La plebe, parte III - 15

intendimenti del Consiglio superiore, spettava determinare le imprese
minori, scegliere questi o quei modi d'esecuzione, distribuire fra i
varii attori le parti, assegnare a ciascuno dei cooperanti una quota del
bottino; quest'assemblea sedeva nella riposta stanza dell'osteria di
Pelone; e se tutti i componenti di essa conoscevano l'esistenza del
segreto ricovero dove si nascondevano le prede e si trafugavano le
traccie dei delitti, a pochi soltanto e i più fidati era stato concesso
l'introdurvisi; nello stanzone poi dell'osteria erano raccolti i
semplici gregarii e non tutti, — perchè il loro numero era troppo
maggiore di quel che la taverna potesse contenere — ma i principali, a
cui, dopo presa una decisione, venivano dati i cenni opportuni, il motto
d'ordine, le istruzioni e i convegni fissati, con incarico di
trasmetterli a quegli altri compagni assenti che fosse stimato
necessario. Alle adunanze del primo di questi poco onorevoli consessi
assisteva sempre il capo supremo eletto da questo consesso medesimo; ai
convegni dei capi-squadra era egli presente il più spesso, e fu a
quest'occasione che Maurilio dovette di trovare nella bettola di Pelone
Gian-Luigi travestito da operaio: alla massa dei semplici gregarii
difficil era che il _medichino_ si immischiasse, e molti di essi lo
conoscevano di nome e lo rispettavano ossequenti per fama senza nemmeno
conoscerlo di persona.
Quella sera, come già sappiamo, tutte tre le categorie degli affigliati
alla infame Società erano convocate: il sinedrio supremo per risolvere,
l'assemblea mediana per scegliere i mezzi d'esecuzione, la infima classe
per ricevere gli ordini. Sulle peste di Macobaro, il quale, camminando
frettoloso per la notte è giunto alla bottega di _Baciccia_,
introduciamoci anche noi nel misterioso ridotto.
Quando il padre di Ester vi giunse, il _medichino_ non c'era ancora. La
lampada che pendeva dalla vôlta illuminava del suo chiarore rossigno le
faccie diverse, ma tutte caratteristiche, di cinque individui seduti
intorno alla tavola che trovavasi in mezzo a quel vasto camerone
ingombro di tanta roba. Una di queste faccie era il muso appuntato di
Graffigna che già ben conosciamo; vicino a lui, cogli avambracci posati
sul piano della tavola, stava un omaccione a forme grosse, quadre e
robuste: una testa enorme gli pencolava come ad uomo preso dal sonno che
di quando in quando cede all'assopimento; la faccia imbestialita non
lasciava più scorgere traccia nessuna di sentimento fuorchè un basso
istinto animale; l'occhio semispento aveva qualche cosa di stupido
insieme e di feroce, le labbra grosse colore della feccia del vino,
parevano incapaci ed indegne dell'attributo dell'uomo che di tanto lo
separa dal resto dell'animalità: la parola; avreste detto non poter
uscire da quella bocca degradata che un grugnito belluino. Pareva
immerso in una specie di torpore dell'anima e del corpo; ma tratto
tratto ne usciva un istante per mescere d'un liquore del color
dell'acqua, di cui aveva una bottiglietta innanzi a sè, in un
bicchierino, il cui contenuto poi tracannava d'un colpo con mossa del
braccio concitata, quasi rabbiosa. Era acquarzente della più forte; ad
ognuno di tali bicchierini e' si riscuoteva un poco, alcuna intelligenza
pareva tornare in quel suo sguardo sanguigno: ma poi non tardava a
riprenderlo quel torpido assonnamento. Il terzo individuo, paragonati i
suoi abiti a quelli miseri e frusti de' suoi compagni, vestiva da
signore. Era tutto in nero ed aveva le apparenze d'un leguleio o d'un
uomo di affari; portava sul naso degli occhiali colle lenti azzurrigne e
parlava, si muoveva, stava con una certa importanza di sè. Dirigeva una
_casa di commissioni_ per allogamento di persone di servizio, per
pigionare quartieri in città, per vendita od affitto di beni rurali, per
impiego di denari e simili; sapeva a menadito il Codice civile e quello
penale, era il consultore legale della Società, e i suoi compagni lo
trattavano col _sor_. Degli altri due non è il caso di occuparsi: ci
basti sapere che erano arrivati ancor essi a quell'alto grado nella
gerarchia per merito di audaci ed accorti delitti e di utili vistosi
recati col senno e coll'opera alla Società.
