La plebe, parte IV - 01
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LA PLEBE
ROMANZO SOCIALE
DI
VITTORIO BERSEZIO
PARTE QUARTA
PROPRIETÀ LETTERARIA
TORINO,
PRESSO CARLO FAVALE E COMP., EDITORI
1869.
PARTE QUARTA
La Catastrofe.
CAPITOLO I.
Secondo era inteso fra il marchese di Baldissero, Don Venanzio e
Maurilio, quest'ultimo, la mattina dopo il colloquio che aveva avuto
luogo fra i tre ora nominati personaggi, erasi recato al palazzo del
marchese per fissarvi senz'altro la sua dimora in qualità di segretario.
Dal marchese erano stati dati gli ordini opportuni. Appena si presentò,
Maurilio fu condotto dal mastro di casa che lo ricevette come individuo
specialmente raccomandato dal padrone.
— Signore, dissegli, tutto è pronto ad accoglierla, e nella sua camera
troverà un assortimento d'abiti fra cui potrà scegliere quelli che
meglio le piacciano e meglio le si attaglino.
Maurilio arrossì fino alle orecchie e nascose la sua confusione in un
inchino, balbettando inintelligibili parole di ringraziamento.
La camera destinatagli era pulita, allegra, appetto a tutte le altre
abitazioni ch'egli aveva avute sino allora, elegante. Il sarto e gli
abiti, come aveva detto il mastro di casa, lo stavano aspettando. Scelse
panni scuri, senza esagerazione di forme alla moda; e quando vestito di
nuovo da capo a piedi, e' si guardò nello specchio che stava sopra il
canterale, quasi non riconobbe se stesso: fece al suo pallido volto
riflesso dalla lastra un sorriso in cui c'era più vergogna che
compiacenza, e disse mentalmente a se stesso:
— Tu se' un altro Maurilio.... I panni ti faranno oramai giudicare dal
mondo un uomo ammodo.... Ma sei vestito di roba altrui!...
Il sarto, secondo le abitudini del più di questi mercatanti, cianciò
egli la parte sua e quella del giovane a cui la confusione dell'animo e
della mente non lasciava aver parole fatte; rifornitolo per allora
d'ogni parte d'abbigliamento, gli prese misura per altri abiti da
farglisi di ricambio, che tali erano gli ordini di S. E., e partissi
accompagnato dal domestico che era stato testimonio a codesta
vestizione, e la cui presenza non aveva conferito poco a vergognare ed
imbarazzare il timido Maurilio.
Questi rimase solo in mezzo alla modesta suntuosità di quella stanza che
gli era destinata. E' guardò allora tutt'intorno a sè, come per conoscer
bene quegli oggetti che lo circondavano, cui non aveva ancora osato
esaminare e prenderne, come dire, possesso: un lettino in ferro, una
tavola da lavabo, un cassettone con sopravi lo specchio incorniciato di
legno su cui una vernice di color naturale, un caminetto alla Franklin,
un seggiolone appiè del letto, una mezza dozzina di seggiole impagliate,
di quelle leggerissime di Chiavari, un armadio in un angolo, un tavolino
da scriverci, un acquasantino d'alabastro a capoletto, quattro incisioni
che rappresentavano le imprese di Cortez al Messico, in cornici di legno
appese alla parete tappezzata di carta colore di foglia secca,
bianchissime cortine alla finestra, tendoline ai cristalli della
medesima, sullo spazzo di quadrelli immasticati, una lista di tappeto
innanzi al letto, per mettervi su i piedi scendendone, ed ecco tutto. Ma
tutto respirava la pulizia, il buon gusto e l'agiatezza. Maurilio si
piantò innanzi allo specchio e vi si mirò con una specie di fissità
inquisitoriale, mezzo dispettosa, quasi maligna.
— Che fai tu qui? s'interpellò egli con quel suo sogghigno: sei tu fatto
per questi ambienti? è egli tuo posto questo? Povero buttero di
campagna, misero figliolo del fangoso rigagnolo della strada, sangue di
plebe, come osi tu mettere il piede su questo terreno? E che ci vieni a
far tu? a viverci da parassita?
I suoi lineamenti si contrassero con una dolorosa espressione.
— Parassita io?
Scosse il suo grosso capo arruffato e gettò uno sguardo che pareva di
sfida e di minaccia alla sua immagine rimandatagli dallo specchio.
