La plebe, parte III - 21
che in maggior proporzione introducesse la giustizia nella distribuzione
dei beni terreni e dei vantaggi sociali sì materiali che morali e
intellettivi; Francesco Benda, egli, sarebbe camminato traverso le
rovine e le fiamme del mondo intiero per arrivare al possesso di lei che
amava.
Or dunque adesso ch'ella gli veniva innanzi nell'atmosfera di luce, di
suoni e di profumi che era la festa da ballo della baronessa, il giovane
amante beando della celestiale vista di lei gli occhi desiosi, non potè
di botto a nulla pensare più che quella angelica creatura non fosse.
Ogni espressione di fierezza e disdegno dal volto suo sparì: gli occhi
suoi, le labbra, il tremar delle palpebre, l'impallidir delle guancie,
si fusero, per così dire, in una ineffabil tenerezza che era tutto un
omaggio d'amore.
Uno sguardo di Virginia — un solo, ma che sguardo! — lo compensò ad un
tratto di tutta la rabbia, di tutto il furore che lo aveva dovuto
corrodere la notte precedente per l'insulto del marchesino, la giornata
trascorsa per la prepotenza dell'arresto. Sotto l'influsso di quello
sguardo sentì innanzi a sè stesso accrescersi il suo valore; gli parve
di ingrandire e superare il livello comune di tutti quei blasonati e
titolati scioccamente superbi che gli stavano attorno; quello sguardo di
lei lo sollevava sino alla sfera superiore in cui essa era, indegni
tutti gli altri di arrivarci.
Il marchese di Baldissero, scambiati i convenevoli colla padrona di
casa, le disse di poi con quel tono di naturale distinzione, che era uno
dei pregi del vecchio nobile:
— Costì, se non isbaglio, è l'avvocato Benda. Desidererei molto ch'egli
mi fosse presentato; e se quel giovane non ci si rifiuta, vorrebb'Ella,
baronessa, avere codesta compiacenza?
La baronessa acconsentì molto volonterosa e si accostò senza indugio a
Francesco: in tutta la sala si fece un movimento d'attenzione vivissimo;
le conversazioni furono sospese quasi di comun accordo, tutte le faccie
si volsero a quel punto del salone dove si trovavano a pochi passi di
distanza, in faccia l'un dell'altro, il marchesino di Baldissero presso
suo padre e l'avvocato Benda, quasi isolato dal resto della gente. Tutti
avevano compreso che essendo insieme colà quei due individui fra cui
tanta ragione vi era di urto e di lotta, alcuna cosa avrebbe avuto
luogo, ed ora argomentavano che questo qualche cosa sarebbe tosto
intravvenuto. Uno spazio vuoto fu lasciato intorno ai personaggi di
quella scena che stava per succedere, come campo alla loro azione; e il
fruscio della veste della baronessa che camminava verso Francesco, fu il
solo rumore che in quel momento si udisse in quella sala.
La padrona di casa parlò a mezza voce, ma nel silenzio che s'era fatto
le sue parole furono udite da tutti.
— Signor avvocato, diss'ella a Francesco, voglio presentarla a S. E. il
marchese di Baldissero.
Francesco s'inchinò leggermente. Il cuore gli batteva un pochino; ma
nello sguardo di Virginia aveva egli attinto tutta la sicurezza onde
aveva bisogno in quell'istante sotto i numerosi, poco a lui simpatici
sguardi di tutti quei superbi spettatori di tal scena.
— È un onore per me: rispos'egli con una freddezza non ostile ma
spiccata ed un dignitoso riserbo: e ne la ringrazio vivamente.
La baronessa si trasse un pochino da parte per iscoprire al giovane la
vista del marchese, e fece un atto, come ad invitare Francesco ad
avanzarsi. Fra il giovane borghese e il vecchio nobile era la distanza
di sei passi; ma quel piccolo spazio vuoto in mezzo alla folla era in
tal momento come un'arena in cui venissero a cimentarsi con armi cortesi
i rappresentanti di due classi, di due principii avversarii. Benda ebbe
il fugace sentimento di codesta condizione di cose, e pensò rattamente,
che in quel punto non era solamente l'onor suo e il suo decoro cui si
trattava di sostenere, ma quelli della sua classe, del partito liberale
a cui apparteneva. Sviò lo sguardo dalla bellezza di Virginia, s'impose
di non vederla più per quel momento, e fissò i suoi sereni e limpidi
occhi azzurri sulla nobile faccia del marchese.
Questi aveva sulle labbra una lieve mossa che non era un sorriso, ma vi
si accostava e produceva l'effetto d'una preveniente gentilezza, aveva
nel contegno un'aspettazione che era un incoraggiamento; la marchesa,
ella, si era volta in là con un'evidente ostentazione, ed affettava
volgere lo sguardo traverso le lenti dell'occhialino che teneva in mano
con un'impertinenza supremamente elegante e la sua attenzione a
tutt'altro oggetto; il marchesino Ettore stava di un passo più indietro
di suo padre, e la contrarietà e il contrasto ch'ei provava nel suo
interno tra il dispetto e la soggezione al comando paterno si
traducevano nella non dissimulata ironia del suo sogghigno a fior di
labbra; Virginia coraggiosamente guardava a fronte levata Francesco.
Il giovane capì che a lui, per molte ragioni, e non ce ne fosse stata
altra, per quella dell'età, toccava avanzarsi verso il marchese. Si
mosse lentamente; gli parve a quel punto che i suoi piedi fossero di
piombo, cotanto aderivano al pavimento e ci aveva fatica a staccarneli;
fece tre passi e s'inchinò di nuovo innanzi all'imponente figura del
vecchio ministro di Stato.
— Signor marchese, disse la baronessa in mezzo al silenzio universale,
accennando a Francesco, le presento l'avvocato Benda.
Poscia, come per ammonire indirettamente i suoi invitati che era
un'offesa alla voluta discretezza il prestare così curiosa attenzione a
quella scena, la padrona di casa si rivolse alla moglie del marchese che
ostentava appunto una disdegnosa noncuranza, e si mise a parlare con
essa di quelle cose indifferenti di cui si può parlare fra due signore
ad un ballo. Ma l'esempio di queste due donne non fu imitato da nessuno;
e il dialogo che successe fra il padre di Ettore e il figliuolo del
fabbricante di ferro ebbe luogo in mezzo alle labbra mute ed alle
orecchie tese di tutti gli altri.
Il marchese di Baldissero all'inchinevole saluto di Francesco aveva
risposto con un cenno del capo lieve sì, ma pieno pur tuttavia di
gentilezza cortese nella sua dignità; dopo i detti della baronessa, col
tono ordinario di voce d'una conversazione amichevole, di cui si lascia
che chicchessia oda le parole, diss'egli a sua volta:
— Sono io che ho desiderato conoscerla, avvocato. Ella già conosceva mia
moglie e mia nipote; quest'oggi stesso ebbi io il vantaggio di fare la
conoscenza di suo padre; conveniva bene che anche fra noi intravvenisse
un'attinenza che voglio sperare, _a dispetto di certo spiacevole
incidente_, ch'io sono primo a rimpiangere, possa divenire amichevole.
