La plebe, parte III - 05

dovuti riguardi. E poi che impertinenza è quella di questo cotal Barnaba
di cacciarsi nella vita privata degli alti personaggi di cui dovrebbe
rispettare i segreti? S. A. R. il duca di Lucca è su tutte le furie
contro di lui. Per apprendere a vivere a questo impertinente gli
laverete il capo di santa ragione e gli notificherete ch'egli abbia a
partirsi tosto da Torino per andare addetto al Commissariato d'una
qualche città di provincia.... per esempio Novara.... sì, va benissimo,
Novara.
— Signor conte: riprese col medesimo tono il Commissario.
— Ho detto! esclamò Barranchi coll'accento e l'aspetto d'un Cesare in
caricatura.
— Allontanando questo tale, continuò Tofi come se nulla fosse, mi si
toglie uno dei migliori e più fidi miei strumenti, in un'epoca in cui
molti e gravi sono i pericoli e gl'intrighi d'ogni fatta contro la
pubblica sicurezza e contro l'assetto politico dello Stato. La Polizia
ha impreso una lotta con quella tremenda _cocca_ che sempre le si
sottrae di sotto mano ed ha bisogno di avere, per vincerla, tutte le sue
forze radunate...
— Baie! Bubbole! Storie! gridava il conte crollando le spalle. Quando
dico, dico!... Quel Barnaba andrà a Novara; o sarà messo sul lastrico...
Avete capito?... Basta, non più una parola. Andate e fate mettere in
libertà quei giovani arrestati, ma prima regalateli di una buona
ramanzina in tutte forme, e che se ci ricascano li facciamo senza tante
cerimonie filare a Fenestrelle o in Sardegna. E se lo tengano appiccato
alle orecchie... Non ho più nulla da aggiungere..... Sapete quel che
avete da fare..... _Marche!_
Il Commissario stette ancora un istante immobile, quasi volesse prima di
partirsi aggiungere alcune parole: poi si decise a partire senz'altro:
girò sui talloni come un soldato che fa _dietro-front_ e senza pur
salutare partì col suo passo lungo, sollecito e regolato, cacciandosi
sino agli occhi il suo cappello a larga tesa ed affondando nelle
tascaccie laterali del suo soprabito le sue mani grosse, tozze e
villose.
Il Commissario entrò nel suo antro al Palazzo Madama, più scuro e più
brutto in viso che un temporale. Passando egli nell'anticamera, tutte le
guardie in uniforme e senza che vi erano sorsero in piedi coi
contrassegni del più timoroso rispetto. Un vecchio prete con
bianchissima e folta capigliatura che sedeva sur una di quelle panche
appoggiandosi alla mazza che teneva fra le gambe, con un cagnuolo di
pelo nero accovacciato a' piedi, vedendo quel drizzarsi e quel contegno
di tutti i presenti innanzi a colui che attraversava con passo da
padrone la sala, senza dar segno nessuno di saluto, come se il luogo
fosse deserto, capì che gli era un personaggio d'importanza, e levatosi
in piedi ancor esso con umile atteggio, domandò timidamente sotto voce
alla guardia che gli era più vicina:
— Chi è?
— È il Commissario: rispose brusco il poliziotto interrogato.
Don Venanzio, poichè il vecchio prete era lui, il quale stava appunto
aspettando con molta calma e rassegnazione, ma non senza sollecito
desiderio, la venuta di codesto autorevole personaggio, spinto da un
subito impulso, fece un passo verso il signor Tofi, con un gesto
supplichevole nella mossa ed una parola interrogatrice alle labbra. Ma
il fiero signor Commissario volse su quella faccia aperta e bonaria uno
sguardo così burbero e incollerito sotto le sue sopracciglia aggrottate,
che il povero Don Venanzio rimase lì in asso, il piè sospeso, la bocca
aperta, la voce estinta nella gola. Il signor Tofi passò.
— Signori: disse il parroco di campagna alle guardie, in mezzo a cui
rimase, bersaglio ai loro sguardi e sogghigni schernitori: adesso che vi
è il Commissario, potrò finalmente parlargli?
— Aspetti: gli si rispose col tono insolente che suole avere verso i
deboli questa razza di gente, quasi a compensarsi della viltà della loro
soggezione innanzi ai forti. Quando il signor Commissario vorrà
ricevere, chiamerà.
