La notte del Commendatore - 09
--Bel luogo!--disse Tristano, guardando attraverso i cristalli il muro
di cinta della necropoli.--Chi muore da queste parti ha fortuna; non
c'è caso di scomodare gli amici per l'accompagnamento funebre.--
A quella amara facezia un brivido corse per l'ossa al nostro giovane
eroe. Si vide in una bara, portato da due becchini lunghesso un'aiuola
del triste recinto, e pensò a Dogliani, a suo padre, a sua madre, che,
poveretti, non sospettavano di nulla, e lo facevano forse già alzato
da letto, ma per dare una scorsa ai suoi libri e prepararsi ad una
lezione sul _Jus quiritanum._
Il Priore, che non lo perdeva d'occhio, si avvide di quel moto,
quantunque lievissimo, del suo primo.
--Sente freddo?--gli chiese
--Sì, un pochino;--rispose Ariberti, tornando prontamente in sè
stesso;--è del resto la prima notte che perdo.
--E sarà anche il primo giorno che guadagna;--ripigliò Tristano,
correggendo l'effetto della sua celia;--oggi infatti Ella prende il
suo battesimo di gentiluomo. Animo; per combattere il freddo, basta
una sorsata di questo.--
Così dicendo, cavava di sotto alla beduina una fiaschetta da viaggio,
e la porgeva ad Ariberti.
Il giovine accostò la fiaschetta alle labbra e bevve un sorso di
rumme, che gli bruciò il palato.
--Ne beva un altro poco;--soggiunse il Priore, notando la smorfia del
bevitore novellino.--_Similia similibus_ _curantur;_ è medicina
omiopatica. Vedrà che si scalda lo stomaco per benino.--
Ariberti obbedì, e strabuzzando gli occhi e torcendo le labbra, mandò
giù una seconda sorsata.
--Eccoci, del resto, al luogo di ritrovo;--disse Tristano;--entreremo
al coperto e ci sgranchiremo le membra aspettando.--
La carrozza giungeva in quel punto davanti ad una casetta di modesta
apparenza, che poteva essere la dimora di un ortolano, d'un curandaio,
o d'un oste. Il portone di costa all'edilizio si era spalancato pur
dianzi, e il cocchiere piegati verso quell'apertura i cavalli, aveva
infilato l'ingresso. I quattro personaggi smontarono poco dopo sotto
una tettoia ed entrarono in una camera a pian terreno, in fondo a cui
si vedeva un camino e si vedeva e si sentiva un buon fuoco. La prima
cura dei nuovi venuti fu quella di andarsi a prendere una buona
fiammata, senza pure sedersi sulle scranne che il padrone di casa si
era affrettato a mettere in mezzo.
Quel bravo abitante del suburbio doveva, del resto, essere avvezzo a
quelle visite, perchè, compiuto quell'atto di ospitalità, non si curò
più altrimenti di loro.
--Non vorrei--disse Bonisconti, mentre si stropicciava le mani,--che
quei signori si facessero aspettare troppo.
--Sono le sette e dieci minuti;--rispose il Priore, dopo aver dato
un'occhiata al cronometro;--anche un quarto d'ora di tempo si può
concedere al nemico.
--Non ce ne sarà bisogno;--entrò a dire il chirurgo; mi par di sentire
--il rumore di una carrozza nella viottola.
Il Priore andò sulla soglia e tese l'orecchio in ascolto.
--Sicuro;--diss'egli poscia;--ci seguivano a poca distanza. Giovanni,
avete fatto riaprire il portone?
--Sissignore; c'è mio figlio ad aspettare quegli altri.
«Quegli altri» voleva dire che il luogo dello scontro era stato scelto
da Tristano e che il padrone di casa aspettava la mancia da lui.
--_All right!_ a noi, dunque!--esclamò il Priore.--Noi metteremo mano
alle armi, e Lei, signor dottore, alla busta.
--Spero che non ce ne sarà bisogno;--rispose il dottore.
--Chi glielo dice? Gli avversari vengono senza chirurgo;--notò
braveggiando il Priore.
--Quand'è così,--replicò il discepolo di Esculapio sorridendo,--metto
mano alla busta.--
Poco stante, l'altra carrozza giungeva sotto la tettoia, e i nostri
personaggi si mossero verso l'uscio; due di essi per fare i
convenevoli alla parte contraria, gli altri due per dare una sbirciata
a quelle faccie proibite.
Ariberti, se i lettori rammentano, ci aveva ancora da conoscere il suo
avversario.
Lo vide allora, scender ultimo dal predellino, e batter de' piedi in
terra, per iscuoter la neve, che appunto lì, a mezza, discesa, gli
aveva fatto crosta alle suole. Era un coso alto e nero, con un volto
tutto a spigoli, che apparivano più vivi per aver egli le guance rase,
cogli occhi neri, affondati nelle orbite, appiattati sotto due ispide
sopracciglia come il ragno nella sua buca; insomma, un tipo volgare
che, fatta astrazione dall'abito mezzo signorile, si sarebbe potuto
così a occhio e croce collocare in uno di quegl'infimi e necessari
uffizi sociali, i cui nomi si ommettono per brevità.
Costui diede a sua volta un'occhiata in giro. Agli atti e alle parole
ricambiate co' suoi amici, conobbe i due padrini dell'Ariberti. E
allora, andando collo sguardo più oltre, vide un uomo già fatto che
doveva essere il chirurgo, e quello sbarbatello, ch'era senz'altro il
suo avversario, l'amante (ahimè) di Giuseppina Giumella.
Salutò abbastanza con garbo; ma era irrequieto, e, come disse Dante di
Cerbero, «non aveva membro che tenesse fermo». Entrò in casa, seguendo
i padrini, andò verso il camino per darsi una fiammata anche lui, ma
subito si allontanò e si messe a far le volte del leone su e giù per
la camera.
Tristano si avvide alle prime che l'amico pativa di convulsioni. Egli
notava tutto per cavarne profitto, come del resto ha da fare in tempo
di guerra ogni buon capitano.
Per altro, si tenne le sue osservazioni in petto.
C'era appunto allora da vedere e da misurare il terreno. Uscito
insieme con uno dei padrini avversarii, rasentò il muro sotto la
tettoia e svoltò alle spalle della casa, in un largo campo che si
vedeva rinchiuso sui margini da tre file di salci spennacchiati. La
neve ricopriva tutto il maggese, ma poco prima, obbedendo agli ordini
di Tristano, i due contadini, padre e figlio, avevano lavorato col
badile ad assottigliare quel bianco strato per una lista di forse
quaranta passi, nel mezzo del campo, e in linea parallela al muro
posteriore della casa. Quello spazio serbava ancora una parte della
sua prima bianchezza; ma ci si poteva camminar su senza troppa fatica.
---Le pare che vada bene così?--chiese Tristano, poi ch'ebbe fatto
notare a quell'altro l'utilità del lavoro.
--Benissimo;--rispose il compagno che era quel della tuba sulle
ventitrè ore;--del campo ne avranno quanto basta.
--Ne hanno sgomberato veramente un po' più del bisogno;--ripigliò
Tristano;--a noi bastano i dodici passi convenuti.
--Ma, non le pare,--si provò a dire quell'altro,--che a dodici
passi... che, infine, la distanza sia troppo breve?
Il Priore lo guardò come sapeva guardar lui, tra curioso e beffardo;
indi si strinse nelle spalle.
--Signor mio,--diss'egli, dopo un istante di silenzio,--la scelta
delle armi stava a noi, ma le condizioni le han chieste loro; volevano
anzi un duello a dieci passi ed io, quantunque la breve distanza
potesse piacere al nostro primo, ho dovuto ricusare, perchè...
--Sì, me ne ricordo;--interruppe quel della tuba.
