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La plebe, parte IV - 02

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  perdere quel tanto. Amministrata adunque la severa correzione alle
  orecchie di _Gognino_, la vecchia lo prese ad un braccio, se con buona
  grazia ve lo lascio pensare, e fattogli deporre la cassetta di
  fiammiferi sotto il banco d'una rivendugliola sua comare, lo trasse con
  sè verso la casa dove dimorava il pittore Vanardi coi suoi amici.
  Salita su fino all'alto quarto piano ed entrata in quel quartiere che
  ben conosciamo, la _Gattona_ ci trovò sola sora Rosina la moglie del
  pittore, la miglior donna del mondo, come sappiamo, ma non delle meno
  ciarliere. In breve la vecchia che cercava di Maurilio, ebbe appreso
  tutte le novità che lo riguardavano; e la venuta del vecchio prete di
  campagna, e l'intromettersi di quest'esso per trovare a Maurilio un
  impiego, e l'avergli trovato il posto di segretario presso il marchese
  di Baldissero, e l'essere già Maurilio fin da quella mattina allogato in
  tal qualità da quella famiglia.
  All'udire siffatta novella, la _Gattona_ parve cadesse dal quarto cielo,
  tanto rimase sbalordita dalla meraviglia. Maurilio in casa dei
  Baldissero! Se lo fece ripetere parecchie volte, come se la fosse cosa a
  cui non potesse prestar fede così di piano; ed alla fine, levando le
  scarne mani verso il cielo, esclamò con un'espressione che faceva
  pensare a chi sa qual mistero la volesse adombrare:
  — Oh Provvidenza! oh Provvidenza!
  Sora Rosina non mancò al suo dovere di curiosa stuzzicando con varie
  domande la vecchia popolana a parlare; ma la _Gattona_, cosa d'ogni
  altra più meravigliosa, si rinchiuse nella discrezione d'un assoluto
  silenzio, da cui fu impossibile farla uscire; anzi troncò senz'altro il
  colloquio e se ne andò frettolosa dicendo che avrebbe cercato del signor
  Nulla nel palazzo del marchese: ma non fu colà ch'ella diresse i suoi
  passi, bensì al convento dei Gesuiti presso la chiesa del Carmine, dove
  domandò di padre Bonaventura, e dove, non essendoci egli, si fermò fino
  a tanto che rientrasse, cosa che non avvenne fino al cader del giorno.
  Fra il frate gesuita e la pitocca venditrice d'abitini ebbe luogo un
  altro segreto colloquio lungo ed animato, che si conchiuse colla
  risoluzione, il frate medesimo avrebbe parlato al marchese ed avrebbe da
  lui ottenuta udienza a Modestina Luponi chiamata la _Gattona_.
  Ma di quel giorno fu impossibile a chicchessia vedere il marchese di
  Baldissero, perchè gli avvenimenti capitati presero al vecchio
  gentiluomo tutto il tempo, e quando, compito quello che credette il
  debito suo, si ridusse in casa, non volle che nessuno più di estranei,
  qualunque si fosse, venisse introdotto presso di lui.
  Ecco intanto quel che era capitato.
  Verso le quattro Ettore di Baldissero rientrava nel palazzo paterno.
  Virginia, che stava ansiosamente attendendo ed a cui niuna nuova da
  nessuna parte era ancora pervenuta, appena udì rientrato il cugino,
  senza badare a verun'altra considerazione più, ma mossa soltanto
  dall'impulso della sua ansietà, fece pregare Ettore di passare tosto da
  lei. Il marchesino era troppo galante per tardare ad obbedire a un simil
  cenno della sua bella cugina.
  La ragazza gli venne incontro fin verso la soglia, che Ettore aveva
  appena varcata; e guardandolo fiso in mezzo agli occhi come chi vuol
  leggere altrui nell'animo, gli disse con tono di asseveranza come se già
  sapesse tutto:
  — Tu ti sei battuto quest'oggi coll'avvocato Benda.
