La plebe, parte III - 08
sì..... Verrò dove Lei vuole..... Mi dica pure il luogo e l'ora...
Avessi anche da scappare dalle mani di mastro Pelone, verrò.
— Vieni alle otto ore precise sotto il portico del Palazzo di Città. Ci
sarò ad aspettarti; e non mi vi indugierò più di cinque minuti. Se tu
manchi, bada bene che perdi l'occasione di fare un buon guadagno e di
aver ragione della crudeltà di Maddalena a tuo riguardo.
— Verrò: ripetè di nuovo l'imbecille rotando furiosamente i suoi occhi.
Ne sia sicuro.
Si separarono; Meo per tornare all'osteria, Barnaba dirigendosi verso la
casa abitata da Maurilio e dai suoi giovani amici.
— Oh stranissima macchina umana! Mormorava fra sè Barnaba, camminando a
capo chino: tutte tutte, per quanto forti o intelligenti, per quanto
limitate ed imperfette, tutte hanno una susta che toccata le fa agire
come si vuole. Benedetta la passione! Essa governa il mondo umano con
irrefrenabile potere; e chi sa giovarsene mette le mani sulle briglie
con cui si menano gli uomini e quindi gli eventi.
Quando sora Ghita, la portinaia, vide comparirle innanzi l'incognito
della sera precedente, provò un misto tale di sentimenti che perfino la
parola le mancò per un momento. Era stupore e indignazione insieme,
sospetto e paura. Quell'uomo entrò con tutta franchezza come si entra in
casa d'un conoscente, e disse colla domestica scioltezza d'un amico:
— Buon giorno sora Ghita. Lei sta bene? Ne godo molto. Ho da parlarle da
solo a sola. Mi rincresce disturbarla da sì aggradevole compagnia, ma io
vengo mandato da tale e per tali faccende che non c'è da indugiare
menomamente.
Si chinò presso la cuffia madornale della portinaia e le disse piano:
— Vengo mandato dal sig. Commissario di Polizia.
Ghita mandò un grido di terrore ed alzò le mani al di sopra della sua
faccia conturbata.
Barnaba si volse verso le comari che facevano un circolo di occhi
curiosi e di faccie interrogative intorno alla Ghita ed al nuovo venuto.
— _Madame_, diss'egli facendo scorrere sulle vecchie uno sguardo severo
ed imperioso: abbiano la bontà di lasciarci.
Le comari, spaventate da quella guardatura, non ostante tutta la loro
curiosità si affrettarono verso la porta e parvero gareggiare a chi
uscisse prima. Barnaba e Ghita rimasero soli nella loggia.
— Sora Ghita, incominciò di botto il primo dei due; in alto luogo non si
è contenti di Lei.
La portinaia strabiliò.
— Come! diss'ella tutto commossa. Non si è contenti di me? Perchè? Che
cosa ho io fatto? Nessuno può dir tanto così sul mio conto, per nessun
verso; e se il signor Commissario, come Lei dice, la manda qui per
rimproverarmi, la lo può accertare che fui calunniata.
E il poliziotto, coll'aspetto il più severo e minaccioso:
— Ella tien mano ai nemici del Governo.
— Io? Gesù buono! Come si può dire una calunnia falsa di questa fatta?
— Ella sparla degli atti e dei funzionari del Governo di S. M.
La Ghita si ricordò delle parole che aveva dette poco prima contro le
prepotenze della Polizia: ma non si smarrì d'animo e gridò più forte di
prima:
— Non è vero, non è punto vero.
In quella una carrozza tirata da un sol cavallo ma di prezzo, si fermò
innanzi alla porta di quella casa; un giovane di occhi e capelli neri,
di abito e maniere eleganti, ne discese lestamente, e di fretta entrato
sotto l'andito si diresse verso le scale.
La portinaia e il poliziotto avevano interrotto il loro colloquio per
guardare questo nuovo arrivato. Barnaba, appena vistolo, aveva fatto un
moto come di gioia, e poi s'era tirato vivamente indietro per non
lasciarsi vedere. Il giovane era passato senza gettare pure uno sguardo
nella loggia della portinaia.
Appena passato quel giovane, Barnaba riprese con ancora più minaccioso
contegno ed accento:
— Ieri sera io l'ho interrogata se quel signore che è venuto adesso
adesso capitasse talvolta in questa casa, ed Ella me lo ha recisamente
negato.
— Quel signore! esclamò la portinaia; ma io non l'ho mai visto, è la
prima volta che viene.
Barnaba fissò ben bene la vecchia e le disse, pesando sulle parole:
— Quel signore è il dottor Quercia.
— Me ne rallegro tanto: rispose franca la portinaia: ma io non ho mai
avuto il bene di conoscerlo neanco di nome, ed è la prima volta che lo
vedo.
Il poliziotto prese la sua aria più tremenda.
— Badate bene! diss'egli. In queste cose non si scherza!... Abbiamo
molte ragioni di dubitare di voi....
— Di me? esclamò sora Ghita mettendosi tuttedue le mani sul petto,
coll'accento dell'innocenza meravigliata per una calunnia. Dio buono!
Santa Madonna della Consolata! Di me che sono una povera donna che non
faccio male a nessuno e che rispetto tutte le autorità..... oh domandi,
domandi un po' nel quartiere che cosa si dice della Ghita, e sentirà;
che una più onesta donna, non fo per vantarmi, ma si trova raramente
sotto le stelle.
— Intanto qui in questa casa abitano parecchi giovinetti che non hanno
timor di Dio nè rispetto del Governo.
— Ed io che cosa ne posso?... Non son mica io la padrona di casa da
poterneli scacciare.
— E voi li proteggete....
— Io? Benedette le cinque piaghe! Non li proteggo niente affatto.
Discorro con qualcheduno di loro quando talvolta, passando, mettono il
naso nel camerino; ma io non ci ho nulla, proprio nulla da che fare con
essi.
— Sono amici di quel cotale avvocato Benda che è un rivoluzionario di
tre cotte; e presso costui è allogato a servire, e gli si dà molta
confidenza, vostro marito.
— Ma Lei sa bene che io e mio marito ce la diciamo come l'olio e
l'aceto.... L'aceto gli è lui.... Di tutto quel che faccia o dica quel
disgraziato là, io non ne so nulla, non ne voglio saper nulla, non ci
entro per nulla.
— Le parole valgon poco, cara sora Ghita, ci vorrebbero i fatti.
— I fatti? Che fatti? Mi dica Lei che cosa ho da fare.
— Al signor Commissario premerebbe assai di essere informato di tutte le
volte che quel dottor Quercia, quel signore che avete veduto passare un
momento fa, se ne viene in questo luogo.
— Ed io ne lo dovrei informare?
— E sarebbe tanto di meglio se poteste dire, anche soltanto
approssimativamente, ciò ch'egli venga a fare costassù con quei giovani.
Sora Ghita capì benissimo che quel cotale stava proponendole onestamente
di far la spia, e chinò il capo in una grande perplessità. La cosa non
le andava molto a genio, ma d'altronde ella aveva tanta paura della
Polizia!
— Come vuole che io faccia per saper di queste cose? balbettò ella. Non
posso mica tener dietro a chi viene e sgusciare con loro nei quartieri
dove entrano.
— Il pittore Vanardi ha una moglie che chiacchera molto volentieri. Una
donna accorta come voi dovrebbe sapere farla parlare.
— Ma... riprese la povera sora Ghita più perplessa che mai.
Il poliziotto non le lasciò aggiungere altre parole.
— Avete questa sola maniera di provare immeritati i sospetti che avete
fatto nascere sul vostro conto: diss'egli con accento di autorità
imperiosa.
