La plebe, parte III - 13

trionfo, e senz'un nè due s'impadronì di quel pezzo di carta.
— Ah ah! diss'egli agitando in aria come un trofeo lo scritto della
_Gattona_. Oserete ancora negare?
La vecchia non comprese per qual ragione Selva mostrasse tanta gioia di
aver trovato quel foglio e paresse considerarlo come una prova a di lei
carico: ma tuttavia domandò vivamente che quella carta le si restituisse
e fece a prenderla ella stessa colle sue mani d'arpia.
— Piano: disse Giovanni, levando tanto in alto il foglio che la donna
non lo potesse arrivare; questo è un documento prezioso che non
abbandono più. Ah! voi protestate che del povero bimbo non sapete
nulla?... Va benissimo; ma presso il meschinello, colle altre cose fu
trovato anche un biglietto che diceva come foss'egli battezzato e con
qual nome, e questo nome essere quello di suo padre; or bene la
scrittura di quel biglietto è questa qui, la quale non può essere
d'altri che di voi o di qualcuno che è qui con voi e che ci dovete
nominare.
Don Venanzio che verificò la cosa essere appunto come Giovanni la
diceva, ringraziò la Provvidenza la quale evidentemente si faceva
collaboratrice dell'opera loro, e si unì al giovane suo compagno per
pressare di questioni la vecchia, che a quel colpo inaspettato rimase
allibita e per così dire gittata fuor degli arcioni.
Dopo inutili tentativi di ripigliarsi e combattere quell'evidenza, la
vecchia rinunziò ad ogni simile difesa e finì per dire:
— Ebbene sì, molto probabilmente io potrei svelare l'arcano che copre la
nascita di quel giovane... Ma è un grande segreto... un tremendo segreto
che tremo tutta, solo a ricordarmene... C'è di mezzo una potente
famiglia... potentissimi personaggi. Santa Madonna!... C'è da
rifletterci due volte!... Ora, qui, subito, non posso parlare... Bisogna
che raccolga i miei pensieri e le mie memorie... Bisogna eziandio ch'io
mi consulti... Ah! non farei mai una cosa di tanta importanza senza
sentire il parere del mio confessore... Gesù buono! Si tratta della
tranquillità della mia coscienza... Si tratta di così gravi
interessi!...
Per quanto dicessero i due amici di Maurilio, nulla valse a rimuovere la
vecchia dalla sua ferma risoluzione.
— Ma quando in fin dei conti vi disporrete voi a parlare? domandò poscia
Giovanni impazientito.
— Fra due giorni: domando due giorni di tempo per poterci riflettere.
Selva tese verso la vecchia la mano chiusa col solo dito indice puntato
al di lei petto in atto di intimazione.
— Badate che cerchereste invano di sottrarvi! Ora che abbiamo posta la
mano sopra un bandolo, non lo lasciamo andar più.... Guai a voi se
tentaste sfuggirci, o prepararvi a deviarci dal cammino della
verità!.... Intanto questo vostro scritto, che è sì chiara prova contro
di voi, lo conservo appo me.
La _Gattona_ protestò che ella era disposta a tutt'altro che a voler
dissimulare il vero, poichè la Provvidenza dopo tanto tempo ch'ella
credeva quel bambino affatto perso, aveva voluto così inaspettatamente
menarglielo dinanzi; e Don Venanzio e Giovanni, a cui premeva recare le
importanti novelle a Maurilio, tornarono con passo affrettato presso di
costui, giungendo, come vedemmo, quando appunto aveva termine il
colloquio dei due giovani, compagni d'infanzia.
Maurilio, all'udire le rivelazioni recategli dai suoi due amici, rimase
sbalordito. Le vaghe speranze che egli aveva pur sempre carezzate
nell'animo di poter un giorno penetrare il mistero della sua sorte, non
avevano mai preso innanzi a lui un corpo così solido e preciso. La sua
fu una commozione che parve quasi uno sgomento. Come avviene quando
troppo ardentemente si è anelato ad una cosa da cui dipende la vostra
sorte, che all'annunzio dell'effettuarsi della medesima una trepidazione
vi assale per cui quasi vorreste tornare addietro e rigettarvi
nell'ansia dell'aspettativa e negli stimoli del non appagato desiderio,
così Maurilio sentì poco meno che una paura di quell'enimma che
accennava voler levare il suo velo e pronunziare il suo motto
misterioso: fu lieto di aver ancora due giorni innanzi a sè in cui
misurare nelle intime fantasticaggini le audacie segrete della sua anima
con quell'ignoto. Non ebbe molte parole: la sua meraviglia non si sfogò
che in tronchi monosillabi e in esclamazioni tosto raffrenate, ma il
pallore e il rossore che in lui s'avvicendavano e il fremito contenuto
della sua voce rivelavano la sua emozione profonda.