  Fra le tante cose meno degne d'un gentiluomo che Ettore di Baldissero
  aveva imparate pur troppo, non c'era almanco quella di saper mentire.
  Chinò il capo in segno affermativo.
  Virginia continuava con aspetto pieno di coraggio, benchè fosse pallida
  ed avesse alquanto affannoso il rifiato:
  — Un duello quale deve aver avuto luogo fra voi non si conchiude senza
  morte o ferita di alcuna delle parti. Tu sei compiutamente illeso.....
  — Ti rincresce? interruppe con un sogghigno pieno di malignità il
  marchesino.
  La giovane parve non badar neppure alla interruzione.
  — È dunque l'avvocato Benda che rimase colpito.
  — Tu la ragioni meravigliosamente giusto: rispose Ettore colla medesima
  ironia.
  Virginia impallidì ancora di più e le sue palpebre tremarono un pochino;
  fu il solo segno di debolezza che apparisse in lei.
  — Morto? domandò ella con voce più sommessa.
  — No.
  — Ah! — Ella fece una breve pausa e mandò più grosso il respiro. — La
  ferita è grave?
  — Non è delle più leggiere: rispose con serietà il marchesino, che a
  questo punto non ebbe il coraggio più di essere ironico nè impertinente:
  ma la spero neppure delle più gravi.
  Virginia tornò ad affondare i suoi occhi più brillanti che mai negli
  occhi del cugino, e domandò con una franchezza che svelava in una la
  forza e la nobiltà del suo amore:
  — Vivrà?
  — Spero di sì: rispose il marchesino.
  Il colloquio fra i due cugini non aveva più ragione di continuare:
  stettero un istante l'uno in faccia dell'altra, senza saper più che cosa
  dirsi, finchè egli, tornando a far sentire nel suo accento quel tanto
  d'ironia, ruppe il silenzio:
  — Mi pare che tu non abbia più nulla da dirmi, Virginia?
  Ella scosse la segno negativo la testa. Ettore si inchinò leggermente ed
  uscì con aria disinvolta e quasi ilare, ma con un vivissimo dispetto in
  cuore. Non gli rimaneva più dubbio alcuno sull'amore di sua cugina per
  quel borghesuccio, ed egli, colla ferita che a quest'ultimo aveva
  procacciata, non aveva fatto altro che renderlo più interessante.
  Appena sola, Virginia chiamò a sè la sua cameriera.
  — Fa di sapere, dissele, se il segretario di mio zio è rientrato; e se
  sì, digli che venga a parlarmi.
  La cameriera guardò stupita la padroncina.
  — Va e fa come ti dico.
  Aveva un aspetto di tal risoluzione e di comando, mai più visto in lei,
  che la fante si mosse ad obbedire senza fare pure una di quelle
  osservazioni che le erano venute in folla sulla punta della lingua.
  Ettore, rientrato nelle sue stanze, trovò il domestico che gli trasmise
  l'ordine del marchese di presentarsi subito innanzi a lui.
  — Andiamo da mio padre: disse il giovane fra i denti con un soffocato
  sospiro che manifestava la malavoglia e il disagio ispiratigli da questo
  abboccamento.
  E ci fu sollecito. Alle interrogazioni del padre egli rispose con
  franchezza tutta la verità.
  — Voi avete disobbedito in una al vostro genitore ed al vostro re; gli
  disse con severissimo accento il marchese. Nè l'uno nè l'altro non vi
  possono così agevolmente perdonare: mi recherò da S. M. ad intendere
  quale punizione voglia infliggere alla vostra pervicacia. Voi
  aspetterete in casa il mio ritorno.
  Il figliuolo s'inchinò in atto di rassegnazione, e il marchese si recò
  senza indugio a Corte per riferirne al re. Mezz'ora dopo egli rientrava
  coll'ordine reale: Ettore di Baldissero si recasse incontanente agli
  arresti in cittadella.