Il signor Commissario aveva attraversato il corridoio ed era entrato
nella stanza che precedeva il suo gabinetto.
L'impiegato che sedeva alla scrivania, vedendolo entrare si alzò tutto
rispettoso ancor egli, nè più, nè meno di quello che avevan fatto le
guardie.
— Barnaba, s'è visto? Domandò ruvidamente il signor Tofi senza
rispondere nemmeno col menomo cenno al saluto, senza levare nè il
cappello di testa, nè le mani di tasca.
— Signor sì: rispose l'impiegato. Egli è nelle stanze dell'altra torre
dove prepara un particolareggiato rapporto per Lei.
— Mandatelo a chiamare.
L'impiegato suonò un campanello ed una delle guardie che erano
nell'anticamera fu lesta a presentarsi.
— Andate negli uffici dell'altra torre e dite al signor Barnaba che
venga qui subito: il signor Commissario lo chiama.
La guardia s'affrettò ad eseguir l'ordine, l'impiegato sedette di nuovo
alla scrivania guardando timorosamente di sottecchi il signor Tofi che
si vedeva chiaramente avere un diavolo per capello; il Commissario, le
mani sempre affondate nelle tasche, andava e veniva con passo concitato,
la tesa del suo cappellaccio negli occhi, il capo chino, borbottando fra
i denti delle parole inintelligibili.
Cinque minuti non erano passati che Barnaba entrava con passo affrettato
in quella stanza dove il terribile signor Commissario dava le volte del
leone.
— Son qua, signor Commissario.
Questi si fermò d'un tratto a due passi dal nuovo venuto, lo fulminò con
uno sguardo che era già tutta una rivelazione di corruccio e di
condanna, e rispose con un accento, appetto al quale il più ruvido che
avesse mai adoperato prima d'allora era una soavità.
— Eh lo vedo che siete lì.....
Entrò in quella la guardia che era andata a chiamar Barnaba.
— Che cosa volete? domandò brusco il signor Tofi.
— Gli è quel prete che desidera parlare con Lei.....
— Vada a farsi benedire.
— È venuto da parte del signor Comandante, accompagnato da
un'_ordinanza_, che l'ha raccomandato.
— Ah!....
Tofi esitò un momentino, poi crollò le spalle e riprese col medesimo
accento collerico:
— Che m'importa?.... Alla croce d'Iddio, ho altro da fare io pel
momento. Ditegli che se vuole parlarmi, aspetti, se non vuole aspettare,
vada ai cento mila diavoli.
La guardia sparì dietro il battente dell'uscio.
— A noi due: disse il Commissario a Barnaba, sempre con quel tono
tutt'altro che rassicurante.
Come aveva fatto la sera innanzi, aprì l'usciolo chiovato di ferro del
suo gabinetto, colla grossa chiave che trasse di tasca, ed entrando egli
primo, comandò con accento militare a Barnaba:
— Venite!
La porta fu richiusa alle loro spalle, Tofi si recò nella profonda
strombatura del finestrone, volse le spalle alle invetrate, ed avendo
innanzi a sè il suo subalterno, di guisa che nella faccia gli batteva di
pieno la luce che entrava per la finestra, cominciò il colloquio con
quel suo accento più burbero ed aspro che mai.
— Ve l'ho detto io che vi avventuravate sopra un terreno molto difficile
e pericoloso. Voi non avete ancora una giusta opinione di quello che
siete, di quello che potete, di quello che valete. Avere ardimento sta
bene, ma la temerità di cimentarsi contro chi è più forte, conduce
necessariamente a rovina. Nel mondo non vi hanno che vasi di terra e
vasi di ferro: siete passato dalla parte di questi ultimi, va benissimo,
ma non avete cessato d'essere meno di creta perciò. Avete ficcato la
mano in un vespaio: mille influenze, mille raccomandazioni, mille
autorità si sono suscitate a voler condannata l'opera vostra. La cosa è
salita sino al Re, niente meno. Breve! Senza tanti discorsi, voi siete
mandato via da Torino, e partirete il più presto possibile per Novara.
Questo annunzio fu un colpo gravissimo per Barnaba, da cui parve
atterrato.
— Io! esclamò allibito, impallidendo, con voce e membra tremanti;
abbandonar Torino!..... Adesso!..... E curvò il capo come uomo oppresso
dalla desolazione.
— Sì signore, voi: ripetè il Commissario ancor più burbero. Che cosa
avevate bisogno di andarvi a cacciare in certi affari di quel......