Ad un punto si prese fra le sue mani grossolane la sua grossa testa e se
la serrò forte, come se vi volesse contenere per entro qualche cosa che
minacciasse scoppiare. Un'idea agitatrice gli scombuiava nella mente
tutte le categorie de' suoi pensieri. Una domanda gli alitava sulle
labbra, che finì per tradursi in parole accompagnate da un vivissimo
rossore.
— Quella vecchia disse che in codesto è interessata una potente
famiglia..... Oh! avrei io dunque illustre sangue nelle vene?
Ah! non era una sciocca e fatua vanità quella che gli metteva a forza
sulle sue labbra ripugnanti queste parole. No: nel tumultuoso aggirarsi
di idee e di immagini nel cervello in tramestio s'era levata di botto
una splendida figura di grazia raggiante e di bellezza: — Virginia!
Se di nobile lignaggio nascesse egli pure, veniva atterrata quella
fatale barriera che aveva visto fino allora innalzata ed insuperabile
fra sè e l'amata fanciulla. Avrebbe dunque potuto aspirare a
possederla!...
Le idee di Don Venanzio, naturalmente, avevano preso un altro corso.
— Quelle parole della vecchia, diss'egli, intorno ad una potentissima
famiglia, a potentissimi personaggi, di cui pare ch'essa abbia timore,
mi fanno supporre che siavi alcuno interessato a non lasciar ricomparire
in mezzo ai suoi il bambino trattone chi sa per che motivi, e chi sa con
che mezzi!... Credo che sarebbe assai bene se potessimo avvalerci poi da
parte nostra d'un qualche influente protettore, e penso che potrebbe
esser tale per noi appunto il marchese di Baldissero che ha mostrato
tanto desiderio di conoscerti, ed a cui ho promesso di presentarti oggi
stesso.
Giovanni fu compiutamente del parere medesimo.
Maurilio tacque per un poco: quindi mosse alcune obiezioni, riuscendo a
frenare il profondo turbamento a cui era in preda.
Era egli opportuno, era prudente di svelare quel fatto fin d'allora ad
un estraneo, senza sapere bene ancora quale sarebbe poi stata la verità
che s'aveva da apprendere?
Don Venanzio riconobbe la giustezza dell'osservazione, ma rispose che
nel suo concetto non trattavasi già di contar la faccenda subito e
senz'altro al marchese, sì invece di introdursi, Maurilio, nella casa e
nelle buone di lui grazie, per aver egli più facilmente di poi, quando
ne fosse il caso, entratura a parlare a quel potente personaggio di ciò
che lo riguardava.
Il giovane non trovò più nulla ad opporre, e mezz'ora dopo Don Venanzio
e Maurilio salivano le scale che conducevano all'appartamento del
marchese. Come al giovane trovatello battesse il cuore, ve lo lascio
pensare.


CAPITOLO XI.

Il marchese era in casa ed accolse i due visitatori appena gli furono
annunziati. La prima impressione che su lui fece l'aspetto poco grazioso
e in quel momento impacciato di Maurilio non fu delle più favorevoli.
Dietro le cose scritte da quel giovanetto con tanto calore e tanta
sicurezza, il marchese si era formata dell'essere di lui un'immagine ben
diversa: e quel nome di Maurilio il quale era pure una delle cause
precipue del subito interesse che il vecchio nobile aveva sentito per
quello sconosciuto giovane gli aveva ricordato una tutt'altra figura, un
tutt'altro tipo da quelli che ora vedevasi venire innanzi nella persona
del protetto di Don Venanzio. La timidità e la mala grazia nel primo
presentarsi di Maurilio, parvero al marchese una scontrosità diffidente
ed un riserbo ostile per natura sospettosa e rozza. Poichè
quell'individuo non rispondeva per nulla a quell'idea ch'e' se n'era
formato, il marchese fu molto presso a dirsi tosto che avrebbe fatto
meglio a non evocare innanzi a sè quello spirito della democrazia così
infelicemente incarnato.