In quel momento un grosso corpo opaco che passava innanzi al finestrino
gettò un'ombra nella loggia: i due interlocutori si volsero a guardare
chi era e si videro davanti la faccia onesta e il corpo madornale di
Bastiano, il portinaio della casa Benda.
Come essi videro lui, così Bastiano vide pure quelli che erano nel
camerino, e riconobbe nell'uomo l'agente di Polizia che era stato a fare
la perquisizione in casa de' suoi padroni. Gli occhi del buon Bastiano
diventarono come quelli d'un mastino che vuol mordere: e' si fermò su
due piedi e sembrò volere aprir l'uscio della loggia ed entrarvi, ma poi
quasi ravvisatosi, continuò il suo cammino verso la scala.
— Sapete chi è colui? Domandò Barnaba con una minacciosa ironia alla
portinaia rimasta in asso. Lo conoscete quell'uomo?
— Pur troppo! balbettò la donna che in cuor suo mandava ai cento mila
diavoli, più che non avesse fatto mai prima, il marito.
— Voi non potrete più negare, io spero, le attinenze fra codestoro
quissù e la gente laggiù della fabbrica.
— Io non ho mai negato niente.
— E sapete che cosa è venuto in mente al sig. Commissario sul vostro
conto?
— Che cosa mai? domandò la portinaia con molta ansietà.
— Che quello screzio che mostrate avere con vostro marito non sia che un
inganno.....
Sora Ghita protestò con tutta la vivacità e la forza di cui era capace.
— Oh questa poi!.... Dica al signor Commissario che prima vorrei
lasciarmi tagliare il collo..... guardi quel che dico!.... il collo, che
aver da fare con quel bestione di mio marito.
— Sora Ghita, sarà la vostra condotta ulteriore che determinerà i
giudizii del signor Commissario ed i miei. Siamo dunque intesi!.... Non
occorrerà che voi abbandoniate la vostra loggia per recarvi al Palazzo
Madama. Passerò io qui da voi, di quando in quando, la sera sul tardi; e
voi mi direte allora tutto quello che è capitato, tutto quello che avete
veduto, tutto quello che in qualunque siasi modo sarete arrivata a
sapere. E più saprete e meglio sarete ricompensata di poi.
La portinaia non osò negare, nè assentire; stette in silenzio, col capo
curvo, e naturalmente il poliziotto prese quel suo contegno come un
assenso. Barnaba fece ancora un atto di tacita raccomandazione ed uscì.
— È stata una buona ispirazione quella di venir qui: pensava egli
allontanandosi a passo lesto da quella casa. Ora ho la materiale
certezza che il Quercia ha relazione con codestoro che molto
probabilmente sono affiliati a qualche società segreta. Tengo in pugno
lo spirito timoroso della portinaia, e così _colui_ lo vengo circondando
tutt'intorno di fili che ad un momento si possono serrare e pigliarlo
nella rete..... Oh ci arriverò! ci arriverò!
Frattanto Bastiano era salito su fino all'alto quarto piano dove
abitavano i giovani amici.
Francesco, liberato dalla cittadella e tornato a casa nel modo che
vedremo fra poco, impaziente di sapere che cosa ne fosse degli amici
suoi, lo aveva mandato a prenderne le novelle.
Quand'ebbe fatta l'ambasciata, il portinaio della casa Benda credette
bene raccontare a Selva, a Maurilio ed al dottore Quercia che lo avevano
ascoltato e gli avevano risposto, come lì sotto presso la Ghita
avess'egli visto adesso adesso quel cotal poliziotto che era venuto alla
fabbrica e che con tanta prepotenza aveva agito verso Giovanni.
Quercia corrugò minacciosamente le sopracciglia e lasciò vedere io mezzo
la fronte quella sua riga caratteristica.
— Ah sì? diss'egli. Questo è un fatto di cui bisogna tener conto.
E fra sè pensò:
— Sempre quel medesimo!... Bisogna ad ogni modo che Graffigna me ne
liberi e il più presto possibile.
E in quel momento medesimo Graffigna stava appunto comandando a Pelone
di fare in modo da trattenere il poliziotto nell'osteria fin oltre la
mezzanotte, per avere all'uscita di lui dalla taverna più facile il modo
di accoltellarlo.
— Guardatevi bene, continuava Quercia: io conosco le arti di siffatta
gente. I discorsi di codestui colla portinaia non sono senza un perchè.
Io ci scommetto che in quella donna questo agente poliziesco si è fatta
una esploratrice: e forse forse l'arresto vostro e quello di Benda già
furono cagionati dalle ciarle di lei.
Bastiano, all'udire queste parole, scosse il capo e voltò gli occhi
all'insù con espressione di sdegno profondo, mentre la sua mano
accarezzava il pome di quel grosso bastone che soleva portar seco sempre
come fido compagno.
— Che sì che quella gazza maledetta n'è capace: diss'egli. Una lingua
che non tacerebbe nemmanco sui carboni ardenti.... Ma corpo del diavolo!
Adesso vado a dirgliene io quattro!...
Discese le scale furibondo ed entrò coll'impeto d'una catapulta nella
loggia della moglie. Il pensiero che le ciarle di costei avessero potuto
nuocere al padroncino lo mettevano fuor di sè dalla collera.
La Ghita, da parte sua, non era in uno dei momenti più acconci per
tollerare in santa pace le invettive di chicchessiasi e specialmente del
marito. La comparsa di lui in punto così inopportuno l'aveva sdegnata
come una vera improntitudine ed impertinenza dell'uomo, a suo riguardo.
La vista di Bastiano, sempre spiacevole alla brava moglie, in
quell'occasione erale stata spiacevolissima e ce l'aveva con lui
maledettamente.
Bastiano, come entrò senza cerimonie nel camerino, così saltò senza
preamboli nel mezzo del discorso.
— Brutto mostro d'una linguaccia perfida, degna delle staffilate! Che sì
ch'io non so chi mi tenga dal farvi assaggiar ben bene di questo
randello traverso le spalle, per mostrarvi a tenerla a segno una
volta....
La donna inviperita non potè tollerare più a lungo in silenzio. I
cannelli della sua cuffia madornale fremevano d'indignazione; le guancie
erano diventate color di mattone cotto e il naso color di un peperone
d'Asti. Bastiano gridava forte colla sua voce da basso profondo; ma la
Ghita si cacciò a gridare ancor più forte colla sua voce strillante
insieme e nasale.
— Oh malnato d'un villanaccio senza sugo e senza creanza!... Che cos'è
questo tono da spaccamontagne? Che cosa sono queste parolaccie da
facchino?... Credete voi di farmi paura con quel ceffo da orso,
prepotentone che siete?... Non è più il tempo in cui, povera donna, mi
toccava star sotto un bestiale di marito... So farmi rispettare e so
dove trovar protezione contro le violenze d'uno scellerato...
Cominciando in questo gentil modo il discorso voi potete agevolmente
indovinare qual corso tenesse. I due contendenti ebbero in breve
esaurito tutto il dizionario degl'improperii, e ciò in tono tale che
tutte le comari del vicinato, scacciate dalla venuta di Barnaba,
tornarono nel camerino ansiosamente curiose.
La Ghita che aveva già avuto cotanto coraggio da sola contro il marito,
figuratevi come fu più audace ed aggressiva ancora quando si vide
rincalzata dalla frotta delle sue comari, le quali non è da dire se
presero tostamente le parti della loro compagna.
