La plebe, parte III - 19

tempestata di lustrini irrugginiti, con nissun'altra bellezza che due
occhioni da metter l'inferno nell'anima della gente....
Queste parole pronunziò Barnaba con voce veramente commossa e faccia
turbata. Maddalena levò i suoi occhi stupiti in volto al suo
interlocutore, e questi a quella sguardata parve scacciare l'emozione
onde si sarebbe detto essere stato preso, e tornò per l'affatto quello
di prima.
— Voglio dire, continuò, che voi avete i cento, i mille meriti di più,
per riuscire al medesimo e ad ancora più brillante destino.... Oh che
forse ci avete un qualche amore che vi trattiene con una delicatezza di
scrupolo che sarebbe soverchia davvero?
Fece una risatina così accortamente falsa che pareva vera.
— Giusto: soggiunse con tono di scherzosa famigliarità; sapete che vi
fanno l'amante di quell'invisibile ed introvabile _medichino_ di cui
tutti parlano e nessuno seppe scorgere pur mai l'ombra soltanto.
Gli occhi neri di Maddalena saettarono un nuovo sguardo di fuoco sulla
faccia scialba del poliziotto che rimase impassibile.
— Ed Ella crede all'esistenza di questo _medichino_? domandò la
fanciulla.
Barnaba crollò le spalle come fa uno scienziato innanzi ad un
pregiudizio del volgo.
— Oibò! Non mi fate il torto di credermi così sciocco. Il popolo ha
sempre bisogno di personificare in un essere ideale l'autore, o per dir
meglio, i varii autori di tutto ciò che avviene di un po' strano onde la
sua immaginativa resta colpita; il più delle volte anche gli stessi
strani avvenimenti che dànno origine alla creazione di quel personaggio
fittizio, sono inventati. Appo noi da un po' di tempo sono accaduti
alcuni più audaci delitti che hanno sparso lo spavento nel gregge
pusillanime dei possidenti; ed ecco di subito la fantasia sgomentata di
quella brava gente immaginare una fortissima e numerosissima
associazione di malfattori ed a capo di essa un malandrino più
matricolato degli altri, orribile, feroce, un diavolo in carne ed ossa,
che, non si sa poi per qual ragione, venne battezzato col nomignolo di
_medichino_. Eh! non mi lascio abbacinare da queste puerilità io!
Provate un po' a domandare al popolo, che viso, che aspetto, che modi ha
questo famoso re di briganti e di assassini: uno vi dirà che gli è un
gigante tanto fatto, con occhi da basilisco, con sembianze così truci da
far basire di paura solamente a guardarlo, che gli è un mostro che beve
sangue umano, non gode che dell'agonia di vittime umane immolate, non
apre la bocca che per bestemmiare e comandare i più atroci delitti;
altri invece ve lo dipingerà di apparenze tutto graziose e gentili, un
giovinetto sbarbato che pare una donna, a cui si darebbe l'ostia
consecrata senza confessione. Io ne concludo da ciò che è tanto vero il
primo quanto il secondo ritratto di questo misterioso individuo, la cui
esistenza cercano di far credere i birbanti medesimi per far essi di
proprio capo le loro gesta e sviare con quell'arte da sè i sospetti
della polizia..... Ma lasciamo stare quest'ipotetico individuo. S'egli
non è il vostro amante, Maddalena, ciò non vuol dire che voi non ne
abbiate un altro, al quale mi è avviso che voi vogliate bene — fortunato
mariuolo, va! — più di quanto una ragazza di vostra fatta dovrebbe; e mi
nasce il sospetto che sia appunto per riguardo di codesto vostro damo
che voi non vogliate far buon viso alla felicità di quel certo avvenire
che vi ho mostrato. Se così fosse, sarebbe questo uno scrupolo che vi
onora, ma che dimostra una certa inesperienza e — lasciatemi dire —
grullaggine. Forse che accettando la fortuna di cui vi si parla, voi
sareste impedita di aver poi per vostro intimo amico colui che vi
piacerebbe? Eh! di siffatti amanti ve ne potreste tenere quanti vi garba
— ci basterebbe un po' di prudenza... To': anche qui posso citarvi
l'esempio della Zoe, di cui vi parlavo un momento fa. Essa ha molti
protettori — e quasi tutti alto locati, e fra questi il principino che
ho nominato poc'anzi — i quali pagano e pagano lautamente; e poi ha un
amante che non paga, ma cui anzi, dicesi, esser ella a pagare... Egli è
un medico appunto; ma quello è un medico davvero; uno de' più belli ed
eleganti damerini della città: il dottor Quercia.
