La plebe, parte III - 27

rivale, che poteva ogni giorno, quasi ogni ora, vederla, parlarle,
respirare l'aria ch'ella respirava. Lo avrebbe tolto di mezzo, avrebbe
smaccata quella fiera superbia, si sarebbe almanco vendicato.
Ed è con questi sentimenti che verso le due e mezzo Francesco salì nella
carrozza di Quercia per recarsi alla villa del contino San Luca.
Vi giunsero in breve. Il custode, avvertito, aprì la cancellata, appena
ebbe udito l'avvicinarsi della carrozza, fece un rispettoso saluto al
passaggio di questa e diede un tocco alla campana che stava presso alla
porta del suo casotto ad avvisare dell'arrivo di gente quelli che si
trovavano nel palazzo, la cui facciata si vedeva sorgere in fondo ad un
abbastanza lungo e largo viale piantato di ippocastani. Dal viale e
dalla spianata che s'allargava innanzi alla casa erasi fatto levar via
la neve, e le ruote del brougham corsero leggermente scricchiolando
sulla sabbia finissima del suolo immollato. Le finestre del palazzo
erano chiuse colle persiane fuorchè al pian terreno dove le persiane
spalancate lasciavano brillare i tersi cristalli degli usci a finestra
che mettevano lungo la facciata sopra una specie di terrazzino che per
cinque gradini lunghi quant'era lunga la casa scendeva al livello della
spianata.
Appena la carrozza di Quercia si fu fermata innanzi a quegli scalini,
all'altezza dell'uscio di mezzo della facciata, la porta a vetri si aprì
e comparve sulla soglia un domestico in gran livrea. Francesco e i suoi
due secondi entrarono in una vasta sala che era un'anticamera elegante;
sul passo d'una porta che si apriva alla loro sinistra videro il conte
San Luca che erasi mosso cortesemente ad incontrarli. Si salutarono con
una certa solennità e in silenzio, e mentre il domestico ed un suo
compagno che trovavasi pure colà, aiutavano i nuovi venuti a spogliarsi
dei loro pastrani e mantelli, il padrone di casa disse con quel tono di
raffinata urbanità che è proprio della nostra aristocrazia:
— Ho preceduto qui i miei amici per aver l'onore di riceverli, se lor
signori fossero arrivati, come diffatti è avvenuto, prima dell'ora
posta; ma non dubito che a momenti i miei amici saranno qui ancor essi.
Si tolse di mezzo all'apertura dell'uscio, facendo col cenno invito
d'entrare ai tre giovani, i quali così passarono in un salotto arredato
con ricco buon gusto, dove fiammava un bel fuoco che già aveva
intiepidito per bene l'ambiente.
Uno dei domestici che era entrato in seguito ai tre ospiti, dispose
intorno al camino quante poltroncine occorrevano e poi s'avviò per
ritirarsi.
— Farete riparare la carrozza di questi signori sotto la tettoia del
cortile, gli comandò il padrone; e prenderete cura del cocchiere.
Il domestico uscì, e tosto dopo si udì la carrozza allontanarsi girando
dietro la casa.
— S'accomodino, signori: disse San Luca, accennando alle poltroncine.
Quercia si gettò in una che trovavasi più vicino ad un elegante
tavoliere intarsiato, sul quale stavano un portasigari di porcellana di
Sèvres ed una _cave-à-liqueurs_ che aperta lasciava scorgere due ordini
di bicchierini e quattro bottigliette di liquori. Francesco ringraziò
con un cenno del capo l'invito di sedere, ma rimase in piedi appoggiando
un gomito allo sporto del camino e voltando le spalle al grande specchio
che stava sul medesimo. Selva fece alle parole di San Luca la medesima
risposta che Francesco e si pose ad esaminare un quadro di merito che
pendeva alla parete.
— Posso offrir loro un _avana_ ed una goccia di rosolio?
Francesco e Giovanni rifiutarono cortesemente; Luigi allungandosi della
persona, senza punto levarsi da seduto, tese la mano e prese sul
tavolino il portasigari, dove con cura di intelligente della materia
trascelse un grosso sigaro di foglie avanesi del colore della carnagione
d'una mulatta, cui accese e cominciò a fumare con famigliare noncuranza.
— Signor conte, disse Benda con forbita cortesia, le sono molto grato di
aver voluto dare al mio ritrovo col signor Baldissero, l'ospitalità
della sua campagna.