Il povero Bastiano ebbe una violenta tentazione di menare attorno il suo
bastone sopra quel branco di oche che gli sbraitava intorno; ma il suo
buon genio lo trattenne da un tanto scandalo. Si ritirò in buon ordine
innanzi all'incalzante battaglione delle donnaccole, e si limitò uscendo
a gettare come ultima minaccia queste parole a sua moglie:
— Ricordatevi che se la vostra lingua è cagione d'un sol dispiacere ad
alcuno dei miei padroni, io vi faccio ballare senza suono una monferrina
indemoniata...
La voce di Bastiano fu coperta dagli strilli delle vecchie comari che
perseguitarono il fuggente, la Ghita in capo come duce e trionfatrice,
sino sulla soglia del portone; ma ciò nulla meno la portinaia che
conosceva l'umore e il polso del marito sentì penetrarsi quelle parole
nell'anima ad accrescere in lei quella perplessità che le aveva lasciato
il colloquio avuto coll'agente della Polizia.
CAPITOLO VII.
Quando Maurilio, accompagnato da Don Venanzio, giunse in casa il
pittore, dov'egli abitava, fu accolto da Vanardi e dalla Rosina con ogni
dimostrazione d'affetto, a cui il giovane corrispose non senza alcun
intenerimento dell'anima. Dopo questi primi saluti e rallegramenti,
Maurilio domandò tosto alla moglie del pittore gli restituisse quegli
oggetti per lui preziosissimi, ch'egli partendo avevale consegnato, e
Rosina glie li diede.
— Mio buon padre, disse Maurilio additandoli a Don Venanzio che ben
conosceva che cosa fossero e che cosa valessero pel suo giovane amico
quel rosario e quel bottone: oggi a proposito di questo mio piccolo
tesoro, ho avuto una grande emozione.
E raccontò al buon parroco ciò che era capitato quando quel ragazzo
ch'egli aveva fatto venire affine di istruirlo, aveva per azzardo visto
quel bottone e riconosciutolo compagno ad uno cui possedeva la sua
nonna.
Don Venanzio parve dare una certa importanza ancor egli a questo fatto.
— Tu hai avuto una buona ispirazione ed hai cominciato a fare un'opera
assai buona volendo educare ed istruire quel bambinello; ed ecco che la
Provvidenza te ne vuole di subito ricompensare, forse, porgendoti un
filo da penetrare nel mistero della tua nascita. Il filo è tenue, è
verissimo, e sarebbe imprudente il concepirne da codesto troppe vive
speranze; ma pure io son d'avviso che non si debba trascurare e sia da
tentarsi di andarne a capo.
Maurilio disse che già era sua intenzione recarsi presso quella donna e
interrogarla in proposito, e che ciò farebbe di quel giorno medesimo.
Sopravvenuto di poi Giovanni Selva, come quello che era conscio di
tutto, venne chiamato a consiglio, e fra lui e don Venanzio decisero che
meglio del giovane della cui sorte si trattava, un altro avrebbe potuto
colla conveniente freddezza interrogare la donna, pesarne la risposta,
esaminarne i contegni, e giunger forse ad un più sicuro risultamento, e
fu determinato che Selva medesimo e il buon parroco si recherebbero di
compagnia essi stessi in casa quella vecchia, della quale Maurilio, in
quel momento, non ricordò più che il soprannome di _Gattona_.
E ci sarebbero andati senz'altro indugio, poichè Don Venanzio con
Maurilio aveva oramai scambiati quei discorsi con cui due che si amano,
dopo un intervallo di tempo che non si sono visti, sogliono mettersi in
giorno l'un dell'altro delle proprie cose, quando avvenne che
inaspettato e come mandato anch'egli colà dalla mano del destino
sopraggiungesse Gian-Luigi.
Il vecchio sacerdote non avea punto cessato di amare quell'altro dei due
cui potuto avrebbe chiamare suoi figliuoli d'adozione: dei due che in
realtà a lui dovevano la vita dello spirito, il risveglio
dell'intelligenza, all'uomo più preziosi che non la vita materiale e lo
sviluppo delle forze fisiche.
Molti anni erano che Don Venanzio non aveva visto più Gian-Luigi. Dal
colloquio che ebbe luogo fra costui e Maurilio nella taverna di Pelone,
abbiamo appreso che il figliuolo nutrito col latte della povera
Margherita e da essa allevato coll'amore più che di madre, mai più non
era tornato al villaggio, nè tampoco aveva colà dato segno nessuno più
della sua esistenza; nelle sue gite a Torino il buon parroco mai non
aveva avuto rincontro di quel giovane, ed altro più non aveva saputo di
lui fuor ciò che glie ne apprendeva Maurilio il quale ad un punto disse
che ancor egli avea cessato di vedere Gian-Luigi, e nulla più conosceva
de' fatti suoi.
La sera innanzi, come vedemmo, il caso (Don Venanzio avrebbe detto la
Provvidenza) aveva messo a fronte di nuovo i due compagni di sorte, i
due amici d'infanzia, i due trovatelli. Codesto avveniva giusto appunto
quando Gian-Luigi, affondatosi, per così dire, più che mai nella sua
opera tenebrosa e tremenda di rivoluzione sociale, innanzi alle
crescenti, agglomerantisi, spaventose vicende della catastrofe, non si
smarriva già menomamente dell'animo, non sentiva già inferiori al
còmpito la sua forza, l'audacia e la volontà, ma capiva che sommamente
gli sarebbe riescito utile il concorso di un'altra intelligenza pari e
forse a certe discipline più acconcia e forse meglio nutrita di studi e
per più vasta potenza di comprensione abbracciante un maggiore àmbito
d'idee. Aveva pensato all'intelligenza di Maurilio. Si pentì allora di
non averselo tenuto legato al proprio destino, di aver disconosciuto e
trascurato il soccorso che da lui poteva avere nella sua impresa. Dove
sempre l'avesse conservato nella sua intimità e nelle domestiche
consuetudini della vita, egli si lusingava che quell'affetto ammirativo
cui Maurilio provava un tempo pell'amico suo di così brillanti doti
fornito, che quell'influsso cui la sua volontà tenace e robusta, la sua
forza operosa d'iniziativa esercitavano sull'anima più mite del
compagno, avrebbero ottenuto che i suoi pensieri, le sue voglie, i suoi
disegni, diventassero i disegni, le voglie e i pensieri di Maurilio, il
quale in servizio loro avrebbe posto quell'ingegno non comune che
Gian-Luigi gli riconosceva.
Forse non sarebbe andato a cercarlo; ma poichè la fortuna glie lo
conduceva dinanzi, Gian-Luigi si era proposto di nulla pretermettere per
associare alla sua intrapresa ed al suo destino l'antico compagno. In
quel primo colloquio che avevano avuto all'osteria, subitamente
interrotto dall'arrivo di Barnaba, innanzi a cui Gian-Luigi era
scomparso, per ragioni che ora sappiamo: in quel colloquio l'audace capo
della cocca avea capito che da una grande distanza, quasi da un abisso
erano stati separati gli animi suo e di Maurilio in quegli anni che
erano trascorsi senza che più si vedessero. Non si disse che ciò
proveniva da che egli fosse camminato e di buon passo nella strada del
male, dove ad ogni tappa aveva perduto alcuno de' suoi buoni istinti,
smagata o corrotta alcuna delle sue buone qualità, mentre invece
Maurilio od era rimasto su quel terreno dove lo avevano collocato i
risultamenti dell'educazione di Don Venanzio e della maturanza della
propria intelligenza, oppure eziandio era proceduto nella via del bene;
ma avvertì che oramai l'uno e l'altro parlavano una lingua diversa e che
per intendersi occorreva, da parte di lui, che era quello il quale
desiderava penetrare sino all'animo ed al cervello dell'amico,
occorreva, dico, uno sforzo maggiore e fors'anco un'arte di simulazione
delle più accorte, affine di non urtare fin dalle prime nelle
suscettività morali dell'altro.