Fra questi cinque individui non una parola si scambiava. Ciascuno pareva
assorto nei suoi pensieri; tenevano il capo basso in aspetto meditabondo
e non si guardavano neppure l'un l'altro. Avreste detto che rattenevano
fin anco la loro respirazione per non turbare l'alto silenzio, che
veniva rotto tratto tratto soltanto dal colpo con cui l'omaccione
batteva la tavola deponendovi su il bicchierino dopo averlo vuotato.
All'entrare di Macobaro i cinque personaggi levarono la testa; e visto
chi fosse non gli dissero, nè fecero cenno di sorta che paresse un
saluto, ma tornarono nel loro primitivo raccoglimento: l'ebreo si venne
inoltrando chetamente quasi con umile riverenza verso la tavola, prese
una seggiola e vi sedette timidamente senza nè dire una parola neppur
egli, nè fare un atto qualsiasi.
Si continuò per un poco ancora in quel silenzio; finalmente l'uomo dagli
occhiali bleu fece un movimento, trasse di tasca l'orologio e
guardandolo disse:
— Il _medichino_ è in ritardo d'un quarto d'ora.
— È troppo: disse un altro.
— Quanto a me, saltò su con voce rauca l'omaccione, che aveva
galvanizzata in quel punto la sua inerzia con un bicchierino di
acquavite: quanto a me lo aspetto finchè qui dentro c'è una goccia di
questa roba. Quando abbia finita questa fiaschetta me ne vado ai fatti
miei, e il _medichino_ il diavolo se lo porti.
Ma Graffigna gli diede sulla voce.
— Sta zitto, Stracciaferro. Bevi quel che hai dinanzi e non dir
sciocchezze. Se il _medichino_ non è qui ancora, è segno che ancora non
ha potuto venirci; e quanto ai fatti tuoi, tu non hai altri che quei
della _cocca_, e devi star qui appunto per essi.
Stracciaferro scosse la sua testa enorme; ma si tacque. Nè alcun altro
aggiunse più parola.
Pochi minuti dopo si udì un passo franco nel piccolo camerino che
precedeva l'ingresso al _Cafarnao_, ed entrò un uomo di alta statura,
avvolto in uno scuro mantello che tuttavia non nascondeva la prestanza
delle sue forme, la dignitosa leggiadria delle sue mosse. Era il
_medichino_.
Mentre al sopraggiungere di ogni altro nessuno di quelli che già si
trovavan colà erasi mosso, all'entrare di codestui, appena l'ebbero
scorto, s'alzarono tutti in piedi con certa attitudine di rispetto, come
per un taciturno saluto: tutti meno uno, che era Stracciaferro, il quale
aveva scossa di nuovo la sua grossa testa ed aveva mandato una specie di
grugnito che pareva quasi un'espressione di protesta contro quell'atto
riverente degli altri.
Ad alzarsi primo di tutti era stato Macobaro, e il suo capo si curvò in
umilissimo inchino, mentre il giovane capo della _cocca_ fece scorrere
di passata il suo vivido sguardo sulle infinite rughe della raggrinzita
di lui faccia; ma chi avesse notato lo sguardo pieno d'odio implacabile
che aveva guizzato a tutta prima verso Gian-Luigi dalle palpebre floscie
ed ingiallite del vecchio, non avrebbe esitato a credere quest'uomo
capace d'ogni più fiero proposito contro colui che così umilmente
inchinava.
Il _medichino_ s'inoltrò colla sua andatura fiera e la mossa
naturalmente superba, senza sciorsi dal mantello onde si avvolgeva. I
suoi occhi che erano corsi sulle faccie di tutti i presenti, si
fermarono sulla figura grossolana e bestiale di Stracciaferro e la
saettarono di sguardi che parevano di fuoco.
L'omaccione volle resistere col suo e lottare contro quello sguardo del
giovane; ma nol potè a lungo; le sue pupille quasi a forza dovettero
chinarsi, ed egli manifestò il malessere che quello sguardo gli
cagionava e il dispetto che di ciò sentiva, con un altro dei suoi
grugniti quasi bestiali.
In Gian-Luigi per l'intensità di quella fisa guardatura, le vene della
fronte si gonfiavano a poco a poco, e, le sopracciglia aggrottandosi
lentamente, veniva disegnandosi ed incavandosi sempre più quella ruga
caratteristica che noi gli conosciamo.