— È un onore ch'essi mi fanno: rispose il conte col tono medesimo.
S'udì allora il rumore che facevano le ruote di una carrozza girando
sulla sabbia umida della spianata, e traverso i cristalli
dell'uscio-finestra si vide un legno chiuso, a due cavalli, dar la
voltata innanzi alla casa e venirsi a fermare all'altezza dell'uscio
d'ingresso. Mezzo minuto dopo la porta del salotto s'aprì, ed uno dei
domestici gettò dentro due nomi titolati. Entrarono Ettore di Baldissero
accompagnato dall'altro suo padrino.
Francesco sentì il cuore battergli un pochino più forte; non si mosse
egli dal suo posto, ma levato superbamente il volto, gettò uno sguardo
verso i nuovi arrivati: al vedere la faccia insolente del marchesino il
nostro giovane amico s'accorse che quel palpito più frequente non era
prodotto da nessuna emozione di tema, sibbene piuttosto da una nuova
maggior vampa d'odio.
San Luca accorse sollecito all'incontro de' suoi amici; Quercia
drizzatosi in piedi e Selva spiccatosi dalla contemplazione del quadro,
fecero due passi ancor essi verso l'uscio d'entrata; Baldissero che
veniva primo fece un cenno di saluto generale colla testa e diede la
mano al padrone della villa.
— Spero di non essere in ritardo: diss'egli.
— No, rispose San Luca, mancano anzi alcuni minuti all'ora precisa.
— Signori, disse Quercia avanzandosi, credo inutile ogni indugio e
possiamo recarci sul luogo.
— Prego uno di loro signori, soggiunse il contino, a voler prima venir
meco per esaminare la località da me scelta affine di vedere se ci hanno
qualche osservazione da fare in proposito.
— Vado io stesso: disse Luigi ed uscì col conte che lo fece passar
primo.
Ettore sbadatamente, coll'aspetto e le mosse di un'assoluta
indifferenza, non volgendo pure uno sguardo di sfuggita a quel luogo
dov'era il suo avversario, andò all'uscio che metteva sul terrazzino,
dove si pose a guardare traverso i vetri: Francesco stava sempre alla
parete precisamente opposta della camera, presso il camino; Selva e
l'altro padrino di Baldissero rimasero in mezzo della sala.
San Luca e Quercia non tardarono guari a tornare.
— Ho esaminato il posto: disse quest'ultimo ad alta voce per essere
udito da tutti, senza rivolgersi a nessuno in particolare; e un migliore
non si potrebbe avere.
— Allora, poichè già ne conosce la strada, disse San Luca, la prego a
volerci guidare i suoi amici e precederci.
Luigi prese il braccio di Francesco che s'era accostato tranquillamente,
e con Selva passarono innanzi; i loro avversari li seguirono ad una
distanza di circa venti passi: un domestico dall'anticamera tenne dietro
a tutti portando la cassetta delle pistole.
In breve furono sul _terreno_. Era un bel praticello che San Luca aveva
fatto eziandio sgombrar dalla neve, e intorno al quale correva una siepe
di carpini ora assecchiti ma così uniforme che non poteva servire in
nissun modo d'aiuto pel punto di mira, qualunque fosse la posizione dei
tiratori.
Siccome tutto era già stabilito e regolato, senza altro indugio i
duellanti furono allogati alla determinata distanza di 15 passi, e loro
si diedero le pistole caricate a vista di tutti quattro i padrini.
A Quercia, come il giorno precedente, era assegnato di dare il cenno di
far fuoco. Il domestico era stato mandato via da San Luca.
Luigi si spiccò, facendo un passo innanzi, dal gruppo dei padrini che
s'eran posti a metà della distanza ond'erano separati i combattenti ad
una ventina di passi dalla linea del tiro; si levò il cappello e salutò
i duellanti che stavano volti di fianco l'uno in prospetto dell'altro,
la pistola sollevata all'altezza della faccia.
— Signori, diss'egli con voce chiara e vibrata, avrò l'onore di dare i
tre segnali convenuti con tre colpi delle mani.