Questa difficoltà, invece di stornarlo dal tentativo o disgustarnelo,
aveva anzi aizzato il petulante amor proprio di Gian-Luigi e il giorno
susseguente all'incontro avuto nella taverna, appena dalle molte sue
occupazioni ebbe un momento di libero, l'elegante giovane che nella
società era salutato col nome di dottor Quercia, s'affrettò verso
l'abitazione di Maurilio, di cui questi la sera innanzi gli aveva dato
l'indirizzo.
Entrò nel modesto quartiere dei giovani con quell'agiata e naturale
eleganza di mosse con cui entrava nei saloni delle feste e negli
stanzini delle signore. La signora Rosina ne fu abbacinata, e raccontò
essa poi che quel bel giovane erale sembrato un'apparizione avvolta in
una nube eterea di _patchouli_. Maurilio, che non credeva Gian-Luigi
fosse per effettuare nè così presto, nè tardi, nè mai la sua promessa di
venire da lui, mandò una leggera esclamazione di stupore. Don Venanzio,
che era lontano le mille miglia dal pensare che l'altro suo allievo gli
comparisse davanti colà, in quel modo, non lo riconobbe a tutta prima e
si alzò da sedere per salutare il nuovo venuto, con quella deferenza che
si meritava l'alto grado sociale cui egli, giudicando dagli abiti e
dalle maniere, sembrava occupare.
Gian-Luigi si fermò un istante sulla soglia prima d'inoltrarsi nella
stanza in cui erano Maurilio e Don Venanzio. Al veder quest'ultimo non
mostrò nè contrarietà, nè stupore, quantunque tale incontro fosse il più
inaspettato del mondo e non dovesse essergli dei meglio graditi.
Illuminò la sua fisionomia del più schietto e cordiale sorriso, e negli
occhi gli brillò uno dei più lieti e simpatici sguardi ch'egli
possedesse nel suo arsenale di seduzioni. Rattamente, colla facilità del
suo fertile cervello egli aveva già concepito un disegno, mercè cui la
presenza del vecchio prete doveva servirgli appunto a vincere le ostili
prevenzioni che aveva notate in Maurilio contro di lui.
Si accostò adunque a Don Venanzio, l'aspetto commosso, gli occhi quasi
umidi di pianto, una espressione nel volto e nel contegno di devozione,
di affetto, di intenerimento da non dirsi.
Il buon parroco lo guardava tutto stupito e quasi ansioso. Gli pareva e
non gli pareva di riconoscere quelle sembianze: sentiva nel cuore una
specie di agitazione, quasi un palpito; voleva dire: Tu sei quel desso,
e non osava.
— E la non mi riconosce più? domandò Gian-Luigi con quella sua voce
vibrante e melodiosa, che era un'altra delle sue più efficaci seduzioni.
Oh che Ella mi avrebbe del tutto dimenticato?
E più abile che un abilissimo commediante, lo scellerato aveva tale un
accento di tenerezza, di rincrescimento, di effusione che nemmeno il più
diffidente degli uomini ne avrebbe sospettato la sincerità.
Il primo impulso nel vecchio sacerdote fu l'esplosione della sua
tenerezza quasi paterna.
— Gian-Luigi! esclamò egli con voce tremante per l'emozione, allargando
le sue braccia.
Il giovane mandò un grido di gioia.
— Ah! mi ha ancora riconosciuto!
E si abbracciò con passione al buon parroco, che piangeva — egli —
lagrime vere.
Ma dopo un istante la commozione in Don Venanzio lasciò luogo ad altro
sentimento che da tempo gli stava nell'animo verso Gian-Luigi. Si
sciolse dalle braccia di lui, ed allontanandosene un poco lo guardò dal
capo alle piante con subita freddezza, quasi con sospetto, con evidente
rimprovero.
— Cospetto! diss'egli: come voi siete vestito da signore! Avete dunque
trovato per davvero il modo di arrivare quelle ricchezze, dietro cui
anelavate con tanta passione?
Gian-Luigi fece un gesto leggiero e sbadato colla mano, come per dire: —
questo per ora è quello che meno importa; e poi rispose con un accento
in cui si sarebbe potuto notare un po' d'impazienza, ma tuttavia con
inappuntabile rispetto:
— Sì, dopo molte fatiche e dopo molti travagli sono riuscito a
raccapezzar qualche cosa e far valere alquanto i fatti miei... Ma di me,
se le aggrada, discorreremo fra poco... Ora permetta alla mia impazienza
che io la interroghi subito di quella persona che insieme con lei Don
Venanzio, mi sta più a cuore, mi sta solamente a cuore, devo anzi dire,
in tutto il nostro villaggio... Che nuove ha da darmi della buona
Margherita?
Don Venanzio e Maurilio scambiarono un rapido sguardo per comunicarsi la
gradita sorpresa che loro faceva questa richiesta sulle labbra di
Gian-Luigi. Quanto a costui, nell'accento delle sue parole e
nell'espressione del suo viso, mostrava, per colei che domandava, il
maggiore interessamento che uom possa sentire per una creatura vivente.
— Ah la povera Margherita? disse il parroco ripetendo questo nome con
un'intonazione che era un rimprovero. Vi ricordate adunque ancora un
poco di lei?
Gian-Luigi fece un atto di vivacissima protesta.
— Se me ne ricordo!... Ah voi tutti avete giudicato male di me, pel mio
silenzio, pel mio apparente oblio di quell'infelice?... Anche Lei, Don
Venanzio, coll'anima sua sì mite e sì generosa!...
Il sacerdote volle parlare, ma egli non glie ne diede il tempo.
— Oh! non la condanno, nè mi dichiaro offeso... Ella ebbe in parte
ragione.... Sì, ho fatto male; avrei dovuto io digiunare, io piuttosto
morir di fame e mandare a costo di qualunque siasi sacrifizio alcun
soccorso a quella santa donna.... Ella mi guarda con istupore, mio buon
Don Venanzio, Ella non può comprendere com'io, vestito di questi panni,
con questo florido aspetto di prosperità, parli di digiuno e di fame...
Ma Ella nella sua vita modesta e ritratta non sa, non può nemmanco
sospettare i misteri, i dolorosi, talvolta vergognosi misteri della vita
cittadina che si nascondono sotto le apparenze d'uno sfoggio
d'accatto.... Lo dissi ier sera a Maurilio, le cui parole chiaramente mi
espressero quelle rampogne cui con tanta mitezza ora mi adombrarono il
suo stupore in vedermi, la sua interrogazione, mio buon Don Venanzio; fu
un tempo in cui mentre portavo nei salotti eleganti la mia faccia
sorridente e le mostre d'una ricchezza che non avevo, più volte mi
rodeva le viscere il tormento della fame; e i pochi guadagni ch'io
poteva fare, le poche rivalse cui mi riusciva in qualsiasi modo
raccogliere, sa Ella come impiegavo? Qualche soldo appena a comprarmi in
segreto, la sera, nascondendomi come per commettere una vergognosa
azione, un pezzo di pan nero; e il resto a procurarmi guanti color di
butirro, stivalini di vernicato e a farmi inanellar la zazzera dal
parrucchiere alla moda!... La mi dirà ch'ero pazzo, che mi facevo
martire volontario d'una stupida vanità cui è un adulare il chiamarla
ambizione; ma per me, pel mio sogno d'avvenire, pei miei disegni era una
Avessi anche da scappare dalle mani di mastro Pelone, verrò.