Trattenne sulle labbra la parola che stava per uscire, e la sostituì
colle seguenti:
— Di S. A. R. il Duchino di Lucca?
Barnaba sollevò il capo ed un lampo d'intelligenza traversò il suo
sguardo abbattuto.
— Ah! gli è per lui che mi si punisce a questo modo?
— Per lui e per gli altri. Voi avete maltrattato questa mattina
arrestandolo quel giovane avvocato Selva.
— Egli ha distrutto con audacia incredibile, sotto i miei occhi stessi,
una carta dov'era forse la prova di tutto ciò ch'io sospetto.
— Bisognava non lasciargliela distrurre. Come volsero le cose siete voi
che avete torto.
Tofi tacque un istante, poi facendo piombare più acuto e più penetrante
quel suo sguardo osservatore sulla faccia sconvolta di Barnaba:
— Olà, diss'egli, che ragione avete voi ad esplorare le gite del
Principe in casa quella certa donna? Agli stipendi di chi e per quale
interesse ciò facevate?
Barnaba scosse le spalle, prese un atteggio più risoluto e guardando
ancor esso in faccia al Commissario, rispose con una sicurezza che
poteva dirsi vera audacia:
— Agli stipendi di nessuno e per un interesse tutto mio particolare.
Tofi interruppe con una voce tra d'impazienza tra di collera:
— Uhff! Siete matto!... Interesse vostro particolare a spiare il
Duca!...
— Ah! non è per lui: disse Barnaba con accento sommesso, contenuto, ma
vibrante, gli è per quella donna.....
I suoi occhi mandarono strani sprazzi di fiamme.
— Gli è da lungo tempo, oh assai da lungo tempo ch'io la conosco quella
donna!
— Stolto! proruppe il Commissario con collerica rampogna: quando si è
nel vostro impiego, ne' vostri panni, non si fa il mestiere per proprio
interesse.....
— Il mio interesse qui si congiungeva con quello del servizio. In quella
casa, presso quella donna si reca tutti i giorni; e più volte ogni dì,
il sedicente dottor Quercia.
Gli occhi gli balenarono di nuovo come e di più ancora che poc'anzi.
— Gli è di lui che mi do pensiero, continuò con accento più vivace e
vibrato. Del Duca che cosa m'importa?.... Ah! gli è quell'uomo ch'io
vorrei cogliere alla posta.
Il Commissario degnò finalmente permettere alle sue labbra grosse
l'ombra d'un sorriso.
— Sempre quella vostra idea fissa!.... Si direbbe che quel signor
Quercia ve ne abbia fatta qualcheduna di grossa.
— È un mistero che voglio penetrare: interruppe vivacemente Barnaba.
Ebbene sì, l'odio quel cotale.... Non mi domandi il perchè, sarebbe
lungo lo spiegarlo.... voglio rovinarlo.... e lo rovinerò.
— Per intanto: disse colla sua grossolanità Tofi: siete voi che perdete
la partita.
Barnaba si morse le labbra sino al sangue.
— Ah! non è persa ancora! esclamò egli con accento quasi feroce.
Allontanarmi!.... Sì: Ella ha ragione.... È lui che la vince s'io mi
allontano. Certo egli che mi ha trovato a fronte questa mattina, ha
indovinato, ha sentito da parte sua la lotta che v'è fra di noi.... Che!
crede Ella che il Duca abbia fatto attenzione il meno del mondo a
me?.... La è quella donna che gli ha domandato come un favore io fossi
scacciato da Torino.... e ciò dietro suggerimento di Quercia. Ne sono
sicuro come se avessi assistito ai loro segreti parlari.
Tacque un istante, si concentrò, poi con impeto di quasi selvaggio
furore proruppe:
— Invano si lusingano avermi tratto fuor dei piedi nel loro cammino....
Non partirò; ad ogni costo non partirò.
— Oh oh, Barnaba: disse il Commissario con meraviglia poco meno che
corrucciata; vi ha dato di volta il cervello. L'ordine è preciso,
converrà obbedire.
— E se mi vi rifiutassi? domandò l'agente subalterno con un'audacia che
fece strabiliare il signor Tofi.
— Rifiutarvi! esclamò questi scandolezzato in sommo grado. Forse che
pensate di poterlo fare? Oh quando mai la pialla ha detto alla mano che
la spinge: io non voglio muovermi? Non lo sapete ancora che voi siete
uno stromento, un infimo stromento nelle mani del Governo? S. E. ha
detto: «quell'uomo andrà a Novara o lo si getterà sul lastrico.»