--Perchè,--continuò implacabilmente il Priore,--quella di dodici passi
è la misura più stretta che sia consentita dai codici cavallereschi di
tutto il mondo civile, affinchè il duello alla pistola sia un
combattimento e non un assassinio da far torto ai padrini che lo
avessero lasciato commettere. Se ne rammenta?
--Gliel'ho detto poc'anzi.
--Orbene, siamo rimasti d'accordo sui dodici passi; sparare fino a
tanto che piacerà loro, nel limite di sei colpi, dopo i quali
rimanesse in nostro arbitrio di concedere e di rifiutarne la
continuazione; e noi non abbiamo a vederci più altro. Se vogliono una
distanza più grande la domandino e vedremo di contentarli.---
Quell'altro si accorse un po' tardi che col Priore non c'era da far
nulla, e rimase lì grullo a guardarlo.
--Dicevo...--balbettò quindi, impacciato come un pulcino nella
stoppa--dicevo così... per un senso di umanità... ma noi...
--Scusi se la fermo qui;--interruppe Tristano, mettendosi sul
grave.--Nel caso nostro non c'è umanità che tenga. Son venuti a
cercare? Sì. Hanno voluto la minima distanza? Sì. La colpa, se c'è
colpa, non è nostra di certo. E adesso, mi faccia la grazia di
rimettersi l'umanità in tasca, o scambio d'una giostra, se ne fanno
due.--
Tristano, come si vede, era poco arrendevole, e nelle quistioni, per
dirla con una frase volgare, ma calzante, anzi fin troppo calzante,
c'entrava cogli stivali.
L'avversario vide la mala parata e prudentemente ritirò la sua
umanità, «come face le corna la lumaccia».
--Va bene, va bene;--disse allora Tristano, rabbonendosi;--ora
misuriamo il terreno. Ecco qua Bonisconti che l'aiuterà in questa
faccenda; io e il suo amico andremo sotto la tettoia a caricare le
armi.--
Con queste parole, il Priore si allontanò dal campo, ma non tanto
rapidamente che non avesse tempo a bisbigliare una raccomandazione al
collega.
--Hanno paura;--gli disse.--Vorrebbero guadagnare qualche passo nella
misura del terreno. Se ci si provano, chiudi un occhio.
--Non dubitare, Tristano; magari tutt'e due.
--No, sarebbe troppo.
--Quand'è così, uno soltanto; sta tranquillo.--
Poco dopo quel dialoghetto, siccome nessuna delle due parti aveva
portato la cordicella a nodi, utile arnese, ma poco usato, per
simiglianti misure, Bonisconti e quel della tuba si pigliarono a
braccetto come due sposi, e stabilito un punto di partenza andarono
speditamente camminando lunghesso la lista di neve rassodata, e
contando l'un dopo l'altro i dodici passi. Eran passi, non ci cascava
dubbio; ma quel della tuba, che aveva cominciato col farne uno giusto
di settantacinque centimetri, al secondo allungò le seste, facendo
addirittura gli ottanta. E Bonisconti non ci abbadò. Quell'altro,
inanimato dal buon esito, tentò cose maggiori, facendo il terzo passo
di ottantacinque. E Bonisconti zitto. Infine, come furono ai dodici,
il padrino del Forniglia disse ridendo: o senta, vogliam far tredici?
--Facciamo tredici per la buona misura;--rispose Bonisconti, mandando
il piede di costa alle parole;--ma l'avverto che è un brutto numero.
--Allora, quattordici!
--Quattordici, e crepi l'avarizia!--
Così avvenne che, tra il guadagno apertamente fatto e i centimetri
rubacchiati, i dodici passi diventarono diciotto o venti. A quel della
tuba parevano ancora pochi, segnatamente per quel maledetto strato di
neve che dava più spicco al bersaglio umano; ma le gretole eran tutte
sfruttate, e il messere non ardì chiedere di più.
Ambedue piantarono i segnali, e, fornita quella loro bisogna, andarono
incontro ai compagni.
Le pistole erano state caricate, ed erano appunto quelle che aveva
portato Tristano. Le altre, portate dagli avversari erano state
rifiutate, perchè mostravano di aver già servito molto, e uno
stoppacciolo, mandato giù ad esperimento nelle canne, era tornato
fuori assai nero. Il Priore era un uomo sofistico e la guardava nel
sottile in ogni cosa; credeva tutti onesti, ma, viceversa poi, birbe
matricolate.
--Signori,--aveva detto,--queste armi hanno patente lorda. Non domando
a chi abbiano servito; mi restringo a scartarle. Ecco qua le nostre;
escono dall'armaiuolo; un po' dure di scatto, se vogliamo, ma nuove e
non c'è pericolo che usino parzialità a chi si sia.
Il Forniglia, che stava presso al camino, rimase brutto a quelle
parole del Priore. Egli perdeva in tal guisa, l'unico punto di
vantaggio che sperava di avere, perchè quelle pistole scartate da
Tristano le aveva provate lui il giorno addietro una cinquantina di
volte. Ma non c'era rimedio: per poterle sorteggiare, bisogna portarle
ripulite a dovere. Ed erano invece ancor brutte di polvere; lo
stoppacciolo parlava chiaro, quantunque annerito, e il padrino del
Forniglia aveva dovuto arrendersi alla evidenza del fatto.
Tutto era in ordine e non c'era più altro che da recarsi sul luogo del
combattimento. Il Priore tolse a braccetto Ariberti e andò innanzi,
scostandosi ad un tratto dalla comitiva.
--A Lei, dunque, si faccia onore;--gli disse.--Il furfante era venuto
per ricattarla e si trova acchiappato nella sua trappola. Miri giusto
e dia un esempio. Da questo momento dipende tutta la sua fortuna. Si
sente un pochino di rimescolìo in corpo? Non ci abbadi; è accaduto a
tutti una volta. Faccia franca, sguardo ilare, ecco quanto ha da
vedere la gente. Ieri, se lo lasci dire da uno che è vecchio, Lei era
ancora un ragazzo; oggi diventa un uomo. Cominci bene; sia un uomo
prode. In quanto all'esito, è certo; gli avversarii non si sentono in
gambe.--
Ariberti era giovine e nuovo a quei cimenti, ma sentiva altamente di
sè.
--Sono tranquillo;--rispose,--e sappia, signor Falzoni, che non
tremerò davanti alla canna di una pistola. Nel mio piccolo, ogni qual
volta mi s'è voluto far l'uomo addosso, ho fatto le mie scartate senza
badarci più che tanto. Di questi avversari, poi, ne voglio cento.
Tristano sorrise, notando quei bollori ch'egli stesso aveva
accortamente suscitati.
--Ben detto!--rispose, con accento affettuoso.--Ma siccome la pistola
è un'arme pazza, e quella di un briccone o d'un vile può fare buon
colpo come quella di un galantuomo o d'un prode, io le darò il modo di
far riuscire a vuoto il colpo dell'avversario.--
Così dicendo, gli metteva in dito un anello. Ariberti chinò gli occhi
a guardarlo. Era un cerchietto di argento grossamente lavorato, che
portava nel castone una pietra nera e lucida, sulla quale erano incisi
alcuni segni d'una lingua ignota per lui. Che cos'era? arabo? ebraico?
copto o caldeo? Per Ariberti, nuovo alle scritture orientali, poteva
anche esser sanscrito, o cinese.
--Non rida;--soggiunse gravemente il Priore;--il talismano perderebbe
tosto ogni efficacia. L'ho avuto in dono da un savio imàno di Bagdad.