  Ma entrando nella vasta sala dell'anticamera, il marchese s'incontrava
  colla nipote che, apparecchiata per uscire, s'avviava in compagnia della
  cameriera verso lo scalone. Era già scuro per le strade della città.
  — Dove vai, Virginia, a quest'ora? le domandò.
  Ella si confuse, arrossì, balbettò, ed insistendo lo zio nella
  richiesta, rispose:
  — Vado a consolare una mia amica e compagna di collegio a cui è capitata
  una grande sventura.
  — Chi?
  Virginia si confuse e arrossì vieppiù.
  — Chi? ripetè il marchese osservando attentamente la ragazza.
  — Maria Benda.
  — La sorella dell'avvocato?
  — Sì.
  — Ah! — Stette un istante guardando la nipote con fissità osservatrice,
  ma non ostile, nè severa; — questa grande amicizia è nata da ben poco
  tempo, che prima d'ora mai non vi fu fra voi attinenza di sorta.
  Virginia chinò il capo e non disse parola. Lo zio la prese per mano con
  un'autorevolezza piena di affettuoso interessamento.
  — Vieni, vieni meco, Virginia, soggiunse. Conviene che ci parliamo noi
  due. — Andate ai fatti vostri, voi: disse alla fante, e trasse con sè la
  nipote in quel suo studiolo in cui siamo già penetrati parecchie volte.
  Maurilio, più veniva accostandosi alla casa di Francesco e più sentiva
  in cuor suo diminuire quel tristo sentimento d'odio che gli era sorto
  verso l'amico. Anzi la riazione che avveniva nella sua natura
  fondatamente buona, lo faceva a poco a poco ancora più sollecito,
  ansioso e dolente del pensiero che a Benda avesse potuto accadere
  disgrazia. Ciò lo mosse ad affrettare il passo così che giunse al
  portone della casa, quasi correndo. Entrò egli nel casotto del portinaio
  e interrogò Bastiano che stava seduto con un gran braciere in mezzo alle
  gambe, fumando la sua pipa.
  Apprese che Francesco non era ancora rientrato, e che in famiglia non si
  aveva sospetto nessuno del pericolo del giovane. Si fermò alquanto nel
  camerino del portinaio ad aspettare, poi non potendo più stare alle
  mosse, uscì ed andò a scalpitare con impazienza la neve dei viali.
  Avrebbe voluto camminare incontro alla novella per apprenderla più
  presto, ma non sapeva da qual parte Francesco e i suoi compagni fossero
  per giungere; pensava all'ansietà che, maggiore certo della sua, provava
  a quel medesimo tempo Virginia, e in parte se ne arrabbiava con invida
  gelosia, in parte se ne accorava come quegli che a lei avrebbe voluto
  risparmiare ogni affanno.
  E intanto il giorno se ne andava e in quell'annuvolato aere scendeva
  assai presto il primo scuriccio della sera. Maurilio, intirizzito ornai
  dalla brezza invernale che spirava gagliarda, vide finalmente una
  carrozza che veniva a quella volta al trotto serrato d'un cavallo di
  prezzo. Questa carrozza si fermò innanzi al portone, un giovane signore
  ne discese frettoloso con aria visibilmente preoccupata ed entrò nella
  casa. Maurilio indovinò che con quel signore era giunta la novella, e
  dal volto del messaggiero capì che la non era lieta. Era diffatti il
  conte San-Luca che veniva a preparare la famiglia alla luttuosa vista
  del figliuolo ferito. Il sangue diede un rimescolo al nostro giovane;
  avrebbe voluto entrare colà e domandarne, e non osò; vide il conte venir
  fuori della casa, la faccia ancora più conturbata di prima, salir nel
  legnetto e questo ripartire, senza ch'egli avesse la risoluzione di
  spiccarsi dal luogo, di fare checchessiasi.
