facile fiducia
e la leale natura del giovane da una parte e dall'altra la frodolenta
accortezza dell'antico servo dei Gesuiti, il quale non era stato tardo
ad architettare per queste circostanze sopra le proposizioni del giovane
un suo perfido disegno. E si decise: che Valpetrosa facesse un atto
solenne di cessione d'ogni aver suo a Nariccia medesimo, perchè da
costui si potesse esigere ogni capitale di spettanza del primo ed
insieme colle somme che ancora rimanevano presso di lui in deposito,
trafficarlo nelle sue speculazioni ch'e' chiamava bancarie; che di tutto
questo avere il depositario pagherebbe un annuo interesse del cinque per
cento non che una data parte degli utili ricavati dall'uso di tali
somme, le quali annualità sarebbero pagate a Valpetrosa medesimo finchè
e' vivesse, alla madre ed alla moglie venendo egli a mancare; che
Nariccia pagherebbe a semplice richiesta di Valpetrosa di chi per lui,
tutto o quella parte di tal capitale che si volesse poi ritirare; e che
per impedire gli effetti giuridici di quell'atto di cessione, Nariccia
avrebbe rilasciato a Maurilio una privata dichiarazione, con cui si
certificasse come quella cessione fosse una finta soltanto e si
determinassero i veri patti fra loro intravvenuti.
Valpetrosa prese di poi le mani dell'ipocrita Nariccia, e
stringendogliele con forza, guardandolo con occhi umidi, con atto e voce
che erano tutta una supplicazione, soggiunse:
— Vi raccomando ancora una volta Aurora e mia madre... e mio figlio!
(Nel dire quest'ultima parola, tremò la sua voce.) Oh mio figlio! Se il
mio sangue avesse da farlo felice, con qual gioia lo darei tutto!...
Egli porterà il mio nome... Aurora lo desidera... lo desidero anch'io...
ricordatevene! ch'ei sia battezzato sotto il nome di Maurilio..... Ma
più di tutto egli e sua madre sieno sottratti alla famiglia di
Baldissero... Appena lo scontro avvenuto, s'io muoio, accorrete a torli
di qua, perchè il marchese non li trovi... Ch'e' fuggano, per amor di
Dio!... Voi me lo promettete? Voi me lo giurate?
Nariccia diede tutte le promesse e tutti i giuramenti che piacquero a
Valpetrosa, e questi ebbe il coraggio di rientrare colà dove aspettavalo
sua moglie, con una fronte serena così che Aurora se ne sentì
rassicurare la povera anima conturbata.
CAPITOLO III.
Era una fredda mattinata invernale, e Maurilio Valpetrosa tutto avvolto
nel suo mantello stava passeggiando da un po' di tempo nella strada
innanzi alla sua abitazione, quando, visto da lontano due persone bene
imbacuccate ancor esse venire a quella volta, e' si piantò sulla soglia
del portone che metteva nella casa ove dimorava; e trattasi giù dal viso
la falda del mantello, lasciò scorgere le sue leggiadre fattezze. E' non
s'era ingannato nella sua previsione; que' due si fermarono a quella
porta, lui guardarono bene, si ammiccarono, scambiarono sommesso e ratto
due parole, ed avvicinandoglisi uno si scoprì la faccia del pari e gli
disse con un accento in cui sotto una finta cortesia nascondevasi
un'ostilità superba:
— Giusto Lei, signor Valpetrosa, è la persona di cui venivamo in
traccia.... La mi riconosce?
Valpetrosa fece un lieve inchino ed un gentile sorriso:
— Perfettamente, rispose, signor conte di Castelletto.
Il compagno di costui s'era pur egli scoperta la faccia, e il conte lo
presentava dicendone il nome.
— Ed ora, riprese Valpetrosa con elegante scioltezza, a che cosa debbo
attribuire l'onore che mi fanno cercandomi?
Rispose il conte di Castelletto:
— È cosa che richiede per dirsi altro luogo più acconcio che la strada;
ma spero ch'Ella indovinerà agevolmente la qualità della nostra
ambasciata, sapendo che ci manda il marchese di Baldissero figlio, il
quale è qui, a Milano, venuto apposta da Madrid.
— Capisco senza bisogno d'altra parola: disse Valpetrosa con una serena
tranquillità, ma benchè mi rincresca assaissimo il non poter aver
l'onore di accoglierli nella mia umile casa, capiranno, spero, senza
difficoltà anche loro le ragioni che mi tolgono di invitarli a salire
nel mio quartiere.
I due padrini di Baldissero fecero un moto di assenso.
— D'altronde, continuava lo sposo d'Aurora, quello che si ha da trattare
fra chi li manda e me, esige anche da parte mia l'intravvento di
intermediarii. Faccianmi il favore di stabilire un luogo di ritrovo e
fissare un'ora, ed io manderò colà i miei rappresentanti.
— È giusto: rispose di Castelletto. Ella non vorrà stupirsi se questo
ritrovo lo fisseremo ad un'ora piuttosto vicina. Per le ragioni ch'Ella
può facilmente immaginare, il marchese brama ardentemente che ogni cosa
sia presto, assai presto finita.
Valpetrosa sorrise con mesta ironia.