Questi segni che vede incisi sulla pietra sono il suggello di
Salomone, che fu un gran re ed anche un gran mago, poichè assoggettava
ai suoi scongiuri e incatenava con una semplice parola gli spiriti
buoni e malvagi. Mi ha detto l'imàno che qui dentro è imprigionato uno
spirito buono, in espiazione di un antico suo fallo. Compiuto il
castigo, la pietra si spezzerà da per sè e lo spirito potrà ritornare
all'aria libera; intanto egli è utile a chi porta l'anello in dito,
guardandolo contro il mal occhio e stornando ogni infortunio da lui.
Le parrà strano, incredibile; nè io sto pagatore di tutto ciò che ha
letto in queste cifre il vecchio di Bagdad; ma questo le posso dire,
che io stesso ho sperimentato più volte la bontà del talismano e sono
uscito incolume da molti pericoli.--
Credeva il Priore a quello che veniva snocciolando? Io penso di sì,
ricordando esempi moltissimi di uomini così fatti; veri impasti di
temerità e di debolezza, di spirito forte e di superstizione, assai
più frequenti che non si creda in mezzo ad una gente usa a trattarsi
lì per lì, senza guardare un tantino di là della buccia. Gli amuleti,
poi, il mal occhio, ed altre consimili diavolerie, sono antichi come
la paura, cioè a dire come le relazioni dell'uomo col mondo, e chi ha
viaggiato molto, segnatamente presso i popoli meno inciviliti, o più
vicini all'infanzia, che torna lo stesso, più facilmente se ne
appiccica.
Del resto, credesse Tristano o no, a quel che diceva, si può ammettere
che sapesse benissimo quel che faceva. Ariberti, infatti, fece tanto
d'occhi al discorso del suo padrino e prese quei lustrini per oro di
coppella.
Giunti all'aperto sulla neve, i due avversarî furono collocati l'uno
di rimpetto all'altro, alla distanza di quei dodici passi che sapete.
Il Priore, che mostrava di essere nella sua beva, fu nominato mastro
di combattimento.
--Qui non è il caso di fare parzialità per alcuno;---aveva detto egli
con aria di bontà infinita.--Venute le cose a questo punto, cessiamo
di essere i padrini di questo o di quello, per essere i giudici e gli
amici di ambedue i combattenti. Signori,--proseguì, rivolgendo il
discorso ai due avversarii,--si ricordino che combattono da
gentiluomini, e che sarebbe notato di slealtà, chiunque di loro
sparasse prima di avere udito il comando. Ed ora stiamo attenti;
quando io dirò uno, alzeranno l'arme e metteranno il cane a tutto
punto; al due, la spianeranno, per prender la mira; al tre, solamente
al tre, toccheranno il grilletto. Hanno inteso?--
I due avversarî accennarono ad un tempo di sì, e Tristano si fece
innanzi, presentando loro le pistole cariche. Forniglia, che fu
servito pel primo, afferrò l'arme con un moto convulso; più
tranquillo, anzi ilare all'aspetto, il nostro Ariberti, che aveva in
mente le raccomandazioni del Priore.
--Miri al fianco destro del suo avversario,--gli susurrò Tristano,
nell'atto di dargli la pistola,--e un po' fuori del corpo. Non si
affretti a sgrillettare; prema lentamente col dito. Tenga il collo
sodo, che non le avvenga di salutare la palla nemica. Acqua passata
non macina.
--Farò come lei dice;--mormorò l'Ariberti.
E stette in attesa, fieramente piantato davanti al suo avversario,
presentandogli la figura in tre quarti.
--Ariberto, ci siamo!--disse intanto tra sè, quasi volesse tastarsi.
Gli parve allora che un gran peso gli fosse tolto improvvisamente
dallo stomaco e si sentì più leggiero. Tutti i negoziati del giorno
addietro e gli apparecchi di quella mattina lo avevano sconcertato un
pochino. Ma oramai il tempo, con quelle sue lentezze angosciose e que'
suoi molesti esami di coscienza, era passato. Restava l'uomo contro il
pericolo; e il pericolo, veduto di fronte, senza le alterazioni della
lontananza, non gli pareva così grande come prima. Cinquanta
probabilità su cento erano per lui, cinquanta contrarie, ecco tutto. E
notate; egli non pensava nemmeno alla fortuna di colpire il suo
avversano. Gli avevano pur detto come dovesse aggiustar la mira; ma
egli era troppo novellino a quel giuoco, e non poteva ripromettersi di
usare tutta quella diligenza che gli avevano raccomandata gli amici.
Figurarsi! Con tante minuzie a cui doveva por mente, il collo da tener
saldo, il fianco del nemico a cui mirare, ma tenendosi un po' fuori,
l'arte di sgrillettare senza furia, l'attenzione di fare ogni cosa al
comando, come poteva egli mettersi in capo di fare un buon colpo?
I padrini si allontanarono cinque o sei passi dalla linea del fuoco.
Tristano solo, che dovea dare i comandi, rimase alquanto più innanzi
degli altri.
--Attenti, signori;--diss'egli finalmente, dando il segnale
all'orchestra.--Uno!--
I due avversari sollevarono le pistole dal fianco, chinarono gli occhi
e posero il cane sulla tacca di scatto.
--Due!--gridò Tristano, poichè gli ebbe veduti rialzare la testa;
segno che l'operazione era finita.
Gli avversarii allungarono il braccio e spianarono le armi. Per
quattro o cinque secondi si videro balenare le canne, in atto di
cercare la mira.
--E adesso, signori,--disse lentamente, soavemente il Priore, per non
pigliarli alla sprovveduta e non cagionare sobbalzi,--possono far
fuoco. E tre!--
Due lingue di fuoco, pari a due nappine di seta scarlatta, guizzarono
dalle canne, e incontanente si udì lo stianto di due colpi.
Tristano guardò Ariberti. Era in piedi, duro stecchito ma col suo
risolino sulle labbra.
Si volse allora con una rapida occhiata al Forniglia, e lo vide dare
una mezza volta sulla persona, annaspando colle braccia in aria,
mentre l'arme gli cadeva di pugno. Spiccò un salto e giunse in tempo a
mettergli le mani sotto le ascelle, in quella che il disgraziato stava
per dar del gomito nella neve.
Anche gli altri padrini ed il chirurgo, veduto il brutto giuoco,
furono pronti ad accorrere intorno al ferito.
--Povero Nanni!--fatti animo!---gli disse quel della tuba, aiutandolo
a star sulle gambe.
--Che animo d'Egitto!--mugghiò il Forniglia, colla schiuma alla
bocca.--Non è nulla! Un pugno tra capo e collo... e sono cascato per
terra.--
Così tentava il ferito di definire la sensazione provata al colpo del
suo avversario.
--Ma infine, vediamo dov'è la ferita;--entrò a dire il
chirurgo;--sbottoniamo il soprabito.
--No, no, non occorre. Dev'esser qui, più alto, più alto
ancora;--indicava il Forniglia, sforzandosi di voltare la faccia verso
l'omero destro, poichè aveva le braccia trattenute dai padrini.--Mi
lascino almeno strappar la camicia. Mi sega la gola, mi soffoca...--
Il discepolo d'Esculapio, che aveva finalmente veduto uno squarcio nel
soprabito, all'altezza della clavicola, e indovinato la cagione di
quel soffocamento, che accennava il Forniglia, gli tolse subito la
cravatta e strappò il solino, che, pel subito inturgidire del collo,
non gli venìa fatto di sbottonare.
Una rifiatata di quel poveraccio disse al chirurgo ed agli astanti che
quel sollievo era capitato in buon punto.
--Bene! Non è nulla; sapete?--ripeteva il ferito ai suoi padrini, che
erano sottentrati nel pietoso ufficio al Priore.--Non ho studiato
medicina per niente. È una sciocchezza... una...