— No, no, e poi no.... Sarà il mio lavoro che mi guadagnerà questo pane,
che mi guadagnerà questi abiti, che pagherà questa dimora. Non ho io
vissuto press'a poco in tal guisa quand'ero agli stipendi del signor
Defasi?... E perchè questo non avrebbe ad essere mio posto?
Ricordò le parole della vecchia _Gattona_, che Selva e Don Venanzio gli
avevano riferite, e le quali potevano far argomentare d'una sua non
plebea origine, sentì risollevarsi più vive in cuore le speranze,
vissute in lui sempre, ora rinfocolate cotanto, di giungere a penetrare
il mistero della sua nascita e trovare in fondo di esso un onorevole,
forse illustre destino.
— Ah! esclamò egli ad un tratto passandosi la mano sulla vasta, pallida
fronte: sento che da questo dì comincia per me una sorte novella. Più
trista delle varie che ho subite non può essere; sarà dunque più
lieta?...
Sentì, cominciando dal cervelletto giù giù pel midollo spinale scorrere
e diramarsi per tutti i nervi, passare in tutte le vene quel certo
fluido, dargli una lieve scossa quel brivido cui produce una intima
emozione, e che a lui pareva un vincolo d'unione, il mezzo di rapporto
fra sè ed il sognato suo spirito protettore. Levò gli occhi verso il
cielo, impallidì ancora nelle guancie incavate, e giungendo le mani come
si fa per pregare esclamò:
— Oh angiolo mio benigno! oh madre mia! Sei tu che qui mi hai tratto?
Sei tu che mi vuoi ospite in questa casa?...
Un novello pensiero a tali parole s'impadronì di ogni facoltà del suo
animo: un pensiero che era immanente in lui, ma che ora altre momentanee
sensazioni parevano avere assopito: il pensiero di _lei!_
— Questa casa è la sua! Soggiunse egli, interrompendo il suo primo
discorso, e cambiando di tono: essa abita qui, a poca distanza da me,
sotto il medesimo tetto; e la potrò vedere, e la vedrò tutti i giorni.
Schiuse le labbra ad un sorriso di beatitudine e corse alla finestra. Lì
sotto era la strada cui egli aveva passeggiato tante volte, là in faccia
era la cantonata, a cui tante volte s'era fermo a contemplare quel
palazzo, dov'egli ora si trovava. La stanza assegnatagli era al secondo
piano e Maurilio riconobbe con una strana sensazione che poteva dirsi di
gioia, come la fosse quasi al di sopra di quella in cui aveva indovinato
dormire Virginia.
Questo nome ripetè egli come se la invocasse.
— Virginia! Virginia!
All'udire la sua voce far suonare quella parola fra quelle pareti, si
riscosse, tremò, si soffuse di rossore, si volse rattamente a guardar
indietro e dintorno, come pauroso alcuno l'avesse potuto udire. Si
rassicurò vedendosi compiutamente solo; non ci aveva altra compagnia,
non s'udiva colà altro rumore che quello del foco che schioppettiva nel
caminetto.
— La vedrò ogni giorno: ripetè quasi avesse bisogno di dirselo più
volte, affine di credere egli medesimo; la vedrò oggi stesso, fra
poco!...
Un legger colpo battuto all'uscio della sua stanza lo fece sussultare.
— Avanti: diss'egli volgendosi alla porta, curioso e quasi inquieto di
vedere chi fosse.
S'apri un battente e comparve la faccia bonaria di Don Venanzio, più
lieta, più sorridente, più benigna del solito.
— Cospetto! esclamò il buon vecchio, come sei bene alloggiato, e come
vestito! Mi sembri un medico o un avvocato.
Si fregò le mani con espressione di viva contentezza:
— Dio sia lodato che mi ha voluto far la grazia di soddisfarmi uno dei
maggiori desiderii che avesse ancora la mia vecchiaia: quello di vedere
il tuo destino assicurato, Maurilio, mio buon figliuolo.
Il giovane, preso da un vivo intenerimento, sentì inumidirsi le ciglia e
non seppe fare altra risposta che gettarsi al collo del sacerdote ed
abbracciarlo. E Don Venanzio, tenendolo così stretto al suo seno in un
affettuosissimo amplesso, continuava:
— Sì il tuo destino assicurato, perchè qualunque cosa venga o non venga
a scoprirsi intorno alla tua nascita, la protezione di questo
generosissimo uomo, che è il marchese, non ti può mancar più, e tu non
sei tale da rendertene indegno mai....