— Capisco la sollecitudine del signor marchese, diss'egli, e non la
condanno; anzi la partecipo ancor io. Ma lor signori capiranno pure
come, per quanta volontà io abbia di accondiscendere alle brame del
signor marchese, mi ci vuole un certo tempo a trovare due fidati amici a
cui commettere il mio mandato, e come io, dovendomi preparare a quello
che è scopo della loro venuta con provvedere ad infinite cose, non posso
altrimenti che differire a domani l'onore di trovarmi a fronte del loro
principale.
I padrini di Baldissero mossero di subito alcuna obiezione, da cui non
si lasciò smuovere Valpetrosa, il quale dichiarò fermamente che nulla lo
avrebbe fatto cambiare di proposito a tal riguardo. Si stabilirono il
luogo e l'ora de! convegno fra i padrini, e poi sì separarono. Lo sposo
d'Aurora non tardò a trovare due amici che acconsentirono a rendergli
quel funesto servizio, e si decise che il duello _all'ultimo sangue_
avrebbe avuto luogo il domattina per tempissimo, arma la spada.
Tutto quel giorno Valpetrosa ebbe lo straordinario coraggio di comparire
in presenza di sua moglie e di sua madre più lieto, sereno e tranquillo
che mai; se vi fu un cambiamento in lui non si mostrò che nella
tenerezza dell'affetto che si sarebbe detta più espansiva e maggiore;
potè avere la forza d'animo di parlare con Aurora dell'avvenire, di
confortarla colle più lusinghiere speranze d'un destino migliore, di
parlare delle gioie che la nascita del loro bambino avrebbe arrecato a
far più prezioso e più santo ancora il diviso amor loro. E in cuore il
misero aveva pur troppo i più funesti presentimenti; e la sua natura
abitualmente risoluta era tutto ondeggiante fra le più opposte
contraddizioni. Ora non voleva difendersi, voleva disarmare il suo
avversario colla mitezza del suo contegno, presentandogli il petto
indifeso, chi sa che alcun resto dell'antico affetto non fosse ancora
per lui nell'animo di Baldissero, ed al vederlo così non si ridestasse
tornando quale al tempo della loro amicizia? pensò perfino un momento —
ma fu un solo momento — ad umiliarsi innanzi all'avversario, a tentare
di vincerne colle parole e colle supplicazioni la collera, a dirgli come
di loro l'uno a niun modo potesse uccider l'altro, perchè egli non
doveva tornare dalla sua sposa lordo del sangue del fratello di lei, e
questi non poteva presentarsi alla sorella, omicida dell'uomo a cui ella
aveva dato l'amore, la sua sorte, tutto di sè. Ora invece egli pensava a
difendersi con ogni vigore, a combattere con accanimento, ad offendere
con feroce ardimento. I vincoli del sangue, le memorie dell'antico
affetto non dovevano aver più ragione alcuna di farlo riguardoso verso i
giorni di Baldissero: non s'aveva da veder più in costui che un fiero
nemico il quale veniva per distruggere la sua felicità. Era suo diritto,
era suo dovere, anche per Aurora, il ripulsarne, fosse pur colla sua
morte, la minaccia e l'offesa.
Ed era egli tuttavia colla tenzone di questi varii pensieri in capo
quando il mattino di poi Valpetrosa vide giunta l'ora di recarsi al
fatale convegno. A Nariccia, col quale il giorno innanzi aveva terminato
ogni cosa che occorresse per quel certo aggiustamento che ho detto; a
Nariccia, cui aveva pregato di un ultimo abboccamento prima dello
scontro, Valpetrosa diede la lettera per la moglie e per la madre e
tutte le più minute istruzioni sul modo di governarsi, ed ottenuto anco
una volta i più solenni giuramenti di fedeltà da quell'ipocrita,
partissi accompagnato da' suoi padrini pel luogo del ritrovo, mentre
Aurora, ignara affatto d'ogni cosa, dormiva tuttavia tranquillamente.
Quale fosse l'esito del duello fra il marchese di Baldissero e Maurilio
Valpetrosa, lo sappiamo già dalle parole che dal primo di costoro
sorprendemmo pronunziate a se stesso in un momento d'angoscia
nell'attesa del figlio e poscia nel suo colloquio col Governatore.
Non vi narrerò la desolante scena che avvenne quando in casa di Maurilio
Valpetrosa fu quest'ultimo recato in aspetto di cadavere, innanzi alla
povera Aurora che di nulla sapeva, ma che pur tuttavia era turbata da
un'indefinibile inquietudine che era un presentimento di sventura. Il
marchese di Baldissero non volle, non osò presentarsi innanzi alla
sorella per annunziarle cotanta disgrazia; e nessuno l'osò di quelli che
avevano assistito al duello fatale, da Nariccia in fuori, a cui si diede
e il quale accettò l'incarico di correre a preparare, per quanto fosse
possibile, al brutto colpo l'anima sensitiva dell'infelice amante. Ma
Nariccia, fosse insufficienza in lui al dilicato ufficio, fosse anche (e
I discorsi col padre non furono molto lunghi nè molto precisi; ma si
capirono ciò nulla meno i due Baldissero. Non si aspettava più, perchè
il figliuolo corresse a raggiungere il seduttore, se non le esatte
informazioni dalla Polizia del luogo dove quell'infame, secondo essi lo
appellavano, si fosse rimpiattato. Ma già fin d'allora era cosa usuale
che la Polizia non riuscisse a saper bene cosa nessuna che importasse
davvero.