--Non si affatichi!--interruppe il dottore.--Sarà una cosa di poca
importanza, se starà cheto. Ma prima di tutto, signori, trasportiamolo
al coperto. Così; uno da piedi; non lo muovano troppo.--
E lì, con tutti i riguardi possibili, quella gente, poc'anzi intesa
con ogni cura a far morire il suo simile, si adoperava a salvarlo.
Già, non avviene egli il medesimo in guerra? E il duello non è forse
una guerra ridotta ai minimi termini? Avanti dunque così, colla
benedizione del cielo, e consoliamoci pensando che le norme della
cavalleria e la convenzione di Ginevra abbiano trovato il modo di
regolare un tratto la malvagità naturale dell'uomo.
Dietro al convoglio, come la morale dopo la favola, veniva Ariberti,
tenendo ancora la sua pistola nel pugno.
Il nostro eroe andava innanzi macchinalmente, stordito da quella
catastrofe e senza intendere come fosse avvenuta. Era sogno, o realtà?
Ed era lui, tiratore mal destro, che non si ricordava d'avere mai
colto neppure uno scricciolo nella siepe, era lui che, impugnando la
prima volta una pistola, doveva colpire nel segno? Dieci tiratori, più
esperti, più tranquilli e più assestati di lui, avrebbero dovuto fare
a quel giuoco il secondo colpo ed il terzo. E lui, impacciato, confuso
com'era, imbroccava alla prima. Stranezze del caso, amori ciechi della
fortuna; con cui, del resto, non c'è da fare a fidanza, perchè se è
vero ch'ella ami i giovani, può sempre darsi che trovi uno più giovane
di noi.
--Orbene, che cosa fa Lei?--gli chiese ridendo il Priore, come furono
sull'uscio della casa in cui si trasportava il ferito.--Deponga la sua
pistola.
--Che? è finita?--balbettò l'Ariberti, che ancora non era rinvenuto
dal suo stupore.
--Finita, sicuramente. Ma ora che ci penso, Lei ha ragione; non
abbiamo mica detto la parola solenne. Signori,--proseguì allora
Tristano, rivolgendosi ai padrini dell'avversario, che avevano deposto
allora su di una scranna il loro primo,--favoriscano un po'. Occorre
più altro?
--Per che cosa?--domandarono essi, in atto di cascar dalle nuvole:
--Ma, per la faccenda che ci ha condotti fin qua. Siccome sta a loro
di dichiararsi soddisfatti...
--Mi pare,--disse quel della tuba, stringendosi nelle spalle,--che non
ci sia proprio altro da chiedere. Povero Nanni! Ha avuto il fatto suo
a misura di carbone.
--La sorte non lo ha favorito;--soggiunse l'altro padrino;--ci vuol
pazienza.
--Dunque, signori,--disse il Priore, tirando la somma,--l'onore è
soddisfatto e possiamo mettere in libertà il signor Ariberti.
--Certamente, e se il signore ci permette...--
Ariberti concedette la mano con molto decoro a quei due mascalzoni,
che si affrettarono a ritornare dal loro povero Nanni.
--Potrà lavarsela, quando saremo tornati in città!--gli disse
all'orecchio il Priore.
Frattanto il chirurgo aveva esplorato la ferita, non senza dolore pel
suo legittimo proprietario. La palla aveva sfiorato l'omero, lacerando
le carni, ed era andata a piantarsi nella muscolatura del collo; donde
la enfiagione repentina che si era notata poc'anzi. L'estrazione non
era da tentarsi lì per lì; occorreva prima di tutto trasportare il
ferito a casa sua, debitamente fasciato, e là aspettare il momento
opportuno. Lesione di organi essenziali non pareva che ce ne fosse;
era dunque una quistione di tempo, e il discepolo di Esculapio
prometteva di conservare alla società quella preziosa esistenza.
--Poveretto!--esclamò Ariberti, quando fu in carrozza co' suoi padrini
per ritornare in città.--
--Dopo tutto mi rincresce...
--Di che?--interruppe Tristano.
--Di averlo ferito.
--Oh bravo, sentiamo quest'altra.
--Ma infine, è un uomo...
--Come Lei, non è vero? Stiamo a vedere che per carità cristiana si
mette in paragone con lui.
--Signori,--disse timidamente il giovane Ariberti, mi abbiano per
--iscusato. È la prima volta che mi trovo a questi cimenti, ed è anche
--la prima volta che vedo scorrere sangue. Ora, anche lasciando da
--parte le considerazioni morali, mi pare che il sangue del signor
--Forniglia. non sia diverso dal mio.
--Qui la volevo;--replicò trionfante il Priore.--E scambio del sangue
d'un Forniglia che abbiamo veduto scorrere, non poteva essere il suo?
Pensi a ciò, mio bel signore, e si rallegri. Il rammarico, eccetto che
non sia quello del coccodrillo, che a volte è permesso, come una volta
all'anno son permesse le maschere, lo deve lasciare da banda. Ritenga
che, se l'avesse buscata Lei, quella palla, i signori della parte
contraria non avrebbero pianto. Già, gli uomini sono così contenti e
pranzano di così buono appetito quando l'accoccano a, noi, che
dobbiamo esser lieti di render loro la pariglia. Il mondo è una
foresta. _Homo homini lupus;_ l'han detto i latini. Perciò bisogna
imparare a urlare. Badi a me, signor Ariberti; oggi gli è andata bene,
e, non fo per dire, anche un pochino per questo; che ci aveva due
padrini accorti.
--Lo so, signori, lo so: e la mia gratitudine...
--La sua gratitudine ce la dimostri seguendo un mio consiglio, che
quasi potrei chiamare paterno. Da domani cangi vita e costumi. Studi
un po' meno il cattivo latino delle Pandette e vada a far pratica in
una sala d'arme. Io starei anzi per due lezioni al giorno.
S'impadronisca della cavata e del filo diritto, della parata di picca,
del copertino e della botta sul tempo. Vada anche al Valentino, a fare
ogni giorno i suoi dieci o dodici colpi di pistola, tanto per tenere
il pugno in linea. _Nulla dies sine linea,_ lo raccomandava anche
Apelle.--
Ariberti non potè trattenere un sorriso, vedendo Apelle chiamato a far
testo in materia di pistola. Egli riconobbe per altro che il suo
Mentore poteva averci ragione. Quando uno fa bene una cosa, non si
dice egli che dipinge?
--I libri! bella cosa!--proseguiva intanto il Priore che era bene
avviato.--Ma, domando io, a che servono tranne ad insegnare il
passato? È il presente, quello che ci abbisogna; e l'avvenire, quello
che deve esser nostro quantunque in grembo a Giove. Sia forte, e non
si curi più d'altro. Il mondo, è vero, non si governa sempre colla
prepotenza; ma il più delle volte, sì. Tutto il resto del tempo, lo si
mena pel naso coll'ipocrisia, coll'astuzia. A me duole di guastarle il
candore della sua gioventù; ma un maestro, oggi o domani, lo dobbiamo
aver tutti; dunque, meglio oggi che domani. Veda; se a me queste cose
me le avessero dette subito, come io le dico a Lei, mi avrebbero
premunito in tempo, e non avrei fatto tante sciocchezze. Si fidi a me;
e poichè oggi sono di buon umore per Lei e parlo latino, aggiungerò:
_experto crede Ruperto._ Non c'è di efficace al mondo che la
prepotenza e l'astuzia; ma ambedue hanno bisogno di una leva,
l'associazione. _Viribus unitis!_ Venga con noi; troverà nei cavalieri
di Malta il fatto suo. Non siamo ipocriti, l'avverto...
