La mandragola - La Clizia - Belfagor - 3

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[IV. 3]
CALLIMACO, SIRO.

_Ca._ O Siro!
_Si._ Messere!
_Ca._ Fatti costì.
_Si._ Eccomi.
_Ca._ Piglia quello bicchiere d'argento, che è drento allo armario di
camera, e coperto con un poco di drappo, portamelo, e guarda a non lo
versare per la via.
_Si._ Sarà fatto.
_Ca._ Costui è stato dieci anni meco, e sempre mi ha servito
fedelmente. Io credo trovare anche in questo caso fede in lui; e benché
io non gli abbi comunicato questo inganno, e' se lo indovina, che gli è
cattivo bene, e veggo che si va accomodando.
_Si._ Eccolo.
_Ca._ Sta bene. Tira, va' a casa Messere Nicia, e digli che questa è la
medicina che ha a pigliare la donna dopo cena subito; e quanto prima
cena, tanto sarà meglio; e come noi saremo in sul canto ad ordine al
tempo, e' facci d'esservi. Va' ratto.
_Si._ I' vo.
_Ca._ Odi qua. Se vuole che tu l'aspetti, aspettalo, e vientene quivi
con lui; se non vuole, torna qui da me, dato che tu glien'hai e fatto
che tu gli avrai l'ambasciata.
_Si._ Messere sì.

[IV. 4]
CALLIMACO _solo._

Io aspetto che Ligurio torni col frate; e chi dice che egli è dura cosa
l'aspettare, dice el vero. Io scemo ad ognora dieci libbre pensando
dove io sono ora, e dove io potrei essere di qui a due ore, temendo che
non nasca qualche cosa che interrompa el mio disegno. Che se fusse,
e' fia l'ultima notte della vita mia, perché o io mi gitterò in Arno,
o io mi appiccherò, o io mi gitterò da quelle finestre, o io mi darò
d'un coltello in sullo uscio suo. Qualche cosa farò io perché io non
viva più. Ma io veggo Ligurio? Egli è desso, egli ha seco uno, che pare
sgrignuto, zoppo; e' fia certo el frate travestito. O frati! Conoscine
uno, e conoscigli tutti. Chi è quell'altro che si è accostato a loro?
E' mi pare Siro, che ara di già fatto l'ambasciata al dottore; egli è
desso. Io gli voglio aspettare qui per convenire con loro.

[IV. 5]
SIRO, LIGURIO, FRATE _travestito_, CALLIMACO.

_Si._ Chi è teco, Ligurio?
_Li._ Uno uom da bene.
_Si._ E' egli zoppo, o fa le vista?
_Li._ Bada ad altro.
_Si._ Oh! gli ha el viso del gran ribaldo!
_Li._ Deh, sta cheto; ché ci hai fracido! Ov'è Callimaco?
_Ca._ Io son qui. Voi siete e' benvenuti.
_Li._ O Callimaco, avvertisci questo pazzerello di Siro; egli ha detto
già mille pazzie.
_Ca._ Siro, odi qua: tu hai questa sera a fare tutto quello che ti dirÃ
Ligurio, e fa conto, quando e' ti comanda, che sia io; e ciò che tu
vedi, senti o odi, hai a tenere secretissimo, per quanto tu stimi la
roba, l'onore, la vita mia e il ben tuo.
_Si._ Cosi si farà .
_Ca._ Desti tu el bicchiere al dottore?
_Si._ Messere sì.
_Ca._ Che disse?
_Si._ Che sarà ora ad ordine di tutto.
_Fra._ È questo Callimaco?
_Ca._ Sono a' comandi vostri. Le proferte tra noi sien fatte; voi
avete a disporre di me e di tutte le fortune mia, come di voi.
_Fra._ Io l'ho inteso, e credolo, e sommi messo a fare quello per te,
che io non arei fatto per uomo del mondo.
_Ca._ Voi non perderete la fatica.
_Fra._ E' basta che tu mi voglia bene.
_Li._ Lasciamo stare le cerimonie. Noi andremo a travestirci, Siro ed
io. Tu, Callimaco, vien con noi, per potere ire a fare e' fatti tua.
El frate ci aspetterà qui; noi torneremo subito, e anderemo a trovare
Messere Nicia.
_Ca._ Tu di' bene, andiamo.
_Fra._ Vi aspetto.