Valpetrosa aveva le mille ragioni per nascondersi, fra cui era eziandio,
se non la principale, non delle ultime nemmanco, quella del ratto della
nobile ragazza torinese. Principalissima poi fra codeste ragioni era la
congiura politica, di cui egli era uno dei capi. Avvisato da quei
personaggi autorevoli, da cui egli aveva avute le efficaci commendatizie
per Torino, che il Governo austriaco era in sospetto della cospirazione
e stava per mettere la mano su alcuni fra i più compromessi di cui gli
era uno; Valpetrosa, consigliato a fuggirsi e non volendo ciò fare e per
non essere lontano al momento dell'insurrezione ch'egli sperava
possibile e prossima, e perchè sua moglie in uno stato già inoltrato di
gravidanza non avrebbe potuto sostenere il viaggio, ed egli non voleva
separarsene; Valpetrosa, dico, fece correr voce della sua partenza e
nascose il suo domestico focolare e sè stesso in un rimoto quartiere,
presso fidatissimi amici, dove nessuno mai sarebbe riuscito a scoprirlo.
La Polizia adunque fece sapere ai Baldissero che quel cotal individuo,
nominato Maurilio Valpetrosa, stato a Milano un po' di tempo, erasi
poscia partito di là e fuggito in Isvizzera, dove non si sapeva bene in
qual città avesse riparato.
Il figliuolo del marchese stava per partire in compagnia del suo amico
il conte di Castelletto per la Svizzera coll'animo di girarne tutte le
città e borghi e casolari finchè vi avesse trovato i fuggitivi, quando
la fatalità volle che sopraggiungesse a Torino la lettera che Aurora
aveva scritto al suo fratello a Madrid, la quale, arrivata colà quando
egli erane già partito, gli veniva rinviata. In questa lettera la
infelice pregava suo fratello perchè non la volesse condannare
severamente egli stesso, perchè si facesse intercessore di pietà e
perdono eziandio verso il padre così che non proseguisse col suo odio e
colla sua maledizione lei e l'uomo che essa amava: queste supplicazioni
le faceva non tanto in nome suo, ella di cui certo la colpa meritava
ogni pena, ma in nome dell'innocente creatura che stava per nascere.
Pensasse egli e chiamasse al pensiero del padre che quella creatura era
pure sangue loro e che il proteggerla, l'amarla era in essi ad ogni modo
un debito. Sè affermava piena di tristi presentimenti, aver paura della
morte, sentire tremenda pesar sul suo capo la collera paterna, tremare,
piangere, abbrividire al solo pensiero che quando avrebbe dato la luce
al frutto già dilettissimo delle sue viscere, potrebbe per lei
dischiudersi la tomba; affronterebbe con animo più calmo il fatale
momento, non si spaventerebbe più dell'avvenire quando sapesse che
almanco suo figlio non sarebbe fatto reo di quella colpa ch'ei non
aveva, avrebbe trovato malgrado tutto nella famiglia di sua madre una
famiglia eziandio. Da quanto aveva potuto scorgere e capire delle
condizioni del suo sposo, avrebbe potuto nascere agevolmente il caso in
cui l'innocente nascituro sarebbe stato esposto anco alle strette del
bisogno: oh il diletto fratello di sua madre, quegli che aveva tanto
amato la infelice Aurora, non l'abbandonasse, non lasciasse che a quel
misero si chiudesse affatto come ad un estraneo il cuore e la casa
dell'avo. Se sciolta da queste paure ella sarebbe lieta pur anco
morendo. Affinchè suo fratello potesse farle risposta, l'imprudente
scriveva il preciso indirizzo del luogo in cui Valpetrosa nascondeva la
donna dell'amor suo e se stesso.
Il marchese figlio non lesse quella lettera, che avreste detto scritta
con inchiostro di lagrime, senza grande commozione. Il suo tanto affetto
per Aurora non era spento, ed a quelle umili e calde preghiere gli si
era tutto risuscitato in cuore insieme con una immensa pietà. Si recò
incontanente dal padre a dargli comunicazione di quello scritto ed a
prenderne gli ordini ulteriori.
Mentre nel rileggere forte a suo padre le parole della sorella la voce
tremava al giovane marchese, ed alla fine non erano senza lagrime i suoi
occhi, il fiero capo di quella famiglia ascoltò ogni cosa con aspetto
freddo, maligno, quasi ironico, e poichè il figliuolo si fu taciuto, un
baleno di feroce soddisfacimento passò ne' suoi sguardi.
— Ah ah! esclamò egli con un sogghigno. Ella stessa ci rivela il covo
della mala bestia. Non avrete dunque da sciupar tempo e fatica per
andarla a schiacciare.