Barnaba pronunziò queste ultime parole con affatto il medesimo tono col
quale aveva parlato finora, senza pesare menomamente su di esse, come si
dicono le cose del tutto indifferenti, a cui non v'è ragione alcuna di
dare pure un'ombra d'importanza; ma il suo sguardo che non aveva
abbandonato mai la faccia fresca e rubiconda della giovane era in
sull'avviso più che mai da potere cogliere su di esso il più lieve e il
più fuggitivo segno d'impressione qualunque.
All'udire quegli ultimi detti e sopratutto quel nome, tutta la persona
di Maddalena ebbe una subita agitazione leggiera, ma che non poteva
sfuggire allo sguardo attento del poliziotto; gli occhi di lei ebbero un
baleno vivissimo cui tosto velarono le palpebre sollecitamente
abbassate; e la sua volontà non fu tanto padrona del sangue
improvvisamente riscosso che valesse ad impedirgli di salire ad
arrossarle le guancie.
— Ah! esclamò ella sotto l'efficacia di quel primo impulso; Quercia è
l'amante di codesta tal Zoe?....
Barnaba non ebbe più bisogno di altri argomenti per essere chiarito
della identità ch'egli aveva sospettata fra il misterioso _medichino_ ed
il galante dottor Quercia; ne sentì una viva gioia, ma la sua faccia era
troppo esperta ed avvezza a dissimulare perchè ne lasciasse scorgere un
segno qualunque; vide che la sua ispirazione l'aveva servito bene, e
determinò tentare di trarne tutti quei maggiori frutti che potesse.
— Quell'originale d'una Zoe ne va pazza: soggiunse. Gli è che quel
mariuolo d'un seduttore è inarrivabile nell'arte di abbindolare una
donna. Si conta anche d'una signora d'alto rango, una vera nobile, una
contessa di Staffarda che si darebbe al diavolo — se pure non si è già
data — per gli amplessi di quello scellerato d'un dottore.
— Contessa di Staffarda? dimandò Maddalena, come se volesse stamparsi
anche questo nome nella memoria.
— Sì, rispondeva con tutta bonarietà il malizioso Barnaba, contessa
Langosco di Staffarda..... Oh! una delle prime famiglie del regno.....
Ed una bella donna poi!.... Capperi! che bella donna! Non c'è che dire;
Quercia sa scegliere per benino le sue conquiste. La Zoe e la contessa
sono due fior di bellezza.
Un subito smanioso desiderio invase l'animo di Maddalena: quello di
vedere le due donne che erano sue rivali.
— Dove abita ella, questa contessa? domandò ella ad un tratto.
Barnaba glie lo disse.
— E quell'altra? La Zoe!
Il poliziotto le disse anche di questa.
Maddalena sentì il bisogno di dare una ragione di queste sue strane
domande.
— Ella mi ha detto tante cose di questa Zoe..... Mi piacerebbe un poco
vedere co' miei occhi come la vive e la si governa; mi piacerebbe
sentire dalla sua bocca medesima il bene e il male della sua esistenza.
— Vedrete in ogni modo che io non vi ho detto che la semplice
verità.....
A questo punto nello stanzone vicino, divenuto oramai silenzioso del
tutto per esserne partiti quasi tutti gli avventori, s'udì suonar
mezzanotte dall'orologio a contrappesi. Maddalena si ricordò di botto
che Gian-Luigi l'attendeva per quell'ora, e senza volere altro
soggiungere nè ascoltar più, s'alzò frettolosa.
— È mezzanotte, diss'ella; non posso fermarmi più oltre. Bisogna ch'io
me ne vada.
— Ancora un minuto solo...
— No; sono aspettata.
— Ah ah!... Non parlo più: allora, passando di là, fate il piacere di
dire a Pelone che venga qui.
Nella stanzaccia dell'osteria non c'erano più che due avventori: uno era
Andrea, il quale, appoggiate le braccia sul desco e sopravi il capo,
s'era addormentato sotto l'influsso dell'ebbrezza; l'altro era
_Macobaro_, che solo in un angolo, concentrato in se stesso, ruminava
nella sua mente l'immensità della sciagura che gli era precipitata
addosso ed accarezzava il pensiero e l'ancora incerto proposito della
sua vendetta. Egli ritardava più che poteva il momento di tornare a
casa. Giunto colà che cosa vi avrebbe fatto? L'idea di ritrovarsi in
faccia alla sua figliuola colpevole gli era adesso penosa oltre ogni
dire. Avrebbe voluto non rivederla più mai: frattanto rimaneva assorto
ne' suoi cupi pensamenti, e lasciava passare le ore.