— Ebbene? che m'importa? disse Barnaba con cupa risoluzione: lascierò
l'impiego, ma non mi strapperanno di qua.... Debbo rimanerci.... Vi sono
attaccato per tutte le fibre del mio essere.... Non posso a niun modo
allontanarmi.
Il Commissario, con rozzo atto eppure quasi affettuoso, gli pose una
mano sulla spalla e gli affondò entro gli occhi quel suo sguardo d'augel
grifagno.
— Sciagurato! diss'egli. Nel nostro ufficio, che è il più grave e il più
necessario per la conservazione sociale, uomo non deve aver più nè
passioni, nè affetti, nè moventi che del suo còmpito non sieno. È una
sacra milizia la nostra in cui più che in qualsiasi religione monacale
bisogna rinunziare a tutte le gioie come a tutte le vanità del mondo.
Infelice chi non soffoca il proprio cuore; violatore del proprio dovere
chi non distrugge in sè quelle tendenze e quei moti dell'animo, il cui
giuoco deve osservare in altrui e dei quali frenare il corso e
antivenire gli eccessi.... Voi partirete.
Barnaba scosse con risoluzione il capo.
— No: diss'egli fermamente: e se si persevera in questa risoluzione, la
prego, signor Commissario, di considerarmi fin d'ora come congedato dal
servizio.
Il signor Tofi ritirò la mano dalla spalla del suo subordinato ed
incrociò le braccia al petto; un lampo di sdegno corse ne' suoi occhi
affondati.
— Ah sì? esclamò egli. E va bene. Ma ammettendo un momento che io vi
dèssi così la vostra licenza, fatemi il favore di dirmi di qual pane
vorreste mangiare.
— Non mi sarà difficile procacciarmene un tozzo fors'anco minore... ma
meno amaro.
— Come? Come? Insistette Tofi con ironia contenuta ma sdegnosa. Vorreste
per caso tornare al vostro primo mestiere dell'infanzia e della
gioventù?
Barnaba impallidì.
— Esso non deve avervi lasciato troppo gradevoli memorie; continuava il
Commissario con crescente quell'ironia, la quale, al vedere i segni di
sofferenza che si manifestavano nel volto di Barnaba, avreste dovuto
dire veramente crudele, e poi, ora dopo tanto tempo dubito assai che
abbiate ancora le membra abbastanza sciolte per fare l'uomo tartaruga o
saltar sulla corda.
Il suo ascoltatore, più smorto d'un cadavere, si appoggiò con una mano
alla parete a sorreggersi, sentendo venirgli meno per l'emozione le
forze; il capo aveva chino alla terra, il respiro affannoso; però non
disse motto, nè mandò pure una voce.
Tofi continuava:
— Oppure potreste, coll'arte vostra abbastanza scaltrita, colla
conoscenza che avete dei mezzi di guerra dalla parte nostra recare a
quelli che combatteste finora, al campo dei nemici della società di cui
foste finora difensore, un valido e prezioso campione che certo da loro
otterrebbe infiniti vantaggi. Lascio stare il merito e la moralità di
codesta azione; e se voi ne siate capace o no; ma vi dico che voi a niun
modo non la potete fare, perchè io non lo permetterò.
Si drizzò vieppiù della sua persona e parve ingrandirsi appetto all'uomo
che gli stava dinanzi curvo, abbattuto e disfatto.
— Avete voi dimenticato, seguitò dando maggior vibrazione ed imponenza
alla voce senza pure alzarla; avete voi dimenticato che io col segreto
della vostra vita passata, tengo in pugno il vostro presente e il vostro
avvenire? Che siete in mia balia talmente che il giorno in cui vorreste
sottrarvi, io posso infrangervi senz'altro?
Barnaba fu assalito da un fremito; tese le mani supplicante e disse con
accento pieno di preghiera e d'angoscia:
— Ah! non mi perda!
Successe un istante di silenzio, in cui que' due uomini stettero di
fronte a quel modo; Barnaba gli occhi fitti alla terra, umile e vinto,
Tofi dominandolo da tutta l'altezza della sua statura, con uno sguardo
imperioso e fiero.