--Prepotenti, dunque;--conchiuse Ariberti, temperando con un sorriso e
con una soavissima inflessione di voce l'asprezza del vocabolo; il
quale, del resto, veniva da sè.
di cinta della necropoli.--Chi muore da queste parti ha fortuna; non
c'è caso di scomodare gli amici per l'accompagnamento funebre.--
A quella amara facezia un brivido corse per l'ossa al nostro giovane
eroe. Si vide in una bara, portato da due becchini lunghesso un'aiuola
del triste recinto, e pensò a Dogliani, a suo padre, a sua madre, che,
poveretti, non sospettavano di nulla, e lo facevano forse già alzato
da letto, ma per dare una scorsa ai suoi libri e prepararsi ad una
lezione sul _Jus quiritanum._
Il Priore, che non lo perdeva d'occhio, si avvide di quel moto,
quantunque lievissimo, del suo primo.
--Sente freddo?--gli chiese
--Sì, un pochino;--rispose Ariberti, tornando prontamente in sè
stesso;--è del resto la prima notte che perdo.
--E sarà anche il primo giorno che guadagna;--ripigliò Tristano,
correggendo l'effetto della sua celia;--oggi infatti Ella prende il
suo battesimo di gentiluomo. Animo; per combattere il freddo, basta
una sorsata di questo.--
Così dicendo, cavava di sotto alla beduina una fiaschetta da viaggio,
e la porgeva ad Ariberti.
Il giovine accostò la fiaschetta alle labbra e bevve un sorso di
rumme, che gli bruciò il palato.
--Ne beva un altro poco;--soggiunse il Priore, notando la smorfia del
bevitore novellino.--_Similia similibus_ _curantur;_ è medicina
omiopatica. Vedrà che si scalda lo stomaco per benino.--
Ariberti obbedì, e strabuzzando gli occhi e torcendo le labbra, mandò
giù una seconda sorsata.
--Eccoci, del resto, al luogo di ritrovo;--disse Tristano;--entreremo
al coperto e ci sgranchiremo le membra aspettando.--
La carrozza giungeva in quel punto davanti ad una casetta di modesta
apparenza, che poteva essere la dimora di un ortolano, d'un curandaio,
o d'un oste. Il portone di costa all'edilizio si era spalancato pur
dianzi, e il cocchiere piegati verso quell'apertura i cavalli, aveva
infilato l'ingresso. I quattro personaggi smontarono poco dopo sotto
una tettoia ed entrarono in una camera a pian terreno, in fondo a cui
si vedeva un camino e si vedeva e si sentiva un buon fuoco. La prima
cura dei nuovi venuti fu quella di andarsi a prendere una buona
fiammata, senza pure sedersi sulle scranne che il padrone di casa si
era affrettato a mettere in mezzo.
Quel bravo abitante del suburbio doveva, del resto, essere avvezzo a
quelle visite, perchè, compiuto quell'atto di ospitalità, non si curò
più altrimenti di loro.
--Non vorrei--disse Bonisconti, mentre si stropicciava le mani,--che
quei signori si facessero aspettare troppo.
--Sono le sette e dieci minuti;--rispose il Priore, dopo aver dato
un'occhiata al cronometro;--anche un quarto d'ora di tempo si può
concedere al nemico.
--Non ce ne sarà bisogno;--entrò a dire il chirurgo; mi par di sentire
--il rumore di una carrozza nella viottola.
Il Priore andò sulla soglia e tese l'orecchio in ascolto.
--Sicuro;--diss'egli poscia;--ci seguivano a poca distanza. Giovanni,
avete fatto riaprire il portone?
--Sissignore; c'è mio figlio ad aspettare quegli altri.
«Quegli altri» voleva dire che il luogo dello scontro era stato scelto
da Tristano e che il padrone di casa aspettava la mancia da lui.
--_All right!_ a noi, dunque!--esclamò il Priore.--Noi metteremo mano
alle armi, e Lei, signor dottore, alla busta.
--Spero che non ce ne sarà bisogno;--rispose il dottore.
--Chi glielo dice? Gli avversari vengono senza chirurgo;--notò
braveggiando il Priore.
--Quand'è così,--replicò il discepolo di Esculapio sorridendo,--metto
mano alla busta.--
Poco stante, l'altra carrozza giungeva sotto la tettoia, e i nostri
personaggi si mossero verso l'uscio; due di essi per fare i
convenevoli alla parte contraria, gli altri due per dare una sbirciata
a quelle faccie proibite.
Ariberti, se i lettori rammentano, ci aveva ancora da conoscere il suo
avversario.
Lo vide allora, scender ultimo dal predellino, e batter de' piedi in
terra, per iscuoter la neve, che appunto lì, a mezza, discesa, gli
aveva fatto crosta alle suole. Era un coso alto e nero, con un volto
tutto a spigoli, che apparivano più vivi per aver egli le guance rase,
cogli occhi neri, affondati nelle orbite, appiattati sotto due ispide
sopracciglia come il ragno nella sua buca; insomma, un tipo volgare
che, fatta astrazione dall'abito mezzo signorile, si sarebbe potuto
così a occhio e croce collocare in uno di quegl'infimi e necessari
uffizi sociali, i cui nomi si ommettono per brevità.
Costui diede a sua volta un'occhiata in giro. Agli atti e alle parole
ricambiate co' suoi amici, conobbe i due padrini dell'Ariberti. E
allora, andando collo sguardo più oltre, vide un uomo già fatto che
doveva essere il chirurgo, e quello sbarbatello, ch'era senz'altro il
suo avversario, l'amante (ahimè) di Giuseppina Giumella.
Salutò abbastanza con garbo; ma era irrequieto, e, come disse Dante di
Cerbero, «non aveva membro che tenesse fermo». Entrò in casa, seguendo
i padrini, andò verso il camino per darsi una fiammata anche lui, ma
subito si allontanò e si messe a far le volte del leone su e giù per
la camera.
Tristano si avvide alle prime che l'amico pativa di convulsioni. Egli
notava tutto per cavarne profitto, come del resto ha da fare in tempo
di guerra ogni buon capitano.
Per altro, si tenne le sue osservazioni in petto.
C'era appunto allora da vedere e da misurare il terreno. Uscito
insieme con uno dei padrini avversarii, rasentò il muro sotto la
tettoia e svoltò alle spalle della casa, in un largo campo che si
vedeva rinchiuso sui margini da tre file di salci spennacchiati. La
neve ricopriva tutto il maggese, ma poco prima, obbedendo agli ordini
di Tristano, i due contadini, padre e figlio, avevano lavorato col
badile ad assottigliare quel bianco strato per una lista di forse
quaranta passi, nel mezzo del campo, e in linea parallela al muro
posteriore della casa. Quello spazio serbava ancora una parte della
sua prima bianchezza; ma ci si poteva camminar su senza troppa fatica.
---Le pare che vada bene così?--chiese Tristano, poi ch'ebbe fatto
notare a quell'altro l'utilità del lavoro.
--Benissimo;--rispose il compagno che era quel della tuba sulle
ventitrè ore;--del campo ne avranno quanto basta.
--Ne hanno sgomberato veramente un po' più del bisogno;--ripigliò
Tristano;--a noi bastano i dodici passi convenuti.
--Ma, non le pare,--si provò a dire quell'altro,--che a dodici
passi... che, infine, la distanza sia troppo breve?
Il Priore lo guardò come sapeva guardar lui, tra curioso e beffardo;
indi si strinse nelle spalle.
--Signor mio,--diss'egli, dopo un istante di silenzio,--la scelta
delle armi stava a noi, ma le condizioni le han chieste loro; volevano
anzi un duello a dieci passi ed io, quantunque la breve distanza
potesse piacere al nostro primo, ho dovuto ricusare, perchè...
--Sì, me ne ricordo;--interruppe quel della tuba.