Pelone chiamato nel camerino da Barnaba, per mezzo di Maddalena (la
quale poi erasi affrettata ad uscire di colà per recarsi dall'altro
segreto passaggio al luogo dove il suo amante stava attendendola);
Pelone andò con passo più lento ancora del solito verso il gabinetto in
cui era il poliziotto. Non gli restava altro che mandarlo via; e non
aveva ancor bene risoluto fra sè il modo migliore con cui far codesto;
sapeva che metterlo fuori dell'osteria era un mandarlo alla morte, e
provava in se stesso alcuna cosa che quasi poteva dirsi rincrescimento,
non già che ad ispirargliela fosse la debolezza della pietà, ma sibbene
l'egoismo della paura di rimanerci compromesso egli medesimo. La sua
salute, la sua sicurezza dipendevano da quelle relazioni opportune
ch'egli sapeva mantenere colla polizia da una parte, colla _cocca_
dall'altra; e Barnaba era il frego d'unione fra lui e la prima di queste
due potenze. Una volta rotto l'equilibrio, egli poteva essere esposto ai
maggiori pericoli. L'uccisione di Barnaba rompeva questo sapiente
equilibrio da una parte, e s'egli avesse cercato di sottrarre il
poliziotto a codesta sorte, l'equilibrio precipitava dall'altra. Il
bravo Pelone non s'era mai trovato in un simile imbroglio: ed ecco
perchè il suo passo era più lento del solito, la sua faccia più lunga
che mai mentre camminava verso il camerino dall'uscio a vetri.
Barnaba da parte sua pensava che l'oste lo avrebbe probabilmente messo a
fronte di qualche scellerato con cui non gli occorreva solamente
accortezza per sapersi governare, ma gli sarebbe stato necessario
coraggio fors'anco per difendere la sua vita: e, preparato com'era ad
ogni cosa, riandava seco stesso ciò che aveva preventivamente studiato
dover dire in tal circostanza e guardava se fossero sotto la sua mano e
agevolmente impugnabili i calci di due pistole a doppia canna che aveva
nelle due tasche dei calzoni.
— E così, compare Pelone, domandò egli al bettoliere che entrava; questi
amici sono venuti?
— No signore, rispose l'oste; e' non son venuti, e non verranno più,
perchè gli è mezzanotte, e bisogna ch'io chiuda l'osteria, se non voglio
buscarmi la mia buona multa.
Barnaba s'alzò lentamente.
— Vuol dire che mi mandi via?
— No.... tutt'altro.... Ma Ella conosce i regolamenti e gli ordini del
signor Vicario, e spero che non vorrà che mi tocchi una contravvenzione.
Qui il poliziotto commise un grande errore: quello di volersi dare il
gusto di spaventare quel furfante d'un bettoliere.
— Vado, caro Pelone, gli disse con ironica gentilezza, che suonò al
vecchio birbante come una tremenda minaccia; ma ci rivedremo domani....
E mi vedrai venire in buona compagnia ad apprenderti quanto tu abbia
avuto torto a tacermi i più importanti dei tuoi segreti.
Pelone rimase allibito.
— I miei segreti? diss'egli. O di che razza segreti la s'intende
parlare?... Che cosa è che io ho taciuto? Santa Vergine con tutti i
santi: io non ho taciuto nulla, o possa essere impiccato....
— Benone! continuò Barnaba con quella spaventosa ironia: il tuo generoso
augurio sarà facilmente esaudito.... Addio.
Adesso gli era l'oste che lo avrebbe voluto trattenere; e fu il
poliziotto che partì senza più dargli retta.
Pelone rimase il più perplesso uomo del mondo. Quando Barnaba era venuto
fuori con quelle parole, egli stava per tentare di copertamente
avvisarlo del pericolo che lo minacciava; ora invece quasi rallegravasi
di non averlo fatto.
— Questo demonio, pensava fra di sè, ha forse scoperto qualche cosa....
Ma se Graffigna lo coglie, ei si porterà nell'altro mondo tutto ciò che
ha scoperto.