Battè una prima volta palma a palma, e i due avversari armarono il cane
della pistola; poscia attese un minuto secondo prima di dar l'altro
colpo, al quale i duellanti dovevano prender la mira; ma dal secondo al
terzo batter di palme pose un intervallo piccolissimo, e due lingue di
fuoco partirono simultaneamente dalle bocche delle due pistole, e quasi
una sola esplosione risuonò per l'aria. I due avversari stettero
immobili, dritti l'uno in faccia all'altro. Selva si slanciò verso
Francesco, e Quercia gli tenne dietro, mentre i padrini di Ettore si
recavano da parte loro presso costui.
— Ebbene? domandò con ansia Giovanni: non sei colpito?
Benda fece un lieve sorriso.
— No: rispose: udii un fischio qui presso l'orecchia destra, e
null'altro.
— Incolume: diceva a sua volta il marchesino a San Luca; pare che
abbiamo tirato ai passeri della siepe.
I padrini ripresero le pistole, le ricaricarono, e messele di nuovo
nelle mani dei combattenti, si rifece da capo.
Questa seconda volta, appena udito il colpo delle due pistole, ruppe
dalle labbra di Francesco un grido quasi soffocato che pareva più di
sorpresa che di dolore: lasciò egli cader la pistola che teneva e portò
vivamente la mano al fianco destro, quattro dita al di sopra dell'anca.
— Son ferito: diss'egli, vacillando sulle sue gambe, e prima che
Giovanni e Luigi, che tosto accorsero, fossero giunti presso di lui,
l'infelice stramazzava per terra.
Anche questa volta Selva fu il primo ad essergli presso: lo strinse
colle sue braccia sotto le ascelle e fece a sollevarlo.
— No, no, gli gridò Quercia che soprarrivava, lo lasci pur disteso;
comincierò per esaminare tosto tosto la ferita.
Giovanni inginocchiatosi per terra teneva sollevato dal suolo con mano
amorevole il capo del caduto. Gian-Luigi si curvò ancor egli.
— Dove fu Ella colpito? domandò, mentre lesto lesto traeva fuor di tasca
una custodia di cuoio entro cui erano allogati i ferri chirurgici.
Francesco era diventato assai pallido; gli occhi parevano esserglisi
allargati e guardavano con una strana espressione che pareva
attonitaggine ed inquietudine insieme; la voce gli si era affievolita di
subito e il rifiato diventato affannoso.
— Qui... qui... dove tengo la mano: rispose levando dal fianco la destra
tutta imbrattata di sangue.
— Lo lasci pure distendersi lungo e supino per terra: disse Quercia a
Giovanni che levatosi in fretta il pastrano lo ripiegò a fagotto e lo
pose come cuscino sotto il capo di Francesco; io farò di levar subito la
palla dalla ferita, e sarà tanto di guadagnato.
Così dicendo, con mano esperta e sollecita, Luigi sbottonava il
soprabito e il panciotto del giacente, tagliava la camicia e il corpetto
di lana che questi aveva su pelle, e scopriva il buco fatto dal
proiettile nella carne fra la penultima e l'ultima costola, più presso a
questa che a quella.
Cominciava egli per tastare tutt'intorno alla ferita con mano delicata,
poscia introduceva nel foro della medesima il suo dito indice sottile ed
affusolato.
Selva teneva lo sguardo ansioso fisso negli occhi del ferito, e questi
con pari ansietà stava guardando Luigi.
— Soffri? domandò Giovanni.
Francesco si sforzò a sorridere.
— No: rispos'egli: mi sono sentito come una forte puntata... Mi pare che
la palla mi sia penetrata nelle viscere... La sento qui nell'inguine...
— Zitto, zitto, non parli: disse con autorità Gian-Luigi continuando la
sua esplorazione; quelli non sono che effetti di consenso.
Ad un tratto Giovanni mirò la fronte di Francesco aggrottarsi e la
fisionomia assumere un'espressione di amarezza, di dispetto e di
disgusto. Selva levò gli occhi e vide ai piedi del giacente dritti i due
padrini del marchese, e quest'esso tre o quattro passi più in là, colle
braccia incrociate al petto, che guardava quello spettacolo in una mossa
dove l'imbarazzo e fors'anco la pena si dissimulavano sotto un riserbo
che pareva un'indifferenza.
— Signore, disse vivamente Giovanni a quello dei padrini avversarii che
gli era più presso, faccia capire al marchese che il meglio da fare per
lui è d'allontanarsi.