Il figliuolo sentì nel suo cuore generoso tutto aperto in quel momento
alla pietà, entrare una profonda amarezza ed un raccapriccio, che erano
una dolorosissima pena. Ripiegò lentamente la lettera di sua sorella e
disse con voce sommessa ed accento d'un gelato rispetto e d'una
malvogliosa sommessione a suo padre:
— Che cosa mi ordina Ella adunque di fare? Nel volto del marchese
apparve più spiccata quell'espressione d'una fierezza mista a crudeltà,
che guastava la bellezza scultoria di quei lineamenti.
— Avete bisogno degli ordini miei? disse con superba severità. Non vi
dicono abbastanza quali sieno la coscienza del vostro dovere e il
sentimento dell'onore?....
Il figliuolo interruppe con qualche vivacità:
— Sì padre, per quanto riguarda _lui_.... ma essa? Aurora? (e pronunziò
questo nome quasi esitando); ma il figlio che ne nascerà?
Il marchese padre corrugò la fronte molto minacciosamente:
— Quello non è sangue nostro: proruppe; invano vorrebb'essa, quella
perduta, impietosirmi su quel figliuolo d'ignobil padre, d'un perfido e
abbominato e disprezzevol lignaggio. Nulla possono aver di comune i
Baldissero con quella schiatta di volgo... Ma cominciamo a punir _lui_.
Tolto di mezzo quel vile, penseremo alla disgraziata ed al frutto della
sua colpa.
Il fratello d'Aurora accennò voler insistere, e il padre, come per torsi
di subito ogni ulteriore fastidio in proposito, soggiunse, non
lasciandolo parlare:
— Ad ogni modo non dimenticherò mai che quella è mia figlia.
Il giovane marchese sapeva anche troppo che nessuna sollecitazione
avrebbe mai potuto ottenere di più e di meglio da suo padre a questo
riguardo: s'inchinò in segno di riverente acquiescenza, e si tacque.
Quel giorno medesimo partirono alla volta di Milano il fratello
d'Aurora, il conte di Castelletto ed un capitano delle Guardie, amico
dei due precedenti, il quale venticinque anni dopo, all'epoca del nostro
racconto, abbiamo trovato governatore della città di Torino. Insieme con
loro partiva eziandio l'intendente del marchese, messer Nariccia, con
particolari e segrete istruzioni del suo padrone.
Per far conoscere quali fossero queste istruzioni, ci convien qui
riferire un segreto colloquio che poche ore prima della partenza aveva
avuto luogo fra il marchese padre, l'intendente e Padre Bonaventura, in
quel tempo giovane gesuita d'una trentina d'anni, molto operoso e
inframmettente, frequentatore assiduissimo e graditissimo di tutte le
case dei nobili.
Il marchese padre aveva raccontato al gesuita la scoperta avvenuta del
luogo in cui si nascondevano i fuggitivi e la partenza che stava per
avvenire del figliuolo affine di coglierli alla posta; poscia, guardando
fisso il frate con quella sua aria imperiosa che voleva dire: le mie
parole hanno da accettarsi senza discussione, e parlando con una certa
simulata deferenza, nella quale pure si faceva sentire il tono
orgoglioso della superiorità, soggiunse:
— Ella, quantunque viva all'infuori delle esigenze e delle passioni del
mondo, pur sa, reverendo, quali siano gli obblighi che a noi,
gentiluomini, impone l'onore della famiglia, e a quelli nè io nè mio
figlio non saremo per mancare giammai.
Padre Bonaventura incrocicchiò le mani, le serrò al petto che teneva
ricurvo, levò un momentino gli occhi al soffitto e poi li abbassò tutto
compunto, mandando un profondo sospiro che voleva significare:
— Eh! pur troppo conosco le crudeli esigenze dell'onore mondano: le
deploro, ma sono disposto a dar loro passata.
Il marchese continuava:
— Ciò riguardo a quello scellerato; ma riguardo a mia figlia ed al
frutto della sua colpa, sento il bisogno di consultarmi con un buon
religioso qual è Lei, padre Bonaventura.
Il gesuita s'inchinò.
— Di udire dalle sue labbra se le mie decisioni possono approvarsi da
Quel di lassù, come sento che le approva e stima necessarie la mia
coscienza.
Queste parole erano dette con una maschera di umiltà sì mal messa che di
sotto appariva agevolmente e più effettivo ancora il vero intendimento
del favellante, che suonava: «Voglio che mi diate la ragione, e
coll'autorità del vostro carattere religioso consecriate come opera
irriprovevole lo sfogo della mia passione.»
Bonaventura prese il contegno di chi si mette ad ascoltare con profonda,
vivacissima attenzione.
— Disgiunta dal suo vile seduttore, mia figlia sarà tenuta in luogo dove
nessuno la veda nè pur la sappia finchè siasi liberata... Dopo, appena
guarita, entrerà in un monastero, dove rimarrà finchè... finchè
decideremo noi che basti... Lei, padre Bonaventura, mi farà il favore di
cercarmi un monastero acconcio, in cui possa ravvedersi quella povera
anima, espiare colle preghiere e colle macerazioni della carne il
proprio fallo, e dove nello stesso tempo non si dimentichi che quella è
figliuola del marchese di Baldissero.
Il gesuita tornò ad inchinarsi.
— Mi farò una premura d'obbedirla, Eccellenza, diss'egli, e spero che
riuscirò a soddisfarla compiutamente.