Maurilio nascose la fronte sulla spalla di quel vecchio che aveva saputo
amarlo d'un amore paterno.
— Ma le triste vicende del mio passato... balbettò egli.
— Il marchese sa tutto, e d'or innanzi non correrai più il pericolo che
la rivelazione di quelle tue sciagure possa farti perdere l'impiego...
Nega ora, se il puoi, col tuo orgoglio di razionalista, l'azione e la
bontà della Provvidenza che mi ha tratto qui dal mio villaggio, giusto
appuntino per poterti allogare come si conviene, e forse forse per
trovarti eziandio la tua famiglia: e quest'ultima cosa dopo dimani spero
che la sapremo.
— Ah! se mai fosse! esclamò cogli sguardi sfavillanti Maurilio, il quale
sentiva nel capo suscitarsi e tumultuare la follia di mille assurde
speranze.
— Sì, sì, sarà... sarà anche questo. Io confido nel Signore; e non è per
nulla di certo che la sua bontà ci ha messo sulla traccia ora soltanto,
dopo tanto tempo... Ma questo non è momento di parlare di ciò... nè di
ciò nè di altro, perchè la è l'ora dell'asciolvere, e siamo attesi
tuttedue.
Maurilio guardò Don Venanzio con aria esterrefatta. Questo asciolvere,
voleva egli domandare, si farà con tutta la famiglia? Era dunque giunto
il momento desiderato e temuto, felice e pur penoso, di comparire
innanzi egli all'amata fanciulla?
Il buon vecchio prete che nello sguardo e nella mossa del giovine vide
soltanto una maraviglia, credette rispondere a quest'essa spiegando come
andasse la cosa.
— Sì, continuò egli, ci siamo attesi tuttedue. Il marchese ha voluto ad
ogni patto che fin tanto che io rimango a Torino, venga a farti
compagnia... Se ti dico che con tutta la sua dignitosa fierezza è il
migliore dei bravi uomini! Ha capito che ciò farebbe un immenso piacere
a me e nel medesimo tempo gioverebbe a levar te di suggezione, ti
sarebbe d'aiuto nell'affarti all'ambiente della casa... Dunque poc'anzi
sono venuto, come egli me ne aveva detto, e discorso un poco insieme del
più e del meno, vennero ad annunziare che se S. E. voleva si sarebbe
servito in tavola per l'asciolvere. Il marchese mi disse: «Ella non ha
ancora visto la camera del sig. Nulla?» — «No, signor marchese:» io gli
risposi. «Ebbene se vuole andare a chiamarlo Ella medesima per
l'asciolvere, avrà tempo a dargli un buon giorno ed un abbraccio: e così
potrà interrogarlo se gli manca e se desideri alcuna cosa cui forse non
oserebbe domandare al mastro di casa.» Ve' che bontà!... Io accettai
l'incarico ed eccomi... Già son persuaso che non ti manca nulla.
— No certo.
— Dunque non c'è altro che discendere nella sala da pranzo.
— Andiamo: disse Maurilio il quale si sforzò a dominar la emozione che
nacque subitamente e vivissima in lui.
Ma al punto di varcare la soglia di quella stanza dovette fermarsi e
reggersi allo stipite, tanto il cuore gli batteva e glie ne tremavan le
gambe.
— Coraggio! gli disse Don Venanzio che credette questa soltanto emozione
di timidità; e' son tutti in fine uomini come siam noi, per quanti
titoli abbiano al proprio nome.
Maurilio si fece forza e discese in compagnia del parroco. Quando
entrarono nella sala da pranzo non c'erano ancora che due domestici in
piccola livrea, immobili come statue presso un'alta credenza di legno
d'ebano scolpita, nella quale brillavano nitidissimi cristalli,
porcellane ed argenti, e il servo di confidenza del marchese, in abito
nero e cravatta bianca, dritto dietro l'alta spalliera della seggiola su
cui soleva sedere il capocasa.
Non tardarono a sopraggiungere il marchese che dava il braccio alla
marchesa, e dietro essi Virginia. Maurilio sentì la presenza di lei, ma
non osò alzare il capo nè gli occhi a guardarla: se ciò avesse fatto,
avrebbe trovato così pallido il viso della fanciulla, così chiare in
esso le traccie della insonnia e d'una pena morale che ne sarebbe stato
più di commosso.