La dignitosa imponenza con cui queste parole erano dette, l'accento
benevolo benchè improntato d'una certa superiorità che pareva così
naturale da non far venir manco in capo il pensiero d'inalberarcisi, la
nobile e bella fisionomia di quel vecchio, l'autorità del grado medesima
fecero effetto sull'animo di Francesco. Egli fu preso dalle squisite
maniere di quel vero gentiluomo; sentì la sua ostilità fondersi per così
dire innanzi a quella veneranda figura che con inaspettata generosità di
procedere veniva primo a tentare, quasi a domandare al suo orgoglio
offeso una conciliazione; la stessa fugace allusione a ciò che era
successo fra lui e il marchesino gli parve accennata con tanto tatto e
con tanta delicatezza che il suo amor proprio ci si trovava risparmiato
del tutto. Le cose medesime, secondo le disposizioni dell'animo nostro,
possono fare a volta a volta la più diversa impressione. Lungo tutto il
giorno lo sdegno che durava del ricevuto oltraggio, che anzi erasi
inasprito della rabbia per la sofferta cattura e prigionia, aveva tenuto
l'animo di Francesco in una irritazione per cui egli pareva sarebbe
stato più acconcio a respingere che ad accettar per buono ogni passo di
conciliazione fatto da parte dei suoi avversari, ma poscia la tenerezza
medesima provata dal suo cuore nel riabbracciare i suoi cari e nel
vederli così felici di riabbracciarlo aveva incominciato a mitigare
alquanto l'eccitamento sdegnoso del suo animo; non era rimasta senza
effetto la narrazione che gli aveva fatto suo padre del come il marchese
lo avesse accolto, del come premurosamente si fosse in beneficio loro
adoperato; maggior effetto gli aveva prodotto il sapere dalla sorella le
inquietudini e i benigni diportamenti di Virginia a riguardo di lui;
effetto anche maggiore gli veniva facendo, a seconda che il giorno
avanzava, il pensiero che fra poche ore egli avrebbe avuto il supremo
bene di vederla. Ora, in presenza del vecchio gentiluomo, oltre
l'influsso dalla dignitosa nobiltà di quest'esso esercitato, Francesco
sentiva altresì quello efficacissimo degli sguardi della celeste
creatura che pareva colà raggiare nella sua bellezza la mite luce che fa
corona all'angelo del perdono. Per tutte codeste ragioni le parole del
marchese a Francesco, che in quel momento non vedeva il sogghigno
contratto di Ettore, tornarono come le più generose, le più cordiali, le
più riparatrici ch'egli potesse desiderare. S'inchinò più profondamente
di quanto non avesse fatto per l'innanzi e rispose con voce non esente
da emozione:
— La ringrazio, signor marchese, di questo fatto e di queste parole; la
ringrazio eziandio dell'essersi adoperato per me affine di restituirmi
così tosto alla mia famiglia, e di ciò la ringrazio più vivamente per
mio padre e per mia madre a cui l'essere privi del figliuolo è un
incomportabile dolore.
Il padre di Ettore lo interruppe con un vero sorriso di benevolenza:
— Non mi ringrazi tanto chè non ho fatto fuor di ciò che mi pareva dover
fare..... Ma lasciamo stare tutto ciò che è passato. Desidero... (fece
una piccola pausa e poi soggiunse con inesprimibile seduzione di
accento) e la prego anche Lei a voler fare che questo rincrescevole
passato sia come se non avesse avuto luogo. Mio figlio è animato dai
miei medesimi sentimenti, e spero che quando ci saremo stretta la
destra, come uomini che sono degni di stimarsi a vicenda, non ci saranno
più qui che dei conoscenti..... (parve esitare un momentino e poi finì
colla parola che sembrava aver trovato dapprima un intoppo sulle sue
labbra) degli amici.
E così detto porse egli la mano al giovane avvocato che la prese con
rispettosa deferenza. Il marchese allora si volse a suo figlio con uno
sguardo che era un invito e insieme un comando. Ettore, le labbra
serrate, appena se dissimulato quel suo maligno sorriso, si avanzò d'un
passo e toccò colla punta delle dita quelle del suo rivale. I due
giovani non iscambiarono una parola, fecero un piccolo e secco cenno del
capo, e gli occhi loro si rimandarono uno sguardo tutt'altro che
benevolo. Esso diceva chiaramente che fra essi tutto non era finito.
Virginia vide questo sguardo, prese pel braccio suo cugino e lo trasse
con sè in altra stanza; il marchese con un ultimo saluto aveva dato
congedo a Francesco e si era volto a parlare con altri; la marchesa
aveva affettato sempre di non prestare la menoma attenzione a quanto era
successo ed aveva schivato d'incontrare co' suoi gli sguardi del giovane
perchè egli non avesse da salutarla.
Francesco seguitò con uno sguardo desioso lo splendore della beltà di
Virginia che si allontanava; e quando essa fu tolta alla sua vista, gli
parve che a dispetto dell'abbagliante luce di quell'atmosfera,
nell'animo suo si facessero le tenebre: il suono dell'allegra musica, il
susurro delle conversazioni che avevano ripreso più animate dopo
l'avvenuto incidente, il confuso rumore della festa gli erano fastidiosi
quanto mai. Provava un tal complesso di sentimenti diversi e pugnaci,
che un imperioso bisogno glie ne venne d'esser solo a seco stesso
divisarli. Passò assorto in se stesso in mezzo al poco benigno riserbo
degli uomini titolati che lo consideravan colà dentro un intruso e che
parlavano senza troppa simpatia di lui e della scena avvenuta; passò
indifferente ai più benigni sguardi del sesso gentile, presso cui
patrocinavano eloquentemente in favore del giovane la non comune di lui
bellezza, l'eleganza e l'abilità di danzatore. Attraversò le sale in cui
si ballava, passò quelle da giuoco e di lettura, andò fino al fondo di
quel vasto e signorile appartamento a ripararsi in un gabinetto affatto
riposto, dove per sua fortuna non c'era anima viva.
Seguiamolo colà. Nella folla della festa durano tuttavia i parlari e i
commenti sul fatto testè avvenuto e sulla persona del giovane borghese;
e questi commenti non sono ispirati dalla maggior simpatia per lui.
Trovano i più che il marchese di Baldissero è stato fin troppo generoso,
ha avuto un'abbondanza soverchia di bontà e di condiscendenza per quel
da nulla di cui non occorreva darsi altro pensiero: se non si fosse
trattato d'un uomo di tanta autorità quale il marchese, ne avrebbero
addirittura condannato il procedere, come una debolezza. Ma questi
discorsi vanno via via perdendosi, come si perde un suono in mezzo a
mille altri suoni, ancorchè per un momento abbia dominato sugli altri; e
fra un quarto d'ora di codesto incidente non si parlerà più.
Non così presto invece ha da cessare l'incomposto, indefinito tumulto
nell'animo di Francesco.
Quel gabinetto in cui s'è ridotto, è per le interposte stanze così
segregato dal vivo della festa, che il rumore di questa appena vi giunge
con qualche ondata più sonora dei ripieni dell'orchestra, come un'eco
lontana. Qui si par passati in altro mondo, tanto diverso è l'ambiente;
appetto all'abbagliante luce delle sale, il mite chiarore della lampada
che pende dal soffitto travelata in un cestellino di fiori sembra
un'oscurità; dopo l'afa, il frastuono e l'agitazione del luogo dove
ferve le danza, qua vi par di trovare una fresca atmosfera, il silenzio
e quasi la pace della solitudine. Francesco si buttò a sedere sopra un
sofà ed appoggiando allo schienale il suo capo confuso, chiuse gli occhi
e stette lì immobile, come se volesse assorbire e far penetrare in sè, a
calmare l'interna agitazione dei pensieri e degli affetti, quella
tranquillità onde qui era circondato.