Il padrino di Ettore a questa uscita parve esitare un momento sulla
risposta da darsi, ma il suo compagno, che era San Luca, s'affrettò a
dir egli:
— Sì, conduci via Baldissero; io vi farò poi tosto saper le novelle.
Quell'altro andò con premura presso di Ettore, passò il suo braccio su
quello di lui, e lo trasse con sè verso la casa.
Francesco li seguì fino al di là della siepe con uno sguardo
indefinibile, in cui non v'era odio nè rancore, ma una profonda
amarezza, come un rimpianto, come una dolorosa rampogna.
San Luca rimase.
— Ebbene? Domandò egli a Quercia tutto intento ancora nell'esplorazione
della ferita.
Gian-Luigi non rispose di subito; questa esitazione parve a Giovanni ed
al contino un cattivo indizio; si guardarono sgomentati e impallidirono
lievemente.
Anche Francesco n'ebbe la medesima impressione. Di botto l'immagine
della sua famiglia si presentò alla sua mente un po' sin allora confusa.
— Ah mia madre! esclamò egli con accento straziante, che chiamò le
lagrime negli occhi di Giovanni. La vedrò ancora mia madre?... Quercia,
ditemi la verità.... Non sarebbe neppur pietà l'ingannarmi.... Debbo io
morire?
Gian-Luigi levò la faccia pacata, tranquilla e grave come d'uomo che sa
il peso delle sue parole.
— Vi dico la verità, Benda, come vorrei che in simile caso la si dicesse
a me: rispose. Non posso per ora nulla affermare di positivo; conviene
che io tasti la ferita colla tenta in luogo e positura più comodi che
questi. Mi lusingavo poter trovar qui subito la palla ed estrarnela; ma
non mi fu fatto. Spero però che nessuna delle costole sia intaccata, e
che il proiettile non abbia penetrato nella cavità del torace. Ora il
meglio è che ci riduciamo in casa.
San Luca volle domandare i domestici per farlo trasportare di peso; ma
Francesco disse parergli di poter camminare e preferire codesto. Quercia
affermò che dov'egli ci reggesse, sarebbe anche meglio facesse quel
piccolo tratto di strada coi proprii piedi; e il ferito, aiutato a
levarsi su, appoggiato da una parte a Giovanni e dall'altra a Luigi,
s'avviò con passo abbastanza franco verso la casa. I domestici, fatti
venire dal contino, seguirono alla distanza di dieci passi, pronti ad
accorrere, se nascesse bisogno dell'opera loro.
Francesco fu sdraiato sopra un letticciuolo e Gian-Luigi si accinse ad
un più accurato esame della ferita chiamando in suo soccorso tutte le
cognizioni chirurgiche onde s'era fornito nel suo passaggio traverso il
corso di medicina all'Università. Ad un tratto Giovanni, che, come prima
stava cogli occhi intenti a scrutare la faccia di Quercia, vide sulla
fronte di costui una nube, sulle labbra una specie di contrazione che
esprimevano una spiacevole sorpresa, una subita tema.
— Che cos'è? non potè Selva tanto frenare il suo sgomento che non
chiedesse. Che glie ne pare?
Anche il ferito s'accorse di quel nuovo sentimento venuto nel medico.
Una subita maggior pallidezza gl'invase le guancie, l'occhio si fissò
ansioso su quello di Luigi, e con voce calma, benchè con labbra un
pochino tremanti, domandò:
— La cosa vi par dunque grave, dottore?..... Vi ripeto la mia preghiera:
non nascondetemi la verità... Sono un uomo... Mi sento capace di guardar
freddamente in faccia alla morte.
Ed all'infelice parve realmente che lo scarno spettro di questa gli
comparisse, al di sopra della spalla del medico ricurvo su di lui,
ammiccandogli con ghigno feroce. Oh! morire così giovane, con tanta
esuberanza di forza, d'affetti e di vita! Morire oscuramente, inutile ed
amato!... Quella morte che la sera innanzi gli era sembrata per un
istante un rimedio, un benefizio, una pace, ora gli tornava come la più
tremenda sciagura, la più crudele sentenza del destino. In una rapida
visione piena insieme di turbamento, di dolcezza, di penoso rimpianto,
vide ad un tratto le care immagini di sua sorella, di suo padre, di sua
madre, della fanciulla che adorava. Dover abbandonare tutto e tutti, e
per sempre!... Sentì un singulto salirgli, per così dire, dal cuore
affannato alla gola, ed ebbe tuttavia tanta forza di volontà da
soffocarlo nella strozza.