— Perchè non vi siete levato in piedi, Stracciaferro? domandò il
_medichino_ con voce severa, ma calma e posata.
Stracciaferro fece un atto pieno d'irriverenza; ma non osò levare gli
occhi sulla faccia del giovane.
— Perchè, rispose colla sua voce rauca ed ebriosa, perchè non ne ho
punto voglia.
Gian-Luigi tirò giù lentamente la falda del mantello che aveva gettata
sulla spalla sinistra, e dalle pieghe del panno cascante sprigionò il
braccio destro e la sua mano fine e sottile, accuratamente inguantata.
— Qui non siete per fare le vostre voglie: disse con una pacatezza che
era più minacciosa che l'accento della collera: qui conviene che
compiate i doveri che avete verso la _cocca_ e verso me che ne sono il
capo. Quando ci avvenga di incontrarci come semplici individui qui o
fuori di qui, che voi badiate o non a me, poco m'importa: aspetterò a
darvi una lezione allora solamente che mi manchiate di rispetto; ma in
queste adunanze, qui, adesso, voi siete innanzi a me in qualità di
subalterno innanzi al suo superiore, ed io esigo che voi mi rendiate
quelle onoranze che sono stabilite dai nostri accordi, che sono nel mio
diritto di pretendere, e di cui anzi penso dovere della mia carica il
mantenere intatta l'osservanza. Con voglia o senza, voi vi dovete
alzare, e vi alzerete.
Fece una pausa. Stracciaferro non si mosse; allora con voce vibrata di
comando, il _medichino_ gli intimò:
— Alzatevi!
I presenti a quella scena stavano muti ed immobili; ma l'espressione
della loro fisionomia era ben diversa. Graffigna pareva seccato di
quest'incidente che faceva perder tempo e si vedeva non approvar egli
niente affatto la condotta del suo compagno; il direttore della _casa di
commissioni_, guardava con occhio indifferente come uno spettacolo
qualunque che gli si presentasse; il ferravecchi ebreo aveva
nell'aspetto un maligno interessamento affatto ostile al _medichino_;
gli altri due sembravano meravigliati della temerità di Stracciaferro,
ma non parevano alieni del tutto a schierarsi dalla parte del ribelle,
quando egli avesse saputo vincerla; come i più, insomma, erano inclinati
senza dubbio nessuno a dar poi ragione al più forte.
A quel riciso comando, Stracciaferro parve dapprima voler cedere; fece
un movimento come per obbedire, ma poi piantando le sue manaccie sulla
tavola, quasi ci si volesse attaccare, disse risolutamente:
— Ebben no..... non lo voglio.
— Gli occhi di Gian-Luigi lampeggiarono più fieramente e la ruga che gli
solcava il mezzo della fronte apparve più spiccata e profonda; tuttavia
aveva egli ancora il dominio della sua volontà e padroneggiava la
collera che gli sobbolliva nell'anima. Non era la prima volta che delle
velleità di ribellione al suo potere si manifestavano in quell'uomo
audacissimo e robustissimo. Fra le nature di quei due individui, l'una
elegante, distinta, aristocratica, l'altra grossolana, volgare,
bassamente plebea, si sarebbe detto corresse un'antipatia quasi
necessaria, domabile soltanto dall'impero della forza, a benefizio di
chi avesse questa forza da parte sua. Stracciaferro che di certo non
ragionava sulle sue impressioni, ma agiva per istinto, s'era sdegnato di
vedere il suo vigore, il suo ardimento, la sua ferocia sottomessi alla
supremazia d'un giovane che per quell'empia strada in cui essi
camminavano, gli pareva indegno del tutto d'andargli innanzi; e questo
sentimento nato confusamente nel suo spirito offuscato dalla
grossolanità della materia, dalla continua ebrietà, veniva in lui
spiegandosi a poco a poco e manifestandosi via via con qualche atto da
prima lievissimo, finchè quella sera l'acquavita gli aveva dato la
risolutezza di palesarsi in quel modo che abbiamo visto.
Il _medichino_ da parte sua teneva ognor presente che quel suo primato
confertogli dalla scelta de' suoi compagni, egli doveva conservarselo o
per dir meglio conquistarselo ancora ad ogni volta mercè l'audacia in
una sempre continua lotta contro le ambizioni, le invidie, i sospetti,
le malevolenze dei suoi scellerati subalterni; e sapeva che la prima
volta in cui egli avesse avuto il di sotto, la sua autorità di colpo
sarebbe stata affatto perduta. Andava egli quindi preparato sempre ad
ogni evento; e non era uomo da evitare nessun pericolo nè sottrarsi a
nessun cimento.