Mandò un patetico sospiro.
— Purchè quel figliuolo d'un cane di Graffigna non isbagli il colpo!...
Ecco ciò che io sono ora costretto a desiderare.
Fece uscire Macobaro ed Andrea, svegliandolo, dall'osteria, e chiuse
alle loro spalle ermeticamente l'uscio della bettolaccia.
Graffigna, uscito dall'osteria, dopo aver fatto cenno a Marcaccio di
seguirlo, s'era fermato a pochi passi lontano dall'ingresso della
bettola, sotto il fioco raggio d'un lampione municipale a cui troppo
scarsamente l'illuminatore aveva misurato l'alimento dell'olio. Non
cadeva più la neve, ma quella caduta lungo tutto il giorno, che copriva
alta due palmi la strada, diffondeva un biancolastro chiarore per la
notte, altrimenti scura e nebbiosa. Non un rumore più si udiva, non un
passo muovere, non una voce suonare; non un'ombra più si vedeva
accostarsi in quell'umidiccio e freddo ambiente di nebbia, or più or
meno densa, che pareva sotto una misteriosa spinta rotolare chetamente
sul suolo e lungo le pareti delle case le sue volute. Marcaccio non
tardò a raggiungere il suo degno superiore nella gerarchia delle
scelleraggini.
— Bene: gli disse Graffigna senza preamboli. C'è un uomo colà dentro,
che bisogna ad ogni costo freddare. Ho pensato di servirmi del tuo
aiuto.
Marcaccio, per quanto birbante egli fosse, mostrò tuttavia poco
entusiasmo a questa proposizione fattagli a bruciapelo.
— Diavolo! diss'egli; di chi si tratta?
— Codesto tu non hai manco da saperlo. Quando i miei occhi da gatto lo
vedranno venire, ti dirò: gli è quello; e ciò ti deve bastare.
— Ha egli molto denaro allato?
— Forse nè anche un soldo.
— E allora perchè?..,
— Perchè gli è l'interesse della _cocca_ che lo vuole.
— Ah! fece Marcaccio curvando il capo, come non trovando più nulla da
ridire a questa buona ragione.
— Sarò io che darò il colpo; riprese Graffigna: non mi fido che del mio
succhiellino io...
Marcaccio parve niente affatto offeso della poca fiducia che il suo
compagno manifestava in lui per codesta impresa; anzi trasse un respiro
che si sarebbe detto di soddisfazione, od almanco di sollievo.
— Tu, continuava quell'altro, mi farai da bracco ad arrestare la preda,
e non interverrai attivamente col tuo coltellaccio, se non quando ne
nasca assolutamente il bisogno: cosa che non credo sia per avvenire.
Ecco intanto quello che devi fare. Mettiti costà contro quel portone,
nascondendo più che puoi la tua persona contro lo stipite. Quando l'uomo
di cui si tratta non sarà più lontano da te che di due passi, io manderò
il nostro fischio, ed in allora salterai fuori ad impedirgli il passo.
— Cospetto! disse Marcaccio: egli così mi vedrà per bene in volto, e se
mai la scampa mi potrà riconoscere di poi.
— Va là che non c'è pericolo la scampi... E poi per maggior precauzione
tirati sul naso il tuo cappellaccio e mettiti sulla bocca il fazzoletto
tanto che non ti restino scoperti che gli occhi per vederci...
— Ad ogni buon conto farò così.
— Appena tu l'abbia arrestato, io gli piomberò addosso per di dietro dal
posto in cui vado a mettermi in agguato, e tu lo vedrai cadere senza
manco gridare un Gesù-Maria... Non c'è cosa più semplice e più facile.
Hai tu capito?
— Ho capito benissimo.
— Allora ai nostri posti: ed attenti che fra dieci minuti l'individuo
sarà qui.
Marcaccio andò ad appiattarsi dove gli aveva detto Graffigna, e questi
da canto suo si postò un po' più indietro, dall'altra parte della
strada, stando così aderente al muro dietro il poco riparo che faceva lo
sporgere dello stipite d'una porticina, e così immobile, che in quelle
tenebre il vederlo o il sospettare soltanto in quel luogo la presenza
d'un uomo era impossibile.
Barnaba intanto, uscito dall'osteria, se ne veniva lentamente, e con
aspetto preoccupato verso quella parte. Egli era lieto dei risultamenti
ottenuti in quella sera, e veniva pensando come trarne miglior profitto.