Successe un istante di silenzio; il marchese pareva non voler più dir
nulla; il frate, chinato un poco verso il suo interlocutore, stava nella
mossa di chi aspetta il principale del discorso; Nariccia, rimasto
sempre a bocca chiusa, seduto un po' discosto, guardava di sottecchi
colle sue pupille bircie ora l'uno ora l'altro.
— E?... e?... disse poi il frate.
— Che cosa? interrogò il marchese superbamente.
— E il fanciullo? susurrò con voce sommessa che quasi non s'udiva, padre
Bonaventura.
Nella faccia del marchese apparì quella feroce espressione che già gli
conosciamo.
— Quel fanciullo, diss'egli a voce bassa, ma fremente, è l'onta della
mia famiglia personificata: e come questa onta si de' cancellare, così
egli ha da scomparire.
Padre Bonaventura si trasse indietro colla seggiola; Nariccia fece un
leggier trasalto sulla sua.
— Scomparire! esclamò il frate; come la intende, signor marchese?
Questi si piegò verso il gesuita.
— Che privilegio può aver egli ad una sorte diversa da quella degli
altri frutti di simili colpe? La famiglia di suo padre andrà dispersa,
nella nostra non può entrare: non gli resta che il destino del
trovatello. Sarà posto come tale in un ospizio.
I due che udivano queste parole erano troppo soggetti al potente
personaggio che parlava, per manifestare in alcun modo, anche il più
lieve, la menoma riprovazione, e fors'anco non sentivano neppure entro
sè veruno sentimento siffatto; ma tuttavia a que' detti del marchese
tenne dietro un silenzio che tornò per tutti impaccioso e che nessuno
sapeva rompere.
Fu il signor di Baldissero che dopo un poco riprese a dire come
complemento del precedente discorso:
— A quell'ospizio, nello stesso tempo che sarà presentato il bambino,
arriverà una vistosa somma d'elemosina, così che tutti i compagni di
sventura di quel frutto della colpa avranno dalla sua venuta alcun
giovamento; e nello stesso tempo, a propiziare la divina pietà all'anima
medesima di quell'empio che mi rapì la figliuola, alla nostra così
crudelmente provata famiglia ed alla sorte del neonato, intendo
presentare alcuna offerta alle chiese dei Ss. Martiri e della Madonna
del Carmine, che sarà di due lampade d'argento, e pregare la loro
carità, reverendi padri, a voler dire un centinaio di messe a mia
intenzione.
Padre Bonaventura s'inchinò più basso di quello che non avesse ancora
fatto per l'innanzi, e disse col suo tono mellifluo, colla sua voce
untuosa, coi suoi occhi bassi e colle sue mani incrociate:
— S. E. invero è sempre un esemplare di sentimenti religiosi e di
generosità. Iddio saprà darle compenso, e dileguate queste poche nubi,
vedrà che le manderà più splendido il sereno di quella felicità anche
terrena che la si merita.
Fece una pausa, mandò un sospiro, strabuzzì degli occhi e poi riprese
con maggior compunzione:
— Ah! certo Ella ora si trova in una penosa condizione. La nostra divina
religione inculca il perdono delle offese, ed io che conosco il suo bel
cuore so quanto sarebbe pur dolce a Lei il perdonare.
Il marchese fece una smorfia, che smentiva ricisamente l'allegazione del
frate.
— Ma, continuava questi, pur troppo noi non possiamo aggiustare il mondo
e le cose come vogliamo, e ci conviene accettare quali sono le
circostanze in cui ci volle mettere la Provvidenza. Ella, pel grado che
occupa, pel lignaggio a cui appartiene, per le condizioni sociali in cui
si trova ha certi obblighi, certe necessità su cui non può transigere,
ed è volontà divina che ciascuno compia suoi doveri varii secondo il
diverso stato. Considerata adunque bene ogni cosa, io credo che V. E, fu
bene ispirata nelle sue decisioni, e che a Lei, nel metterle in atto,
non sarà per mancare il divino aiuto.
Il marchese si alzò; e gli altri ne seguirono lo esempio.
— Non dubitavo punto che avrei trovato anche questa volta in Lei, padre
Bonaventura, quel religioso prudente e di buon consiglio che sempre mi
si mostrò. Ecco dunque ciò che rimane da farsi. Voi Nariccia partirete
con mio figlio per essere colà sopra luogo a provvedere a tutto ciò che
possa occorrere. A voi l'incarico di condurre Aurora nel più rimoto
ritiro che sappiate trovare; a voi quello di togliere, quando sia tempo,
dal fianco di lei il neonato... A Lei, padre Bonaventura, l'accorrere
presso la infelice a farle udire la voce di Dio e condurla al
convento... Io, quella disgraziata, non la vo' manco vedere... Non ho
bisogno di dirvi, Nariccia, che tutto quanto occorrerà, potrete
spendere.
Il gesuita e l'Intendente uscirono insieme, e il secondo accompagnò il
primo per un tratto di strada verso il suo convento.
Non si parlarono per un po': sembrava che evitassero perfino di
guardarsi. Ad un punto fu il frate che, chinatosi vivamente verso il suo
compagno, gli disse all'orecchio:
— Credo che fareste bene a mettere un segno a quel bambino nell'esporlo,
affinchè in un caso qualunque lo si potesse riavere... Non si sa mai
quel che possa arrivare!...