--Perchè,--continuò implacabilmente il Priore,--quella di dodici passi
è la misura più stretta che sia consentita dai codici cavallereschi di
tutto il mondo civile, affinchè il duello alla pistola sia un
combattimento e non un assassinio da far torto ai padrini che lo
avessero lasciato commettere. Se ne rammenta?
--Gliel'ho detto poc'anzi.
--Orbene, siamo rimasti d'accordo sui dodici passi; sparare fino a
tanto che piacerà loro, nel limite di sei colpi, dopo i quali
rimanesse in nostro arbitrio di concedere e di rifiutarne la
continuazione; e noi non abbiamo a vederci più altro. Se vogliono una
distanza più grande la domandino e vedremo di contentarli.---
Quell'altro si accorse un po' tardi che col Priore non c'era da far
nulla, e rimase lì grullo a guardarlo.
--Dicevo...--balbettò quindi, impacciato come un pulcino nella
stoppa--dicevo così... per un senso di umanità... ma noi...
--Scusi se la fermo qui;--interruppe Tristano, mettendosi sul
grave.--Nel caso nostro non c'è umanità che tenga. Son venuti a
cercare? Sì. Hanno voluto la minima distanza? Sì. La colpa, se c'è
colpa, non è nostra di certo. E adesso, mi faccia la grazia di
rimettersi l'umanità in tasca, o scambio d'una giostra, se ne fanno
due.--
Tristano, come si vede, era poco arrendevole, e nelle quistioni, per
dirla con una frase volgare, ma calzante, anzi fin troppo calzante,
c'entrava cogli stivali.
L'avversario vide la mala parata e prudentemente ritirò la sua
umanità, «come face le corna la lumaccia».
--Va bene, va bene;--disse allora Tristano, rabbonendosi;--ora
misuriamo il terreno. Ecco qua Bonisconti che l'aiuterà in questa
faccenda; io e il suo amico andremo sotto la tettoia a caricare le
armi.--
Con queste parole, il Priore si allontanò dal campo, ma non tanto
rapidamente che non avesse tempo a bisbigliare una raccomandazione al
collega.
--Hanno paura;--gli disse.--Vorrebbero guadagnare qualche passo nella
misura del terreno. Se ci si provano, chiudi un occhio.
--Non dubitare, Tristano; magari tutt'e due.
--No, sarebbe troppo.
--Quand'è così, uno soltanto; sta tranquillo.--
Poco dopo quel dialoghetto, siccome nessuna delle due parti aveva
portato la cordicella a nodi, utile arnese, ma poco usato, per
simiglianti misure, Bonisconti e quel della tuba si pigliarono a
braccetto come due sposi, e stabilito un punto di partenza andarono
speditamente camminando lunghesso la lista di neve rassodata, e
contando l'un dopo l'altro i dodici passi. Eran passi, non ci cascava
dubbio; ma quel della tuba, che aveva cominciato col farne uno giusto
di settantacinque centimetri, al secondo allungò le seste, facendo
addirittura gli ottanta. E Bonisconti non ci abbadò. Quell'altro,
inanimato dal buon esito, tentò cose maggiori, facendo il terzo passo
di ottantacinque. E Bonisconti zitto. Infine, come furono ai dodici,
il padrino del Forniglia disse ridendo: o senta, vogliam far tredici?
--Facciamo tredici per la buona misura;--rispose Bonisconti, mandando
il piede di costa alle parole;--ma l'avverto che è un brutto numero.
--Allora, quattordici!
--Quattordici, e crepi l'avarizia!--
Così avvenne che, tra il guadagno apertamente fatto e i centimetri
rubacchiati, i dodici passi diventarono diciotto o venti. A quel della
tuba parevano ancora pochi, segnatamente per quel maledetto strato di
neve che dava più spicco al bersaglio umano; ma le gretole eran tutte
sfruttate, e il messere non ardì chiedere di più.
Ambedue piantarono i segnali, e, fornita quella loro bisogna, andarono
incontro ai compagni.
Le pistole erano state caricate, ed erano appunto quelle che aveva
portato Tristano. Le altre, portate dagli avversari erano state
rifiutate, perchè mostravano di aver già servito molto, e uno
stoppacciolo, mandato giù ad esperimento nelle canne, era tornato
fuori assai nero. Il Priore era un uomo sofistico e la guardava nel
sottile in ogni cosa; credeva tutti onesti, ma, viceversa poi, birbe
matricolate.
--Signori,--aveva detto,--queste armi hanno patente lorda. Non domando
a chi abbiano servito; mi restringo a scartarle. Ecco qua le nostre;
escono dall'armaiuolo; un po' dure di scatto, se vogliamo, ma nuove e
non c'è pericolo che usino parzialità a chi si sia.
Il Forniglia, che stava presso al camino, rimase brutto a quelle
parole del Priore. Egli perdeva in tal guisa, l'unico punto di
vantaggio che sperava di avere, perchè quelle pistole scartate da
Tristano le aveva provate lui il giorno addietro una cinquantina di
volte. Ma non c'era rimedio: per poterle sorteggiare, bisogna portarle
ripulite a dovere. Ed erano invece ancor brutte di polvere; lo
stoppacciolo parlava chiaro, quantunque annerito, e il padrino del
Forniglia aveva dovuto arrendersi alla evidenza del fatto.
Tutto era in ordine e non c'era più altro che da recarsi sul luogo del
combattimento. Il Priore tolse a braccetto Ariberti e andò innanzi,
scostandosi ad un tratto dalla comitiva.
--A Lei, dunque, si faccia onore;--gli disse.--Il furfante era venuto
per ricattarla e si trova acchiappato nella sua trappola. Miri giusto
e dia un esempio. Da questo momento dipende tutta la sua fortuna. Si
sente un pochino di rimescolìo in corpo? Non ci abbadi; è accaduto a
tutti una volta. Faccia franca, sguardo ilare, ecco quanto ha da
vedere la gente. Ieri, se lo lasci dire da uno che è vecchio, Lei era
ancora un ragazzo; oggi diventa un uomo. Cominci bene; sia un uomo
prode. In quanto all'esito, è certo; gli avversarii non si sentono in
gambe.--
Ariberti era giovine e nuovo a quei cimenti, ma sentiva altamente di
sè.
--Sono tranquillo;--rispose,--e sappia, signor Falzoni, che non
tremerò davanti alla canna di una pistola. Nel mio piccolo, ogni qual
volta mi s'è voluto far l'uomo addosso, ho fatto le mie scartate senza
badarci più che tanto. Di questi avversari, poi, ne voglio cento.
Tristano sorrise, notando quei bollori ch'egli stesso aveva
accortamente suscitati.
--Ben detto!--rispose, con accento affettuoso.--Ma siccome la pistola
è un'arme pazza, e quella di un briccone o d'un vile può fare buon
colpo come quella di un galantuomo o d'un prode, io le darò il modo di
far riuscire a vuoto il colpo dell'avversario.--
Così dicendo, gli metteva in dito un anello. Ariberti chinò gli occhi
a guardarlo. Era un cerchietto di argento grossamente lavorato, che
portava nel castone una pietra nera e lucida, sulla quale erano incisi
alcuni segni d'una lingua ignota per lui. Che cos'era? arabo? ebraico?
copto o caldeo? Per Ariberti, nuovo alle scritture orientali, poteva
anche esser sanscrito, o cinese.
--Non rida;--soggiunse gravemente il Priore;--il talismano perderebbe
tosto ogni efficacia. L'ho avuto in dono da un savio imàno di Bagdad.