[IV. 6]
FRATE _solo travestito._

E' dicono el vero quelli che dicono che le cattive compagnie conducono
gli uomini alle forche; e molte volte uno capita male, così per essere
troppo facile e troppo buono, come per essere troppo tristo. Dio sa che
io non pensava ad iniuriare persona, stavomi nella mia cella, dicevo
el mio ufizio, intrattenevo e' mia devoti; capitommi innanzi questo
diavolo di Ligurio, che mi fece intignere el dito in uno errore, donde
io vi ho messo el braccio, e tutta la persona, e non so ancora dove
io m'abbia a capitare. Pure mi conforto, che quando una cosa importa
a molti, molti ne hanno avere cura. Ma ecco Ligurio e quel servo che
tornano.

[ IV. 7]
FRATE, LIGURIO, SIRO.

_Fra._ Voi siate e' ben tornati.
_Li._ Stiam noi bene?
_Fra._ Benissimo.
_Li._ E' ci manca el dottore. Andiam verso casa sua; e' son più di tre
ore, andiam via?
_Si._ Chi apre l'uscio suo? È egli el famiglio?
_Li._ No: gli è lui. Ah, ah, ah, eh!
_Si._ Tu ridi?
_Li._ Chi non riderebbe? Egli ha un guarnacchino indosso, che non gli
cuopre el culo. Che diavolo ha egli in capo? E' mi pare un di questi
gufi de' canonici, e uno spadaccino sotto, ah, ah! e' borbotta non so
che; tiriamci da parte, e udiremo qualche sciagura della moglie.

[IV. 8]
MESSER NICIA _travestito._

Quanti lezii ha fatto questa mia pazza! Ell'ha mandato le fante a casa
la madre, e il famiglio in villa. Di questo io la laudo; ma io non la
lodo già , che innanzi che la ne sia voluta ire al letto, ell'abbi fatto
tante schifiltà . Io non voglio... Come farò io... Che mi fate voi
fare?... O me! mamma mia... E se non che la madre le disse il padre
del porro, la non entrava in quel letto. Che le venga la contina! Io
vorrei ben vedere le donne schizzinose, ma non tanto; ché ci ha tolta
la testa, cervello di gatta! Poi chi dicessi: impiccata sia la più
savia donna di Firenze, la direbbe: che t'ho io fatto? Io so che la
Pasquina entrerà in Arezzo, e innanzi che io mi parta da giuoco, io
potrò dire come Monna Ghinga: di veduta con queste mane. Io sto pur
bene! Chi mi conoscerebbe? Io paio maggiore, più giovane, più scarzo; e
non sarebbe donna che mi togliessi danari di letto. Ma dove troverò io
costoro?

[IV. 9]
LIGURIO, MESSERE MICIA, FRATE _travestito,_ SIRO.