Don Venanzio fu amichevolmente salutato da tutti, anche dalla superba
marchesa; la sua qualità di sacerdote gli valeva siffatta distinzione
dalla fierezza aristocratica di quella donna, più per principio politico
che non per devota osservanza al sacro di lui carattere. Virginia con un
sorriso di tutta amorevolezza andò a porger la mano al vecchio prete
dicendogli parole piene di grazia e di dolcezza.
— Il signor Nulla, il nuovo segretario di cui vi ho parlato: disse il
marchese facendo un cenno colla mano per presentare Maurilio, che
s'inchinò, alla marchesa ed a Virginia. — Mia moglie e mia nipote:
soggiunse poi additandole a loro volta al giovane.
La marchesa aveva fatto un legger cenno colla testa pieno di superbia, e
certo avrebbe prestato più attenzione e regalato uno sguardo più cortese
ad un cagnolino che le fosse condotto dinanzi; Virginia aveva fatto un
piccol saluto sbadato nella evidente preoccupazione onde aveva presa
l'anima, e stava per voltar via la testa, senz'altro, quando i suoi
occhi cadendo sopra il volto dell'uomo che le veniva presentato, un
sovvenire ed un'idea sorsero di subito nella sua mente. Il suo sguardo
si fermò su quelle fattezze che le parve avesse già viste altre volte; e
da quegli occhi color del mare balenò una fiamma viva cui Maurilio,
benchè timido e vergognoso tenesse volti a terra gli sguardi impacciati
e la faccia arrossita, sentì arrivarlo, circondarlo, penetrarne entro il
cervello il calore. Sollevò allora le pupille ancor egli; lo sguardo
della fanciulla era come un'investigazione. «Dove vi ho io visto? pareva
domandare: chi siete? che cosa venite a far qui?» Negli occhi di lui
c'era tanta ammirazione, tanta devozione, tanta ardenza di affetto che
impossibile una donna nulla ne scorgesse; Virginia non vide, non sognò
nemmanco che ci fosse, che ci potesse essere dell'amore; scorse,
avvertì, sentì che in quel giovane timido e modesto avrebbe potuto avere
in un caso un aiuto; glie ne diede un tacito ringraziamento, e prese
quasi atto come d'una muta promessa con una mossa gentile e andò a
sedersi al solito suo luogo fra lo zio e la zia.
— E mio figlio? domandò il marchese nell'atto di spiegare il suo
tovagliolo.
— È uscito or ora, appena levato: rispose uno dei domestici: ed ha
lasciato detto che pel _déjeuner_ non sarebbe venuto.
Il marchesino, che contro il divieto del padre voleva battersi quel
giorno medesimo con Benda (e già sappiamo come il duello avesse luogo
alle tre di quel pomeriggio) aveva pensato miglior consiglio fuggire la
presenza del genitore.
Il padre e la madre di Ettore scambiarono un ratto sguardo in cui
c'erano un medesimo timore ed un medesimo sospetto; una nube passò sulla
fronte del marchese, il quale non fece altre osservazioni nè domande, e
di suo figlio non parlò più. Anche sul volto di Virginia apparve, ma
dominata e repressa tosto, una espressione di ansietà.
Durante la colazione si fu piuttosto silenziosi. Il marchese parlò
talvolta con Don Venanzio ed anche con Maurilio; ma poi, vedendo che
quest'ultimo aveva dal suo impiccio la maggior pena del mondo a
rispondere, lo lasciò tranquillo; la marchesa rivolse alcune fiate il
discorso al prete intorno ad argomenti indifferentissimi e ne ascoltò le
risposte come si ascoltano le cose di che non c'importa niente affatto;
Maurilio fu per lei come se non esistesse.
Al nostro giovane amico il tempo di quell'asciolvere parve lungo,
eterno, e insieme fuggito come un istante. Egli si trovava quasi di
fronte a Virginia. Avrebbe voluto guardarla sempre, bearsi nella desiata
contemplazione di quel volto leggiadro; e il timore d'incontrare lo
sguardo di lei, gli faceva tenere gli occhi fissi inchiodati sul tondo
che aveva dinanzi. Ma pure due o tre volte ardì sollevarli, e di nuovo
essi incontrarono quello sguardo scrutatore di lei; anzi ad un punto
parve al confuso giovane che un'espressione di lieta sorpresa, d'una
inesplicabile speranza fosse nell'occhieggiare dell'adorata fanciulla.