Questi segni che vede incisi sulla pietra sono il suggello di
Salomone, che fu un gran re ed anche un gran mago, poichè assoggettava
ai suoi scongiuri e incatenava con una semplice parola gli spiriti
buoni e malvagi. Mi ha detto l'imàno che qui dentro è imprigionato uno
spirito buono, in espiazione di un antico suo fallo. Compiuto il
castigo, la pietra si spezzerà da per sè e lo spirito potrà ritornare
all'aria libera; intanto egli è utile a chi porta l'anello in dito,
guardandolo contro il mal occhio e stornando ogni infortunio da lui.
Le parrà strano, incredibile; nè io sto pagatore di tutto ciò che ha
letto in queste cifre il vecchio di Bagdad; ma questo le posso dire,
che io stesso ho sperimentato più volte la bontà del talismano e sono
uscito incolume da molti pericoli.--
Credeva il Priore a quello che veniva snocciolando? Io penso di sì,
ricordando esempi moltissimi di uomini così fatti; veri impasti di
temerità e di debolezza, di spirito forte e di superstizione, assai
più frequenti che non si creda in mezzo ad una gente usa a trattarsi
lì per lì, senza guardare un tantino di là della buccia. Gli amuleti,
poi, il mal occhio, ed altre consimili diavolerie, sono antichi come
la paura, cioè a dire come le relazioni dell'uomo col mondo, e chi ha
viaggiato molto, segnatamente presso i popoli meno inciviliti, o più
vicini all'infanzia, che torna lo stesso, più facilmente se ne
appiccica.
Del resto, credesse Tristano o no, a quel che diceva, si può ammettere
che sapesse benissimo quel che faceva. Ariberti, infatti, fece tanto
d'occhi al discorso del suo padrino e prese quei lustrini per oro di
coppella.
Giunti all'aperto sulla neve, i due avversarî furono collocati l'uno
di rimpetto all'altro, alla distanza di quei dodici passi che sapete.
Il Priore, che mostrava di essere nella sua beva, fu nominato mastro
di combattimento.
--Qui non è il caso di fare parzialità per alcuno;---aveva detto egli
con aria di bontà infinita.--Venute le cose a questo punto, cessiamo
di essere i padrini di questo o di quello, per essere i giudici e gli
amici di ambedue i combattenti. Signori,--proseguì, rivolgendo il
discorso ai due avversarii,--si ricordino che combattono da
gentiluomini, e che sarebbe notato di slealtà, chiunque di loro
sparasse prima di avere udito il comando. Ed ora stiamo attenti;
quando io dirò uno, alzeranno l'arme e metteranno il cane a tutto
punto; al due, la spianeranno, per prender la mira; al tre, solamente
al tre, toccheranno il grilletto. Hanno inteso?--
I due avversarî accennarono ad un tempo di sì, e Tristano si fece
innanzi, presentando loro le pistole cariche. Forniglia, che fu
servito pel primo, afferrò l'arme con un moto convulso; più
tranquillo, anzi ilare all'aspetto, il nostro Ariberti, che aveva in
mente le raccomandazioni del Priore.
--Miri al fianco destro del suo avversario,--gli susurrò Tristano,
nell'atto di dargli la pistola,--e un po' fuori del corpo. Non si
affretti a sgrillettare; prema lentamente col dito. Tenga il collo
sodo, che non le avvenga di salutare la palla nemica. Acqua passata
non macina.
--Farò come lei dice;--mormorò l'Ariberti.
E stette in attesa, fieramente piantato davanti al suo avversario,
presentandogli la figura in tre quarti.
--Ariberto, ci siamo!--disse intanto tra sè, quasi volesse tastarsi.
Gli parve allora che un gran peso gli fosse tolto improvvisamente
dallo stomaco e si sentì più leggiero. Tutti i negoziati del giorno
addietro e gli apparecchi di quella mattina lo avevano sconcertato un
pochino. Ma oramai il tempo, con quelle sue lentezze angosciose e que'
suoi molesti esami di coscienza, era passato. Restava l'uomo contro il
pericolo; e il pericolo, veduto di fronte, senza le alterazioni della
lontananza, non gli pareva così grande come prima. Cinquanta
probabilità su cento erano per lui, cinquanta contrarie, ecco tutto. E
notate; egli non pensava nemmeno alla fortuna di colpire il suo
avversano. Gli avevano pur detto come dovesse aggiustar la mira; ma
egli era troppo novellino a quel giuoco, e non poteva ripromettersi di
usare tutta quella diligenza che gli avevano raccomandata gli amici.
Figurarsi! Con tante minuzie a cui doveva por mente, il collo da tener
saldo, il fianco del nemico a cui mirare, ma tenendosi un po' fuori,
l'arte di sgrillettare senza furia, l'attenzione di fare ogni cosa al
comando, come poteva egli mettersi in capo di fare un buon colpo?
I padrini si allontanarono cinque o sei passi dalla linea del fuoco.
Tristano solo, che dovea dare i comandi, rimase alquanto più innanzi
degli altri.
--Attenti, signori;--diss'egli finalmente, dando il segnale
all'orchestra.--Uno!--
I due avversari sollevarono le pistole dal fianco, chinarono gli occhi
e posero il cane sulla tacca di scatto.
--Due!--gridò Tristano, poichè gli ebbe veduti rialzare la testa;
segno che l'operazione era finita.
Gli avversarii allungarono il braccio e spianarono le armi. Per
quattro o cinque secondi si videro balenare le canne, in atto di
cercare la mira.
--E adesso, signori,--disse lentamente, soavemente il Priore, per non
pigliarli alla sprovveduta e non cagionare sobbalzi,--possono far
fuoco. E tre!--
Due lingue di fuoco, pari a due nappine di seta scarlatta, guizzarono
dalle canne, e incontanente si udì lo stianto di due colpi.
Tristano guardò Ariberti. Era in piedi, duro stecchito ma col suo
risolino sulle labbra.
Si volse allora con una rapida occhiata al Forniglia, e lo vide dare
una mezza volta sulla persona, annaspando colle braccia in aria,
mentre l'arme gli cadeva di pugno. Spiccò un salto e giunse in tempo a
mettergli le mani sotto le ascelle, in quella che il disgraziato stava
per dar del gomito nella neve.
Anche gli altri padrini ed il chirurgo, veduto il brutto giuoco,
furono pronti ad accorrere intorno al ferito.
--Povero Nanni!--fatti animo!---gli disse quel della tuba, aiutandolo
a star sulle gambe.
--Che animo d'Egitto!--mugghiò il Forniglia, colla schiuma alla
bocca.--Non è nulla! Un pugno tra capo e collo... e sono cascato per
terra.--
Così tentava il ferito di definire la sensazione provata al colpo del
suo avversario.
--Ma infine, vediamo dov'è la ferita;--entrò a dire il
chirurgo;--sbottoniamo il soprabito.
--No, no, non occorre. Dev'esser qui, più alto, più alto
ancora;--indicava il Forniglia, sforzandosi di voltare la faccia verso
l'omero destro, poichè aveva le braccia trattenute dai padrini.--Mi
lascino almeno strappar la camicia. Mi sega la gola, mi soffoca...--
Il discepolo d'Esculapio, che aveva finalmente veduto uno squarcio nel
soprabito, all'altezza della clavicola, e indovinato la cagione di
quel soffocamento, che accennava il Forniglia, gli tolse subito la
cravatta e strappò il solino, che, pel subito inturgidire del collo,
non gli venìa fatto di sbottonare.
Una rifiatata di quel poveraccio disse al chirurgo ed agli astanti che
quel sollievo era capitato in buon punto.
--Bene! Non è nulla; sapete?--ripeteva il ferito ai suoi padrini, che
erano sottentrati nel pietoso ufficio al Priore.--Non ho studiato
medicina per niente. È una sciocchezza... una...