Come gli aveva sorriso il potente zio di Virginia! Come gli aveva
stretta la mano! Nel discorso di lui non c'erano soltanto parole, c'era
la verità di un sentimento pieno di simpatia. Quella mano che gli era
stata pôrta non poteva ella tirarlo su fino al livello di Virginia? Sì
che poteva, purchè volesse. E perchè non avrebbe voluto? Egli avrebbe
fatto di guisa che la stima e la benevolenza mostrategli dal marchese
avrebbero dovuto radicarsi più profonde in lui e crescere più vigorose.
Forza gliene avrebbe data e merito la immensità dell'amor suo. Gli venne
a sorridere più abbacinante che mai la follia d'una speranza. Ma in
mezzo alle vaghe immagini compiacentemente accarezzate dalla fantasia
venne a far capolino più precisa di tutte la pallida, ostile figura di
Ettore. Qui era l'ostacolo. Ebbene che importa? Francesco si sentiva
tanto vigore da passarvi sopra, e delle folate di rabbia contro quel suo
nemico venivano a suscitargli tratto tratto una smania di cimentarsi con
esso e schiacciarlo. Ma predominavano gl'impulsi della tenerezza e
dell'affetto. Lungo tempo e' cullò la sua fantasia colle più dolci
visioni di un impossibile romanzo. Superiore ad ogni altro sentimento in
lui traboccava l'amore non manifestato mai che cogli sguardi, non
confidato ancora mai. Aveva bisogno di un'espansione: aprì gli occhi e
vide in un angolo un pianoforte aperto, i cui tasti parevano fargli
invito; si alzò dal sofà e venne a porsi sul sediolo innanzi alla
tastiera.
Avvenne allora a lui quello che non molto tempo prima abbiamo visto
essere avvenuto a Virginia sola nella sua stanza colla mente occupata
dai più varii e combattuti pensieri: le sue mani cominciarono a correre
sull'avorio de' tasti non guidate da un'idea, non mosse da una volontà
precisa, ma frementi di contenuta passione, e suoni rotti ed incerti,
accordi tormentati urtantisi in toni diversi sorsero, s'incrociarono, si
susseguirono, si confusero insieme sotto le agili dita. Pareva che
l'interno sentimento andasse cercando in mezzo a quel turbinio di note
la sua giusta espressione, che suscitasse un caos di frasi armoniche
affine di sceverarne poi per entro la creazione della melodia che gli
convenisse; oppure che la soverchia foga delle idee molteplici che
s'aggruppavano e si spingevano nella mente del suonatore impedisse
l'uscita ad un concetto chiaro e preciso. Ma poscia questo tumulto venne
via via calmandosi; nel caos cominciò ad informarsi, e spiccare la
individualità della melodia, e questa, rivelandosi più e più ad ogni
misura, apparve una mesta, tenera, soave che noi avremmo potuto
riconoscere, quella medesima che si era sollevata come un conforto, come
una rassegnazione, come un inno d'amore insieme, come una speranza
eziandio dal pianoforte di Virginia: _la dernière pensée de Weber_.
Meraviglioso accordo di quelle due anime ad un medesimo affetto
temperate! Di ambedue era la prediletta la dolcezza di quella
melanconica melodia; per ambidue era essa la voce misteriosa e il
simbolico linguaggio onde potevan dare espressione e sfogo al vago e
sublime trasporto di interni indefinibili affetti, cui per tradurre e
far manifesti è troppo grossolana la forma della nostra parola.
Francesco suonò sommessamente, per sè solo, ma con un'anima, con una
efficacia, con una ispirazione, quali forse non aveva potuto aver mai.
Ci mise, in quei suoni, tutto di sè: i tumulti del suo cuore, le
dolcezze delle sue fantasticaggini, il fascino delle lusinghiere
speranze. Sotto le sue mani le note palpitavano, fremevano, avevano la
risuonanza della voce umana, erano sature di passione, componevano nel
loro complesso una individualità, che, senza forme precise, pur si
sarebbe fatta avvertire all'animo di chi ascoltasse, colla ineffabile
simpatia d'un'accolta stupenda di sublimi sensi. Colle medesime note,
secondo l'accento, quella melodia scambiava a volta a volta
significazione ed effetti: era un soave inno d'amore, la eterna canzone
della giovinezza eternamente rinnovantesi nel fecondo universo; era una
preghiera, un trasporto, un'aspirazione al mondo superiore dello
spirito, un salmo d'adorazione, un cantico di gioia purissima e grave,
un indovinamento, una speranza d'un lucente mondo avvenire; era tutto
quello che può concepire, immaginare, presentire di più sublime, la più
nobile parte dell'intelletto umano.
Oh come in quell'istante il cuore amoroso del giovane si fondeva nella
grandezza del suo affetto! Tutto si sentiva invasato dal nume. La sua
ispirazione, il suo genio era amore. Chiusi gli occhi, egli vedeva
starglisi dinanzi splendida, sorridente, pietosa, partecipante del
divino trasporto della sua emozione, egli vedeva _lei_, Virginia, la
donna dell'amor suo, dell'amore intimo, supremo, invariabile della sua
vita; e intorno a lei, a quella pura bellezza, a quel capo di sì sublime
aureola cinto, come altrettanti amorini facentile omaggio, come tutti i
sospiri e i pensieri di lui che avessero preso corpo in luminose
faville, danzavano le note della melodia sempre più dolce, sempre più
commossa.
Era un'intima esaltazione di tutto l'esser suo nell'incomparabile
affetto; mai non aveva egli amato cotanto, mai non aveva sentita in sè
talmente la potenza dell'amor suo. Foss'ella stata presente, gli pareva
che avrebbe avuto l'audacia di avvolgerla colle sue braccia; no, di
caderle ai piedi, e dirle: «T'amo più che la vita dell'anima mia.» Il
suo spirito nell'ineffabile trasporto avrebbe avuto l'autorità e la
possa di afferrare con appassionato amplesso lo spirito di lei e trarlo
seco per lieto consenso nell'Eden inesprimibile degli amorosi sogni, del
completo abbandono di due anime in una tenerezza. La sua mente eccitata
gli sembrò potesse dare all'intenso desiderio la forza di evocare viva e
reale quell'angelica creatura, di cui nella fantasia i chiusi occhi suoi
vedevano la immagine adorata. Tutte le potenze del suo animo si
concentrarono nella tensione di uno sforzo di volontà che fu doloroso
come l'angoscia del punto che precede la morte; il cuore sembrò presso a
scoppiare, il cervello fu corso da pungenti fitte come se ferite da
spille roventi, le tempia gli tenzonarono, provò una soffocazione, una
scossa universale, un tremito in tutto l'essere. Una voce interna gli
gridò: «Essa è qua.» Aprì gli occhi, balzò in sussulto, mandò
un'esclamazione soffocata: una suprema gioia balenò dai suoi occhi. Il
sortilegio della immensa passione aveva ottenuto il suo effetto
miracoloso: l'evocazione era riuscita: gli stava dinanzi la divina
fanciulla di cui l'immagine aveva egli fino allora vagheggiata nel suo
cervello.
Virginia, come abbiam visto, aveva preso pel braccio suo cugino e
condottolo seco in altra sala da quella in cui aveva avuto luogo
l'abboccamento fra i Baldissero e Francesco; ella aveva capito che la
cosa più urgente da farsi era togliere di presenza l'uno dell'altro i
due avversarii, perchè troppo era facile che il menomo buffo
d'un'occasione, fors'anco cercata, facesse levar la fiamma dell'ira mal
sopita in Ettore, e probabilmente in tuttedue. La fanciulla capì
eziandio che a lei non toccava parlar più in nessun modo di quello che
era intravvenuto, e pure era suo vivo desiderio e suo scopo chiarirsi
delle disposizioni d'animo del cugino ed esercitare ogni suo possibile
influsso su di lui per dissuaderlo da violenti partiti.