Fu il subalterno che ricominciò a parlare:
— Signor Commissario, diss'egli, Ella ha ragione, Ella può fare di me
tutto ciò che le aggrada; ma in nome di quanto vi ha di più sacro, in
nome del Re e di questo nostro ufficio di cui Ella sente così a dovere
tutta l'importanza e l'altezza, pel vantaggio del servizio di cui le
giuro sull'anima mia trattarsi, la prego, la supplico a non mandarmi via
così, di subito..... Non le domando che un indugio di pochi giorni, di
una settimana, di due tutt'al più..... In questo frattempo spero di
poterle venir a recare tali risultamenti dell'opera mia ch'Ella sarà
lieta d'avermi accordata questa grazia. Dopo faccia pure di me tutto
quel che la vuole; e se non riesco a nulla, mi punisca poi Lei con tutta
la severità che creda opportuna. Mi rassegno fin d'adesso ad ogni suo
volere. Ma, per amor di Dio, mi lasci compier l'opera. È un'opera
difficilissima, intricata, delicatissima cui non posso cedere altrui,
che altri non potrebbe assumersi e continuare in vece mia. È un viluppo
di leggerissimi indizi ch'io indovino più coll'istinto di quello che
scorga col raziocinio; è un complesso di fili tenuissimi cui bisogna
trattare con cura infinita, perchè non si rompano lasciandovi senza
scorta nessuna più nel labirinto. Io seguo, traverso un lecceto di
circostanze indifferenti che imbarazzano il cammino, le traccie del vero
coll'istinto del segugio che persegue una preda, questo vero voglio
arrivarci a scoprirlo..... e scoprirlo io!... È una questione d'amor
proprio; è una passione dell'arte mia oltre ogni altro impulso che possa
essere in me; è un'ambizione, se vuole, ma cui Ella non può condannare.
Mi lasci conquistar questo merito. Forse è una missione che mi ha data
appunto la Provvidenza menandomi per le disgraziate, orribili vicende
della mia vita passata; mi permetta ch'io la compia.
Il Commissario stette un momento, prima di rispondere, riflettendo; poi
ad un tratto crollando le sue spallaccie, disse asciuttamente:
— Voi non partirete che fra un mese. La prendo su di me. Vi do un mese
di congedo, cui potrete passare dove vi piace meglio. Se in questo
frattempo voi riuscite in quell'impresa che dite, se quella che
proseguite non è una illusione, e voi arrivate a porre la mano sopra una
buona verità; allora la vostra disgrazia presente si potrà convertire in
una splendida ricompensa.
Barnaba in un movimento di espansiva gratitudine, lieto com'era
immensamente dell'ottenuto favore, accennò voler prendere la destra del
Commissario; ma questi nascose le sue manaccie nelle larghe tasche del
soprabito e disse con accento freddo freddo e con faccia burbera
burbera:
— Andate e fate ch'io non m'abbia a pentire di quanto ardisco a vostro
riguardo.
L'agente s'inchinò con tutta umiltà e s'avviò verso l'uscita. Quando ei
fu per aprir l'uscio, il signor Tofi soggiunse:
— Passando dite che s'introduca quel prete cui mi ha mandato il
Comandante.
Barnaba trasmise l'ordine ricevuto alle guardie dell'anticamera, e
poscia uscendo del palazzo Madama si diresse verso l'osteria di Pelone.
Chi gli fosse stato accosto, avrebbe potuto udirlo borbottare coi denti
stretti:
— Gli è _colui_ la cagione della mia disgrazia, _lui_ che mi volle far
scacciare, _lui_ che possiede l'amore di Zoe!... Oh! dovrà pur venire un
giorno ch'io ne terrò la sorte nel mio pugno!


CAPITOLO V.

Don Venanzio colla letterina del marchese di Baldissero, erasi
affrettato verso il Palazzo Madama; dove informatosi del luogo in cui
fossero gli uffici del _Comandante di piazza_, eravisi introdotto umile
e rispettoso. I soldati veterani, sotto uffiziali i più, che, conosciuti
dal popolo col nome di _ordinanze di piazza_, facevano presso
quell'uffizio poliziesco-militare da guardie di polizia insieme, da
uscieri e da tavolaccini, non accolsero con molta deferenza questo
vecchio ed umil prete dagli abiti poveri e dall'aspetto modesto. La
richiesta di lui, d'essere ammesso a parlare coll'illustrissimo signor
barone Panciù della Montoria, maggiore di fanteria nell'esercito di S.