Gian-Luigi levò lentamente gli occhi in volto al trafitto, e lo guardò
un istante, quasi volesse chiarirsi se il giacente era in realtà, come
diceva, capace di udire il vero e di guardare imperterrito in faccia
alla morte.
— Mio caro: diss'egli poi con un sorriso ed un accento amorevoli che
dinotavano come da quel tacito esame fossero ancora accresciute in lui
la simpatia e la stima pel giovane, non vi tratterò certo come una
femminetta, chè non lo meritate. Eccovi la pura verità: la ferita è più
grave di quello che mi fosse sembrato dapprima, perchè la palla ha
scalfitto una costola ed è penetrata... fin dove?..... Questo non ve lo
posso dire..... Ha ella toccato qualche organo essenziale?..... Non vi
so affermare nè il sì nè il no... Spero quest'ultimo, che non è
impossibile, ma non vi taccio che il primo è più facile... Quanto a
pericolo per la vita, sul momento, vi affermo sull'onor mio che non ce
n'è.
Francesco trasse un sospiro.
— Allora, diss'egli, ho tutto il tempo ad andarmene a casa... Ah povera
madre mia!... Se qualcheduno potesse recarsi a prepararla a questo
brutto colpo!
San Luca fece un passo verso il giacente e disse con nobile cortesia:
— Se Lei mi credesse capace di compire questo ufficio, la prego a voler
disporre di me. Così nessuno de' suoi amici dovrebbe spiccarsi dal suo
fianco.
L'offerta del contino fu accettata con riconoscenza da tutti.
In quella entrò un domestico che venne a parlar piano al suo padrone.
— Il marchese di Baldissero, disse poi questi a Francesco,
addoloratissimo dell'accaduto, ansioso di saper sue notizie, manda a
chiederne.
— Ah! esclamò Benda volgendo la faccia dall'altra parte.
— Vado io stesso a dargliene: continuò San Luca, mentre gli altri
accoglievano con un glaciale silenzio le sue parole.
— Appena eseguita la sua incombenza, disse Quercia al contino che
s'avviava, corra allo spedale San Giovanni e mandi in casa Benda, senza
il menomo ritardo, il cerusico *** che è il primo operatore della città.
— Lo manderò colà colla mia carrozza.
San Luca uscì, e Quercia procedette a fare sulla ferita di Francesco una
prima fasciatura.
Quando il contino giunse all'officina Benda, erano presto le quattro, e
in quella stagione dell'anno cominciava ad annottare. Discese egli di
carrozza, lasciando in essa Baldissero e l'altro padrino, che erano
partiti con esso lui dalla villa; ed a Bastiano il quale all'udire il
rumor della carrozza, era, secondo il solito, saltato fuori del suo
camerino, domandò se il signor Giacomo era in casa, e se e dove si
poteva parlargli.
Il padre di Francesco tornava appunto allor'allora dall'opifizio, e
ponendo piede sotto il peristilio, udiva la richiesta fatta al portinaio
e s'avanzava sollecito verso il signore che la faceva.
— Son qua io stesso, diceva egli, chi è che mi cerca?
San Luca salutò e disse il suo nome.
— Ella vuol parlarmi? domandò a sua volta sor Giacomo, a cui la figura,
il contegno alquanto impacciato, il nome e il titolo di quel signore
destavano indefiniti sospetti ed una specie di ansietà paurosa.
— Signor sì.
— Si compiaccia venir meco: disse il fabbricante; e precedendo il conte
affine di essergli guida, s'avviò verso le scale e condusse il
visitatore nel suo studiòlo. Colà, fattolo entrare e sedere con tutte
quelle formalità che s'usano fra persone di garbo, sor Giacomo per
incominciare il discorso, invitò il conte a parlare, colla solita
richiesta:
— In che cosa posso servirla?
— Ella è un uomo, cominciò San Luca, che con tutta la sua scioltezza e
l'audacia in quel momento avrebbe preferito tutt'altra bisogna da
compire, e un uomo risoluto e di coraggio. Credo adunque miglior
consiglio, senza tanti avvolgimenti e preparazioni che di solito non
fanno che aumentare lo sgomento, abbordare con tutta franchezza la
verità.
Giacomo Benda, a questo preambolo, sentì stringersi il cuore da una mano
di gelo.