— Vieni alle otto ore precise sotto il portico del Palazzo di Città. Ci
sarò ad aspettarti; e non mi vi indugierò più di cinque minuti. Se tu
manchi, bada bene che perdi l'occasione di fare un buon guadagno e di
aver ragione della crudeltà di Maddalena a tuo riguardo.
— Verrò: ripetè di nuovo l'imbecille rotando furiosamente i suoi occhi.
Ne sia sicuro.
Si separarono; Meo per tornare all'osteria, Barnaba dirigendosi verso la
casa abitata da Maurilio e dai suoi giovani amici.
— Oh stranissima macchina umana! Mormorava fra sè Barnaba, camminando a
capo chino: tutte tutte, per quanto forti o intelligenti, per quanto
limitate ed imperfette, tutte hanno una susta che toccata le fa agire
come si vuole. Benedetta la passione! Essa governa il mondo umano con
irrefrenabile potere; e chi sa giovarsene mette le mani sulle briglie
con cui si menano gli uomini e quindi gli eventi.
Quando sora Ghita, la portinaia, vide comparirle innanzi l'incognito
della sera precedente, provò un misto tale di sentimenti che perfino la
parola le mancò per un momento. Era stupore e indignazione insieme,
sospetto e paura. Quell'uomo entrò con tutta franchezza come si entra in
casa d'un conoscente, e disse colla domestica scioltezza d'un amico:
— Buon giorno sora Ghita. Lei sta bene? Ne godo molto. Ho da parlarle da
solo a sola. Mi rincresce disturbarla da sì aggradevole compagnia, ma io
vengo mandato da tale e per tali faccende che non c'è da indugiare
menomamente.
Si chinò presso la cuffia madornale della portinaia e le disse piano:
— Vengo mandato dal sig. Commissario di Polizia.
Ghita mandò un grido di terrore ed alzò le mani al di sopra della sua
faccia conturbata.
Barnaba si volse verso le comari che facevano un circolo di occhi
curiosi e di faccie interrogative intorno alla Ghita ed al nuovo venuto.
— _Madame_, diss'egli facendo scorrere sulle vecchie uno sguardo severo
ed imperioso: abbiano la bontà di lasciarci.
Le comari, spaventate da quella guardatura, non ostante tutta la loro
curiosità si affrettarono verso la porta e parvero gareggiare a chi
uscisse prima. Barnaba e Ghita rimasero soli nella loggia.
— Sora Ghita, incominciò di botto il primo dei due; in alto luogo non si
è contenti di Lei.
La portinaia strabiliò.
— Come! diss'ella tutto commossa. Non si è contenti di me? Perchè? Che
cosa ho io fatto? Nessuno può dir tanto così sul mio conto, per nessun
verso; e se il signor Commissario, come Lei dice, la manda qui per
rimproverarmi, la lo può accertare che fui calunniata.
E il poliziotto, coll'aspetto il più severo e minaccioso:
— Ella tien mano ai nemici del Governo.
— Io? Gesù buono! Come si può dire una calunnia falsa di questa fatta?
— Ella sparla degli atti e dei funzionari del Governo di S. M.
La Ghita si ricordò delle parole che aveva dette poco prima contro le
prepotenze della Polizia: ma non si smarrì d'animo e gridò più forte di
prima:
— Non è vero, non è punto vero.
In quella una carrozza tirata da un sol cavallo ma di prezzo, si fermò
innanzi alla porta di quella casa; un giovane di occhi e capelli neri,
di abito e maniere eleganti, ne discese lestamente, e di fretta entrato
sotto l'andito si diresse verso le scale.
La portinaia e il poliziotto avevano interrotto il loro colloquio per
guardare questo nuovo arrivato. Barnaba, appena vistolo, aveva fatto un
moto come di gioia, e poi s'era tirato vivamente indietro per non
lasciarsi vedere. Il giovane era passato senza gettare pure uno sguardo
nella loggia della portinaia.
Appena passato quel giovane, Barnaba riprese con ancora più minaccioso
contegno ed accento:
— Ieri sera io l'ho interrogata se quel signore che è venuto adesso
adesso capitasse talvolta in questa casa, ed Ella me lo ha recisamente
negato.
— Quel signore! esclamò la portinaia; ma io non l'ho mai visto, è la
prima volta che viene.
Barnaba fissò ben bene la vecchia e le disse, pesando sulle parole:
— Quel signore è il dottor Quercia.
— Me ne rallegro tanto: rispose franca la portinaia: ma io non ho mai
avuto il bene di conoscerlo neanco di nome, ed è la prima volta che lo
vedo.
Il poliziotto prese la sua aria più tremenda.
— Badate bene! diss'egli. In queste cose non si scherza!... Abbiamo
molte ragioni di dubitare di voi....
— Di me? esclamò sora Ghita mettendosi tuttedue le mani sul petto,
coll'accento dell'innocenza meravigliata per una calunnia. Dio buono!
Santa Madonna della Consolata! Di me che sono una povera donna che non
faccio male a nessuno e che rispetto tutte le autorità..... oh domandi,
domandi un po' nel quartiere che cosa si dice della Ghita, e sentirà;
che una più onesta donna, non fo per vantarmi, ma si trova raramente
sotto le stelle.
— Intanto qui in questa casa abitano parecchi giovinetti che non hanno
timor di Dio nè rispetto del Governo.
— Ed io che cosa ne posso?... Non son mica io la padrona di casa da
poterneli scacciare.
— E voi li proteggete....
— Io? Benedette le cinque piaghe! Non li proteggo niente affatto.
Discorro con qualcheduno di loro quando talvolta, passando, mettono il
naso nel camerino; ma io non ci ho nulla, proprio nulla da che fare con
essi.
— Sono amici di quel cotale avvocato Benda che è un rivoluzionario di
tre cotte; e presso costui è allogato a servire, e gli si dà molta
confidenza, vostro marito.
— Ma Lei sa bene che io e mio marito ce la diciamo come l'olio e
l'aceto.... L'aceto gli è lui.... Di tutto quel che faccia o dica quel
disgraziato là, io non ne so nulla, non ne voglio saper nulla, non ci
entro per nulla.
— Le parole valgon poco, cara sora Ghita, ci vorrebbero i fatti.
— I fatti? Che fatti? Mi dica Lei che cosa ho da fare.
— Al signor Commissario premerebbe assai di essere informato di tutte le
volte che quel dottor Quercia, quel signore che avete veduto passare un
momento fa, se ne viene in questo luogo.
— Ed io ne lo dovrei informare?
— E sarebbe tanto di meglio se poteste dire, anche soltanto
approssimativamente, ciò ch'egli venga a fare costassù con quei giovani.
Sora Ghita capì benissimo che quel cotale stava proponendole onestamente
di far la spia, e chinò il capo in una grande perplessità. La cosa non
le andava molto a genio, ma d'altronde ella aveva tanta paura della
Polizia!
— Come vuole che io faccia per saper di queste cose? balbettò ella. Non
posso mica tener dietro a chi viene e sgusciare con loro nei quartieri
dove entrano.
— Il pittore Vanardi ha una moglie che chiacchera molto volentieri. Una
donna accorta come voi dovrebbe sapere farla parlare.
— Ma... riprese la povera sora Ghita più perplessa che mai.
Il poliziotto non le lasciò aggiungere altre parole.
— Avete questa sola maniera di provare immeritati i sospetti che avete
fatto nascere sul vostro conto: diss'egli con accento di autorità
imperiosa.