M. il re di Sardegna, Comandante della piazza di Torino, parve loro poco
meno che una temerità in tale che non aveva il brillante degli spallini,
l'autorità d'un alto impiego, l'imponenza d'un nome aristocratico e
nemmanco il distintivo (in quel tempo non così comune come adesso) di
una decorazione. Di certo il nostro buon sacerdote non sarebbe arrivato
al suo intento se non fosse stato del bigliettino di S. E. il marchese
di Baldissero, ministro di Stato.
A questo nome le faccie irte di baffi di quei bravi veterani fazionati
dalla disciplina alla sprezzosa ruvidezza verso i borghesi, cominciarono
a diminuire l'altezzoso, severo cipiglio. Uno di essi non disdegnò di
prendere il biglietto e di recarlo nella camera vicina, dove un altro
l'avrebbe preso per trasmetterlo ad un terzo il quale avrebbe poi avuto
l'onore di consegnarlo nelle proprie mani del signor barone comandante:
imperocchè già fin d'allora (cosa bellissima ed opportunissima che si è
venuta perfezionando e crescendo) codesti uffizi, come tutti gli altri
eziandio, erano affollati di utilissima gente occupata a non far nulla.
Ma il potente talismano di quella lettera fu appena pervenuto nelle
autorevoli mani del signor Panciù della Montoria, il quale, in benefizio
dello Stato, sbadigliava gravemente crogiolandosi in una soffice
poltrona presso il fuoco, che la causa del buon prete ebbe il cento per
cento di guadagno. Il signor Comandante si degnò di suonare un
campanello, ed a chi si presentò alla chiamata si degnò di ordinare che
desse ordine a chi di dovere, perchè le _ordinanze_ dell'anticamera
lasciassero entrare il postulante. Così avvenne che Don Venanzio
penetrasse sino nel gabinetto di quell'illustre personaggio.
Udito di che cosa si trattasse, il signor Comandante, voglioso di
soddisfare al desiderio manifestatogli da un potente, quale il marchese,
guardingo eziandio di non compromettere la sua dignità colla Polizia
civile, da cui dipendeva in realtà la definizione dell'affare, recossi
sopra se stesso e riflettè profondamente. Ma egli non era incanutito nel
glorioso servizio della pacifica milizia di quel tempo per non trovare
in simile occasione la salvezza della capra e dei cavoli. Levò
fieramente la testa, come uomo che sa d'avere una felicissima idea, ed
ordinò che il prete campagnuolo fosse scortato di sotto al pian terreno
nell'ufficio del signor Commissario e si dicesse a costui che era
desiderio di lui Comandante, la domanda del prete venisse esaudita.
Ma quando in quell'oscura e vasta anticamera dove siamo via penetrati
più volte, entrarono Don Venanzio e l'_ordinanza_ che gli faceva da
guida, il signor Tofi era assente dall'uffizio; e il veterano, che non
aveva tanto zelo da mettere a disposizione del prete, da rimaner lì a
seccarsi aspettando nella società delle guardie poliziesche con cui le
_ordinanze di piazza_ non se la dicevan di troppo, il veterano disse
concisamente ciò di che si trattava ai poliziotti presenti e se ne andò
pei fatti suoi.
Don Venanzio sedette e, la sua mazza fra le gambe e le mani appoggiatevi
su, il fido _Moretto_ accovacciato a' piedi, stette tranquillamente ad
aspettare.
Quando finalmente Barnaba nell'uscire dal gabinetto del Commissario,
ebbe dato ordine il prete s'introducesse, Don Venanzio deposto il suo
bastone, come soleva, ed ordinato all'obbediente cagnuolo di starvi
presso e non muoversene a niun conto, passò il corridoio, traversò la
prima camera, ed entrando nel riposto camerino, si trovò a fronte del
terribile signor Tofi.
Difficilmente, chi l'avesse voluto fare apposta, avrebbe potuto mettere
insieme due figure che più facessero contrasto. Il Commissario alto,
magro, osseo, angoloso, la faccia ispida, di color terreo, aspetto
burbero, la guardatura fiera; il prete piuttosto piccolo, grassotto,
rosse le guancie, bonario e benigno il sorriso, mitissimo lo sguardo
degli occhi azzurri, tutto bontà ed amorevolezza al solo vederlo.