Era egli però troppo squisitamente gentile per manifestare nella menoma
guisa questi suoi sentimenti. Senza punto muoversi dal suo seggiolone,
fece un benevolo segno di saluto ai due che entravano, e colla mano
accennò loro due scranne perchè sedessero.
— Eccole quel giovane, di cui abbiamo parlato questa mattina: disse Don
Venanzio; cui Ella ha voluto essere così generoso protettore....
E volgendosi a Maurilio, soggiunse:
— Ringrazia il signor marchese, chè gli è proprio a lui che tu devi la
tua liberazione.
Il nostro eroe si confuse, arrossì, e come sempre quando non aveva
superata quella certa timidità che era in lui, balbettò impacciate
parole.
— Certo... signor marchese... la ringrazio... la mia riconoscenza...
Baldissero venne in soccorso della sua confusione.
— Ella non mi deve nessuna riconoscenza. Ho creduto che la sua e quella
dei suoi compagni non fosse che una imprudente avventatezza giovanile,
abbastanza punita coll'arresto di poche ore... Ed è appunto per
convincermi se in ciò avevo ragione che ho desiderato conoscerla e
parlarle. Quello che ho letto scritto di suo pugno mi fa troppo temere
in lei un nemico della società, e d'altra parte l'affetto e le
raccomandazioni del nostro buon parroco per lei sono una guarentigia...
Ho caro di convincermi da per me quale ha ragione dei miei timori o
della buona idea del mio vecchio amico Don Venanzio.
All'udire il marchese parlare della lettura da lui fatta di quelle sue
pagine scritte in segreto per sè, per la effusione segreta dell'anima,
pagine che nel suo concetto non dovevano cader mai sotto l'occhio d'un
vivente, Maurilio si turbò vieppiù. In parecchi luoghi di quello
scartafaccio, l'amore che gli fremeva nell'anima aveva gittato per
isfogo delle aspirazioni, dei trasporti, delle estasi in versi concitati
e tumultuosi ed in prosa più lirica dei versi. Il marchese aveva egli
letto anche quelle pagine? Il nome di Virginia trovavasi scritto in
tutte lettere; e quel nome a Maurilio pareva che dovesse fiammeggiare in
mezzo all'oscurità delle altre parole come una vivida luce ad attrar
l'occhio del riguardante. La fanciulla dell'amor suo non era nomata con
più precisa indicazione; ma chi, a suo concetto, non avrebbe dovuto,
conoscendola, ravvisare la vera Virginia a cui quelle parole
s'indirizzavano? A qual altra donna al mondo si sarebbero potute
adattare quelle adorazioni, quegli omaggi, quelle ammirative parole?
Secondo lui a nessuna. Il marchese doveva infallantemente nell'idolo a
cui era bruciato quell'entusiastico incenso di passione, riconoscere sua
nipote.
Bene lo aveva assicurato Don Venanzio che il marchese nella sua squisita
delicatezza si sarebbe guardato bene dal leggere cosa che appartenesse
alla vita intima del cuore; ma leggendo le pagine in cui egli aveva
espresse a sè e per sè solo le sue opinioni politiche e filosofiche,
s'era pur penetrato nella vita intima della sua intelligenza, e perchè
si sarebbero arrestati innanzi ai segreti del suo cuore, il marchese
sopratutto che vi poteva essere invitato da quel nome di Virginia, che
indubitatamente doveva rispiccargli innanzi agli occhi?
Il turbamento di Maurilio adunque fu tale che Don Venanzio e il marchese
medesimo se ne accorsero.
— Coraggio! disse il primo dei due per venire in aiuto del giovane; il
marchese ti ascolterà con bontà, e non hai nulla da temere da lui.
Baldissero fece colla mano un cenno pieno di garbo che significava: «Si
tranquilli e rassicuri,» e si volse al parroco:
— Che cosa il suo amico potrebbe temere da me?... Nel mio pensiero
questo colloquio non ha da essere l'urto di due personalità, sibbene la
discussione di due principii che si trovano a fronte, se pure uno di
questi principii non vuole sfuggirla, siffatta discussione.