— Vuoi tu che danziamo questa contraddanza per cui già le coppie si
mettono a posto? domandò Ettore.
— Danziamola pure: rispose Virginia che pareva cercare un'ispirazione
contemplando il mazzolino di fiori tenuto dalla sua piccola mano.
Presero posto nel salone ed aspettarono che la musica desse loro cenno e
misura alla danza. Ettore faceva scorrere il suo sguardo armato
dell'occhialetto inforcato sul naso sulle beltà più o meno artifiziate
delle dame presenti: Virginia continuava a mirare le viole mammole e le
camelie bianche del suo mazzo; non sapevano che cosa dirsi e pareva che
ciascuno cercasse un argomento di discorso che non potesse trovare.
Fu Ettore che ruppe il silenzio.
— Guarda che faccia preoccupata ed inquieta è quella della Staffarda:
diss'egli inchinandosi innanzi alla sua compagna nella classica
riverenza che incomincia ogni contraddanza; è quello un volto da portare
ad una festa da ballo?
Si volse dall'altra parte a ripetere l'inchino alla dama che aveva alla
sua sinistra.
— Povera Candida! disse Virginia, quand'ebbe fatto a sua volta le usuali
riverenze: e' pare che abbia di molti dispiaceri.
— Bah! non compatirla, Virginia, ch'ella non merita cotanto beneficio
qual'è la tua pietà.
— Perchè? domandò la fanciulla.
La legge inesorabile della danza li obbligò ad interrompere il colloquio
per un _avant-deux_ che fu seguito da una _demi-chaine_, da una
_demi-queue de chat_ e che so io. Quando ritornarono al loro posto ed
ebbero innanzi a sè alcune battute di riposo, Ettore, a cui pareva
tornasse eziandio il non lasciar cascare senza risposta il perchè di sua
cugina, riprese:
— Perchè la Staffarda non merita la tua compassione? Perchè ha tutti i
torti, e se paga il fio di tormenti parecchi, la non ne deve accagionare
che un suo indegno ed ignobile attaccamento. Suo marito la rovina, gli è
vero: ma il suo amante, oltre che rovinarla ancor egli, se son vere le
voci che corrono, la disonora.
Virginia fissò in volto a suo cugino un superbo sguardo di virtù, di
franchezza, di elevata espressione di sentimento.
— Certo, avere un amante è una colpa che dovrebbe sempre far disonore ad
una donna maritata; ma nel mondo chi ha il diritto di lanciare la prima
pietra a questa colpevole?
Ettore scosse la testa e fece un sorriso che significava:
— Eh via! non gli è codesto.
Ma non potè rispondere altrimenti perchè un _bouquet-de-dames_ venne a
portargli via la sua compagna. Quando, terminata la figura, Virginia fu
restituita al suo fianco per un altro intervallo di riposo, il
marchesino ripigliò a dire:
— Oh il mondo, mia cara, non è così severamente puritano come tu mostri
di credere. Conoscono tutti troppo bene la parabola per pensare a
lanciare sopra una donna che si diverte il menomo sassolino. Ma vi è
_façon_ e _façon_. Si capisce una passione, si perdona un capriccio, ma
fra uguali; non si può trattenere la riprovazione innanzi ad un
degradarsi.
La fanciulla rimbeccò allora con vivacità:
— La colpa adunque, secondo voi altri, non consiste nel fatto medesimo,
sibbene in una circostanza accessoria. Poco monta il far male, purchè si
scelga a dovere il complice di questo male....
— Codesto non è niente affatto un accessorio, mia cara. La scelta che
una donna fa del suo amante è una rivelazione del suo gusto e della sua
natura. Accordando il suo cuore ad un uomo di bassa estrazione, ella
manifesta pur troppo un animo attemperato a quella misura.
Così dicendo, il marchesino pesava sulle parole, senz'alcuna
affettazione però, e il suo sguardo piombava diretto e fisso sulla
cugina; questa ne provò dapprima una specie di turbamento che minacciò
mandarle alle guancie un rossore accusatore; ma la purezza e la nobiltà
del suo affetto, la coscienza della dignità del medesimo vinsero
sollecitamente quella prima impressione; sollevò essa la fronte sicura e
rispose allo sguardo di Ettore con un suo limpido, sereno, tranquillo. I
due cugini, traverso il colloquio in apparenza indifferente, erano
venuti sopra un ardente terreno e sotto colore dell'avventura di Candida
trattavano e discutevano di cosa che più direttamente e più da vicino li
riguardava.
— Hai ragione: disse Virginia con semplicità e con calma, non senza però
un certo calore contenuto nell'accento. Un indegno affetto rivela un
animo poco degno; ma non solamente il sangue nobilita una persona,
sibbene la virtù e l'ingegno eziandio.
Ettore guardò stupito sua cugina dalla cui bocca usciva codesta che a
lui pareva eresia democratica.
— Margherita di Scozia, soggiuns'ella in fretta come per porre la sua
proposizione sotto la difesa d'un esempio principesco, baciò Alano
Chartier perchè da quella bocca uscivano sì bei versi.
— Ed è tradizione, soggiunse con ironia, ma cortesissima, il marchesino,
che Eleonora d'Este riamasse quel _va-nu-pieds_ di Torquato Tasso; ma il
duca di lei fratello ha fatto benissimo a rinchiudere il poeta nelle
carceri e mandarlo poscia a metter senno in un ospedale di pazzi.
Le esigenze coreografiche della contraddanza a questo punto interruppero
di nuovo il dialogo dei due cugini.
Quando Ettore e Virginia furono tornati al loro posto, per un poco non
parlarono più nè l'uno nè l'altra: forse ambidue avevano desiderio di
riprendere l'interrotto discorso, ma ci si peritavano o non sapevano
trovare di subito il modo di riappiccarlo; fu il marchesino, com'era
naturale, che saltò di bel nuovo in pien mezzo dell'argomento.
— Ti citavo dianzi l'esempio del duca di Ferrara e di quel piagnoloso
del Tasso, diss'egli, e sarebbe quello che in un caso simile mi
piacerebbe seguire.
Virginia ebbe un sorriso affatto superficiale, ed esclamò con apparente
allegria:
— Per fortuna dei Tassi moderni — se ce ne fossero, e pur troppo non ve
ne ha — tu non sei duca di Ferrara.
Ettore si drizzò della persona in una mossa di smisurata superbia.
— Per grazia di Dio, rispose, sono tanto nobile quanto può esserlo duca
al mondo.... Del resto il metodo del buon Alfonso lo saprei adattare
alle condizioni particolari d'un gentiluomo del nostro secolo, che non
ha a sua disposizione una brava carcere.... Io non so capire, per
esempio, come Langosco non faccia da' suoi staffieri appianare le
costure a quel cotal dottore che gli bazzica per casa e gettar giù delle
scale.
La fanciulla guardò ben bene in faccia suo cugino; una lieve animazione
si mostrava nel suo sguardo come poi nell'accento con cui parlò. Era il
suo sangue generoso che si commoveva di sdegno a quella indiretta
minaccia contro l'uomo da essa amato.
— Ah! la violenza, disse: è un mezzo nè bello, nè nobile, nè acconcio.
Con esso non si scioglie quistione alcuna....