_Li._ Buona sera, messere.
_Ni._ Oh, eh, eh!
_Li._ Non abbiate paura, no' sian noi.
_Ni._ Oh! voi siete tutti qui. Se io non vi conoscevo presto, io vi
davo con questo stocco el più diritto che io sapevo. Tu se' Ligurio? E
tu Siro? E quello altro, el Maestro? ah!
_Li._ Messere, sì.
_Ni._ Togli. Oh! s'è contraffatto bene, e non lo conoscerebbe. Va qua
tu.
_Li._ Io gli ho fatto mettere dua noce in bocca, perché non sia
conosciuto alla voce.
_Ni._ Tu se' ignorante.
_Li._ Perché?
_Ni._ Che non me'l dicevi tu prima? Ed are'mene messo anch'io dua, e
sai se l'importa non essere conosciuto alla favella.
_Li._ Togliete, mettetevi in bocca questo.
_Ni._ Che è ella?
_Li._ Una palla di cera.
_Ni._ Dalla qua, ca, pu, ca, co, co, cu, cu, spu. Che ti venga la
seccaggine, pezzo di manigoldo!
_Li._ Perdonatemi, che io ve ne ho data una in scambio, che io non me
ne sono avveduto.
_Li._ Ca, ca, pu, pu. Di che, che, che, era?
_Li._ D'aloe.
_Ni._ Sia in malora! spu, spu. Maestro, voi non dite nulla?
_Fra._ Ligurio mi ha fatto adirare.
_Ni._ Oh! voi contraffate ben la voce.
_Li._ Non perdiam più tempo qui. Io voglio essere el capitano, e
ordinare l'esercito per la giornata. Al destro corno sia preposto
Callimaco, al sinistro io, intra le due corna starà qui el dottore.
Siro fia retroguardo, per dare sussidio a quella banda che inclinassi.
El nome sia San Cucù.
_Ni._ Chi è San Cucù?
_Li._ È el più onorato santo che sia in Francia. Andian via, mettian l'
agguato a questo canto. State a udire: io sento un liuto.
_Ni._ Egli è esso. Che vogliam fare?
_Li._ Vuolsi mandare innanzi uno esploratore a scoprire chi egli è, e
secondo ei referirà , secondo faremo.
_Ni._ Chi v' andrà ?
_Li._ Va via, Siro. Tu sai quello hai a fare. Considera, esamina, torna
presto, referisci.
_Si._ Io vo.
_Ni._ Io non vorrei che noi pigliassimo un granchio, che fussi qualche
vecchio debole o infermiccio; e che questo giuoco si avesse a rifare
domandassera.
_Li._ Non dubitate, Siro è valente uomo. Eccolo, e' torna. Che truovi,
Siro?
_Si._ Egli è el più bel garzonaccio che voi vedessi mai. Non ha
venticinque anni, e viensene solo in pitocchino, sonando il liuto.
_Ni._ Egli è el caso, se tu di' el vero; ma guarda, che questa broda
sarebbe tutta gittata addosso a te.
_Si._ Egli è quel che io v' ho detto.
_Li._ Aspettiamo ch'egli spunti questo canto, e subito gli saremo
addosso.
_Ni._ Tiratevi in qua, maestro; voi mi parete un uom di legno. Eccolo.
_Ca._ «Venir ti possa el diavolo allo letto. Da poi che io non ci posso
venire io».
_Li._ Sta forte. Da' qua questo liuto.
_Ca._ Ohimè! che ho io fatto?
_Ni._ Tu el vedrai. Cuoprigli el capo, imbavaglialo.
_Li._ Aggiralo.
_Ni._ Dagli un'altra volta, dagliene un'altra, mettetelo in casa.
_Fra._ Messere Nicia, io m'andrò a riposare, che mi duole la testa, che
io muoio. E se non bisogna, io non tornerò domattina.
_Ni._ Sì, maestro, non tornate; noi potrem fare da noi.

[IV. 10]
FRATE _solo._

E' sono intanati in casa, e io me ne andrò al convento; e voi,
spettatori, non ci appuntate, perché in questa notte non ci dormirÃ
persona, sì che gli atti non sono interrotti dal tempo. Io dirò
l'uffizio. Ligurio e Siro ceneranno, che non hanno mangiato oggi, el
dottore andrà di camera in sala, perché la cucina vada netta. Callimaco
e madonna Lucrezia non dormiranno, perché io so se io fussi lui, e se
voi fussi lei, che noi non dormiremmo.
Canzone.

O dolce notte, oh sante
Ore notturne e quete,
Ch'i disiosi amanti accompagnate;
In voi s'adunan tante
Letizie, onde voi siete
Sole cagion di far l'alme beate.
Voi giusti premii date
All'amorose schiere
Delle lunghe fatiche,
Voi fate, o felici ore,
Ogni gelato petto arder d'amore.


[V. 1]
FRATE _solo._

Io non ho potuto questa notte chiudere occhio, tanto è il desiderio che
io ho d'intendere come Callimaco e gli altri l'abbiano fatto. Ed ho
atteso a consumare el tempo in varie cose: io dissi mattutino, lessi
una vita dei Santi Padri, andai in chiesa ed accesi una lampana che era
spenta, mutai uno velo ad una Madonna che fa miracoli. Quante volte
ho io detto a questi frati che la tenghino pulita! E si maravigliano
poi se la divozione manca. Io mi ricordo esservi cinquecento imagine,
e non ve ne sono oggi venti; questo nasce da noi, che non le abbiamo
saputa mantenere la reputazione. Noi vi solavamo ogni sera dopo la
compieta andare a processione, e farvi cantare ogni sabato le laude.
Botavanci noi sempre quivi, perché vi si vedessi delle imagine fresche;
confortavamo nelle confessioni gli uomini e le donne a botarvisi. Ora
non si fa nulla di queste cose, e poi ci maravigliamo se le cose vanno
fredde! Oh, quanto poco cervello è in questi mia frati! Ma io sento uno
grande romore da casa
Messere Nicia. Eccogli per mia fé; e' cavono fuori el prigione. Io
sarò giunto a tempo. Ben si sono indugiati alla sgocciolatura; e' si
fa appunto l' alba. Io voglio stare a udire quello che dicono, senza
scuoprirmi.