Prima di riprendere a parlare a Stracciaferro, dopo la insolente
risposta di costui, Gian-Luigi si tolse il mantello dalle spalle e lo
gettò lontano da sè, si sguantò le mani, e ponendo la sinistra in tasca,
la destra appoggiò alla tavola che tramezzava fra lui e l'avversario il
cui contegno era per lui una sfida.
— Facciamo ad intenderci: diss'egli con un sorriso alle labbra cui
rendevano terribile il fuoco degli sguardi e l'aggrottamento della
fronte. La vostra condotta e le vostre parole meritano un'esemplare
punizione, Stracciaferro...
— Una punizione a me? ruggì quel Sansone avvinazzato digrignando i
denti.
Ma il _medichino_ parlando di forza con quell'accento che la natura
pareva avergli dato apposta per comandare altrui:
— Non m'interrompete: gridò; risponderete quando io abbia finito di
dire.
Stracciaferro borbottò confusamente qualche improperio e tracannò un
altro bicchierino d'acquavita. Gian-Luigi continuava:
— Prima di darvi questa punizione però desidero sapere le ragioni che vi
han mosso a trasgredire quel dovere di rispetto che avete pel vostro
capo, per sapere appunto misurare a queste ragioni la gravità della
pena. Or dunque che cosa vi ci ha mosso? Avete qualche rimprovero da
farmi? Vi è sembrato scorgere in me qualche cosa che mi rendesse men
degno del mio grado? parlate.
Stracciaferro, esordendo per un'orribile bestemmia, parlò colla più
brutale franchezza.
— Il suo grado!... Io non so perchè _Lei_ abbia da tenerlo il suo
grado.... ecco!.... È forse dei nostri _Lei_? Ha _lavorato_ come noi di
mano e di persona? Ha frustato la vita nelle galere, trascinando la
catena al piede come hanno fatto i _nostri noi_?.... Noi affrontiamo il
capestro e _Lei_ si pappa il meglio dei nostri guadagni.... Noi a
trascinar una vitaccia sciagurata, inseguiti dalla canèa dei poliziotti;
Lei a scialarla con cavalli e carrozze in abiti da moscardino e
prendersi una satolla d'ogni piacere. Ora domando io se è giusto
codesto; e domando che cosa dà diritto a _Lei_ di godersela in questa
guisa..... Perchè _Lei_ e non noi?... Se si ha da guardare al merito,
non ho più meriti io di cui tutti conoscono le imprese, e il cui nome è
un terrore a tutta la gente ed alla polizia medesima? Se gli è la forza
che deve primeggiare, non sono io il più forte?
E terminando con una bestemmia pari a quella con cui aveva incominciato,
tese innanzi la sua grossa mano nera, villosa, muscolosa, serrata a
pugno, e battè un colpo sulla tavola che parve battuto da un maglio di
ferro.
Il _medichino_ diede una ratta sguardata all'espressione delle faccie di
quel ristretto pubblico che era presente alla scena. Graffigna appariva
più impaziente che mai, l'uomo dagli occhiali mostrava un curioso
interessamento che però sembrava propendere di meglio verso il capo
della _cocca_; Macobaro s'era riparato dietro una maschera impenetrabile
di indifferenza; gli altri due avevano una certa esitazione che
accennava una tendenza a schierarsi dalla parte di Stracciaferro.
Gian-Luigi capì che gli conveniva con un colpo decisivo domare senza
indugio quelle velleità di ribellione.
Graffigna credette bene d'intervenire, e saltò in mezzo colla sua
stridula voce dicendo:
— Queste le sono tutte scempiaggini, Stracciaferro, mio caro amico, che
ti venga un accidente..... Tu ci fai perdere tempo e non altro.
— Tacete! intimò fieramente il _medichino_ fulminando l'interrompitore
con una terribile occhiata: chi vi ha dato il diritto di parlare?
Graffigna rinsaccò la testa fra le spalle, e fece un atto che voleva
dire:
— Non vada in collera con me: non me ne immischio dell'altro.
Gian-Luigi si volse a Stracciaferro e parlò con voce vibrante ma
contenuta, autorevole e sempre calma.