— La si tronca, che fa lo stesso.
dei beni terreni e dei vantaggi sociali sì materiali che morali e
intellettivi; Francesco Benda, egli, sarebbe camminato traverso le
rovine e le fiamme del mondo intiero per arrivare al possesso di lei che
amava.
Or dunque adesso ch'ella gli veniva innanzi nell'atmosfera di luce, di
suoni e di profumi che era la festa da ballo della baronessa, il giovane
amante beando della celestiale vista di lei gli occhi desiosi, non potè
di botto a nulla pensare più che quella angelica creatura non fosse.
Ogni espressione di fierezza e disdegno dal volto suo sparì: gli occhi
suoi, le labbra, il tremar delle palpebre, l'impallidir delle guancie,
si fusero, per così dire, in una ineffabil tenerezza che era tutto un
omaggio d'amore.
Uno sguardo di Virginia — un solo, ma che sguardo! — lo compensò ad un
tratto di tutta la rabbia, di tutto il furore che lo aveva dovuto
corrodere la notte precedente per l'insulto del marchesino, la giornata
trascorsa per la prepotenza dell'arresto. Sotto l'influsso di quello
sguardo sentì innanzi a sè stesso accrescersi il suo valore; gli parve
di ingrandire e superare il livello comune di tutti quei blasonati e
titolati scioccamente superbi che gli stavano attorno; quello sguardo di
lei lo sollevava sino alla sfera superiore in cui essa era, indegni
tutti gli altri di arrivarci.
Il marchese di Baldissero, scambiati i convenevoli colla padrona di
casa, le disse di poi con quel tono di naturale distinzione, che era uno
dei pregi del vecchio nobile:
— Costì, se non isbaglio, è l'avvocato Benda. Desidererei molto ch'egli
mi fosse presentato; e se quel giovane non ci si rifiuta, vorrebb'Ella,
baronessa, avere codesta compiacenza?
La baronessa acconsentì molto volonterosa e si accostò senza indugio a
Francesco: in tutta la sala si fece un movimento d'attenzione vivissimo;
le conversazioni furono sospese quasi di comun accordo, tutte le faccie
si volsero a quel punto del salone dove si trovavano a pochi passi di
distanza, in faccia l'un dell'altro, il marchesino di Baldissero presso
suo padre e l'avvocato Benda, quasi isolato dal resto della gente. Tutti
avevano compreso che essendo insieme colà quei due individui fra cui
tanta ragione vi era di urto e di lotta, alcuna cosa avrebbe avuto
luogo, ed ora argomentavano che questo qualche cosa sarebbe tosto
intravvenuto. Uno spazio vuoto fu lasciato intorno ai personaggi di
quella scena che stava per succedere, come campo alla loro azione; e il
fruscio della veste della baronessa che camminava verso Francesco, fu il
solo rumore che in quel momento si udisse in quella sala.
La padrona di casa parlò a mezza voce, ma nel silenzio che s'era fatto
le sue parole furono udite da tutti.
— Signor avvocato, diss'ella a Francesco, voglio presentarla a S. E. il
marchese di Baldissero.
Francesco s'inchinò leggermente. Il cuore gli batteva un pochino; ma
nello sguardo di Virginia aveva egli attinto tutta la sicurezza onde
aveva bisogno in quell'istante sotto i numerosi, poco a lui simpatici
sguardi di tutti quei superbi spettatori di tal scena.
— È un onore per me: rispos'egli con una freddezza non ostile ma
spiccata ed un dignitoso riserbo: e ne la ringrazio vivamente.
La baronessa si trasse un pochino da parte per iscoprire al giovane la
vista del marchese, e fece un atto, come ad invitare Francesco ad
avanzarsi. Fra il giovane borghese e il vecchio nobile era la distanza
di sei passi; ma quel piccolo spazio vuoto in mezzo alla folla era in
tal momento come un'arena in cui venissero a cimentarsi con armi cortesi
i rappresentanti di due classi, di due principii avversarii. Benda ebbe
il fugace sentimento di codesta condizione di cose, e pensò rattamente,
che in quel punto non era solamente l'onor suo e il suo decoro cui si
trattava di sostenere, ma quelli della sua classe, del partito liberale
a cui apparteneva. Sviò lo sguardo dalla bellezza di Virginia, s'impose
di non vederla più per quel momento, e fissò i suoi sereni e limpidi
occhi azzurri sulla nobile faccia del marchese.
Questi aveva sulle labbra una lieve mossa che non era un sorriso, ma vi
si accostava e produceva l'effetto d'una preveniente gentilezza, aveva
nel contegno un'aspettazione che era un incoraggiamento; la marchesa,
ella, si era volta in là con un'evidente ostentazione, ed affettava
volgere lo sguardo traverso le lenti dell'occhialino che teneva in mano
con un'impertinenza supremamente elegante e la sua attenzione a
tutt'altro oggetto; il marchesino Ettore stava di un passo più indietro
di suo padre, e la contrarietà e il contrasto ch'ei provava nel suo
interno tra il dispetto e la soggezione al comando paterno si
traducevano nella non dissimulata ironia del suo sogghigno a fior di
labbra; Virginia coraggiosamente guardava a fronte levata Francesco.
Il giovane capì che a lui, per molte ragioni, e non ce ne fosse stata
altra, per quella dell'età, toccava avanzarsi verso il marchese. Si
mosse lentamente; gli parve a quel punto che i suoi piedi fossero di
piombo, cotanto aderivano al pavimento e ci aveva fatica a staccarneli;
fece tre passi e s'inchinò di nuovo innanzi all'imponente figura del
vecchio ministro di Stato.
— Signor marchese, disse la baronessa in mezzo al silenzio universale,
accennando a Francesco, le presento l'avvocato Benda.
Poscia, come per ammonire indirettamente i suoi invitati che era
un'offesa alla voluta discretezza il prestare così curiosa attenzione a
quella scena, la padrona di casa si rivolse alla moglie del marchese che
ostentava appunto una disdegnosa noncuranza, e si mise a parlare con
essa di quelle cose indifferenti di cui si può parlare fra due signore
ad un ballo. Ma l'esempio di queste due donne non fu imitato da nessuno;
e il dialogo che successe fra il padre di Ettore e il figliuolo del
fabbricante di ferro ebbe luogo in mezzo alle labbra mute ed alle
orecchie tese di tutti gli altri.
Il marchese di Baldissero all'inchinevole saluto di Francesco aveva
risposto con un cenno del capo lieve sì, ma pieno pur tuttavia di
gentilezza cortese nella sua dignità; dopo i detti della baronessa, col
tono ordinario di voce d'una conversazione amichevole, di cui si lascia
che chicchessia oda le parole, diss'egli a sua volta:
— Sono io che ho desiderato conoscerla, avvocato. Ella già conosceva mia
moglie e mia nipote; quest'oggi stesso ebbi io il vantaggio di fare la
conoscenza di suo padre; conveniva bene che anche fra noi intravvenisse
un'attinenza che voglio sperare, _a dispetto di certo spiacevole
incidente_, ch'io sono primo a rimpiangere, possa divenire amichevole.