Ei si disse che ciò era impossibile, che questo era un inganno, che egli
non aveva da essere altro per lei fuori d'un estraneo indifferente,
ch'ella non poteva in lui ravvisare una conosciuta persona, a meno che
riconoscesse il miseruzzo di giovane di libraio che le recò un giorno
dei libri, e cui ella non aveva pur degnato d'uno sguardo, o il
vagabondo che s'era introdotto un dì nel parco della villeggiatura in
cui ella si trovava, e ch'essa medesima aveva visto punire e scacciare
come ladruncolo di frutta; ma questo riconoscimento egli aveva sperato e
tutto gli faceva credere non potrebbe avvenire, e non sarebbe per esso
che gli sguardi di lei avrebbero preso quella che gli pareva ombra
d'interesse e di favore. Era dunque una compiuta illusione la sua.
E invece la era una realtà. Virginia non aveva riconosciuto in Maurilio
il giovane di libraio, nè il creduto ladroncello del parco, sibbene
quell'individuo che poche sere prima, nell'occasione del ballo
dell'_Accademia filarmonica_, ella, nel vestibolo del palazzo dove aveva
luogo la festa, aveva veduto in compagnia di Francesco Benda. La nostra
memoria ha di queste stranezze: ella, senza che ce ne accorgiamo, riceve
delle impressioni e le alloga, per così dire, in qualche suo riposto
cantuccio, indipendentemente dal concorso della nostra volontà; ad un
dato momento, quando appunto ci diventa più utile il poterci servire di
quell'impressione, il trarre in campo il ricordo di quel fatto, di
quella circostanza, ella ce lo trae fuori per mettercelo dinanzi fresco,
preciso ed efficace.
Virginia, dopo la nuova provocazione avvenuta al ballo la sera prima fra
suo cugino Ettore e l'avvocato Benda, non s'illudeva punto sulle
conseguenze di quel fatto. Nell'insonnia onde aveva avute turbate le ore
di riposo che trammezzarono tra la partenza dal ballo e l'asciolvere,
ella posseduta da una indescrivibile ansietà, s'era con sommo dolore
convinta, che nulla poteva fare affine d'impedire uno scontro, ed aveva
dovuto limitarsi ad ardenti preghiere e ad invocare che almeno le fosse
concesso di sapere tosto e tutta la verità. Inviare a domandarne a casa
dei Benda per un domestico, e non osava, e temeva non le sarebbe
concesso per la sorveglianza della zia; altro modo di ottenere il suo
intento non sapeva immaginare. Al primo vedere il nuovo segretario dello
zio, un confuso sovvenire d'averlo già visto e una più confusa idea che
quell'uomo la potrebbe servire le nacquero in una. Quando il suo ricordo
chiaro e spiccato le ebbe posto innanzi la vicenda e il modo ne' quali
quel giovane era stato da lei incontrato, ella non dubitò più che un
pietoso riguardo della sorte glie l'avesse mandato pur farla soddisfatta
nel suo ansioso desiderio: la lo guardò coll'occhio benigno con cui si
guarda l'opportuno stromento della nostra salvezza: il povero Maurilio
dovette a codesto la infida gioia — invano voluta da lui medesimo
cacciare e soffocare — d'un momento di ventura ch'egli stesso dichiarava
impossibile: la ventura d'uno sguardo affettuoso!
Nel recarsi dalla stanza da pranzo al vicino salotto da prendervi il
caffè, Virginia seppe far così bene che rimase indietro da venire a
costa di Maurilio, il quale nel vedersela vicino, tremava verga a verga.
— Signore, diss'ella con quel coraggio che le dava l'amor suo e con
quella franchezza che le permetteva la superiorità della sua condizione
sociale sopra quella del giovane; mi pare che la non sia questa la prima
volta che noi c'incontriamo.
Il povero Maurilio impallidì ed arrossì in una. Ella aveva dunque notata
la presenza di lui? Ma dove, e come, e quando? Si accrebbe il tremore
de' suoi nervi e il palpito del suo cuore: siccome non poteva spiccicar
parola dalle labbra, e' si contentò d'inchinarsi in segno di rispettosa
affermazione.
La nobile fanciulla continuava:
— La ho veduta, se non erro, l'altra sera insieme coll'avvocato Benda.