  E di qual misura era la disgrazia che ormai non dubitava più fosse
  capitata a Francesco? Stette lì ad aspettare ancora senza sapere al
  giusto che cosa. Mezz'ora dopo giungeva a lento passo la carrozza che
  portava il ferito. Nelle tenebre della sera, Maurilio si cacciò innanzi
  di guisa da scorgere il meglio possibile, s'appiattò dietro il tronco di
  un albero là dove la carrozza doveva voltare per entrar nel portone, e
  mentre questa gli passava a un metro appena di distanza, gettò in essa
  avidamente lo sguardo. Travide la faccia pallida di Francesco appoggiata
  alla spalla di Giovanni Selva; negli occhi sbarrati del ferito che
  fissavano la casa paterna, scorse l'ansia ed il dolore fisico e morale.
  Maurilio non fu visto da nessuno; e' si ritrasse indietro quasi con
  ispavento e con orrore di sè medesimo. L'empio desiderio che
  nell'accesso del suo geloso furore aveva poco prima formolato, gli tornò
  in memoria come un rimorso, e gli parve poco meno che d'esser egli
  eziandio colpevole di quel sangue.
  Dal suo nascondiglio vide sotto il portone, di cui Bastiano aveva
  spalancato le imposte, le dolorose accoglienze cui padre, madre e
  sorella facevano al povero ferito, che con riguardosa cura fu tratto
  fuor di carrozza e condotto al piano superiore; vide traverso i vetri
  delle finestre dell'abitazione il correre di qua e di là di lumi per
  l'affaccendarsi a provvedere le cose occorrenti al misero giovane;
  voleva entrare e domandarne e non osò: sperava che uno di quelli che
  accompagnavano Francesco uscisse ed egli potesse da lui informarsi e
  nessuno veniva. Finalmente il pensiero di Virginia, la quale stava
  sempre attendendo, che in lui s'era affidata, ed alla cui fiducia non
  voleva fallire, lo decise; entrò, chiese di Selva, lo ebbe a sè, apprese
  come stessero le cose, e addoloratissimo prese correndo la via del
  ritorno al palazzo Baldissero.
  Virginia aveva giustamente mandato in cerca di lui. Maurilio le comparve
  innanzi ancora tutto affannato della sua corsa.
  — So che il suo amico è stato ferito, le diss'ella con una specie di
  brusca vivacità che era irrequietezza dell'animo commosso e sgomento; ma
  se e quanto sia pericoloso il suo stato, lo ignoro. Può Ella apprendermi
  il vero?
  Maurilio mestamente le ripetè quanto a lui medesimo aveva detto poc'anzi
  Giovanni.
  La ragazza lo ascoltò fredda, immota, si sarebbe detto quasi
  indifferente. Quand'egli ebbe finito, essa fece un moto della testa che
  significava insieme ringraziamento e congedo, e disse semplicemente, ma
  la sua voce tremava un pochino:
  — La ringrazio.
  Il giovane uscì, e Virginia abbigliatasi e comandato alla fante si
  abbigliasse per accompagnarla, voleva accorrere presso di Francesco a
  vederlo, confortarlo, apprendere co' suoi occhi medesimi la fatal
  verità.
  — S'egli morisse, pensava, ed io non potessi manco più dargli un addio!
  Era per uscire, come vedemmo, quando s'incontrò collo zio che ne la
  impedì, conducendola seco nello studiolo.
  — Aspettami qui un istante, le disse: devo dare pochi ordini e poi sono
  da te.
  Ebbe a sè il figliuolo, e comunicatogli la sovrana decisione, comandò
  che immediatamente si recasse nella cittadella, dove già erano trasmessi
  gli ordini opportuni per riceverlo. Ettore non rispose una parola:
  s'inchinò e fu sollecito a recarsi in fortezza. Eravi diffatti già
  aspettato, ed a lui — vedete gioco del caso! — toccò appunto quella
  camera nella quale due giorni prima era stato rinchiuso come prigioniero
  politico il suo rivale ed avversario Francesco Benda.
  — Virginia: cominciò così a parlare alla nipote il marchese di
  Baldissero, poichè fu rientrato nello studiolo, dove la ragazza stava
  attendendolo. Hai tu confidenza in me? Ti pare che io la meriti intiera
  e compiuta la tua fiducia?