— Ella è dunque venuta ad annunziarmi una sciagura! esclamò egli
impallidito di subito.
San Luca curvò tristamente il capo e stava per cercare colle parole di
attenuare quell'improvvisa impressione di spavento e di dolore che
vedeva dipingersi sulla faccia dell'industriale, ma questi non glie ne
lasciò il tempo.
— E questa sciagura ha colpito mio figlio? soggiunse con impeto
angoscioso, alzandosi di scatto e in tutte le membra tremante. Il misero
padre aveva traveduto l'orrenda verità. E so qual è questa sciagura,
continuava egli con voce affievolita dallo spasimo: egli si è battuto?
— Sì: rispose il contino con mesta attitudine.
Quell'uomo forte e robusto, pieno ancora di vita e dotato d'un coraggio
a tutta prova, vacillò, come se stesse per cadere.
San Luca che s'era alzato ancor egli, fece sollecito un passo verso di
lui, pronto a sorreggerlo se e' mancasse; Giacomo gli prese una mano e
la strinse forte, quasi con una tacita minaccia e un compresso furore.
— Morto? domandò egli con voce che appena era un soffio.
— No: s'affrettò a sclamare il conte: ma ferito... gravemente ferito.
Giacomo mandò un grido soffocato, e lasciando la mano dell'uomo che gli
dava tal colpo crudele si premette il cuore dove troppo dolorosamente
era penetrata la botta. Ma al grido di lui, un altro grido, e più
doloroso, e più straziante e disperato, rispose prorompendo improvviso
dalla porta, che, apertasi violentemente, diede il passo ad una donna
commossa da un'emozione di spasimo cui nulla vale ad esprimere.
— Mio figlio!... Mio figlio!... gridò essa: ferito!... Dov'è?... Voglio
vederlo... In nome di Dio, in nome della Vergine, per l'anima sua, mi
conduca da lui!... Voglio vederlo!
Chi può spiegare il segreto istinto d'un cuore di madre? chi i
misteriosi, intimi, ineffabili legami che l'anima della madre legano
indissolubilmente, senza cessa all'anima de' figli anche lontani, onde
si compenetrano le loro esistenze ed ogni danno dal figliuolo sofferto
si ripercote nella sensibile anima materna? Poichè Francesco fu uscito,
Teresa era stata inquieta ed aveva provato un inesplicabil disagio: le
assicurazioni dategli dal marito che la promessa del marchese di
Baldissero allontanava dal capo di Francesco ogni pericolo, il racconto
che il figliuolo aveva fatto del suo abboccamento riconciliativo colla
famiglia dell'avversario al ballo della baronessa, racconto al quale il
giovane aveva studiosamente accresciute le tinte di sincerità e di
amichevolezza; lo sforzo di Francesco medesimo a sembrar più lieto e
senza pensieri che mai; tutto questo non era pur tuttavia riuscito a
scacciare dal fondo del cuore di Teresa una specie di paura che era un
presentimento. Avrebbe voluto potersi tenere il figliuolo all'arrivo de'
suoi sguardi almanco tutto quel giorno, proteggerlo, oltre che colle sue
preghiere, colla sua presenza: se avesse osato l'avrebbe scongiurato a
non uscire di casa fino al domani. Ma verso le tre, quando appunto
Francesco affrontava la morte, la inquietudine fino allora vaga e
indefinita della madre amorosissima, divenne un vero tormento
insopportabile; ad un punto sentì mancarsi addirittura il respiro, tanto
s'accrebbe di subito l'angoscia, come se stesse per rompersi improvviso
lo stame della sua vita. Ebbe la coscienza, l'avvertimento d'una gran
sciagura capitata. Era l'istante forse in cui Francesco trafitto dalla
palla del marchese Ettore di Baldissero, precipitava al suolo. Non potè
frenar più, nè dissimulare la smania di sgomento che la tormentava.
Voleva accorrere presso il marito che trovavasi nella fabbrica e dirgli
mandasse tutta la gente onde poteva disporre in cerca di Francesco,
affinchè, trovatolo, glie lo riconducessero tosto a casa, che a calmare
la sua ansia mortale non c'era altro mezzo fuor quello di rivedersi il
figliuolo dinanzi; voleva senz'altro mandare ella stessa il fido
Bastiano... ma dove? Se l'avesse saputo non avrebbe esitato a correre
essa medesima.