Maurilio sollevò la sua grossa testa che teneva curva al petto ed espose
alla luce la vasta fronte su cui l'interno suo travaglio di quel momento
aveva fatto spuntare a goccia il sudore.
— No, signor marchese, diss'egli più fermo e più sicuro la voce e
l'aspetto; il principio ch'Ella mi fa l'onore di credere ch'io
rappresento non isfugge la discussione.
Ma il più importante per lui era frattanto avere alcuna maggior
sicurezza su quello che il marchese aveva letto o non letto del
manoscritto. Per ciò, soggiuns'egli tornando nella precedente
esitazione:
— Ma per definir meglio la ragione e i limiti del dibattimento....
credo..... e il signor marchese mi farebbe un favore se mi restituisse
quell'infelice scritto,.... credo che sarebbe opportuno si leggessero le
parole testuali dei passi intorno a cui Ella mi vuole riprendere o
interrogare.
— Molto volentieri le restituerei quel suo libro, rispose il marchese,
ma in questo momento esso non è più in mio potere. Trovasi nelle mani di
chi ha diritto di veder tutto e saper tutto: nelle mani del Re.
Maurilio fece un trasalto per la meraviglia.
— Del Re! esclamò egli.
— Del Re! ripetè giungendo le mani Don Venanzio più spaventato ancora
che stupito.
— Sì, riprese Baldissero; a S. M. è stata riferita, come di dovere, ogni
cosa; il Re ha desiderato leggere egli stesso le cose da lei scritte.
— Misericordia! esclamò il buon Don Venanzio con maggiore lo sgomento,
chi sa quante pazzie ci saranno colà dentro!.... E che cosa dirà il Re?
Ma questa notizia, invece di atterrire, parve aver rassicurato Maurilio.
Il suo contegno divenne più libero ed agiato, e fu con voce tranquilla
che egli disse a sua volta:
— Il signor marchese e S. M. medesima — spero — non trascureranno d'aver
presente che quelle cose furono buttate giù per non esser viste da
altrui, soli appunti di pensieri che passarono per la mente d'un
giovane, fatti concreti sbadatamente in poche parole. Se quelle idee
avessero saputo di dover comparire innanzi a tali che le potevan
condannare, avrebbero preso altra forma, altro sviluppo, una veste più
acconcia.
Baldissero guardò bene in volto il giovane, e per la prima volta travide
negli occhi di lui il corruscare dell'intelligenza.
— Vuol dire, interrogò egli, pronunziando lentamente, quasi perchè il
suo ascoltatore avesse tempo a soppesar bene le parole: vuol dire che in
quel suo scritto non è espressa la forma definitiva del suo pensiero, e
che s'Ella avesse da manifestare altrui cotali idee, le vorrebbe
modificare?
— Quanto alla sostanza no: rispose vivacemente Maurilio che pareva
tornare a poco a poco in tutta la libertà del suo spirito; sì quanto
alla esposizione e fors'anco a qualche deduzione delle medesime.
— Codeste le son dunque convinzioni radicate nel suo animo, stillate per
così dire dalla sua riflessione, e non opinioni raccolte qua e colà per
vaghezza giovanile dai moderni novatori, le cui speciosità illudono
agevolmente una mente non ancora matura?
Maurilio rispose con forza temperata dal rispetto:
— Ah signor marchese, qualunque elle sieno, le mie povere idee, le
assicuro che le ho meditate, stacciate traverso il crivello del mio
debole criterio, e le sono portato della mia mente, sangue, se così
potessi dire, della mia intelligenza.
C'era in queste parole e nel tono con cui furono dette, una certa onesta
baldanza che non dispiacque al marchese.
— Non ne voglio dubitare, disse questi; ma non le pare che simili idee
abbiano troppa temerità nella loro ricisa affermazione? Ella parla delle
condizioni della società, e vuole di questa mutate le basi e i rapporti
economici e politici: ora Ella è giovane di molto, e come nel poco tempo
di sua vita può avere tanto visto e conosciuto da poter chiaramente
rendersi conto in tutte le sue innumere parti di ciò che si tratta di
riformare, da comprendere il complesso dei fatti e delle leggi che ci
hanno luogo, da abbracciare tutte le fasi del ponderoso problema?
Maurilio approfittò d'una piccola pausa che fece il marchese, per
rispondere vivamente e senza indugio:
— Sì, i miei anni di vita furono pochi di numero, ma tali pur tuttavia
da contare per assai più, mercè la moltiplicità e la gravità degli
avvenimenti che li avvicendarono.