  La giovane stava dritta presso il camino e guardava fisamente la fiamma
  che volteggiava sulle legna nel focolare. Anche sulle sue guancie,
  precisamente come una fiamma, andava e veniva a volta a volta una vampa
  di rossore, un'onda di sangue che coloriva la sua pallidezza un istante,
  e spariva. Ella era levatasi dalle spalle il mantello e gettatolo
  comecchessiasi sopra una seggiola, s'era tolto del paro il cappellino e
  lanciatolo a quel modo. Le sue chiome abbondanti color d'oro, coi ricci
  cascanti sul niveo collo chinato, splendevano alla luce della lampada
  che era stata accesa sulla caminiera. Al di sopra della lampada pareva
  chinarsi sopra di lei il grande crocifisso d'avorio dalle braccia tese,
  e il riflesso rosato del lume dava a quel volto mite e sofferente
  scolpito dall'artista un'espressione che sembrava pietà.
  Alle parole dello zio, Virginia alzò il capo reclinato, e guardando con
  franchezza e intenerimento insieme la bella figura del vecchio
  gentiluomo, rispose con voce vibrante d'emozione:
  — Oh zio! Ella è l'unica persona al mondo in cui io possa aver fiducia e
  debba. E non vi ha alcuno che più la meriti di Lei.
  Il marchese le pigliò una mano.
  — Io ho fatto sinora tutto il mio possibile, perchè meno aspra e funesta
  ti fosse la tremenda sciagura a cui ti volle condannare il Signore:
  quella di non aver più nè padre, nè madre.
  Virginia alzò gli occhi al soffitto, come se volesse lanciare uno
  sguardo fino al cielo a cercarvi cari perduti.
  — Mia madre! esclamò essa coll'affetto di chi invoca in supremo bisogno
  un aiuto. Baldissero lasciò andare la mano della nipote, si passò la
  propria destra sulla fronte, e continuò con accento più sordo:
  — Tua madre io l'ho amata cotanto!.... Eppure!....
  S'interruppe come chi ha pronunziata parola che non doveva, e s'affrettò
  a riprendere:
  — Ella aveva ogni fiducia in me... fin ch'io rimasi al suo fianco....
  Ah! s'io non mi fossi allontanato, i miei consigli, il mio amore le
  avrebbero risparmiato indicibili affanni. Or bene, Virginia, in nome di
  tua madre medesima io ti prego a non voler mai tener celato a me quello
  di cui ti sentiresti obbligo di rendere istrutta tua madre.
  Virginia tornò a chinare la testa in aria più perplessa che confusa.
  — Ed ora, continuava lo zio, mettendo nelle sue parole maggiore caldezza
  d'affetto: ora se tua madre fosse qui, non avresti tu nulla da
  confidarle?
  La ragazza parve il sul punto di parlare; poi si rattenne; mandò
  un'esclamazione e volse in là il viso arrossito.
  — Tu hai dunque un segreto? seguitava il marchese coll'accento il più
  paterno: e questo segreto la tua determinazione di poc'anzi abbastanza
  lo rivela. Che cosa c'è di comune fra te e quel signore?
  Virginia sollevò di nuovo la faccia con un'espressione piena di
  coraggio: guardò fermamente lo zio e disse colla franchezza d'una
  purissima coscienza e d'un nobile sentimento:
  — Ci amiamo! Egli me lo svelò, io non glie lo nascosi.
  — Sventurata! esclamò il marchese con accento in cui non c'era collera
  ma piuttosto dolore. E che speri tu?
  — Nulla.... Glie lo dissi.... Egli, forse appunto per disperazione di
  ciò, volle morire.... Non debbo io prima che scenda nella tomba
  consolarlo d'un addio?
  Negli occhi le spuntarono due lagrime, ma la voce e l'aspetto non
  manifestarono la menoma debolezza.