In quel momento un grosso corpo opaco che passava innanzi al finestrino
gettò un'ombra nella loggia: i due interlocutori si volsero a guardare
chi era e si videro davanti la faccia onesta e il corpo madornale di
Bastiano, il portinaio della casa Benda.
Come essi videro lui, così Bastiano vide pure quelli che erano nel
camerino, e riconobbe nell'uomo l'agente di Polizia che era stato a fare
la perquisizione in casa de' suoi padroni. Gli occhi del buon Bastiano
diventarono come quelli d'un mastino che vuol mordere: e' si fermò su
due piedi e sembrò volere aprir l'uscio della loggia ed entrarvi, ma poi
quasi ravvisatosi, continuò il suo cammino verso la scala.
— Sapete chi è colui? Domandò Barnaba con una minacciosa ironia alla
portinaia rimasta in asso. Lo conoscete quell'uomo?
— Pur troppo! balbettò la donna che in cuor suo mandava ai cento mila
diavoli, più che non avesse fatto mai prima, il marito.
— Voi non potrete più negare, io spero, le attinenze fra codestoro
quissù e la gente laggiù della fabbrica.
— Io non ho mai negato niente.
— E sapete che cosa è venuto in mente al sig. Commissario sul vostro
conto?
— Che cosa mai? domandò la portinaia con molta ansietà.
— Che quello screzio che mostrate avere con vostro marito non sia che un
inganno.....
Sora Ghita protestò con tutta la vivacità e la forza di cui era capace.
— Oh questa poi!.... Dica al signor Commissario che prima vorrei
lasciarmi tagliare il collo..... guardi quel che dico!.... il collo, che
aver da fare con quel bestione di mio marito.
— Sora Ghita, sarà la vostra condotta ulteriore che determinerà i
giudizii del signor Commissario ed i miei. Siamo dunque intesi!.... Non
occorrerà che voi abbandoniate la vostra loggia per recarvi al Palazzo
Madama. Passerò io qui da voi, di quando in quando, la sera sul tardi; e
voi mi direte allora tutto quello che è capitato, tutto quello che avete
veduto, tutto quello che in qualunque siasi modo sarete arrivata a
sapere. E più saprete e meglio sarete ricompensata di poi.
La portinaia non osò negare, nè assentire; stette in silenzio, col capo
curvo, e naturalmente il poliziotto prese quel suo contegno come un
assenso. Barnaba fece ancora un atto di tacita raccomandazione ed uscì.
— È stata una buona ispirazione quella di venir qui: pensava egli
allontanandosi a passo lesto da quella casa. Ora ho la materiale
certezza che il Quercia ha relazione con codestoro che molto
probabilmente sono affiliati a qualche società segreta. Tengo in pugno
lo spirito timoroso della portinaia, e così _colui_ lo vengo circondando
tutt'intorno di fili che ad un momento si possono serrare e pigliarlo
nella rete..... Oh ci arriverò! ci arriverò!
Frattanto Bastiano era salito su fino all'alto quarto piano dove
abitavano i giovani amici.
Francesco, liberato dalla cittadella e tornato a casa nel modo che
vedremo fra poco, impaziente di sapere che cosa ne fosse degli amici
suoi, lo aveva mandato a prenderne le novelle.
Quand'ebbe fatta l'ambasciata, il portinaio della casa Benda credette
bene raccontare a Selva, a Maurilio ed al dottore Quercia che lo avevano
ascoltato e gli avevano risposto, come lì sotto presso la Ghita
avess'egli visto adesso adesso quel cotal poliziotto che era venuto alla
fabbrica e che con tanta prepotenza aveva agito verso Giovanni.
Quercia corrugò minacciosamente le sopracciglia e lasciò vedere io mezzo
la fronte quella sua riga caratteristica.
— Ah sì? diss'egli. Questo è un fatto di cui bisogna tener conto.
E fra sè pensò:
— Sempre quel medesimo!... Bisogna ad ogni modo che Graffigna me ne
liberi e il più presto possibile.
E in quel momento medesimo Graffigna stava appunto comandando a Pelone
di fare in modo da trattenere il poliziotto nell'osteria fin oltre la
mezzanotte, per avere all'uscita di lui dalla taverna più facile il modo
di accoltellarlo.
— Guardatevi bene, continuava Quercia: io conosco le arti di siffatta
gente. I discorsi di codestui colla portinaia non sono senza un perchè.
Io ci scommetto che in quella donna questo agente poliziesco si è fatta
una esploratrice: e forse forse l'arresto vostro e quello di Benda già
furono cagionati dalle ciarle di lei.
Bastiano, all'udire queste parole, scosse il capo e voltò gli occhi
all'insù con espressione di sdegno profondo, mentre la sua mano
accarezzava il pome di quel grosso bastone che soleva portar seco sempre
come fido compagno.
— Che sì che quella gazza maledetta n'è capace: diss'egli. Una lingua
che non tacerebbe nemmanco sui carboni ardenti.... Ma corpo del diavolo!
Adesso vado a dirgliene io quattro!...
Discese le scale furibondo ed entrò coll'impeto d'una catapulta nella
loggia della moglie. Il pensiero che le ciarle di costei avessero potuto
nuocere al padroncino lo mettevano fuor di sè dalla collera.
La Ghita, da parte sua, non era in uno dei momenti più acconci per
tollerare in santa pace le invettive di chicchessiasi e specialmente del
marito. La comparsa di lui in punto così inopportuno l'aveva sdegnata
come una vera improntitudine ed impertinenza dell'uomo, a suo riguardo.
La vista di Bastiano, sempre spiacevole alla brava moglie, in
quell'occasione erale stata spiacevolissima e ce l'aveva con lui
maledettamente.
Bastiano, come entrò senza cerimonie nel camerino, così saltò senza
preamboli nel mezzo del discorso.
— Brutto mostro d'una linguaccia perfida, degna delle staffilate! Che sì
ch'io non so chi mi tenga dal farvi assaggiar ben bene di questo
randello traverso le spalle, per mostrarvi a tenerla a segno una
volta....
La donna inviperita non potè tollerare più a lungo in silenzio. I
cannelli della sua cuffia madornale fremevano d'indignazione; le guancie
erano diventate color di mattone cotto e il naso color di un peperone
d'Asti. Bastiano gridava forte colla sua voce da basso profondo; ma la
Ghita si cacciò a gridare ancor più forte colla sua voce strillante
insieme e nasale.
— Oh malnato d'un villanaccio senza sugo e senza creanza!... Che cos'è
questo tono da spaccamontagne? Che cosa sono queste parolaccie da
facchino?... Credete voi di farmi paura con quel ceffo da orso,
prepotentone che siete?... Non è più il tempo in cui, povera donna, mi
toccava star sotto un bestiale di marito... So farmi rispettare e so
dove trovar protezione contro le violenze d'uno scellerato...
Cominciando in questo gentil modo il discorso voi potete agevolmente
indovinare qual corso tenesse. I due contendenti ebbero in breve
esaurito tutto il dizionario degl'improperii, e ciò in tono tale che
tutte le comari del vicinato, scacciate dalla venuta di Barnaba,
tornarono nel camerino ansiosamente curiose.
La Ghita che aveva già avuto cotanto coraggio da sola contro il marito,
figuratevi come fu più audace ed aggressiva ancora quando si vide
rincalzata dalla frotta delle sue comari, le quali non è da dire se
presero tostamente le parti della loro compagna.