Pronunziò essa quel nome senza la menoma esitazione, senza deviar lo
sguardo, senza punto arrossire, ma abbassando la voce così che il suono
di tal parola non potesse giungere a svegliare in alcun modo
l'attenzione dello zio e della zia che precedevano.
Ma a questi detti parve al misero Maurilio che una mano di gelo venisse
a serrargli il cuore che si dilatava ad accogliere sempre meglio quella
ineffabil gioia di assurda speranza. La nebbia rosata ond'era avvolto il
suo spirito si ruppe, e traverso la fatale illusione che cominciava a
dileguarsi, travide il principio d'una realtà dolorosa.
— Sì, sì signora, balbettò egli, osando pur finalmente guardarla nel
volto. Ero insieme a Benda, mentr'ella passava su per la scala
dell'Accademia Filarmonica.
La ragazza chinò gli occhi innanzi a lui.
— Ella è molto amico di quel signore?
— Signora sì.
Virginia non fu padrona di contenere la vivacità dell'interesse con cui
affrettatamente soggiunse la domanda:
— Ne sa Ella qualche notizia di lui da questa mattina?
— No: rispose Maurilio con tanto appena di voce da farsi sentire.
E la ragazza più frettolosamente e più infervorata di prima:
— Deve essersi battuto... con mio cugino. Sono ansiosissima di saper
novelle dello scontro prima di mia zia... Sarei molto riconoscente a chi
me ne recasse il più presto possibile.
S'era giunti al salotto. Virginia s'allontanò dal giovane senz'altro, e
non vide per fortuna la nuova espressione che avevano presa i lineamenti
di lui.
A Maurilio s'era svelata tutta la verità. Quella sera in cui primamente
gli era avvenuto di vedere insieme Francesco e Virginia aveva indovinato
che Benda amava ancor egli l'oggetto dell'amor suo; ora e' si faceva per
lui chiaro come la luce del giorno che ancor essa, Virginia, riamava
Francesco. Quell'odio che già aveva sentito per quest'ultimo e cui aveva
confidato a Giovanni Selva, assalì con nuova vampa e con nuovo impeto
l'anima di Maurilio: desiderò ogni danno al suo fortunato rivale, non
inorridì, a tutta prima, allo scellerato pensiero, il quale si faceva
per lui una infame speranza: che cioè quel duello di cui le aveva fatto
cenno Virginia medesima, potesse, forse in quel momento medesimo,
togliere di mezzo quel fortunato per cui s'era aperto il cuore della
donna ch'esso era condannato ad amare inutilmente. Ma non tardò ad aver
vergogna e rabbia e disprezzo di se medesimo: aspettò poterlo fare senza
violare nessuna convenienza, e come il marchese gli ebbe detto che per
allora non abbisognava dell'opera sua, Maurilio corse a rinchiudersi
nella sua stanza, rifiutando anche la compagnia di Don Venanzio,
bisognoso come era d'esser solo e di affondarsi nel turbatissimo caos
de' suoi pensieri. Si gettò boccone sul letto e cacciandosi le mani
contratte entro le chiome arruffate, stette colà immobile a sentire,
quasi come si fa per una voluttà, l'interno spasimo che lo travagliava.
Che cosa era venuto a far egli in quella casa? tornava a domandare a se
stesso: non era meglio morir anzi mille volte di fame che venire a farsi
corrodere il cuore da simili angoscie? Qual delirio lo aveva preso, qual
odio di se medesimo quando aveva consentito a entrare in quella
famiglia? Come era mutato ora l'aspetto d'ogni cosa! Poc'anzi gli pareva
che fosse quello il fine delle triste venture, adesso invece sentiva
essere il cominciamento di nuovi e forse ancor più aspri dolori.
Le poche parole dettegli da Virginia seguitavano a suonargli nella
mente, come se un'eco incessante fosse lì a ripetergliele. Ella
evidentemente sperava in lui, ci aveva contato su per sapere tosto
quelle nuove di cui aveva schiettamente confessato essere ansiosa: e
perchè mancherebbe egli alla fiducia che in lui aveva ella riposta? Se
alcuno gli avesse detto un tempo: — «Tu puoi risparmiare un minuto di
dolore a quella che ami:» non avrebb'egli lietamente offerto se stesso
ad ogni tormento per quest'effetto: ed ora?...
Si levò di sopra il letto con nuova risoluzione; uscì della sua stanza,
scese precipitoso le scale del palazzo e prese correndo la strada per
alla dimora di Francesco Benda.