Adesso non era più con un'intima istintiva persuasione soltanto, ma con
una morale certezza giustificata ch'egli avrebbe potuto presentarsi al
signor Tofi a sostenergli l'identità del _medichino_ coll'elegante
dottor Quercia. La scoperta dell'esistenza già sospettata d'un segreto
nascondiglio dove riparassero gli assassini e si nascondessero i corpi
del delitto, era cosa importantissima; così egli tosto avrebbe provato
ai superiori il torto e l'ingiustizia della sua disgrazia. Ma non
conveniva indugiarsi per nulla e quanto più presto si sarebbe agito,
tanto meglio aveva da essere. Si disse che il Commissario non l'avrebbe
rampognato, ancorchè fosse venuto a disturbarlo a quell'ora per affare
di tanto rilievo. Era opportuno senza perder tempo, con quella maggior
forza di _arcieri_ e di guardie che si poteva raccozzare in tutta
fretta, invadere la bettola, rompere il tavolato là dov'egli era
persuaso esistere il passaggio, e penetrare ad ogni rischio nel covo
degli assassini. Più presto si facesse, e più si sarebbero presi i
birbanti all'impensata, e minori sarebbero stati i rischi, e maggiore la
messe delle prove. Si, non bisognava esitare, e correr subito dal
Commissario.
Presa questa risoluzione, egli aveva levato il capo e s'era posto ad
affrettare il passo, quando udì dietro di sè suonare un fischio acuto,
modulato in maniera speciale, e tosto dopo vide slanciarglisi innanzi,
come se uscisse dalla muraglia della casa, un uomo grande e grosso colla
faccia coperta da una pezzuola, il quale secondo l'abitudine di tutti
questi galantuomini, gli disse:
— Ferma, birbante!
Barnaba cacciò la mano nella tasca dei calzoni per estrarne una delle
sue pistole; ma chiuso e abbottonato nei panni, com'era, pel freddo,
prima che avesse tempo di compier l'atto, si sentì una lama fredda ed
acuta penetrare nel fianco a due riprese in fretta in fretta; volle
mettere un grido, ma si sentì soffocare da un fiotto di sangue che gli
venne alla gola, gli si annebbiarono gli occhi e cadde lungo e disteso
sulla neve che ammantava la strada.
— Il suo conto è bello ed assestato: disse con orribile scherno la voce
in falsetto di Graffigna; e lo scellerato si curvò sul giacente per
certificarsi di meglio della morte di lui; ma in quella Marcaccio, che
non ancora così agguerrito in queste orribili imprese, guardava intorno
con occhio spaventato, vide venire a quella volta in mezzo alla nebbia
le ombre di due uomini che camminavano ad una piccola distanza l'uno
dall'altro. La poca tranquillità della sua coscienza gli fece pensar
subito ai difensori della legge ed ai punitori dei misfatti, gli parve
di veder luccicare le armi e la divisa dei custodi della sicurezza
pubblica.
— Una pattuglia! esclamò egli colla voce soffocata dal più alto
spavento: salva, salva!...
E senza aspettar altro se la diede a gambe che pareva il vento lo
portasse.
La paura è contagiosa, massime in quei certi momenti in cui c'è davvero
buona ragione d'averla. Graffigna levò il capo, vide ancor esso le ombre
che si avvicinavano e non guardandoci tanto pel sottile, ora che il
colpo era fatto, pensò miglior consiglio il porsi in salvo egli pure, e
via di corsa dietro Marcaccio che già era sparito.
I due uomini che sopraggiungevano erano _Macobaro_ ed Andrea.
Maddalena, penetrata in _Cafarnao_, aveva trovato Gian-Luigi ancora
tutto assorto nel suo lavoro.
— Finalmente, esclamò ella con voce concitata, incapace di frenare la
passione che la padroneggiava; finalmente conosco il nome di due delle
mie rivali: la Zoe e la contessa di Staffarda.
Gian-Luigi levò verso Maddalena il viso tra corrucciato e stupito, e
corrugò la sua bella fronte del più puro modello greco.
— Come hai tu appreso codesto? domandò egli vibratamente con accento di
autorità imperiosa.
La giovane esitò.
— Parla: riprese impetuoso ed impaziente il _medichino_.
Maddalena, che con Luigi non sapeva fingere e che lo temeva troppo per
non obbedirlo, rispose che ciò le era stato detto da quel cotal Barnaba,
di cui fra loro si era discorso la mattina di quel giorno medesimo.