Il povero Bastiano ebbe una violenta tentazione di menare attorno il suo
bastone sopra quel branco di oche che gli sbraitava intorno; ma il suo
buon genio lo trattenne da un tanto scandalo. Si ritirò in buon ordine
innanzi all'incalzante battaglione delle donnaccole, e si limitò uscendo
a gettare come ultima minaccia queste parole a sua moglie:
— Ricordatevi che se la vostra lingua è cagione d'un sol dispiacere ad
alcuno dei miei padroni, io vi faccio ballare senza suono una monferrina
indemoniata...
La voce di Bastiano fu coperta dagli strilli delle vecchie comari che
perseguitarono il fuggente, la Ghita in capo come duce e trionfatrice,
sino sulla soglia del portone; ma ciò nulla meno la portinaia che
conosceva l'umore e il polso del marito sentì penetrarsi quelle parole
nell'anima ad accrescere in lei quella perplessità che le aveva lasciato
il colloquio avuto coll'agente della Polizia.
CAPITOLO VII.
Quando Maurilio, accompagnato da Don Venanzio, giunse in casa il
pittore, dov'egli abitava, fu accolto da Vanardi e dalla Rosina con ogni
dimostrazione d'affetto, a cui il giovane corrispose non senza alcun
intenerimento dell'anima. Dopo questi primi saluti e rallegramenti,
Maurilio domandò tosto alla moglie del pittore gli restituisse quegli
oggetti per lui preziosissimi, ch'egli partendo avevale consegnato, e
Rosina glie li diede.
— Mio buon padre, disse Maurilio additandoli a Don Venanzio che ben
conosceva che cosa fossero e che cosa valessero pel suo giovane amico
quel rosario e quel bottone: oggi a proposito di questo mio piccolo
tesoro, ho avuto una grande emozione.
E raccontò al buon parroco ciò che era capitato quando quel ragazzo
ch'egli aveva fatto venire affine di istruirlo, aveva per azzardo visto
quel bottone e riconosciutolo compagno ad uno cui possedeva la sua
nonna.
Don Venanzio parve dare una certa importanza ancor egli a questo fatto.
— Tu hai avuto una buona ispirazione ed hai cominciato a fare un'opera
assai buona volendo educare ed istruire quel bambinello; ed ecco che la
Provvidenza te ne vuole di subito ricompensare, forse, porgendoti un
filo da penetrare nel mistero della tua nascita. Il filo è tenue, è
verissimo, e sarebbe imprudente il concepirne da codesto troppe vive
speranze; ma pure io son d'avviso che non si debba trascurare e sia da
tentarsi di andarne a capo.
Maurilio disse che già era sua intenzione recarsi presso quella donna e
interrogarla in proposito, e che ciò farebbe di quel giorno medesimo.
Sopravvenuto di poi Giovanni Selva, come quello che era conscio di
tutto, venne chiamato a consiglio, e fra lui e don Venanzio decisero che
meglio del giovane della cui sorte si trattava, un altro avrebbe potuto
colla conveniente freddezza interrogare la donna, pesarne la risposta,
esaminarne i contegni, e giunger forse ad un più sicuro risultamento, e
fu determinato che Selva medesimo e il buon parroco si recherebbero di
compagnia essi stessi in casa quella vecchia, della quale Maurilio, in
quel momento, non ricordò più che il soprannome di _Gattona_.
E ci sarebbero andati senz'altro indugio, poichè Don Venanzio con
Maurilio aveva oramai scambiati quei discorsi con cui due che si amano,
dopo un intervallo di tempo che non si sono visti, sogliono mettersi in
giorno l'un dell'altro delle proprie cose, quando avvenne che
inaspettato e come mandato anch'egli colà dalla mano del destino
sopraggiungesse Gian-Luigi.
Il vecchio sacerdote non avea punto cessato di amare quell'altro dei due
cui potuto avrebbe chiamare suoi figliuoli d'adozione: dei due che in
realtà a lui dovevano la vita dello spirito, il risveglio
dell'intelligenza, all'uomo più preziosi che non la vita materiale e lo
sviluppo delle forze fisiche.
Molti anni erano che Don Venanzio non aveva visto più Gian-Luigi. Dal
colloquio che ebbe luogo fra costui e Maurilio nella taverna di Pelone,
abbiamo appreso che il figliuolo nutrito col latte della povera
Margherita e da essa allevato coll'amore più che di madre, mai più non
era tornato al villaggio, nè tampoco aveva colà dato segno nessuno più
della sua esistenza; nelle sue gite a Torino il buon parroco mai non
aveva avuto rincontro di quel giovane, ed altro più non aveva saputo di
lui fuor ciò che glie ne apprendeva Maurilio il quale ad un punto disse
che ancor egli avea cessato di vedere Gian-Luigi, e nulla più conosceva
de' fatti suoi.
La sera innanzi, come vedemmo, il caso (Don Venanzio avrebbe detto la
Provvidenza) aveva messo a fronte di nuovo i due compagni di sorte, i
due amici d'infanzia, i due trovatelli. Codesto avveniva giusto appunto
quando Gian-Luigi, affondatosi, per così dire, più che mai nella sua
opera tenebrosa e tremenda di rivoluzione sociale, innanzi alle
crescenti, agglomerantisi, spaventose vicende della catastrofe, non si
smarriva già menomamente dell'animo, non sentiva già inferiori al
còmpito la sua forza, l'audacia e la volontà, ma capiva che sommamente
gli sarebbe riescito utile il concorso di un'altra intelligenza pari e
forse a certe discipline più acconcia e forse meglio nutrita di studi e
per più vasta potenza di comprensione abbracciante un maggiore àmbito
d'idee. Aveva pensato all'intelligenza di Maurilio. Si pentì allora di
non averselo tenuto legato al proprio destino, di aver disconosciuto e
trascurato il soccorso che da lui poteva avere nella sua impresa. Dove
sempre l'avesse conservato nella sua intimità e nelle domestiche
consuetudini della vita, egli si lusingava che quell'affetto ammirativo
cui Maurilio provava un tempo pell'amico suo di così brillanti doti
fornito, che quell'influsso cui la sua volontà tenace e robusta, la sua
forza operosa d'iniziativa esercitavano sull'anima più mite del
compagno, avrebbero ottenuto che i suoi pensieri, le sue voglie, i suoi
disegni, diventassero i disegni, le voglie e i pensieri di Maurilio, il
quale in servizio loro avrebbe posto quell'ingegno non comune che
Gian-Luigi gli riconosceva.
Forse non sarebbe andato a cercarlo; ma poichè la fortuna glie lo
conduceva dinanzi, Gian-Luigi si era proposto di nulla pretermettere per
associare alla sua intrapresa ed al suo destino l'antico compagno. In
quel primo colloquio che avevano avuto all'osteria, subitamente
interrotto dall'arrivo di Barnaba, innanzi a cui Gian-Luigi era
scomparso, per ragioni che ora sappiamo: in quel colloquio l'audace capo
della cocca avea capito che da una grande distanza, quasi da un abisso
erano stati separati gli animi suo e di Maurilio in quegli anni che
erano trascorsi senza che più si vedessero. Non si disse che ciò
proveniva da che egli fosse camminato e di buon passo nella strada del
male, dove ad ogni tappa aveva perduto alcuno de' suoi buoni istinti,
smagata o corrotta alcuna delle sue buone qualità, mentre invece
Maurilio od era rimasto su quel terreno dove lo avevano collocato i
risultamenti dell'educazione di Don Venanzio e della maturanza della
propria intelligenza, oppure eziandio era proceduto nella via del bene;
ma avvertì che oramai l'uno e l'altro parlavano una lingua diversa e che
per intendersi occorreva, da parte di lui, che era quello il quale
desiderava penetrare sino all'animo ed al cervello dell'amico,
occorreva, dico, uno sforzo maggiore e fors'anco un'arte di simulazione
delle più accorte, affine di non urtare fin dalle prime nelle
suscettività morali dell'altro.