— Alle vostre parole non dovrei fare manco l'onore d'una risposta e
punirvi senz'altro, ma prima mi piace mostrarvi eziandio l'assurdità
delle vostre impertinenti pretese, poi più pesante ancora si abbasserà
su di voi la mia mano punitrice.
Stracciaferro tirò indietro dalla tavola la sua seggiola, e come
disponendosi fin d'allora a sostenere un assalto, pose sulle sue grosse
ginocchia le manaccie ossee, ronchiose, che facevano certi pugni da
impaurire qualunque.
— La staremo a vedere! diss'egli bofonchiando fra i denti.
Gian-Luigi continuava col medesimo tono:
— Poichè voi osate istituire una gara di meriti e di titoli a questo
primato che la scelta della _cocca_ mi ha concesso e che voglio
mantenermi intiero e in tutta la sua estensione e con tutti i suoi
privilegi, per Dio; vi dirò che avere l'audacia di paragonar voi a me è
lo stesso come paragonare lo stupido bue che tira l'aratro al
coltivatore che lo guida e lo corregge. Voi siete una forza bruta, io
sono l'intelligenza. Voi avete eseguito materialmente molto arditi
fatti, ma chi li ha immaginati? Chi vi ha suggeriti i mezzi e condotti
con sicura previdenza e con infallibile abilità al successo? Poichè io
vi comando guardate quanta prosperità e come incessante abbia
accompagnata la nostra associazione! Ella non fu mai così felice e
gloriosa. E non è nulla ancora appetto all'avvenire al quale intendo e
mi sento la forza di condurla. Cotale avvenire, questa sera appunto voi
siete adunati per udirmi a svelarvelo, per udirmi proporvi le più
importanti misure, per ricevere da me i più precisi ordini onde
cominciarne l'effettuazione. Siamo alla vigilia d'un giorno che voi non
avete osato sognar nemmanco pur mai: quello in cui la nostra società,
noi, abbiamo in nostro potere la città tutta, ed apertamente dettiamo
noi la legge altrui e di quelle armi che ora ci combattono possiamo
servirci a far eseguire i nostri desiderii. Finora ci siamo contentati
di togliere colla rapina, avvolgendoci delle ombre notturne, ai ricchi
una parte piccolissima dei loro averi: io vi guiderò invece a tal punto
che potrete, alla luce del sole, spogliare i ricchi d'ogni aver loro a
beneficio di voi e dei vostri. E codesto a chi si dovrà? A quel pensiero
che ha sede qui nel mio cervello, e che voi, bruto con forme d'uomo, nel
vostro capo ottuso non sapete manco che cosa sia. Ecco già una buona
ragione — e la migliore — pel mio predominio. Ma voi contate eziandio la
forza fisica e il coraggio: e di queste qualità dovreste già sapere che
io non vi sto indietro: e che anzi vi sopravvanzo anche in esse, vengo a
darvene la prova sull'istante.
Camminò risolutamente verso Stracciaferro, facendo il giro della tavola
che stava tra loro, la mano sinistra sempre in tasca, la sua destra
bianca, affilata e gentile dondolante con abbandono lungo il corpo.
L'omaccione, vedendolo accostarsi, sorse in piedi e si fermò sulle sue
gambe alquanto oscillanti. Lo sguardo torvo, feroce, quasi sanguigno di
Stracciaferro seguiva le mosse del _medichino_ come quello d'una belva
fa alla preda che aspetta all'agguato. Ma ad un tratto Gian-Luigi fece
un balzo: mentre il suo avversario piantato pesantemente sulla base dei
suoi grossi piedi lo attendeva di facciata, egli con una mossa più ratta
del baleno, più agile di quella d'una tigre fu addosso all'omaccione
sopra il suo fianco destro, e prima che avesse tempo a voltarsi e porsi
in alcun modo in difesa, a parare comecchesiasi il colpo, gli
scaraventava alla tempia un pugno di tal forza che Stracciaferro
barcollò e cadde stramazzoni, come bue colpito in mezzo al capo dal
maglio del beccaio. Il suo avversario non aveva ancora toccato la terra,
che il _medichino_ era già rimbalzato indietro di due passi, e postosi
in attitudine difensiva appuntando innanzi a sè colla mano sinistra una
pistola a due bocche trattasi vivamente di tasca, pronto a far saltare
le cervella al nemico quando quel primo colpo non l'avesse abbattuto.