Il _medichino_ impallidì leggermente.
— Ma quel demonio sa dunque tutto! esclamò egli non cercando punto di
dissimulare l'ingrata sorpresa e lo sgomento ch'egli provava.
— Rassicurati: disse sollecitamente Maddalena, egli non ha parlato
altrimenti di te, ma del dottor Quercia: ed all'esistenza del
_medichino_ ha protestato che ei non ci credeva il meno del mondo.
Gian-Luigi scosse la testa niente rassicurato.
— Folle che tu sei! E' ti ha detto così per ingannarti. Come e perchè
vuoi tu che a te parlasse del dottor Quercia e delle sue amanti, s'egli
non sapesse o non sospettasse almanco che quel dottor Quercia son io?
Maddalena sovraccolta dall'evidenza di codesto argomento, chinò il capo,
spaventata essa pure della conseguenza di tal fatto.
— Per Dio! esclamò il _medichino_, stringendo il pugno, levando il capo
con fiera mossa e saettando uno sguardo alla vôlta, quasi volesse
sfidare il cielo. La fortuna, che finora mi ha secondato, sta ella per
abbandonarmi adesso nel migliore? Sul punto di raccogliere le fila della
trama così pazientemente e con tanta pertinacia tessuta, debbo io
vedermi ad un tratto per l'oscuro colpo d'uno sgherro troncare i nervi
ed impedire l'opera? Almeno questo ingiusto insensato del destino mi
lasci scendere in campo e principiare la lotta; ch'io cada là in mezzo,
se non è mia sorte il vincere, ma ch'io cada colla gloria d'un'ecatombe
di vittime, colla superbia d'un cumulo intorno di rovine da me fatte,
vedendo tremante e pallido per ispavento quel mondo sciagurato e codardo
che mi vincerà colla forza de' suoi ordini ingiusti; Erostrato, ch'io
perisca almeno nella gloriosa aureola delle fiamme da me suscitate!....
Ma cadere in mano della sbirraglia, ma morire ignobilmente per ignobile
supplizio sopra un patibolo!... Oh Catilina, tu almanco nella tua
sciagura hai avuto un fine condegno. E in questo momento forse è già
tratto il dado della mia sorte... Ah! la mia fortuna e la mia vita sono
sulla punta del pugnale di Graffigna.
Egli finiva appena di pronunziare queste parole che l'esile persona di
Graffigna medesimo s'insinuava colla sua andatura felina in quel locale.
— Niente paura: disse l'assassino trafelato dall'aver corso; il pugnale
di Graffigna non falla mai. Quell'uomo non può contar più i segreti da
lui scoperti che ai vermi del sepolcro.
E ciò dicendo mostrava alla luce rossigna della lampada la lama
sanguinosa del suo pugnale.
Ma lasciamo omai — e n'è gran tempo — questo tristo ambiente di feroci
passioni e di delitti; andiamo in più elevata sfera, dove altre ed anco
accese passioni vedremo agitarsi, ma contenute almanco dall'onestà
dell'animo e dalle forme civili dell'educazione: rechiamoci al ballo
della baronessa X, dove sappiamo dover convenire parecchi fra
gl'importanti personaggi del nostro racconto.


CAPITOLO XV.

Fra le più belle e splendide cose onde s'adorna l'immensità della
creazione divina, va delle prime e delle più care un puro amore in cuore
di vergine. Sovr'esso deve con ineffabile compiacenza rivolgersi lo
sguardo stesso di Dio; è il più dolcemente sublime degli affetti
concessi alla natura umana; è il più prezioso fiore dell'ideale che
sboccia nella fervida primavera della vita; è l'astro di più mite luce
che allieti l'orizzonte delle passioni terrene; è uno scampolo delle
tenerezze celesti onde hanno gioia le angeliche esistenze, lasciato, a
memoria forse, a preavviso, ad argomento delle nostre sorti superiori,
in questa corporea transizione della vita immortale dell'anima. Il cuore
della vergine è il mistico fiore, e n'è l'amore il soavissimo profumo: è
un'arpa dalle corde d'oro, e l'angiolo del puro affetto ne suscita la
divina armonia.
Quest'armonia e questo profumo aleggiavano più eletti, più sublimi che
mai intorno al cuore di Virginia di Castelletto.