Sulle sue labbra venne a vagolare, per dir così, quel suo mesto sorriso
pieno d'intelligenza.
— In tutti gli eserciti del mondo, continuava egli, il tempo che il
soldato passa in guerra gli viene contato per doppio: il medesimo
dev'essere in questo grande esercito di viventi, che ad ogni momento è
chiamato a combattere col dolore. Questi miei anni trascorsi io li ho
vissuti in una battaglia continua contro la sventura: ci ho guadagnato
un'esperienza di quarant'anni. La sorte mi balestrò in varie condizioni,
e facendomi passare traverso parecchi strati sociali mi pose in grado di
conoscere i varii elementi dell'umanità, e le ragioni e i torti del suo
assetto presente. Ho avuto campo a studiare più gl'infimi che i
superiori ordini di questa razza umana che la religione e la ragione
proclamano composta di fratelli, e che il fatto e la legge tuttavia
dividono e schierano in comandanti ed in ubbidienti, in caste di eletti
ed in plebe di derelitti; e di questi poveri ed umili i bisogni che ho
partecipato, le miserie che ho sofferto mi hanno con morale coazione
fatto comprendere, se non tutte, le più parti dell'arduo problema. Non
dico poterlo sciogliere questo problema, dico averlo compreso. Alla mia
propria ho cercato rincalzo dalla esperienza altrui fatta concreta nei
libri. La fortuna in ciò mi fu benigna che mi pose in grado di poter
tutta avermi dinanzi raccolta la scienza stillata in volumi del pensiero
umano. Forse non v'ha alcuno al mondo, o pochi soltanto che abbiano
divorato tanti libri quanto io. Non dico d'aver letto bene; ed anzi so
pur troppo che ciò non è, ma della parola d'ogni pensatore mi sono
pasciuto con avidità. Ho visto, letto, meditato di molto; ho sofferto
più assai; ecco i miei titoli a dir ciò che penso del problema sociale.
Il vecchio marchese stette un poco prima di parlare a sua volta, e il
suo sguardo si teneva fisso sulle espressive e travagliate fattezze del
giovane; gli pareva che mercè quella luce d'intelligenza onde s'erano
venuti illuminando, i tratti del viso di quel plebeo si fossero cambiati
per assumere una specie di nobiltà tutto propria, per effetto di cui
egli sentiva quasi un interessamento nascergli verso lo sconosciuto che
ora per la prima volta gli era venuto dinanzi.
— Ella dunque ha sofferto, e di molto per causa del presente assetto
sociale: disse poi il marchese con accento in cui non poteva ancora
notarsi l'abbandono della confidenza, ma pure si sentiva vibrare qualche
cosa che assai si accostava alla simpatia; e senza dubbio molti furono e
sono e saranno mai sempre ai quali toccherà soffrire per questa ragione,
imperocchè in nessun ordine di fatti l'uomo non può arrivare a cose
perfette, ed un organamento tale che a tutti soddisfi quelli che sono
parte della società penso che pur troppo non si avrà da raggiunger mai
su questa terra.
Maurilio fece un piccolo atto che parve un segno rispettoso di voler
interrompere.
— So quello ch'Ella vuol dirmi, continuò il marchese con qualche
vivacità; senza pretendere alla perfezione è possibile un miglioramento
progressivo anche in codesto, mediante modificazioni più o meno
radicali, per cui gl'inconvenienti lamentati vengano via via cessando e
per la via del meglio si vada accostandosi verso quell'ottimo che
fors'anco non è nelle condizioni dell'uomo il raggiungere. Questa è
appunto la teoria del progresso, s'io non mi inganno, che la democrazia
moderna vuole applicata ad ogni cosa, nascondendo sotto queste modeste e
discrete forme le sue passioni sovversive e rivoluzionarie che aspirano
all'anarchia. Ma prima di tutto, questa teoria che mira a sfatare il
passato e distrurre l'autorità del diritto storico e della tradizione, è
falsa innanzi agli insegnamenti appunto della storia, alle reliquie
degli antichi tempi; è falsa inoltre, ed è ciò che più importa, innanzi
ai pronunziati della nostra santa religione.