Ma Stracciaferro non poteva pur pensare a muovere un assalto, nè manco
ad altra cosa al mondo, abbandonato qual era, privo di sensi, per terra,
come se morto. Il _medichino_ prese lentamente la mossa naturale e
tranquilla d'un uomo che non ha nulla per cui stare in guardia, ripose
in tasca l'arma, come se niente fosse, e fece scorrere sui testimonii di
quella scena uno sguardo nè trionfante, nè superbo, ma osservativo e
imponente. Tutte le teste gli s'inchinarono dinanzi: quella di Macobaro
s'inchinò più di tutte.
— Ora veniamo a noi, diss'egli colla voce così piana e tranquilla come
se nulla fosse avvenuto, e facciamo a guadagnare il tempo che
quell'animale ci ha fatto perdere.
Prese una seggiola ed andò a sedersi a capo della tavola, facendo invito
agli altri ed accordando licenza con un gesto da sovrano di sedere ancor
essi. Il corpo di Stracciaferro giacente era un impaccio per alcuni.
— Graffigna, comandò Gian-Luigi, guarda un po' se questa c...... vuole
star lungo tempo coi ferri per aria; e se sì, tirala colà in un canto
che non ci dia altro imbarazzo.
Graffigna si curvò sopra il vecchio suo compagno di delitti e d'infamia.
Stracciaferro apriva gli occhi; ma il suo sguardo torbido ed appannato
dinotava come al suo cervello intronato non fosse ancora tornata la
funzione di quell'intelligenza cui la natura già gli aveva data in sì
scarsa proporzione, e cui la continuata ubbriachezza aveva ancora ottusa
di tanto.
— Eh! non sarà nulla, disse Graffigna chino sull'omaccione, e' comincia
a rifar l'occhiolino. Suvvia, soggiunse parlando al caduto, e
scuotendolo per le spalle, animo, mio caro amico che tu possa crepare;
non farci delle smorfie da femminetta e levati sulle piote, pendaglio da
forca, mio degno compagno.
Stracciaferro trasse un grosso e profondo sospiro, e messosi con gran
pena a sedere girò intorno uno sguardo da trasognato.
— A me, a me, riprese l'omiciattolo dalla faccia di faina. So ben io che
cosa ci vuole a questo maccaco, nostro benemerito socio, per fargli
tornare l'anima in corpo.
Prese sulla tavola il fiaschetto dell'acquarzente e ne mescette un colmo
bicchierino, che venne a porre a contatto delle labbra spesse e tumide
di Stracciaferro.
— Orsù, gli disse, bevi codesto, e lesto in gamba, che ti carezzi il
piede di Gasperino[10].
[10] Nome che questa razza di gente suol dare al carnefice.
Con un moto puramente animale Stracciaferro ingoiò il contenuto del
bicchierino, e parve in verità che ciò gli ridonasse gli spiriti, perchè
un qualche raggio di luce venne a brillare nei suoi occhi.
— Olà, non l'abbiamo ancora finita? Gridò allora la voce imperiosa ed
impaziente del _medichino_.
Il vecchio galeotto tutto si riscosse; volse a quella parte ond'era
venuta la voce, i suoi occhi rossi di sangue ed infossati nelle livide
occhiaie, e incontrò lo sguardo superbo di supremazia disdegnosa, e vide
l'aspetto imponente di quel giovane dall'alta fronte orgogliosa, a cui
la sorte aveva tutto accordato: bellezza, intelligenza, coraggio,
fermezza e perfino la forza muscolare. Che cosa si passò egli nell'animo
di quello sciagurato la cui bassa natura confinava colla cieca
animalità? Quello sguardo e quello aspetto lo vinsero più ancora della
forza di quel colpo materiale che lo aveva atterrato: fece come una
fiera in gabbia che ha voluto ribellarsi al suo domatore e che questi
col dolore delle percosse e colla forza magnetica dell'occhio
fascinatore, fa rientrare nella timorosa soggezione.
— Alzati ed accostati: gli comandò breve ed asciutto il _medichino_.
Stracciaferro si alzò non senza stento e venne accostandosi al capo
della _cocca_ con passo tuttavia mal sicuro.
— Sei persuaso ora d'aver torto? gli chiese bruscamente Gian-Luigi.
L'omaccione mandò uno de' suoi grugniti che poteva passare per
un'esclamazione affermativa.