Nariccia fissò entro gli occhi il gesuita e gli sguardi di quei due
maliziosi s'affondarono l'un nell'altro.
— Ci ho già pensato: disse poi l'intendente. E continuarono la loro
strada in silenzio.
E di molte cose ne aveva pensato il tristo Nariccia. Egli aveva
continuato a mantenersi in relazione col rapitore d'Aurora; quando
Valpetrosa stava per partire, aveva scritto all'intendente dei
Baldissero quella lettera di cui il _medichino_ aveva letta una parte
salvata dalla fiamma, allorchè _Graffigna_, che se n'era impadronito in
casa dell'assassinato Nariccia, aveva voluto porgergli fuoco da
accendere il sigaro.
Ritirate da Valpetrosa le quindici mila lire che aveva creduto
necessarie per la sua fuga con Aurora, un altrettanto e più di spettanza
del giovane milanese rimaneva tuttavia presso Nariccia; e questi,
posseduto fin dalla sua prima giovinezza da una smania feroce di
arricchire, dalla passione dell'avaro e da quel rabbioso amore dell'oro
onde cotanto si degrada l'anima umana, all'apprendere la venuta del
fratello d'Aurora e il suo disegno di vendetta su Valpetrosa, aveva
pensato che quando questi nello scontro con Baldissero morisse, quella
somma rimarrebbe sua senz'altro.
Quando arrivarono in Milano Baldissero coi suoi due padrini e Nariccia,
quest'ultimo, mentre gli altri per l'ora troppo tarda decidevano di non
presentarsi a Valpetrosa che il domattina, di soppiatto e sollecitamente
recavasi dallo sposo d'Aurora ad avvisarlo di quel che lo minacciava. Il
giovane ebbe una forte emozione che non cercò nemmeno dissimulare: ah!
non era timore per sè, che dotato egli era d'ogni valore; ma era paura,
viva paura del dolore e della sorte che sarebbero toccati a sua moglie
ed al figliuolo suo nascituro. Macchiarsi egli del sangue del fratello
di lei era grave al suo pensiero, ed era più grave ancora il pensare
ch'egli stesso potesse nello scontro soccombere. Per intanto ciò che
premeva era fare in modo che Aurora non avesse a concepire pure un
sospetto della minacciata sventura, da avanzarle almanco delle ore
penosissime di spasimi e paure. Decise a quest'effetto che il mattino
vegnente si sarebbe appostato fin di buon'ora sulla strada ad aspettare
la venuta dei padrini di Baldissero, perchè non avessero da entrargli in
casa ed esser visti dalla sposa, la quale, riconoscendoli, avrebbe
potuto agevolmente indovinare il motivo della loro presenza. Già di
molto erasi turbata Aurora del vedere l'intendente di suo padre, e
benchè le avessero detto che cagione di questa venuta erano gli affari
d'interesse tuttavia pendenti fra quell'uomo e suo marito, tuttavia una
specie d'istinto la teneva in un'ansietà piena di sospetti.
La seconda e rilevantissima cosa a cui volle provvedere Valpetrosa fu il
destino della moglie e del figliuolo da nascere. E per ciò a cui aveva
egli da affidarsi se non a Nariccia, al quale la sua fama di religioso
dava aria di onesto, e che, nelle attinenze sino allora avute,
all'inesperto e confidente giovane era apparso fedele e leale? Lo pregò
volesse egli assumere codesta opera pietosissima; salvasse Aurora e il
suo bambino dall'ira e dalle vendette della famiglia di lei; gli
consigliò la moglie e la madre da cui la morte lui disgiungesse,
Nariccia facesse riparare in qualche oscuro, rimotissimo luogo della
Svizzera, e là sovvenisse di quanto abbisognavano quelle infelici; egli,
Valpetrosa, con una ultima lettera da consegnarsi loro in caso di sua
morte, avrebbe alle medesime manifestato come in tutto e per tutto
dovessero in lui rimettersi ed a lui affidarsi.
Quanto ai mezzi di vivere, quanto alle fortune di quelle poverette, ohi
come si dolse allora Valpetrosa d'avere così sconsideratamente sciupata
tanta parte dell'aver suo! Ma quel che rimaneva, come fare perchè
rimanesse e bastasse al sostentamento della famigliuola, e s'aumentasse
da fornir poi al figlio che doveva nascere se non un'agiatezza, quanto
meno una sicurezza del pane? Qui si trovarono a fronte la facile fiducia
e la leale natura del giovane da una parte e dall'altra la frodolenta
accortezza dell'antico servo dei Gesuiti, il quale non era stato tardo
ad architettare per queste circostanze sopra le proposizioni del giovane
un suo perfido disegno. E si decise: che Valpetrosa facesse un atto
solenne di cessione d'ogni aver suo a Nariccia medesimo, perchè da
costui si potesse esigere ogni capitale di spettanza del primo ed
insieme colle somme che ancora rimanevano presso di lui in deposito,
trafficarlo nelle sue speculazioni ch'e' chiamava bancarie; che di tutto
questo avere il depositario pagherebbe un annuo interesse del cinque per
cento non che una data parte degli utili ricavati dall'uso di tali
somme, le quali annualità sarebbero pagate a Valpetrosa medesimo finchè
e' vivesse, alla madre ed alla moglie venendo egli a mancare; che
Nariccia pagherebbe a semplice richiesta di Valpetrosa di chi per lui,
tutto o quella parte di tal capitale che si volesse poi ritirare; e che
per impedire gli effetti giuridici di quell'atto di cessione, Nariccia
avrebbe rilasciato a Maurilio una privata dichiarazione, con cui si
certificasse come quella cessione fosse una finta soltanto e si
determinassero i veri patti fra loro intravvenuti.