E qui si rivolse verso Don Venanzio, il quale, sembrandogli forse troppo
grave il pronunziarsi lì per lì in quistione di tanta importanza, curvò
la testa e fece spalluccie come per dire: «sarà benissimo.»
— La storia, continuò il marchese, ci dice che il cammino percorso
dall'umanità non è una spirale che sale e che sale con progresso
indefinito, come dicono gli esaltatori dell'umanismo, ma sì invece è una
specie d'altura giunti al culmine della quale bisogna discendere e
qualche volta precipitare per rifarsi alle radici e ricominciar la
salita da capo. Parecchie volte una razza, un popolo, una città giunsero
a questo fastigio: le immense monarchie dell'Oriente, l'Egitto, la
Grecia, Roma. Ebbene che cosa sono esse oggidì? Lo dicano l'erbe che
crescono sulle ruine dei superbi loro monumenti. Il soffio di Dio ha
fiaccato l'orgoglio della loro scienza e potenza umana. Le nazioni che
oggidì tengono il campo, che cosa saranno da qui a mill'anni? La
religione ci insegna che l'uomo fu creato da Dio nello stato più felice
ed ottimo che alle sue condizioni di uomo convenisse; da quello stato
egli decadde per sua colpa e non potrà in esso reintegrarsi mai più,
perchè se il Redentore venne a rimetterci in comunicazione col cielo,
Iddio non volle già che togliesse dalla terra gli effetti della
maledizione del peccato, e la legge imposta ad Adamo alla cacciata
dell'Eden dura e durerà sempre nei figli suoi. Il paradiso terrestre non
si potrà riconquistar più. Quell'ideale di felicità terrena che l'uomo
vagheggia è una reminiscenza del primitivo stato di grazia; e per errore
d'ottica e di giudizio la passione dei beni terreni cerca nell'avvenire
ciò che fu inesorabilmente spento nel più remoto passato.
— Mi permette, signor marchese, ch'io osi contraddirla?
— Parli con tutta libertà.
— Ai miei occhi non è che la storia ci mostri l'umanità oscillante
miseramente fra un limitato avanzamento insuperabile ed un inevitabil
regresso; ed io non trovo da nessun valido argomento afforzata la teoria
dei ricorsi di Vico. Sì, secondo me, la marcia dell'umanità è una
spirale ascendente; ma il vero è che questa spirale ha dei giri di cui
la parte inferiore scende più basso del livello a cui forse era sceso il
giro precedente; ma il cammino non è interrotto, ma la forza ascensiva
non è cessata, e da quella bassura, talvolta anche relativa soltanto,
l'umanità si dovrà elevare ad un'altezza superiore a quelle che furono
arrivate per l'innanzi. Certe razze e certi paesi giungeranno ad una
grandezza di civiltà e poi ricadranno di nuovo nella barbarie; e ciò
perchè essi avranno compita la parte loro assegnata nel gran disegno
della Provvidenza; o perchè avranno falsato i principii che dovevano
applicare e le loro conseguenze. Ma è da dirsi che il loro glorioso
sfavillare d'un momento nella storia sia rimasto inutile; che soli
passeggieri, dopo aver brillato un istante, si estinguano lasciando più
densa intorno l'oscurità? Le grandi monarchie di Ninive e di Babilonia
si sono estinte, ma chi può negare l'influsso di quella coltura, benchè
mostruosamente applicata ed effettuata, in quel mondo orientale, a cui
cotanto attinsero e l'Egitto e la Grecia, e Israele medesimo nel corto
momento di suo splendore? La Grecia decade dopo avere raccolto in sè
come in un foco tutti i conquisti dell'intelligenza umana ed aver tutto
ammigliorato, ad ogni cosa dando l'impronta del suo genio puro,
evidente, artistico, armoniosamente bello; ed ecco che Roma è già lì
pronta ad accogliere la successione e spingere ad ulteriori conseguenze
le ricevute, già sviluppate premesse. Il mondo pagano giunto ad
un'altezza di coltura che pare il sommo arrivabile, devia nella più
empia corruzione e precipita. Questa volta in presenza dell'invasione
della nuova barbarie chi non direbbe avvenuto il regresso? chi non
temerebbe almeno una soluzione di continuità in quella marcia
ascendente? Ebbene no; il giro della spirale è disceso ad un bassissimo
livello, ma la potenza di riscattar su non è tolta alla molla; in quella