[V. 2]
MESSERE NICIA, LIGURIO, SIRO.

_Ni._ Piglialo di costà , ed io di qua; e tu, Siro, lo tieni per il
pitocco di drieto.
_Ca._ Non mi fate male.
_Li._ Non aver paura, va pur via.
_Ni._ Non andiam più là .
_Li._ Voi dite bene, lascialo ire qui. Diamgli due volte, che non sappi
donde el si sia venuto. Giralo, Siro.
_Si._ Ecco.
_Ni._ Giralo un'altra volta.
_Si._ Ecco fatto.
_Ca._ Il mio liuto.
_Li._ Via, ribaldo, tira via. S'i' ti sento favellare, io ti taglierò
il collo.
_Ni._ E' s'è fuggito, andianci a sbisacciare; e vuolsi che noi usciamo
fuora tutti a buon'ora, acciò che non si paia che noi abbiamo vegghiato
questa notte.
_Li._ Voi dite el vero.
_Ni._ Andate voi e Siro a trovare maestro Callimaco, e gli dite che la
cosa è proceduta bene.
_Li._ Che li possiamo noi dire? Noi non sappiamo nulla. Voi sapete che,
arrivati in casa, noi ce n'andamo nella volta a bere. Voi e la suocera
rimaneste alle mani seco, e non vi rivedemo mai, se non ora, quando voi
ci chiamasti per mandarlo fuora.
_Ni._ Voi dite el vero. Oh! io v'ho da dire le belle cose! Mogliema
era nel letto al buio. Sostrata m'aspettava al fuoco. I' giunsi su con
questo garzonaccio, e perché e' non andassi nulla in capperuccia, io
lo menai in una dispensa che io ho in sulla sala, dove era uno certo
lume annacquato, e gittava un poco d'albore, in modo che non mi poteva
vedere in viso.
_Li._ Saviamente.
_Ni._ Io lo feci spogliare, e' nicchiava; io me li volsi come un cane,
di modo che li parve mill'anni d'avere fuora e' panni, e rimase ignudo.
Egli è brutto di viso. Egli aveva uno nasaccio, una bocca torta; ma
tu non vedesti mai le più belìi carni! bianco, morbido, pastoso, e
dell'altre cose non ne domandate.
_Li._ E' non è bene ragionarne, che bisognava vederlo tutto.
_Ni._ Tu vuoi el giambo. Poi che aveva messo mano in pasta, io ne volsi
toccare il fondo; poi volsi vedere s'egli era sano: s'egli avessi auto
le bolle, dove mi trovavo io? Tu ci metti parole.
_Li._ Avete ragione voi.
_Ni._ Come io ebbi veduto che gli era sano, io me lo tirai drieto, ed
al buio lo menai in camera; messi al letto; e innanzi mi partissi,
volli toccare con mano come la cosa andava, che io non son uso ad
essermi dato ad intendere lucciole per lanterne.
_Li._ Con quanta prudenzia avete voi governata questa cosa!
_Ni._ Tocco e sentito che io ebbi ogni cosa, mi uscii di camera, e
serrai l'uscio, e me n'andai alla suocera, che era al fuoco, e tutta
notte abbiamo atteso a ragionare.
_Li._ Che ragionamenti sono stati e' vostri?
_Ni._ Della sciocchezza di Lucrezia, e quanto egli era meglio che
senza tanti andirivieni, ella avessi ceduto al primo. Dipoi ragionamo
del bambino, che me lo pare tuttavia avere in braccio, el naccherino!
tanto che io sentii sonare le tredici ore; e dubitando che il di non
sopraggiungessi, me n' andai in camera. Che direte voi che io non
poteva fare levare quel rubaldone?
_Li._ Credolo.
_Ni._ E' gli era piaciuto l'unto. Pure e' si levò, io vi chiamai e
l'abbiam condotto fuori.
_Li._ La cosa è ita bene.
_Ni._ Che dirai tu, che me ne incresce?
_Li._ Di che?
_Ni._ Di quel povero giovane, ch'egli abbi a morire si presto, e che
questa notte gli abbi a costare sì cara.
_Li._ Oh! voi avete e' pochi pensieri. Lasciatene la cura a lui.
_Ni._ Tu di' el vero. Ma mi pare bene milla anni di trovare maestro
Callimaco, e rallegrarmi seco.
_Li._ E' sarà fra un'ora fuora. Ma gli è chiaro el giorno; noi ci
andremo a spogliare; voi che farete?
_Ni._ Andronne anch'io in casa a mettermi e' panni buoni. Farò levare e
lavare la donna, e farolla venire alla Chiesa ad entrare in santo. Io
vorrei che voi e Callimaco fussi là , e che noi parlassimo al frate per
ringraziarlo, e ristorallo del bene che ci ha fatto.
_Li._ Voi dite bene, cosi si farà .