--Non si affatichi!--interruppe il dottore.--Sarà una cosa di poca
importanza, se starà cheto. Ma prima di tutto, signori, trasportiamolo
al coperto. Così; uno da piedi; non lo muovano troppo.--
E lì, con tutti i riguardi possibili, quella gente, poc'anzi intesa
con ogni cura a far morire il suo simile, si adoperava a salvarlo.
Già, non avviene egli il medesimo in guerra? E il duello non è forse
una guerra ridotta ai minimi termini? Avanti dunque così, colla
benedizione del cielo, e consoliamoci pensando che le norme della
cavalleria e la convenzione di Ginevra abbiano trovato il modo di
regolare un tratto la malvagità naturale dell'uomo.
Dietro al convoglio, come la morale dopo la favola, veniva Ariberti,
tenendo ancora la sua pistola nel pugno.
Il nostro eroe andava innanzi macchinalmente, stordito da quella
catastrofe e senza intendere come fosse avvenuta. Era sogno, o realtà?
Ed era lui, tiratore mal destro, che non si ricordava d'avere mai
colto neppure uno scricciolo nella siepe, era lui che, impugnando la
prima volta una pistola, doveva colpire nel segno? Dieci tiratori, più
esperti, più tranquilli e più assestati di lui, avrebbero dovuto fare
a quel giuoco il secondo colpo ed il terzo. E lui, impacciato, confuso
com'era, imbroccava alla prima. Stranezze del caso, amori ciechi della
fortuna; con cui, del resto, non c'è da fare a fidanza, perchè se è
vero ch'ella ami i giovani, può sempre darsi che trovi uno più giovane
di noi.
--Orbene, che cosa fa Lei?--gli chiese ridendo il Priore, come furono
sull'uscio della casa in cui si trasportava il ferito.--Deponga la sua
pistola.
--Che? è finita?--balbettò l'Ariberti, che ancora non era rinvenuto
dal suo stupore.
--Finita, sicuramente. Ma ora che ci penso, Lei ha ragione; non
abbiamo mica detto la parola solenne. Signori,--proseguì allora
Tristano, rivolgendosi ai padrini dell'avversario, che avevano deposto
allora su di una scranna il loro primo,--favoriscano un po'. Occorre
più altro?
--Per che cosa?--domandarono essi, in atto di cascar dalle nuvole:
--Ma, per la faccenda che ci ha condotti fin qua. Siccome sta a loro
di dichiararsi soddisfatti...
--Mi pare,--disse quel della tuba, stringendosi nelle spalle,--che non
ci sia proprio altro da chiedere. Povero Nanni! Ha avuto il fatto suo
a misura di carbone.
--La sorte non lo ha favorito;--soggiunse l'altro padrino;--ci vuol
pazienza.
--Dunque, signori,--disse il Priore, tirando la somma,--l'onore è
soddisfatto e possiamo mettere in libertà il signor Ariberti.
--Certamente, e se il signore ci permette...--
Ariberti concedette la mano con molto decoro a quei due mascalzoni,
che si affrettarono a ritornare dal loro povero Nanni.
--Potrà lavarsela, quando saremo tornati in città!--gli disse
all'orecchio il Priore.
Frattanto il chirurgo aveva esplorato la ferita, non senza dolore pel
suo legittimo proprietario. La palla aveva sfiorato l'omero, lacerando
le carni, ed era andata a piantarsi nella muscolatura del collo; donde
la enfiagione repentina che si era notata poc'anzi. L'estrazione non
era da tentarsi lì per lì; occorreva prima di tutto trasportare il
ferito a casa sua, debitamente fasciato, e là aspettare il momento
opportuno. Lesione di organi essenziali non pareva che ce ne fosse;
era dunque una quistione di tempo, e il discepolo di Esculapio
prometteva di conservare alla società quella preziosa esistenza.
--Poveretto!--esclamò Ariberti, quando fu in carrozza co' suoi padrini
per ritornare in città.--
--Dopo tutto mi rincresce...
--Di che?--interruppe Tristano.
--Di averlo ferito.
--Oh bravo, sentiamo quest'altra.
--Ma infine, è un uomo...
--Come Lei, non è vero? Stiamo a vedere che per carità cristiana si
mette in paragone con lui.
--Signori,--disse timidamente il giovane Ariberti, mi abbiano per
--iscusato. È la prima volta che mi trovo a questi cimenti, ed è anche
--la prima volta che vedo scorrere sangue. Ora, anche lasciando da
--parte le considerazioni morali, mi pare che il sangue del signor
--Forniglia. non sia diverso dal mio.
--Qui la volevo;--replicò trionfante il Priore.--E scambio del sangue
d'un Forniglia che abbiamo veduto scorrere, non poteva essere il suo?
Pensi a ciò, mio bel signore, e si rallegri. Il rammarico, eccetto che
non sia quello del coccodrillo, che a volte è permesso, come una volta
all'anno son permesse le maschere, lo deve lasciare da banda. Ritenga
che, se l'avesse buscata Lei, quella palla, i signori della parte
contraria non avrebbero pianto. Già, gli uomini sono così contenti e
pranzano di così buono appetito quando l'accoccano a, noi, che
dobbiamo esser lieti di render loro la pariglia. Il mondo è una
foresta. _Homo homini lupus;_ l'han detto i latini. Perciò bisogna
imparare a urlare. Badi a me, signor Ariberti; oggi gli è andata bene,
e, non fo per dire, anche un pochino per questo; che ci aveva due
padrini accorti.
--Lo so, signori, lo so: e la mia gratitudine...
--La sua gratitudine ce la dimostri seguendo un mio consiglio, che
quasi potrei chiamare paterno. Da domani cangi vita e costumi. Studi
un po' meno il cattivo latino delle Pandette e vada a far pratica in
una sala d'arme. Io starei anzi per due lezioni al giorno.
S'impadronisca della cavata e del filo diritto, della parata di picca,
del copertino e della botta sul tempo. Vada anche al Valentino, a fare
ogni giorno i suoi dieci o dodici colpi di pistola, tanto per tenere
il pugno in linea. _Nulla dies sine linea,_ lo raccomandava anche
Apelle.--
Ariberti non potè trattenere un sorriso, vedendo Apelle chiamato a far
testo in materia di pistola. Egli riconobbe per altro che il suo
Mentore poteva averci ragione. Quando uno fa bene una cosa, non si
dice egli che dipinge?
--I libri! bella cosa!--proseguiva intanto il Priore che era bene
avviato.--Ma, domando io, a che servono tranne ad insegnare il
passato? È il presente, quello che ci abbisogna; e l'avvenire, quello
che deve esser nostro quantunque in grembo a Giove. Sia forte, e non
si curi più d'altro. Il mondo, è vero, non si governa sempre colla
prepotenza; ma il più delle volte, sì. Tutto il resto del tempo, lo si
mena pel naso coll'ipocrisia, coll'astuzia. A me duole di guastarle il
candore della sua gioventù; ma un maestro, oggi o domani, lo dobbiamo
aver tutti; dunque, meglio oggi che domani. Veda; se a me queste cose
me le avessero dette subito, come io le dico a Lei, mi avrebbero
premunito in tempo, e non avrei fatto tante sciocchezze. Si fidi a me;
e poichè oggi sono di buon umore per Lei e parlo latino, aggiungerò:
_experto crede Ruperto._ Non c'è di efficace al mondo che la
prepotenza e l'astuzia; ma ambedue hanno bisogno di una leva,
l'associazione. _Viribus unitis!_ Venga con noi; troverà nei cavalieri
di Malta il fatto suo. Non siamo ipocriti, l'avverto...
--Prepotenti, dunque;--conchiuse Ariberti, temperando con un sorriso e
con una soavissima inflessione di voce l'asprezza del vocabolo; il
quale, del resto, veniva da sè.
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