La dignitosa imponenza con cui queste parole erano dette, l'accento
benevolo benchè improntato d'una certa superiorità che pareva così
naturale da non far venir manco in capo il pensiero d'inalberarcisi, la
nobile e bella fisionomia di quel vecchio, l'autorità del grado medesima
fecero effetto sull'animo di Francesco. Egli fu preso dalle squisite
maniere di quel vero gentiluomo; sentì la sua ostilità fondersi per così
dire innanzi a quella veneranda figura che con inaspettata generosità di
procedere veniva primo a tentare, quasi a domandare al suo orgoglio
offeso una conciliazione; la stessa fugace allusione a ciò che era
successo fra lui e il marchesino gli parve accennata con tanto tatto e
con tanta delicatezza che il suo amor proprio ci si trovava risparmiato
del tutto. Le cose medesime, secondo le disposizioni dell'animo nostro,
possono fare a volta a volta la più diversa impressione. Lungo tutto il
giorno lo sdegno che durava del ricevuto oltraggio, che anzi erasi
inasprito della rabbia per la sofferta cattura e prigionia, aveva tenuto
l'animo di Francesco in una irritazione per cui egli pareva sarebbe
stato più acconcio a respingere che ad accettar per buono ogni passo di
conciliazione fatto da parte dei suoi avversari, ma poscia la tenerezza
medesima provata dal suo cuore nel riabbracciare i suoi cari e nel
vederli così felici di riabbracciarlo aveva incominciato a mitigare
alquanto l'eccitamento sdegnoso del suo animo; non era rimasta senza
effetto la narrazione che gli aveva fatto suo padre del come il marchese
lo avesse accolto, del come premurosamente si fosse in beneficio loro
adoperato; maggior effetto gli aveva prodotto il sapere dalla sorella le
inquietudini e i benigni diportamenti di Virginia a riguardo di lui;
effetto anche maggiore gli veniva facendo, a seconda che il giorno
avanzava, il pensiero che fra poche ore egli avrebbe avuto il supremo
bene di vederla. Ora, in presenza del vecchio gentiluomo, oltre
l'influsso dalla dignitosa nobiltà di quest'esso esercitato, Francesco
sentiva altresì quello efficacissimo degli sguardi della celeste
creatura che pareva colà raggiare nella sua bellezza la mite luce che fa
corona all'angelo del perdono. Per tutte codeste ragioni le parole del
marchese a Francesco, che in quel momento non vedeva il sogghigno
contratto di Ettore, tornarono come le più generose, le più cordiali, le
più riparatrici ch'egli potesse desiderare. S'inchinò più profondamente
di quanto non avesse fatto per l'innanzi e rispose con voce non esente
da emozione:
— La ringrazio, signor marchese, di questo fatto e di queste parole; la
ringrazio eziandio dell'essersi adoperato per me affine di restituirmi
così tosto alla mia famiglia, e di ciò la ringrazio più vivamente per
mio padre e per mia madre a cui l'essere privi del figliuolo è un
incomportabile dolore.
Il padre di Ettore lo interruppe con un vero sorriso di benevolenza:
— Non mi ringrazi tanto chè non ho fatto fuor di ciò che mi pareva dover
fare..... Ma lasciamo stare tutto ciò che è passato. Desidero... (fece
una piccola pausa e poi soggiunse con inesprimibile seduzione di
accento) e la prego anche Lei a voler fare che questo rincrescevole
passato sia come se non avesse avuto luogo. Mio figlio è animato dai
miei medesimi sentimenti, e spero che quando ci saremo stretta la
destra, come uomini che sono degni di stimarsi a vicenda, non ci saranno
più qui che dei conoscenti..... (parve esitare un momentino e poi finì
colla parola che sembrava aver trovato dapprima un intoppo sulle sue
labbra) degli amici.
E così detto porse egli la mano al giovane avvocato che la prese con
rispettosa deferenza. Il marchese allora si volse a suo figlio con uno
sguardo che era un invito e insieme un comando. Ettore, le labbra
serrate, appena se dissimulato quel suo maligno sorriso, si avanzò d'un
passo e toccò colla punta delle dita quelle del suo rivale. I due
giovani non iscambiarono una parola, fecero un piccolo e secco cenno del
capo, e gli occhi loro si rimandarono uno sguardo tutt'altro che
benevolo. Esso diceva chiaramente che fra essi tutto non era finito.
Virginia vide questo sguardo, prese pel braccio suo cugino e lo trasse
con sè in altra stanza; il marchese con un ultimo saluto aveva dato
congedo a Francesco e si era volto a parlare con altri; la marchesa
aveva affettato sempre di non prestare la menoma attenzione a quanto era
successo ed aveva schivato d'incontrare co' suoi gli sguardi del giovane
perchè egli non avesse da salutarla.
Francesco seguitò con uno sguardo desioso lo splendore della beltà di
Virginia che si allontanava; e quando essa fu tolta alla sua vista, gli
parve che a dispetto dell'abbagliante luce di quell'atmosfera,
nell'animo suo si facessero le tenebre: il suono dell'allegra musica, il
susurro delle conversazioni che avevano ripreso più animate dopo
l'avvenuto incidente, il confuso rumore della festa gli erano fastidiosi
quanto mai. Provava un tal complesso di sentimenti diversi e pugnaci,
che un imperioso bisogno glie ne venne d'esser solo a seco stesso
divisarli. Passò assorto in se stesso in mezzo al poco benigno riserbo
degli uomini titolati che lo consideravan colà dentro un intruso e che
parlavano senza troppa simpatia di lui e della scena avvenuta; passò
indifferente ai più benigni sguardi del sesso gentile, presso cui
patrocinavano eloquentemente in favore del giovane la non comune di lui
bellezza, l'eleganza e l'abilità di danzatore. Attraversò le sale in cui
si ballava, passò quelle da giuoco e di lettura, andò fino al fondo di
quel vasto e signorile appartamento a ripararsi in un gabinetto affatto
riposto, dove per sua fortuna non c'era anima viva.
Seguiamolo colà. Nella folla della festa durano tuttavia i parlari e i
commenti sul fatto testè avvenuto e sulla persona del giovane borghese;
e questi commenti non sono ispirati dalla maggior simpatia per lui.
Trovano i più che il marchese di Baldissero è stato fin troppo generoso,
ha avuto un'abbondanza soverchia di bontà e di condiscendenza per quel
da nulla di cui non occorreva darsi altro pensiero: se non si fosse
trattato d'un uomo di tanta autorità quale il marchese, ne avrebbero
addirittura condannato il procedere, come una debolezza. Ma questi
discorsi vanno via via perdendosi, come si perde un suono in mezzo a
mille altri suoni, ancorchè per un momento abbia dominato sugli altri; e
fra un quarto d'ora di codesto incidente non si parlerà più.
Non così presto invece ha da cessare l'incomposto, indefinito tumulto
nell'animo di Francesco.
Quel gabinetto in cui s'è ridotto, è per le interposte stanze così
segregato dal vivo della festa, che il rumore di questa appena vi giunge
con qualche ondata più sonora dei ripieni dell'orchestra, come un'eco
lontana. Qui si par passati in altro mondo, tanto diverso è l'ambiente;
appetto all'abbagliante luce delle sale, il mite chiarore della lampada
che pende dal soffitto travelata in un cestellino di fiori sembra
un'oscurità; dopo l'afa, il frastuono e l'agitazione del luogo dove
ferve le danza, qua vi par di trovare una fresca atmosfera, il silenzio
e quasi la pace della solitudine. Francesco si buttò a sedere sopra un
sofà ed appoggiando allo schienale il suo capo confuso, chiuse gli occhi
e stette lì immobile, come se volesse assorbire e far penetrare in sè, a
calmare l'interna agitazione dei pensieri e degli affetti, quella
tranquillità onde qui era circondato.