[V. 3]
FRATE _solo._

Io ho udito questo ragionamento, e m'è piaciuto, considerando quanta
sciocchezza sia in questo dottore; ma la conclusione ultima mi ha sopra
modo dilettato. E poiché debbono venire a trovarmi a casa, io non
voglio star più qui, ma aspettarli alla chiesa, dove la mia mercanzia
varrà più. Ma chi esce di quella casa? E' mi pare Ligurio, e con lui
debbe esser Callimaco. Io non voglio che mi veggano, per le ragione
dette; pure, quando e' non venissino a trovarmi, sempre sarò a tempo
andare a trovare loro.

[IV. 4]
CALLIMACO, LIGURIO

_Ca._ Come io t'ho detto, Ligurio mio, io stetti di mala voglia infino
alle nove ore; e benché io avessi grande piacere, e' non mi parve
buono. Ma poi che io me le fu' dato a conoscere, e che io l'ebbi dato
ad intendere l'amore che io le portava, e quanto facilmente, per
la semplicità del marito, noi potavamo vivere felici sanza infamia
alcuna, promettendole che, qualunque volta Dio facessi altro di lui,
di prenderla per donna; ed avendo ella, oltre alle vere ragione,
gustato che differenzia è dalla iacitura mia a quella di Nicia e da
baci d'uno amante giovane a quelli d'uno marito vecchio, dopo qualche
sospiro disse: poi che l'astuzia tua, la sciocchezza del mio marito,
la semplicità di mia madre e la tristizia del mio confessoro mi hanno
condotta a fare quello che mai per me medesima arei fatto, io voglio
iudicare che e' venga da una celeste disposizione che abbi voluto così,
e non sono sufficiente a ricusare quello che el cielo vuole che io
accetti. Però io ti prendo per signore, padrone, guida; tu mio padre,
tu mio difensore, e tu voglio che sia ogni mio bene; e quello che 'l
mio marito ha voluto per unasera, voglio ch'egli abbia sempre. Faraiti
adunque suo compare, e verrai questa mattina alla Chiesa, e di quivi
ne verrai a desinare con esso noi; e l'andare e lo stare starà a te, e
potremo ad ogni ora e senza sospetto convenire insieme. Io fui, udendo
queste parole, per morirmi per la dolcezza. Non potetti respondere alla
minima parte di quello che io arei desiderato. Tanto che io mi truovo
el più felice e contento uomo che fussi mai nel mondo; e se questa
felicità non mi mancassi, o per morte o per tempo, io sarei più beato
ch'e' beati, più santo che e' santi.
_Li._ Io ho gran piacere d'ogni tuo bene, e ètti intervenuto quello che
io ti dissi appunto. Ma che facciamo noi ora?
_Ca._ Andiamo verso la chiesa, perché io le promisi d'essere là , dove
la verrà lei, la madre e il dottore.
_Li._ Io sento toccare l'uscio suo: le sono esse, ed escono fuora, ed
hanno el dottore drieto.
_Ca._ Avvianci in chiesa, e là aspetteremo.

[V. 5]
MESSERE NICIA, LUCREZIA, SOSTRATA.