  — Sventurata! Sventurata! ripetè lo zio. È dunque destino che anche
  tu?...
  S'interruppe di nuovo; parve recarsi sopra sè, e per un istante regnò in
  quel salotto il più assoluto silenzio. Virginia guardava lo zio con una
  specie di curiosa ansietà che le parole e i contegni di lui le
  suscitavano. Dopo un poco egli soggiunse:
  — Tu sai che nella vita di tua madre fu un gran dolore, ma quale esso
  sia stato ignori tuttavia. Fu desiderio di quella povera donna che tu
  l'apprendessi un giorno, e me lasciò giudice del momento opportuno. Oh
  forse ho avuto torto a indugiare cotanto: e il racconto delle sciagure
  di lei avrebbe potuto servirti d'ammaestramento! Ma così mal volentieri,
  e ne intenderai il perchè, accosto quel discorso!... Ora però non debbo
  più nulla tacerti. Siedi costì, Virginia, ed ascoltami. Udrai finalmente
  la storia di tua madre.
  Virginia mandò un gridolino di desiderio, di soddisfazione insieme e di
  preghiera e di ringraziamento.
  — Ah sì! esclamò giungendo le mani: ch'io l'oda finalmente!
  Il marchese si raccolse, e cominciò poscia a narrare coll'accento di chi
  esponendo le più dolorose vicende della sua vita, sente riaprirsi le mal
  rimarginate piaghe del cuore.
  Ma poichè non tutte le circostanze di quel funesto avvenimento poteva
  egli e doveva raccontare alla nipote, noi esporremo da parte nostra in
  termini più compiuti quel dramma, come già può essere narrato, senza
  pregiudicar l'interesse dei fatti avvenire, al punto in cui si trova lo
  svolgimento del nostro racconto.
  
  
  CAPITOLO II.
  
  Si era verso la fine dell'anno 1820. Che si avesse a vedere qualche
  novità in Piemonte molti dicevano, parecchi speravano, pochi affatto
  credevano. Carlo Alberto principe di Carignano continuava ad essere il
  centro di quel movimento liberale che aveva preso proporzioni abbastanza
  considerevoli nell'aristocrazia piemontese, la quale aveva sognato un
  momento poter giungere a sostenere presso la monarchia sabauda e presso
  il popolo subalpino quella parte moderativa e di dominatrice influenza
  che da secoli è tenuta dalla nobiltà del sangue, del merito e del denaro
  nell'isola inglese. S'era visto i medesimi Borboni di Francia accettare
  una costituzione; perchè non l'avrebbero accettata anco i Savoia? Alcuni
  spiriti aristocratici, mossi senza saperlo dalla forza impellente del
  progresso, vagheggiavano la distinzione e l'autorità di una _parìa_
  ereditaria nella loro famiglia colla guarentigia d'una libera tribuna.
  Credevano con questo modo risuscitare sotto forme novelle contro il
  trono, il feudalismo schiacciato dalla monarchia assoluta, e non
  s'accorgevano che aprivano la strada ad un più forte, nuovo, invasore
  potere, quello della libertà che non poteva a meno di far capo alla
  sovranità popolare. Ma ciò scorgevano bensì alcuni dei più generosi e
  dei più ardenti patrioti; i quali, oltre alle libertà interne miravano
  ancora ad un altro sacrosanto scopo; quello dell'indipendenza della
  comune patria dallo straniero.
  La costituzione in Piemonte, speravano, sapevano, volevano che fosse la
  guerra all'Austria; guerra che non si aveva da conchiudere se non colla
  cacciata degl'imperiali al di là delle Alpi, ed ardenti giovani
  ufficiali, anche di aristocratico sangue, affrettavano coi voti e
  volevano affrettare coll'opera questo grandissimo fatto. Santorre
  Santarosa, nobile recente, ingegno non comune, degno d'andare fra i
  primi in qualunque tempo e presso qualunque popolo per cuore e per forza
  di volontà; Santorre Santarosa sapeva e voleva precisamente lo scopo
  necessario, legittimo, ultimo di quell'agitazione liberalesca, e
  spingeva verso di esso con ogni suo potere.