Come gli aveva sorriso il potente zio di Virginia! Come gli aveva
stretta la mano! Nel discorso di lui non c'erano soltanto parole, c'era
la verità di un sentimento pieno di simpatia. Quella mano che gli era
stata pôrta non poteva ella tirarlo su fino al livello di Virginia? Sì
che poteva, purchè volesse. E perchè non avrebbe voluto? Egli avrebbe
fatto di guisa che la stima e la benevolenza mostrategli dal marchese
avrebbero dovuto radicarsi più profonde in lui e crescere più vigorose.
Forza gliene avrebbe data e merito la immensità dell'amor suo. Gli venne
a sorridere più abbacinante che mai la follia d'una speranza. Ma in
mezzo alle vaghe immagini compiacentemente accarezzate dalla fantasia
venne a far capolino più precisa di tutte la pallida, ostile figura di
Ettore. Qui era l'ostacolo. Ebbene che importa? Francesco si sentiva
tanto vigore da passarvi sopra, e delle folate di rabbia contro quel suo
nemico venivano a suscitargli tratto tratto una smania di cimentarsi con
esso e schiacciarlo. Ma predominavano gl'impulsi della tenerezza e
dell'affetto. Lungo tempo e' cullò la sua fantasia colle più dolci
visioni di un impossibile romanzo. Superiore ad ogni altro sentimento in
lui traboccava l'amore non manifestato mai che cogli sguardi, non
confidato ancora mai. Aveva bisogno di un'espansione: aprì gli occhi e
vide in un angolo un pianoforte aperto, i cui tasti parevano fargli
invito; si alzò dal sofà e venne a porsi sul sediolo innanzi alla
tastiera.
Avvenne allora a lui quello che non molto tempo prima abbiamo visto
essere avvenuto a Virginia sola nella sua stanza colla mente occupata
dai più varii e combattuti pensieri: le sue mani cominciarono a correre
sull'avorio de' tasti non guidate da un'idea, non mosse da una volontà
precisa, ma frementi di contenuta passione, e suoni rotti ed incerti,
accordi tormentati urtantisi in toni diversi sorsero, s'incrociarono, si
susseguirono, si confusero insieme sotto le agili dita. Pareva che
l'interno sentimento andasse cercando in mezzo a quel turbinio di note
la sua giusta espressione, che suscitasse un caos di frasi armoniche
affine di sceverarne poi per entro la creazione della melodia che gli
convenisse; oppure che la soverchia foga delle idee molteplici che
s'aggruppavano e si spingevano nella mente del suonatore impedisse
l'uscita ad un concetto chiaro e preciso. Ma poscia questo tumulto venne
via via calmandosi; nel caos cominciò ad informarsi, e spiccare la
individualità della melodia, e questa, rivelandosi più e più ad ogni
misura, apparve una mesta, tenera, soave che noi avremmo potuto
riconoscere, quella medesima che si era sollevata come un conforto, come
una rassegnazione, come un inno d'amore insieme, come una speranza
eziandio dal pianoforte di Virginia: _la dernière pensée de Weber_.
Meraviglioso accordo di quelle due anime ad un medesimo affetto
temperate! Di ambedue era la prediletta la dolcezza di quella
melanconica melodia; per ambidue era essa la voce misteriosa e il
simbolico linguaggio onde potevan dare espressione e sfogo al vago e
sublime trasporto di interni indefinibili affetti, cui per tradurre e
far manifesti è troppo grossolana la forma della nostra parola.
Francesco suonò sommessamente, per sè solo, ma con un'anima, con una
efficacia, con una ispirazione, quali forse non aveva potuto aver mai.
Ci mise, in quei suoni, tutto di sè: i tumulti del suo cuore, le
dolcezze delle sue fantasticaggini, il fascino delle lusinghiere
speranze. Sotto le sue mani le note palpitavano, fremevano, avevano la
risuonanza della voce umana, erano sature di passione, componevano nel
loro complesso una individualità, che, senza forme precise, pur si
sarebbe fatta avvertire all'animo di chi ascoltasse, colla ineffabile
simpatia d'un'accolta stupenda di sublimi sensi. Colle medesime note,
secondo l'accento, quella melodia scambiava a volta a volta
significazione ed effetti: era un soave inno d'amore, la eterna canzone
della giovinezza eternamente rinnovantesi nel fecondo universo; era una
preghiera, un trasporto, un'aspirazione al mondo superiore dello
spirito, un salmo d'adorazione, un cantico di gioia purissima e grave,
un indovinamento, una speranza d'un lucente mondo avvenire; era tutto
quello che può concepire, immaginare, presentire di più sublime, la più
nobile parte dell'intelletto umano.
Oh come in quell'istante il cuore amoroso del giovane si fondeva nella
grandezza del suo affetto! Tutto si sentiva invasato dal nume. La sua
ispirazione, il suo genio era amore. Chiusi gli occhi, egli vedeva
starglisi dinanzi splendida, sorridente, pietosa, partecipante del
divino trasporto della sua emozione, egli vedeva _lei_, Virginia, la
donna dell'amor suo, dell'amore intimo, supremo, invariabile della sua
vita; e intorno a lei, a quella pura bellezza, a quel capo di sì sublime
aureola cinto, come altrettanti amorini facentile omaggio, come tutti i
sospiri e i pensieri di lui che avessero preso corpo in luminose
faville, danzavano le note della melodia sempre più dolce, sempre più
commossa.
Era un'intima esaltazione di tutto l'esser suo nell'incomparabile
affetto; mai non aveva egli amato cotanto, mai non aveva sentita in sè
talmente la potenza dell'amor suo. Foss'ella stata presente, gli pareva
che avrebbe avuto l'audacia di avvolgerla colle sue braccia; no, di
caderle ai piedi, e dirle: «T'amo più che la vita dell'anima mia.» Il
suo spirito nell'ineffabile trasporto avrebbe avuto l'autorità e la
possa di afferrare con appassionato amplesso lo spirito di lei e trarlo
seco per lieto consenso nell'Eden inesprimibile degli amorosi sogni, del
completo abbandono di due anime in una tenerezza. La sua mente eccitata
gli sembrò potesse dare all'intenso desiderio la forza di evocare viva e
reale quell'angelica creatura, di cui nella fantasia i chiusi occhi suoi
vedevano la immagine adorata. Tutte le potenze del suo animo si
concentrarono nella tensione di uno sforzo di volontà che fu doloroso
come l'angoscia del punto che precede la morte; il cuore sembrò presso a
scoppiare, il cervello fu corso da pungenti fitte come se ferite da
spille roventi, le tempia gli tenzonarono, provò una soffocazione, una
scossa universale, un tremito in tutto l'essere. Una voce interna gli
gridò: «Essa è qua.» Aprì gli occhi, balzò in sussulto, mandò
un'esclamazione soffocata: una suprema gioia balenò dai suoi occhi. Il
sortilegio della immensa passione aveva ottenuto il suo effetto
miracoloso: l'evocazione era riuscita: gli stava dinanzi la divina
fanciulla di cui l'immagine aveva egli fino allora vagheggiata nel suo
cervello.
Virginia, come abbiam visto, aveva preso pel braccio suo cugino e
condottolo seco in altra sala da quella in cui aveva avuto luogo
l'abboccamento fra i Baldissero e Francesco; ella aveva capito che la
cosa più urgente da farsi era togliere di presenza l'uno dell'altro i
due avversarii, perchè troppo era facile che il menomo buffo
d'un'occasione, fors'anco cercata, facesse levar la fiamma dell'ira mal
sopita in Ettore, e probabilmente in tuttedue. La fanciulla capì
eziandio che a lei non toccava parlar più in nessun modo di quello che
era intravvenuto, e pure era suo vivo desiderio e suo scopo chiarirsi
delle disposizioni d'animo del cugino ed esercitare ogni suo possibile
influsso su di lui per dissuaderlo da violenti partiti.