Tofi guardò quella sorridente figura con occhio torvo; parve anzi che
quelle aperte, benigne sembianze, irritassero in lui la scontrosità
dell'umore.
— Ebbene? diss'egli con accento più ruvido ancora dell'ordinario. Che
volete? Parlate, e spicciatevi, chè io non ho tempo da perdere.
Don Venanzio non si spaventò, nè s'indispettì di queste parole e del
tono ond'eran dette; espose tranquillamente, con umile sicurezza la
ragione della sua venuta, e non tacque della lettera del suo protettore
al Comandante. Fosse il nome del marchese di Baldissero, fosse la voce
simpatica e l'accento modesto e dignitoso insieme, di quel vecchio, che
producesse effetto, il vero è che la orgogliosa insolenza del signor
Commissario s'abbassò d'un tono.
— La vuol vedere quel cotal Maurilio arrestato questa mattina? Disse il
sig. Tofi passando a parlare col _Lei_. Bene, la lo vedrà subito. S. E.
il marchese di Baldissero le ha detto che avrebbe potuto condurlo via
con sè? S. E. le ha detto giusto. Ho appunto l'ordine di rimetterlo in
libertà; e nulla osta a ciò che Lei si porti quel giovane dove la vuole.
Ciò detto ordinò che il nominato Maurilio Nulla fosse tolto dal carcere
in cui era stato messo e condottogli innanzi.
Maurilio aveva appena finito di raccontare, come abbiam veduto, le
avventure del suo passato all'amico Selva, quando si udirono stridere
fuor della porta i catenacci che scorrevano nei loro anelli di ferro, e
scricchiolare nella serratura la chiave che apriva: i due giovani
volsero curiosi i loro sguardi all'uscio e videro socchiudersi il grosso
battente e il secondino medesimo che là dentro li aveva introdotti,
mettere fra l'uscio e il muro la sua faccia ignobile e far passare per
quell'apertura la sua voce rauca e villana.
— Quale di loro si chiama Nulla Maurilio?
I prigionieri si erano alzati tuttidue; Maurilio fece un passo innanzi e
disse non senza un palpito nel cuore e un lieve tremito nella voce:
— Sono io.
— Venga meco.
Maurilio volse verso Giovanni uno sguardo desolato:
— O cielo! Ci vogliono separare.
Selva si cacciò avanti e interrogò il secondino.
— Dove avete da condurre il mio compagno?
— Dal signor Commissario.
— Perchè?
Il carceriere rispose crollando le spalle:
— Che so io? Non domando e non mi si dànno di queste spiegazioni.....
Animo, su, muoviamoci.
Maurilio si gettò nelle braccia di Giovanni.
— Aimè! Disgiungendomi da te mi si toglie la maggior parte della mia
forza.
— Coraggio, coraggio: gli susurrò alle orecchie Selva abbracciandolo.
Non sarà che per interrogarti, e poi ti restituiranno alla mia
compagnia.
E con un bacio, come di addio, gl'insinuò nell'orecchia, tanto piano che
Maurilio stesso appena le udì, le seguenti parole:
— Nega tutto e sempre, o piuttosto taci.
Il secondino accennava impazientarsi. Maurilio si staccò dalle braccia
dell'amico e seguì l'uomo che lo era venuto a prendere, scorta al quale
stavano due guardie, i bottoni della cui uniforme mandavano qualche
riflesso di luce nell'oscurità del corridoio. Alle spalle di Maurilio fu
richiuso lo spesso battente chiovato di ferro col medesimo stridere, col
medesimo scricchiolìo di catenacci e di serrami.
Quando furono giunti all'uscio del gabinetto del Commissario, le guardie
con uno spintone fecero entrar primo Maurilio, e dissero:
— Ecco il prigioniero.
— Sta bene: rispose la voce burbera del signor Tofi: andate.
Guardie e secondino sparirono; il nostro protagonista rimase timido ed
esitante a quel posto, non osando levar gli occhi e sentendo nel petto
battergli il cuore sotto la stretta d'una paura che cercava invano di
dominare.
Ma prima che egli od altri avesse tempo di pronunziare una parola,
appena partite le guardie, una persona si slanciò verso Maurilio e gli
gettò le braccia al collo ed una voce amichevole e soave lo salutò
chiamandolo per nome con infinito affetto.
Il giovane sentì dileguarsi il turbamento della sua paura, ebbe di botto
l'animo rinfrancato trovandosi non senza molta meraviglia sul seno del