bassura temporanea prenderà nuova forza e nuovi elementi anzi per
ispingersi a non ancora arrivate o nemmeno ancor sognate altezze; nella
confusione del medio evo il cristianesimo matura la civiltà moderna che
per tante ed importantissime cose sarà di tanto superiore all'antica. Ed
è forse da credersi che i progressi della civiltà pagana sieno stati
inutili all'assestamento di quella cristiana? Mai più. La letteratura e
la scienza dell'antichità si scambiano ma proseguono nel mondo moderno;
dànno la base, prestano il punto di partenza e le prime forze alle mosse
del rinnovellato pensiero; il cristianesimo stesso non viene come un
atto inaspettato senza radici nei precedenti, senza ragioni di
conseguenze da cause anteriori, senza anteriori premesse. Nessun fatto
accade di questa guisa nell'umanità. Il cristianesimo dà forma più
elevata e più precisa, più pratica, direi quasi, e nello stesso tempo
più pura a quelle aspirazioni che da assai tempo già si facevano strada
di mezzo al politeismo e si manifestavano colla filosofia platonica e
coll'umanitarismo, se così posso dire, della nuova commedia di Menandro
e de' suoi. Come muoiono gl'individui e s'estinguono anche le razze, ma
l'umanità non muore; così cadono le civiltà particolari di questo e quel
luogo, ma non cade mai per l'affatto la civiltà umana; s'assopisce,
sonnecchia, la fiamma s'abbassa e il fuoco si copre di ceneri, e poi ad
un tratto soffia il vento, la si ridesta, le ceneri sono via portate e
la luce ribrilla più splendida e maggiore. La fiaccola della civiltà è
tenuta ora da questo or da quello fra le schiatte ed i popoli; ma quando
l'uno inciampa o rovina ecco un altro o subito di lì a poco raccogliere
la face e riprendere la via alla testa dell'umanità solidaria in ogni
progresso de' suoi membri. L'opera provvidenziale s'interrompe, non
cessa. L'ideale che si prosegue, anco inconsciamente dai più, non è nel
passato, no: è là dinanzi a noi, nell'avvenire, in un avvenire che
probabilmente non si raggiungerà mai, ma verso cui è legge costitutiva
della nostra natura intellettuale anelar senza posa.
Un calore contenuto, sincero, pieno di persuasione epperò di efficacia
aveva animato il discorso di Maurilio: la sua voce ordinariamente poco
sonora, vibrava con simpatico vigore, il volto arrossatosi alquanto, gli
occhi fatti più risplendenti davano alle sue sembianze una certa
attrattiva quasi autorevole, che ispirava la considerazione per quella
intelligenza ond'erano illuminati la fronte, lo sguardo, la parola del
giovane.
Baldissero subì ancor egli l'influsso di codesta attrattiva: rivolse a
Maurilio un sorriso assai benigno e gli disse con accento più amichevole
che per l'innanzi:
— Ella mi ha confutato passo passo.....
— Ah! non ho ancora finito: interruppe, ma in modo molto rispettoso,
Maurilio. Mi resta di manifestare la discrepanza delle mie dalle sue
idee intorno ad un punto importantissimo: quello che la religione
cristiana condanni il concetto e la teorica del progresso. La religione
cristiana ha bensì per suo dogma il decadimento della natura umana per
il peccato, ma, secondo me, non limita gli effetti della redenzione alla
parte spirituale dell'uomo caduto. Il Cristo è venuto ad arrecarci col
sacrificio di sè, non solamente la salute eterna, ma anche la miglioria
della vita terrena, mercè il lavoro, la virtù e la morale. La
maledizione di Adamo non fu così distrutta nell'umanità che di botto
ella tornasse allo stato primitivo di grazia e di felicità per l'anima e
pel corpo condannati; ma la redenzione pose l'uomo individuo in grado di
acquistarsi coll'opera sua particolare la salvezza eterna, l'uomo
collettivo, il genere umano nella possibilità di venir migliorando
sempre più le condizioni del suo vivere terreno. La fase grandiosa del
progresso moderno incomincia dall'opera santissima del Cristo ed ha sua
base nella buona novella annunziata all'umanità col Vangelo.
— Che cosa ne dice Lei, Don Venanzio? domandò il marchese ancora con
quel suo benigno sorriso.