Mentre Maurilio recavasi a casa dei Benda, nel palazzo del marchese di
Baldissero avveniva una scena che non è inutile conoscere per la
prosecuzione del nostro racconto.
Presentavasi nell'anticamera una sordida vecchia che, invocando il nome
di Dio, della Madonna e di tutti i santi, protestava avere gravissime
cose da comunicare a S. E. il marchese, proprio a lui in persona, ed
insisteva perchè andassero a dirglielo affine di esserne ricevuta. I
lacchè, ai quali questa donna era già ben conosciuta, la ricevettero con
tutto il superbo disprezzo di cui questi valorosi sono capaci verso la
povera gente, e per quanto ella non iscoraggiata ed audace instasse, non
acconsentirono a darle retta.
— Oh sentite, _Gattona_, finirono per dirle, smettetela chè omai ci
avete fradici, e sono tutte inutili le vostre parole. Il marchese ha
ordinato, espressamente ordinato, capite, di mandarvi ai cento mila
diavoli ogni quel volta vi presentiate, ch'egli, per cantarvela in
musica, non vuol più avervi tra' piedi in nessun modo. Se gli è per
ispillargli qualche soccorso, venite nei giorni e nelle ore solite,
quando fa distribuire elemosine dal suo segretario, che al vostro turno
alcuna cosa vi potrete buscare, altrimenti, a star qui ed insistere, voi
seccate inutilmente noi, e ci perdete il vostro tempo.
La _Gattona_ pensò che, parlando al segretario, un'autorità superiore
nella schiera dei dipendenti dal marchese, avrebbe forse avuta maggior
probabilità di fare arrivare sino all'orecchio di S. E. l'ambasciata che
voleva, e per cui ella era persuasa di essere dal marchese ricevuta.
Domandò adunque di potere almanco vedere questo sor segretario; e n'ebbe
in risposta che egli era uscito, e che non sapevasi dirle l'ora nella
quale avrebbe potuto vederlo di quella giornata, perchè era nuovo
affatto in ufficio, entratovi soltanto quella mattina medesima, e non
aveva ancora assunto regolare servizio.
La _Gattona_ si partì finalmente, e borbottando fra sè come persona che
ha gravi preoccupazioni pel capo ed è più incerta che mai del partito
cui prendere, s'avviò verso la sporca viuzza dove ci aveva la dimora.
Sotto le volte che dalla strada di Dora Grossa mettono nella piazza del
Palazzo municipale trovò essa _Gognino_, il quale, abbandonata in un
angolo la sua cassetta dai fiammiferi, faceva chiasso con altri
sbarazzini della sua risma, tirando addosso a sè ed anco alla gente che
passava pallottole di neve. _Gognino_ vide bensì ad un punto la nonna
che veniva, e corse alla sua cassetta; ma era troppo tardi, l'occhio
grifagno della vecchia lo aveva colto in _flagranti_; e di più, come se
ciò non bastasse ad irritare la già indispettita, maligna femmina, ecco
una di quelle palle di neve tirata dalla mano d'uno fra i compagni del
nipote, venirla a colpire nella cuffia, mandargliela per traverso e
scomporle tutto il poco elegante edifizio della sua capigliatura grigia
ed arruffata.
La _Gattona_ piombò sopra il nipote, proprio come uno di quegli animali
che avevano avuto l'onore di darle il nomignolo sopra un povero topo, lo
ghermì e fece le vendette della sua autorità sconosciuta, dei suoi
comandi disubbiditi, della sua cuffia oltraggiata, della sua dignità
offesa dalle sghignazzate dei biricchini sulle orecchie di _Gognino_,
cui tirò senza misericordia, non ostante gli strilli del povero ragazzo.
Ma l'incontro di _Gognino_ le fece pure venire in mente una buona idea.
Quell'uomo cui la sorte le aveva condotto innanzi così inaspettatamente
poche sere prima, ed al quale ora ella credeva essere in grado di
rendere un nome ed una famiglia, e studiava appunto di far ciò nel modo
che più le fruttasse; quell'uomo avevale promesso dieci soldi al giorno
a patto gli conducesse il nipote ad imparare da lui lettura e scrittura.
Ora di quel giorno ella aveva trascurato di menargli il bambino e di
esigerne le promesse monete; e non ci vedeva nessuna buona ragione di
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