Maria, testimone e confidente di questi spasimi della madre, invano
tentava sedarne i tumulti dell'animo; combatterne le paure; e non
otteneva altro effetto che di sentire ella stessa invaso il suo cuore
dai funesti presentimenti.
Quando la carrozza di San Luca si fermò al portone della casa, madre e
figliuola non dubitarono un momento che con quel legno giungesse la
spiegazione, la conferma, ahi forse! delle loro paure. Teresa si
precipitò fuori della stanza per correre all'incontro di quel nunzio,
fosse egli buono o cattivo; e Maria le tenne dietro agitata ancor essa;
ma come stavano per uscir nell'anticamera, udirono in questa passar
Giacomo col visitatore, che si dirigevano verso il gabinetto di studio.
Si fermarono palpitanti le due donne per lasciarli passare, nascoste
dietro le imposte dell'uscio; poscia l'ansia della povera madre era
troppa, perchè la resistesse alla tentazione; impose bruscamente
silenzio alle timide rimostranze della figliuola che voleva combattere
il proposito materno, la rinviò aspramente nel salotto, ed ella, con un
palpito di cuore che Dio vel dica, si recò all'uscio dello studiòlo del
marito per origliare.
Non udì ben distinte tutte le poche parole che si scambiarono, tanto era
il tumulto di tutto l'esser suo che le orecchie le ronzavano come
intronate, ma sentì pronunziare da Giacomo: «mio figlio»; poi da quello
sconosciuto i detti: «gravemente ferito!» Le si sconvolse la ragione:
quello ch'essa provò nel cuore, nel cervello, nell'intimo dell'esser suo
impossibile dirlo: si precipitò come forsennata, quasi furibonda, con
quell'eccesso di trasporto che la natura dà anche alla più timida delle
madri quando si tratta di difendere la prole.
San Luca si sentì commosso più che non avrebbe creduto, quasi spaventato
innanzi all'esplosione di quel dolore materno.
— Si calmi.... si rassicuri: diss'egli in tutta fretta: non è gran
cosa.... una ferita leggera....
Teresa si torceva le mani in una contrazione di spasimo: i suoi occhi
ardenti saettavano sguardi pieni d'ansia, di dolore, d'odio sull'uomo
che le stava dinanzi.
— Voglio vederlo: ripeteva essa colle labbra convulse: subito.... voglio
vederlo finchè vive.... Mi conduca da lui.... se non vuole ch'io la
maledica... E non sa che è tremenda la maledizione d'una madre a cui si
viene a dire che suo figlio è ucciso?
— La lo vedrà, non dubiti.... verrà qui fra poco egli stesso.... Le
ripeto che la ferita non è tale da sgomentarsi.
— Me lo giura Ella? proruppe Giacomo, il quale in presenza della moglie
aveva sentito maggiore il bisogno di raccogliere tutte le sue forze e di
aver calma e coraggio per tutti. Mi giura che la ferita di Francesco non
è mortale?
Il conte esitò un istante: pensava che mentr'egli avrebbe dato cotal
giuramento, l'infelice colpito in parte così essenziale del corpo
avrebbe potuto già soccombere: e la pietà della sua risposta
assicurativa riuscirebbe allora a quei poveri genitori anche più crudele
della verità.
— Le ho già detto ch'essa è grave: rispose egli mestamente; un giudizio
definitivo non si potè dare così di botto... tuttavia tutto induce a
sperare.....
La misera madre non udì altre parole. A quella forza, a quell'impeto del
primo terribile commovimento, successe nel suo organismo la riazione; il
cuore che le si era messo a palpitare con irrefrenata violenza, come se
fosse scoppiato ad un tratto, s'arrestò; il sangue le invase il cervello
e le soffocò l'intelligenza: sentì morirsi, levò le mani e le agitò come
fa chi annega, invocando aiuto nella suprema convulsione dell'agonia, e
sclamando: «Hanno ucciso mio figlio!» cadde come corpo morto tra le
braccia del marito che sentiva ancor'egli sotto l'influsso del dolore
smarrirsi la sua ragione.
San Luca fu d'un salto al cordone del campanello, e lo tirò con forza e
replicatamente. La prima delle persone che accorsero fu Maria, la quale,
timorosa pur troppo anch'essa di funesta novelle, stava con ansia