Valpetrosa prese di poi le mani dell'ipocrita Nariccia, e
stringendogliele con forza, guardandolo con occhi umidi, con atto e voce
che erano tutta una supplicazione, soggiunse:
— Vi raccomando ancora una volta Aurora e mia madre... e mio figlio!
(Nel dire quest'ultima parola, tremò la sua voce.) Oh mio figlio! Se il
mio sangue avesse da farlo felice, con qual gioia lo darei tutto!...
Egli porterà il mio nome... Aurora lo desidera... lo desidero anch'io...
ricordatevene! ch'ei sia battezzato sotto il nome di Maurilio..... Ma
più di tutto egli e sua madre sieno sottratti alla famiglia di
Baldissero... Appena lo scontro avvenuto, s'io muoio, accorrete a torli
di qua, perchè il marchese non li trovi... Ch'e' fuggano, per amor di
Dio!... Voi me lo promettete? Voi me lo giurate?
Nariccia diede tutte le promesse e tutti i giuramenti che piacquero a
Valpetrosa, e questi ebbe il coraggio di rientrare colà dove aspettavalo
sua moglie, con una fronte serena così che Aurora se ne sentì
rassicurare la povera anima conturbata.
CAPITOLO III.
Era una fredda mattinata invernale, e Maurilio Valpetrosa tutto avvolto
nel suo mantello stava passeggiando da un po' di tempo nella strada
innanzi alla sua abitazione, quando, visto da lontano due persone bene
imbacuccate ancor esse venire a quella volta, e' si piantò sulla soglia
del portone che metteva nella casa ove dimorava; e trattasi giù dal viso
la falda del mantello, lasciò scorgere le sue leggiadre fattezze. E' non
s'era ingannato nella sua previsione; que' due si fermarono a quella
porta, lui guardarono bene, si ammiccarono, scambiarono sommesso e ratto
due parole, ed avvicinandoglisi uno si scoprì la faccia del pari e gli
disse con un accento in cui sotto una finta cortesia nascondevasi
un'ostilità superba:
— Giusto Lei, signor Valpetrosa, è la persona di cui venivamo in
traccia.... La mi riconosce?
Valpetrosa fece un lieve inchino ed un gentile sorriso:
— Perfettamente, rispose, signor conte di Castelletto.
Il compagno di costui s'era pur egli scoperta la faccia, e il conte lo
presentava dicendone il nome.
— Ed ora, riprese Valpetrosa con elegante scioltezza, a che cosa debbo
attribuire l'onore che mi fanno cercandomi?
Rispose il conte di Castelletto:
— È cosa che richiede per dirsi altro luogo più acconcio che la strada;
ma spero ch'Ella indovinerà agevolmente la qualità della nostra
ambasciata, sapendo che ci manda il marchese di Baldissero figlio, il
quale è qui, a Milano, venuto apposta da Madrid.
— Capisco senza bisogno d'altra parola: disse Valpetrosa con una serena
tranquillità, ma benchè mi rincresca assaissimo il non poter aver
l'onore di accoglierli nella mia umile casa, capiranno, spero, senza
difficoltà anche loro le ragioni che mi tolgono di invitarli a salire
nel mio quartiere.
I due padrini di Baldissero fecero un moto di assenso.
— D'altronde, continuava lo sposo d'Aurora, quello che si ha da trattare
fra chi li manda e me, esige anche da parte mia l'intravvento di
intermediarii. Faccianmi il favore di stabilire un luogo di ritrovo e
fissare un'ora, ed io manderò colà i miei rappresentanti.
— È giusto: rispose di Castelletto. Ella non vorrà stupirsi se questo
ritrovo lo fisseremo ad un'ora piuttosto vicina. Per le ragioni ch'Ella
può facilmente immaginare, il marchese brama ardentemente che ogni cosa
sia presto, assai presto finita.
Valpetrosa sorrise con mesta ironia.
— Capisco la sollecitudine del signor marchese, diss'egli, e non la
condanno; anzi la partecipo ancor io. Ma lor signori capiranno pure
come, per quanta volontà io abbia di accondiscendere alle brame del
signor marchese, mi ci vuole un certo tempo a trovare due fidati amici a
cui commettere il mio mandato, e come io, dovendomi preparare a quello
che è scopo della loro venuta con provvedere ad infinite cose, non posso
altrimenti che differire a domani l'onore di trovarmi a fronte del loro
principale.