_Ni._ Lucrezia, io credo che sia bene fare le cose con timore di Dio, e
non alla pazzaresca.
_Lu._ Che s'ha egli a fare ora?
_Ni._ Guarda come ella risponde! La pare un gallo.
_So._ Non ve ne maravigliate, ella è un poco alterata.
_Lu._ Che volete voi dire?
_Ni._ Dico che egli è bene che io vada innanzi a parlare al frate, e
dirli che ti si facci incontro in sullo uscio della chiesa per menarti
in santo, perché gli è proprio stamane come se tu rinascessi.
_Lu._ Che non andate?
_Ni._ Tu se' stamane molto ardita! Ella pareva iersera mezza morta.
_Lu._ Egli è la grazia vostra.
_So._ Andate a trovare el frate. Ma e' non bisogna, egli è fuora di
chiesa.
_Ni._ Voi dite el vero.

[V. 6]
FRATE, MESSERE NICIA, LUCREZIA, CALLIMACO, LIGURIO, SOSTRATA.

_Fra._ Io vengo fuora, perché Callimaco e Ligurio m'hanno detto che el
dottore e le donne vengono alla chiesa.
_Ni. Bona dies,_ Padre.
_Fra._ Voi siate le benvenute, e buon pro vi faccia, madonna, che Dio
vi dia a fare un bel figliuolo maschio.
_Lu._ Dio el voglia.
_Fra._ E' lo vorrà in ogni modo.
_Ni._ Veggo in chiesa Ligurio e maestro Callimaco?
_Fra._ Messere sì.
_Ni._ Accennateli.
_Fra._ Venite.
_Ca._ Dio vi salvi.
_Ni._ Maestro, toccate la mano qui alla donna mia.
_Ca._ Volentieri.
_Ni._ Lucrezia, costui è quello che sarà cagione che noi aremo un
bastone che sostenga la nostra vecchiezza.
_Lu._ Io l'ho molto caro, e vuoisi che sia nostro compare.
_Ni._ Or benedetta sia tu! E voglio che lui e Ligurio venghino stamani
a desinare con esso noi.
_Lu._ In ogni modo.
_Ni._ E vo' dare loro la chiave della camera terrena d'in sulla loggia,
perché possino tornarsi quivi a lor comodità , che non hanno donne in
casa, e stanno come bestie.
_Ca._ Io l'accetto, per usarla quando mi accaggia.
_Fra._ Io ho avere e' danari per la limosina?
_Ni._ Ben sapete come, _domine,_ oggi vi si manderanno.
_Li._ Di Siro non è uomo che si ricordi!
_Ni._ Chiegga, ciò che io ho è suo. Tu, Lucrezia, quanti grossoni hai a
dare al frate per entrare in santo?
_Lu._ Dategliene dieci.
_Ni._ Affogaggine!
_Fra._ Voi, madonna Sostrata, avete, secondo mi pare, messo un tallo in
sul vecchio.
_So._ Chi non sarebbe allegra?
_Fra._ Andianne tutti in chiesa, e quivi diremo l'orazione ordinaria;
dipoi, dopo l'ufficio, ne andrete a desinare a vostra posta. Voi,
aspettatori, non aspettate che noi usciamo più fuora, l' ufficio è
lungo, e io mi rimarrò in chiesa, e loro per l' uscio del fianco se ne
andranno a casa. _Valete._


CLIZIA

Canzone
cantata da una ninfa e da due pastori.
Quanto sie lieto il giorno,
Che le memorie antiche
Fa ch'or per me sien mostre e celebrate,
Si vede, perché intorno
Tutte le genti amiche
Si sono in questa parte raunate.
Noi, che la nostra etate
Ne' boschi e nelle selve consumiamo,
Venuti ancor qui siamo,
Io ninfa, e noi pastori,
E giam cantando insieme e' nostri amori.
Chiari giorni e quieti,
Felice e bel paese,
Dove del nostro canto il suon s'udia;
Pertanto allegri e lieti,
A queste vostre imprese
Farem col cantar nostro compagnia.
Con si dolce armonia,
Qual mai sentita più non fu da voi;
E partiremei poi,
Io ninfa, e noi pastori,
E torneremei a' nostri antichi amori.