La nobile e leggiadra figura di questa ragazza, appena è se l'abbiamo
veduta finora attraversare come una luminosa apparizione le tenebrose e
complicate vicende del nostro racconto che si esplicano traverso tutti
gli strati sociali: tempo è che c'indugiamo alquanto intorno ad essa, la
virtù e la grazia personificate, la quale con pochi compagni sta nella
schiera dei nostri personaggi a rappresentare quella parte di eccelso e
di divino che Dio volle concessa e frammista alle bassezze ed alle
turpitudini della natura umana.
In mezzo alle grandezze ed agli splendori della sua condizione, Virginia
non poteva dirsi essere stata fino allora felice, e alla sua leggiadra
fronte non era sconosciuta la mestizia e sul suo leggiadrissimo labbro
non era frequente il sorriso. Le era toccata una delle peggiori
disgrazie che possano capitare in sui primi passi della vita. Orbata in
età affatto infantile di ambidue i genitori, non aveva conosciuta mai la
soavità delle carezze materne. Bene ricordava ella con ineffabile,
intima tenerezza d'una leggiadra figura di donna che appassionatamente
la stringeva bambina al suo seno, che la baciava con caldi baci e
mormorando soavi parole ch'ella non aveva capito, di cui ella non
ricordava manco una, ma delle quali pure il suono le era stato impresso
come una dolce melodia nell'anima; ed impressi del paro erano stati in
lei gli sguardi lunghi, amorosi, carezzevoli degli occhi miti, benigni
ma sempre melanconici di quella donna; tanto melanconici che Virginia si
ricordava come non di rado si stemprassero in pianto. Le avevano detto —
glie lo dicevano tuttavia — che quella donna era stata sua madre; essa
ciò sentiva in se medesima ed adorava quella memoria divotamente
raccolta in cuor suo, come un segreto Dio in un segreto santuario. Poco
diverso da ciò che avveniva a Maurilio (il quale però non aveva ricordo
alcuno d'averla vista pur mai) il pensiero di sua madre rimaneva di
continuo nella mente di Virginia, e intorno all'anima sua quasi sentiva
ella incessante un influsso, un effluvio dell'anima della madre. Ma
questo pensiero d'una morta aveva dato una gravità singolare alla
giovinezza della sensitiva fanciulla, aveva circondata d'una nube di
tristezza l'espansione dell'affetto in quell'anima ad ogni nobile
sentimento dischiusa.
Talvolta, per fare in se stessa più concreta e precisa l'immagine della
madre, ella si fermava a contemplarne il ritratto che pendeva nella sua
camera in faccia al suo letto, e stava lungo tempo a scrutarne le
dipinte fattezze, a tenere fissi i suoi vivi negli occhi immobili
raffigurati in quella tela; ma la sua memoria, le sue intime permanenti
impressioni contrastavano con quella realtà dipinta. Questa le
rappresentava una giovine donna nello sfoggio della bellezza e
dell'abbigliamento, il fior della salute nello incarnatino delle
guancie, l'allegria festosa della gioventù negli occhi e nel sorriso; e
invece l'immagine che Virginia adorava nel suo cuore era di donna
sofferente e smunta nelle pallide guancie, d'una beltà fatta severa, ma
forse anco maggiore, dallo stampo d'una profonda irrimediabile mestizia.
Ed era infatti così. Sopra la cuna di questa fanciulla nata in mezzo al
fasto, alle ricchezze, ad ogni prestigio di titoli e di onori, si era
incurvato il più vivo ed immenso dolore che animo di donna abbia potuto
sopportar mai, tanto vivo, tanto grande che in vero la pover'anima che
n'era stata oppressa aveva condotta ad immaturo uscir della vita
terrena.
Lo zio di Virginia, accolta presso sè l'orfana fanciulla, avevala
circondata non che di tutto l'amore, ma di tutta la tenerezza ond'era
capace la sua anima d'uomo: ma quale eziandio fra le donne può
sostituire una madre? Meno acconcia del marchese a codesto era ancora la
zia, essere superbo, di arido cuore, la natia bontà (se pur c'era)
guasta e soffocata da stupidi orgogli e da ostinati pregiudizi di casta.
Virginia in presenza di questa donna sentiva la sua anima chiudersi ed
una specie di gelo circondarla: quelle due creature troppo diverse
stavano a contatto, ma non poteva aver luogo fra loro nessuna vera
comunicazione; si parlavano, ma non erano fatte per intendersi.