I padrini di Baldissero mossero di subito alcuna obiezione, da cui non
si lasciò smuovere Valpetrosa, il quale dichiarò fermamente che nulla lo
avrebbe fatto cambiare di proposito a tal riguardo. Si stabilirono il
luogo e l'ora de! convegno fra i padrini, e poi sì separarono. Lo sposo
d'Aurora non tardò a trovare due amici che acconsentirono a rendergli
quel funesto servizio, e si decise che il duello _all'ultimo sangue_
avrebbe avuto luogo il domattina per tempissimo, arma la spada.
Tutto quel giorno Valpetrosa ebbe lo straordinario coraggio di comparire
in presenza di sua moglie e di sua madre più lieto, sereno e tranquillo
che mai; se vi fu un cambiamento in lui non si mostrò che nella
tenerezza dell'affetto che si sarebbe detta più espansiva e maggiore;
potè avere la forza d'animo di parlare con Aurora dell'avvenire, di
confortarla colle più lusinghiere speranze d'un destino migliore, di
parlare delle gioie che la nascita del loro bambino avrebbe arrecato a
far più prezioso e più santo ancora il diviso amor loro. E in cuore il
misero aveva pur troppo i più funesti presentimenti; e la sua natura
abitualmente risoluta era tutto ondeggiante fra le più opposte
contraddizioni. Ora non voleva difendersi, voleva disarmare il suo
avversario colla mitezza del suo contegno, presentandogli il petto
indifeso, chi sa che alcun resto dell'antico affetto non fosse ancora
per lui nell'animo di Baldissero, ed al vederlo così non si ridestasse
tornando quale al tempo della loro amicizia? pensò perfino un momento —
ma fu un solo momento — ad umiliarsi innanzi all'avversario, a tentare
di vincerne colle parole e colle supplicazioni la collera, a dirgli come
di loro l'uno a niun modo potesse uccider l'altro, perchè egli non
doveva tornare dalla sua sposa lordo del sangue del fratello di lei, e
questi non poteva presentarsi alla sorella, omicida dell'uomo a cui ella
aveva dato l'amore, la sua sorte, tutto di sè. Ora invece egli pensava a
difendersi con ogni vigore, a combattere con accanimento, ad offendere
con feroce ardimento. I vincoli del sangue, le memorie dell'antico
affetto non dovevano aver più ragione alcuna di farlo riguardoso verso i
giorni di Baldissero: non s'aveva da veder più in costui che un fiero
nemico il quale veniva per distruggere la sua felicità. Era suo diritto,
era suo dovere, anche per Aurora, il ripulsarne, fosse pur colla sua
morte, la minaccia e l'offesa.
Ed era egli tuttavia colla tenzone di questi varii pensieri in capo
quando il mattino di poi Valpetrosa vide giunta l'ora di recarsi al
fatale convegno. A Nariccia, col quale il giorno innanzi aveva terminato
ogni cosa che occorresse per quel certo aggiustamento che ho detto; a
Nariccia, cui aveva pregato di un ultimo abboccamento prima dello
scontro, Valpetrosa diede la lettera per la moglie e per la madre e
tutte le più minute istruzioni sul modo di governarsi, ed ottenuto anco
una volta i più solenni giuramenti di fedeltà da quell'ipocrita,
partissi accompagnato da' suoi padrini pel luogo del ritrovo, mentre
Aurora, ignara affatto d'ogni cosa, dormiva tuttavia tranquillamente.
Quale fosse l'esito del duello fra il marchese di Baldissero e Maurilio
Valpetrosa, lo sappiamo già dalle parole che dal primo di costoro
sorprendemmo pronunziate a se stesso in un momento d'angoscia
nell'attesa del figlio e poscia nel suo colloquio col Governatore.
Non vi narrerò la desolante scena che avvenne quando in casa di Maurilio
Valpetrosa fu quest'ultimo recato in aspetto di cadavere, innanzi alla
povera Aurora che di nulla sapeva, ma che pur tuttavia era turbata da
un'indefinibile inquietudine che era un presentimento di sventura. Il
marchese di Baldissero non volle, non osò presentarsi innanzi alla
sorella per annunziarle cotanta disgrazia; e nessuno l'osò di quelli che
avevano assistito al duello fatale, da Nariccia in fuori, a cui si diede
e il quale accettò l'incarico di correre a preparare, per quanto fosse
possibile, al brutto colpo l'anima sensitiva dell'infelice amante. Ma
Nariccia, fosse insufficienza in lui al dilicato ufficio, fosse anche (e
- Parts
- La plebe, parte IV - 01
- La plebe, parte IV - 02
- La plebe, parte IV - 03
- La plebe, parte IV - 04
- La plebe, parte IV - 05
- La plebe, parte IV - 06
- La plebe, parte IV - 07
- La plebe, parte IV - 08
- La plebe, parte IV - 09
- La plebe, parte IV - 10
- La plebe, parte IV - 11
- La plebe, parte IV - 12
- La plebe, parte IV - 13
- La plebe, parte IV - 14
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- La plebe, parte IV - 16
- La plebe, parte IV - 17
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- La plebe, parte IV - 19
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- La plebe, parte IV - 37
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- La plebe, parte IV - 43
- La plebe, parte IV - 44
- La plebe, parte IV - 45
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- La plebe, parte IV - 47
- La plebe, parte IV - 48
- La plebe, parte IV - 49
- La plebe, parte IV - 50
- La plebe, parte IV - 51