— Vuoi tu che danziamo questa contraddanza per cui già le coppie si
mettono a posto? domandò Ettore.
— Danziamola pure: rispose Virginia che pareva cercare un'ispirazione
contemplando il mazzolino di fiori tenuto dalla sua piccola mano.
Presero posto nel salone ed aspettarono che la musica desse loro cenno e
misura alla danza. Ettore faceva scorrere il suo sguardo armato
dell'occhialetto inforcato sul naso sulle beltà più o meno artifiziate
delle dame presenti: Virginia continuava a mirare le viole mammole e le
camelie bianche del suo mazzo; non sapevano che cosa dirsi e pareva che
ciascuno cercasse un argomento di discorso che non potesse trovare.
Fu Ettore che ruppe il silenzio.
— Guarda che faccia preoccupata ed inquieta è quella della Staffarda:
diss'egli inchinandosi innanzi alla sua compagna nella classica
riverenza che incomincia ogni contraddanza; è quello un volto da portare
ad una festa da ballo?
Si volse dall'altra parte a ripetere l'inchino alla dama che aveva alla
sua sinistra.
— Povera Candida! disse Virginia, quand'ebbe fatto a sua volta le usuali
riverenze: e' pare che abbia di molti dispiaceri.
— Bah! non compatirla, Virginia, ch'ella non merita cotanto beneficio
qual'è la tua pietà.
— Perchè? domandò la fanciulla.
La legge inesorabile della danza li obbligò ad interrompere il colloquio
per un _avant-deux_ che fu seguito da una _demi-chaine_, da una
_demi-queue de chat_ e che so io. Quando ritornarono al loro posto ed
ebbero innanzi a sè alcune battute di riposo, Ettore, a cui pareva
tornasse eziandio il non lasciar cascare senza risposta il perchè di sua
cugina, riprese:
— Perchè la Staffarda non merita la tua compassione? Perchè ha tutti i
torti, e se paga il fio di tormenti parecchi, la non ne deve accagionare
che un suo indegno ed ignobile attaccamento. Suo marito la rovina, gli è
vero: ma il suo amante, oltre che rovinarla ancor egli, se son vere le
voci che corrono, la disonora.
Virginia fissò in volto a suo cugino un superbo sguardo di virtù, di
franchezza, di elevata espressione di sentimento.
— Certo, avere un amante è una colpa che dovrebbe sempre far disonore ad
una donna maritata; ma nel mondo chi ha il diritto di lanciare la prima
pietra a questa colpevole?
Ettore scosse la testa e fece un sorriso che significava:
— Eh via! non gli è codesto.
Ma non potè rispondere altrimenti perchè un _bouquet-de-dames_ venne a
portargli via la sua compagna. Quando, terminata la figura, Virginia fu
restituita al suo fianco per un altro intervallo di riposo, il
marchesino ripigliò a dire:
— Oh il mondo, mia cara, non è così severamente puritano come tu mostri
di credere. Conoscono tutti troppo bene la parabola per pensare a
lanciare sopra una donna che si diverte il menomo sassolino. Ma vi è
_façon_ e _façon_. Si capisce una passione, si perdona un capriccio, ma
fra uguali; non si può trattenere la riprovazione innanzi ad un
degradarsi.
La fanciulla rimbeccò allora con vivacità:
— La colpa adunque, secondo voi altri, non consiste nel fatto medesimo,
sibbene in una circostanza accessoria. Poco monta il far male, purchè si
scelga a dovere il complice di questo male....
— Codesto non è niente affatto un accessorio, mia cara. La scelta che
una donna fa del suo amante è una rivelazione del suo gusto e della sua
natura. Accordando il suo cuore ad un uomo di bassa estrazione, ella
manifesta pur troppo un animo attemperato a quella misura.
Così dicendo, il marchesino pesava sulle parole, senz'alcuna
affettazione però, e il suo sguardo piombava diretto e fisso sulla
cugina; questa ne provò dapprima una specie di turbamento che minacciò
mandarle alle guancie un rossore accusatore; ma la purezza e la nobiltà
del suo affetto, la coscienza della dignità del medesimo vinsero
sollecitamente quella prima impressione; sollevò essa la fronte sicura e
rispose allo sguardo di Ettore con un suo limpido, sereno, tranquillo. I
due cugini, traverso il colloquio in apparenza indifferente, erano
venuti sopra un ardente terreno e sotto colore dell'avventura di Candida
trattavano e discutevano di cosa che più direttamente e più da vicino li
riguardava.
— Hai ragione: disse Virginia con semplicità e con calma, non senza però
un certo calore contenuto nell'accento. Un indegno affetto rivela un
animo poco degno; ma non solamente il sangue nobilita una persona,
sibbene la virtù e l'ingegno eziandio.
Ettore guardò stupito sua cugina dalla cui bocca usciva codesta che a
lui pareva eresia democratica.
— Margherita di Scozia, soggiuns'ella in fretta come per porre la sua
proposizione sotto la difesa d'un esempio principesco, baciò Alano
Chartier perchè da quella bocca uscivano sì bei versi.
— Ed è tradizione, soggiunse con ironia, ma cortesissima, il marchesino,
che Eleonora d'Este riamasse quel _va-nu-pieds_ di Torquato Tasso; ma il
duca di lei fratello ha fatto benissimo a rinchiudere il poeta nelle
carceri e mandarlo poscia a metter senno in un ospedale di pazzi.
Le esigenze coreografiche della contraddanza a questo punto interruppero
di nuovo il dialogo dei due cugini.
Quando Ettore e Virginia furono tornati al loro posto, per un poco non
parlarono più nè l'uno nè l'altra: forse ambidue avevano desiderio di
riprendere l'interrotto discorso, ma ci si peritavano o non sapevano
trovare di subito il modo di riappiccarlo; fu il marchesino, com'era
naturale, che saltò di bel nuovo in pien mezzo dell'argomento.
— Ti citavo dianzi l'esempio del duca di Ferrara e di quel piagnoloso
del Tasso, diss'egli, e sarebbe quello che in un caso simile mi
piacerebbe seguire.
Virginia ebbe un sorriso affatto superficiale, ed esclamò con apparente
allegria:
— Per fortuna dei Tassi moderni — se ce ne fossero, e pur troppo non ve
ne ha — tu non sei duca di Ferrara.
Ettore si drizzò della persona in una mossa di smisurata superbia.
— Per grazia di Dio, rispose, sono tanto nobile quanto può esserlo duca
al mondo.... Del resto il metodo del buon Alfonso lo saprei adattare
alle condizioni particolari d'un gentiluomo del nostro secolo, che non
ha a sua disposizione una brava carcere.... Io non so capire, per
esempio, come Langosco non faccia da' suoi staffieri appianare le
costure a quel cotal dottore che gli bazzica per casa e gettar giù delle
scale.
La fanciulla guardò ben bene in faccia suo cugino; una lieve animazione
si mostrava nel suo sguardo come poi nell'accento con cui parlò. Era il
suo sangue generoso che si commoveva di sdegno a quella indiretta
minaccia contro l'uomo da essa amato.
— Ah! la violenza, disse: è un mezzo nè bello, nè nobile, nè acconcio.
Con esso non si scioglie quistione alcuna....
— La si tronca, che fa lo stesso.
- Parts
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