  Ma i più dei nobili ritornati, colla ristaurazione dei Principi, a
  riprendere i loro privilegi, le loro cariche, le loro ricchezze,
  l'autorità, non capivano come fra i proprii compagni di casta ci fossero
  dei matti che, per una, secondo essi, poco illuminata ambizione,
  cercassero di cambiare ciò che era il meglio nella migliore delle
  monarchie assolute aristocratico-militari, e volessero porre a
  repentaglio i vantaggi attualmente posseduti per diritti e politiche
  guarentigie, di cui si poteva benissimo fare senza. Codestoro
  avversavano accanitamente cotali novatori; e tra essi era de' più accesi
  il vecchio marchese di Baldissero, padre di quello che abbiam conosciuto
  per capo della famiglia al tempo del nostro racconto. Egli era stato uno
  dei più fieri odiatori della rivoluzione di Francia, dell'impero e di
  Napoleone; ed odiava ogni novità, come un fanatico inquisitore sapeva
  odiare le eresie; aveva seguito il suo re in Sardegna, aveva trovato
  crudelissimo quell'esilio e ne aveva accresciuto il rancore ai
  _giacobini_ (sotto il qual nome egli comprendeva tutti quanti non la
  pensassero esattamente come lui nella strettezza delle sue idee
  cattoliche, monarchiche, assolutiste); tornato nel continente con
  Vittorio Emanuele, era stato uno dei più caldi ed insistenti a dare
  quello sciocco, funestissimo consiglio che fu pur troppo messo in
  pratica, di ritenere come non avvenuti gli anni d'interruzione nel regno
  di Casa Savoia, di cancellare con un frego tutta la storia della
  dominazione repubblicana ed imperiale, e distrutta ogni innovazione,
  riprendere e rifare le cose come si trovavano a quel medesimo punto in
  cui il Re dovette fuggire innanzi allo spirito rivoluzionario
  rappresentato dalle baionette francesi. Ogni progresso legislativo,
  politico, sociale, civile fu tolto di mezzo: si volle rievocare la
  società del secolo scorso morta e sotterrata: e l'ultimo _Palmaverde_
  (annuario di Corte e degl'impieghi) fu preso per norma di distribuzione
  delle cariche di cui si spogliarono i titolari per rivestirne gli
  antichi, e se morti, i figli loro.
  Codesto intrattabile ed accanitissimo nemico di ogni liberalismo odiava
  più ancora degli altri quei nobili che accennavano piegare alle idee
  moderne. A lui parevano codestoro come apostati e traditori; onde
  immaginatevi voi quali non dovessero essere il suo dispiacere e la sua
  collera, quando gli parve scorgere che suo figlio, il suo unico figlio
  medesimo si intingesse di questa pece.
  Era da parecchi mesi a Torino un giovane signor milanese: Maurilio
  Valpetrosa. Era bello, geniale, elegante, pieno di brio e di
  piacevolezza nella parola, di grazia e di avvenenza nei modi, di buon
  gusto nel vestire e in ogni diportamento; ardito e destro ad ogni
  esercizio corporeo, cavalcare, schermeggiare, al nuoto, alla danza, al
  pallamaglio, allora di moda; generosissimo nello spendere; non inferiore
  a nessuno, facilmente superiore ai più in ogni cosa onde possa comporsi
  eletta educazione signorile, Venuto nella capitale del Piemonte con
  autorevoli ed efficaci commendatizie era stato fin dalle prime
  intromesso nella più scelta e titolata società e non aveva tardato a
  diventare assiduo frequentatore di quel gruppo di giovani ufficiali,
  letterati ed artisti che si raccoglievano nel palazzo Carignano intorno
  al giovane principe che doveva fare ammenda del fallo al Trocadero.