Questa difficoltà, invece di stornarlo dal tentativo o disgustarnelo,
aveva anzi aizzato il petulante amor proprio di Gian-Luigi e il giorno
susseguente all'incontro avuto nella taverna, appena dalle molte sue
occupazioni ebbe un momento di libero, l'elegante giovane che nella
società era salutato col nome di dottor Quercia, s'affrettò verso
l'abitazione di Maurilio, di cui questi la sera innanzi gli aveva dato
l'indirizzo.
Entrò nel modesto quartiere dei giovani con quell'agiata e naturale
eleganza di mosse con cui entrava nei saloni delle feste e negli
stanzini delle signore. La signora Rosina ne fu abbacinata, e raccontò
essa poi che quel bel giovane erale sembrato un'apparizione avvolta in
una nube eterea di _patchouli_. Maurilio, che non credeva Gian-Luigi
fosse per effettuare nè così presto, nè tardi, nè mai la sua promessa di
venire da lui, mandò una leggera esclamazione di stupore. Don Venanzio,
che era lontano le mille miglia dal pensare che l'altro suo allievo gli
comparisse davanti colà, in quel modo, non lo riconobbe a tutta prima e
si alzò da sedere per salutare il nuovo venuto, con quella deferenza che
si meritava l'alto grado sociale cui egli, giudicando dagli abiti e
dalle maniere, sembrava occupare.
Gian-Luigi si fermò un istante sulla soglia prima d'inoltrarsi nella
stanza in cui erano Maurilio e Don Venanzio. Al veder quest'ultimo non
mostrò nè contrarietà, nè stupore, quantunque tale incontro fosse il più
inaspettato del mondo e non dovesse essergli dei meglio graditi.
Illuminò la sua fisionomia del più schietto e cordiale sorriso, e negli
occhi gli brillò uno dei più lieti e simpatici sguardi ch'egli
possedesse nel suo arsenale di seduzioni. Rattamente, colla facilità del
suo fertile cervello egli aveva già concepito un disegno, mercè cui la
presenza del vecchio prete doveva servirgli appunto a vincere le ostili
prevenzioni che aveva notate in Maurilio contro di lui.
Si accostò adunque a Don Venanzio, l'aspetto commosso, gli occhi quasi
umidi di pianto, una espressione nel volto e nel contegno di devozione,
di affetto, di intenerimento da non dirsi.
Il buon parroco lo guardava tutto stupito e quasi ansioso. Gli pareva e
non gli pareva di riconoscere quelle sembianze: sentiva nel cuore una
specie di agitazione, quasi un palpito; voleva dire: Tu sei quel desso,
e non osava.
— E la non mi riconosce più? domandò Gian-Luigi con quella sua voce
vibrante e melodiosa, che era un'altra delle sue più efficaci seduzioni.
Oh che Ella mi avrebbe del tutto dimenticato?
E più abile che un abilissimo commediante, lo scellerato aveva tale un
accento di tenerezza, di rincrescimento, di effusione che nemmeno il più
diffidente degli uomini ne avrebbe sospettato la sincerità.
Il primo impulso nel vecchio sacerdote fu l'esplosione della sua
tenerezza quasi paterna.
— Gian-Luigi! esclamò egli con voce tremante per l'emozione, allargando
le sue braccia.
Il giovane mandò un grido di gioia.
— Ah! mi ha ancora riconosciuto!
E si abbracciò con passione al buon parroco, che piangeva — egli —
lagrime vere.
Ma dopo un istante la commozione in Don Venanzio lasciò luogo ad altro
sentimento che da tempo gli stava nell'animo verso Gian-Luigi. Si
sciolse dalle braccia di lui, ed allontanandosene un poco lo guardò dal
capo alle piante con subita freddezza, quasi con sospetto, con evidente
rimprovero.
— Cospetto! diss'egli: come voi siete vestito da signore! Avete dunque
trovato per davvero il modo di arrivare quelle ricchezze, dietro cui
anelavate con tanta passione?
Gian-Luigi fece un gesto leggiero e sbadato colla mano, come per dire: —
questo per ora è quello che meno importa; e poi rispose con un accento
in cui si sarebbe potuto notare un po' d'impazienza, ma tuttavia con
inappuntabile rispetto:
— Sì, dopo molte fatiche e dopo molti travagli sono riuscito a
raccapezzar qualche cosa e far valere alquanto i fatti miei... Ma di me,
se le aggrada, discorreremo fra poco... Ora permetta alla mia impazienza
che io la interroghi subito di quella persona che insieme con lei Don
Venanzio, mi sta più a cuore, mi sta solamente a cuore, devo anzi dire,
in tutto il nostro villaggio... Che nuove ha da darmi della buona
Margherita?
Don Venanzio e Maurilio scambiarono un rapido sguardo per comunicarsi la
gradita sorpresa che loro faceva questa richiesta sulle labbra di
Gian-Luigi. Quanto a costui, nell'accento delle sue parole e
nell'espressione del suo viso, mostrava, per colei che domandava, il
maggiore interessamento che uom possa sentire per una creatura vivente.
— Ah la povera Margherita? disse il parroco ripetendo questo nome con
un'intonazione che era un rimprovero. Vi ricordate adunque ancora un
poco di lei?
Gian-Luigi fece un atto di vivacissima protesta.
— Se me ne ricordo!... Ah voi tutti avete giudicato male di me, pel mio
silenzio, pel mio apparente oblio di quell'infelice?... Anche Lei, Don
Venanzio, coll'anima sua sì mite e sì generosa!...
Il sacerdote volle parlare, ma egli non glie ne diede il tempo.
— Oh! non la condanno, nè mi dichiaro offeso... Ella ebbe in parte
ragione.... Sì, ho fatto male; avrei dovuto io digiunare, io piuttosto
morir di fame e mandare a costo di qualunque siasi sacrifizio alcun
soccorso a quella santa donna.... Ella mi guarda con istupore, mio buon
Don Venanzio, Ella non può comprendere com'io, vestito di questi panni,
con questo florido aspetto di prosperità, parli di digiuno e di fame...
Ma Ella nella sua vita modesta e ritratta non sa, non può nemmanco
sospettare i misteri, i dolorosi, talvolta vergognosi misteri della vita
cittadina che si nascondono sotto le apparenze d'uno sfoggio
d'accatto.... Lo dissi ier sera a Maurilio, le cui parole chiaramente mi
espressero quelle rampogne cui con tanta mitezza ora mi adombrarono il
suo stupore in vedermi, la sua interrogazione, mio buon Don Venanzio; fu
un tempo in cui mentre portavo nei salotti eleganti la mia faccia
sorridente e le mostre d'una ricchezza che non avevo, più volte mi
rodeva le viscere il tormento della fame; e i pochi guadagni ch'io
poteva fare, le poche rivalse cui mi riusciva in qualsiasi modo
raccogliere, sa Ella come impiegavo? Qualche soldo appena a comprarmi in
segreto, la sera, nascondendomi come per commettere una vergognosa
azione, un pezzo di pan nero; e il resto a procurarmi guanti color di
butirro, stivalini di vernicato e a farmi inanellar la zazzera dal
parrucchiere alla moda!... La mi dirà ch'ero pazzo, che mi facevo
martire volontario d'una stupida vanità cui è un adulare il chiamarla
ambizione; ma per me, pel mio sogno d'avvenire, pei miei disegni era una
- Parts
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- La plebe, parte III - 02
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- La plebe, parte III - 21
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- La plebe, parte III - 38
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