— Sta bene..... Una severa punizione l'hai meritata; ma _per questa
volta_, mi contento di quel poco di correzione che hai preso... Per
questa volta, intendi?..... Ad un'altra, al menomo cenno
d'insubordinazione, al menomo contrasto alla mia volontà, ti faccio
saltar le cervella, com'è vero che io qui sono... E così di qualunque
altro che osasse imitare il tuo esempio. Ciascuno se lo tenga per detto.
Fece scorrere di nuovo sulle faccie dei presenti il suo sguardo lento,
pacato e severo; e più di prima ancora, non trovò che fronti chine ed
umilmente sommesse.
— Ora non se ne parli più: continuava col tono di generosa clemenza d'un
Tito. Siedi costà e impiega tutto quel po' di cervello che ti resta a
tentar di comprendere ciò che sto per dire ed ordinare.
I componenti il supremo Consiglio della _cocca_ erano adunque tutti
seduti intorno alla tavola a cui capo stava il _medichino_ e con
vivissima curiosità ed attenzione aspettavano le comunicazioni per cui
erano stati colà raccolti.
Gian-Luigi così cominciò a parlare:
— Fin da principio che io assunsi quest'importantissimo ufficio che voi
m'avete voluto affidare, fu mio proposito chiamare la nostra
associazione a ben più alti destini di quelli a cui l'avessero spinta,
cui avessero pur anco sognato soltanto tutti i miei predecessori. Noi
per un'ingiustizia fatale siamo privi dei beni della sorte e con quello
che la comune chiama delitti cerchiamo riparare a questa ingiustizia; ma
gli effetti dei nostri atti non sono che temporanei, non riescono che a
successi parziali, in una menoma parte soltanto dell'immenso complesso
dei beni umani, non giovano che a pochi individui, per poco tempo,
lasciando definitivamente nelle medesime condizioni la nostra classe,
tutti quelli che come noi non hanno nulla, i poveri, gli umili, i
derelitti e calpestati dai potenti — la plebe!
Graffigna fece un atto che significava chiaramente com'egli degli altri
se ne curasse meno d'un mozzicone di sigaro e che contentavasi affatto
di que' certi successi parziali che facevano entrare qualche buona
manciata di monete nelle sue tasche. Ma il _medichino_ volse per azzardo
gli occhi verso di lui, ed egli, rinsaccato ancora il capo in mezzo alle
spalle, chiuse gli occhi, come per assorbire di meglio le parole del suo
superiore e meditarvi su con più attenzione.
Gian-Luigi continuava:
— Ma intorno a noi, contro di noi, a legarci in ogni nostra mossa, ad
impedirci ogni atto, a reprimere ogni nostro conato, a rendere
impossibile ogni miglioramento della nostra sorte, che cosa troviamo
noi? La legge, che è fatta dai nostri nemici; tutto un ordinamento, un
edifizio di istituzioni e di uffici, di costumi e di autorità, organato
direttamente a nostro danno ed a nostra repressione. È chiara e facile
la conseguenza da dedursi: abbattiamo questo edificio, stracciamo questo
iniquo patto di legge a cui noi non abbiamo acconsentito. La nostra
parte ha la potenza del numero; ma pur tuttavia è debole ed impotente
per mancanza d'unione e d'accordo, d'intendimenti e di guida, d'una
forza di pensiero e di volontà che la informi, d'un centro intorno a cui
la si agglomeri e che le indichi e cominci l'azione, e ve la spinga e
capitaneggi. Quest'uffizio ho pensato che poteva adempiere la nostra
segreta associazione così vasta e fondata, che, ignota anche ai più di
quelli che la servono, pure diffonde così largamente le sue radici, che
può di tanti mezzi disporre, che vanta a sè arruolati tanti coraggi,
tanti animi risoluti e pronti ad ogni cosa. La nostra associazione, mi
sono detto, può raccogliere in una massa le scontentezze, le ire, le
disperazioni dei derelitti, far precipitare questa irrefrenabile valanga
sul presente edificio, abbatterlo come la vera valanga schiaccia il
villaggio che incontra nel suo cammino; e sulle rovine di ciò che ora
esiste, può la nostra misteriosa _cocca_ rimanere solo corpo organato
che sopravanzi, ed impadronirsi della somma delle cose.
Fece una piccola pausa, e poi soggiunse con accento più vibrato, con
occhi che sfavillavano d'una ardente cupidigia:
— Allora a noi tutte le ricchezze terrene: a noi tutti i tesori e i