  L'aristocrazia torinese, difficilissima e assai cauta in quel tempo ad
  ammetter ne' suoi salotti in condizioni di famigliarità e d'uguaglianza
  chi fra i suoi concittadini non contasse il numero voluto dei _quarti_,
  era assai più larga e benigna verso i forestieri; e quando uno venuto di
  fuori avesse maniere acconcie, ricchezze all'avvenante, lo accettava
  come invitato alle sue feste, e visitatore nelle sue conversazioni,
  senza domandargli di più. Codesto non poteva aver tratto di conseguenza;
  il forestiero sarebbe partito, recando seco la memoria della forbitezza
  di quella società, che quando voleva, sapeva essere veramente squisita,
  ed ecco tutto.
  Maurilio Valpetrosa venne accolto di questo modo e per queste ragioni. I
  denari gli colavano di mano come ad un milionario, aveva una figura da
  principe di _conte de fées_, nel suo nome c'era anche un certo profumo,
  direi quasi, d'aristocrazia, un titolo non disdiceva nè stonava con
  quella sonora riunione di lettere d'alfabeto; s'avvezzarono a chiamarlo
  di Valpetrosa, e gli uomini per mangiare le sue cene, fumare i suoi
  sigari, averlo allegro compagno nelle loro pazzie, le donne per
  sorridere alla maschia di lui bellezza, per lasciarsi incantare dalle
  seduttrici parole dette con ispirito dalla sua voce insinuante, non gli
  domandarono se potesse provare che i suoi maggiori erano stati alle
  crociate.
  Con costui il padre di Ettore Baldissero aveva stretto una più intima
  attinenza, che quasi poteva dirsi amicizia. Si erano conosciuti
  precisamente nelle sale del Palazzo Carignano, e dapprincipio e per
  alcuni mesi fra di loro non fu altra attinenza che quella di persone
  ammodo fra cui non v'è ragione alcuna di intrinsichezza. Ma ad un tratto
  il giovane milanese si pose con tanta insistenza e con tanta gentilezza
  a voler acquistare l'affetto e la confidenza del marchese di Baldissero
  che impossibile resistergli. E' diventarono gli Oreste e Pilade di
  quella nobile società torinese, e i maligni non tardarono a scoprire e
  susurrare la causa di questo premuroso zelo d'amicizia nell'elegante e
  leggiadro forestiero, quella cioè di accostarsi così vieppiù alla
  signorina Aurora di Baldissero, della quale cupidamente bramasse la
  beltà eccezionale e la dote vistosamente ricca.
  Per quest'ultima parte si calunniava quel giovane, il quale in realtà
  era una delle più generose e valenti anime d'uomo che esser possano; ma
  quanto all'affetto che in lui avevano acceso la beltà, le grazie,
  l'ingegno della nobile fanciulla ch'egli aveva avuto campo di conoscere
  e di apprezzare in molti di quei salotti a cui era ammesso; quanto
  all'amore che egli ad Aurora aveva consecrato, caldo, insuperabile,
  eterno, tutto quello che diceva la gente, e parevano già cose esagerate,
  era un nulla appetto al vero.
  Valpetrosa amò Aurora con tutto l'impeto di quella sua natura vivace ed
  ardentissima; l'amò di quell'amore che, come si esprime Dante: «a nullo
  amato amar perdona,» di quell'amore così assoluto, così vasto, così
  dominante che di esso non può a meno qualunque donna che assuperbirsi; e
  la natura gli aveva concesso, oltre il valore dell'interno, anche quei
  fisici pregi esteriori per cui cotale affetto si può a meraviglia
  esprimere, eloquentemente significare e con efficacia comunicare. Egli
  non aveva ancora parlato alla fanciulla che delle più indifferenti cose
  onde si possa occupare il discorso di due che conversino colle stampite
  delle cerimonie, e già la giovane sapeva d'essere amata con infinito
  ardore, e già quel leggiadro garzone amava ancor essa, senza averlo
  voluto, come spintavi da una forza superiore.
  Il male si fu che di codesto ebbero ben presto ad accorgersene, come
  
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