PROLOGO

Se nel mondo tornassero i medesimi uomini, come tornano i medesimi
casi, non passerebbero mai cento anni, che noi non ci trovassimo
un'altra volta insieme a fare le medesime cose, che ora. Questo si
dice, perché già in Atene, nobile ed antichissima città in Grecia, fu
uno gentiluomo, al quale, non avendo altri figliuoli che uno ma schio,
capitò a sorte una piccola fanciulla in casa, la quale da lui infino
all'età di diciassette anni fu onestissimamente allevata. Occorse
dipoi, che in un tratto egli e il figliuolo se ne innamorarono, nella
concorrenza del quale amore assai casi e strani accidenti nacquero, i
quali trapassati, il figliuolo la prese per donna, e con quella gran
tempo felicissimamente visse. Che direte voi, che questo medesimo
caso pochi anni sono seguì ancora in Firenze? E volendo questo nostro
autore l'uno delli dua rappresentarvi, ha eletto il Fiorentino,
giudicando che voi siate per prendere maggiore piacere di questo che
di quello. Perché Atene è rovinata, le vie, le piazze, i luoghi non
vi si riconoscono. Dipoi quelli cittadini parlavano in greco; e voi
quella lingua non intendereste. Prendete pertanto il caso seguito in
Firenze, e non aspettate di riconoscere o il casato, o gli uomini,
perché lo autore, per fuggire carico, ha convertiti i nomi veri in nomi
finti. Vuol bene che, avanti che la commedia cominci, voi veggiate
le persone, acciocché meglio nel recitarla le conosciate. Uscite
qua fuora tutti, che il popolo vi vegga. Eccoli. Vedete come e' ne
vengono soavi? Ponetevi costi in fila l'uno propinquo all'altro. Voi
vedete: quel primo è Nicomaco, un vecchio tutto pien d'amore. Quello
che gli è a lato, è Cleandro, suo figliuolo e suo rivale. L'altro si
chiama Palamede, amico a Cleandro. Quelli due che seguono, l'uno è
Pirro servo, l'altro è Eustachio fattore, dei quali ciascuno vorrebbe
essere marito della dama del suo padrone. Quella donna che vien poi,
è Sofronia, moglie di Nicomaco. Quella appresso è Doria sua servente.
Di quelli ultimi duoi che restano, l'uno è Damone, l'altra è Sostrata
sua donna. Ecci un'altra persona, la quale per avere a venire ancora da
Napoli, non vi si mostrerà . Io credo che basti, e che voi gli abbiate
veduti assai. Il popolo vi licenzia; tornate drento. Questa favola
si chiama Clizia, perché cosi ha nome la fanciulla che si combatte.
Non aspettate di vederla, perché Sofronia, che l'ha allevata, non
vuole per onestà che la venga fuora. Pertanto se ci fusse alcuno che
la vagheggiasse, avrà pazienza. E' mi resta a dirvi come lo autore
di questa commedia è uomo molto costumato, e saprebbegli male, se vi
paresse nel vederla recitare, che ci fusse qualche disonestà . Egli
non crede che la ci sia: pure quando e' paresse a voi, si escusa in
questo modo. Sono trovate le commedie per giovare, e per dilettare agli
spettatori. Giova veramente assai a qualunque uomo, e massimamente
ai giovanetti, conoscere l'avarizia d'un vecchio, il furore di uno
innamorato, gl'inganni di un servo, la gola d'uno parasito, la miseria
di un povero, l'ambizione di un ricco, le lusinghe di una meretrice, la
poca fede di tutti gli uomini; de' quali esempi le commedie sono piene,
e possonsi tutte queste cose con onestà grandissima rappresentare.
Ma volendo dilettare, è necessario muovere gli spettatori a riso, il
che non si può fare mantenendo il parlare grave e severo; perché le
parole che fanno ridere, sono, o sciocche, o ingiuriose, o amorose.
È necessario pertanto rappresentare persone sciocche, malediche, o
innamorate, e perciò quelle commedie, che sono piene di queste tre
qualità di parole, sono piene di risa; quelle che ne mancano, non
trovano chi con il ridere le accompagni. Volendo adunque questo nostro
autore dilettare, e fare in qualche parte gli spettatori ridere, non
inducendo in questa sua commedia persone sciocche, ed essendosi
rimasto di dire male, è stato necessitato ricorrere alle persone
innamorate ed agli accidenti che nell'amore nascono. Dove se fia cosa
alcuna non onesta, sarà in modo detta, che queste donne potranno
senza arrossire ascoltarla. Siate contenti adunque prestarci gli
orecchi benigni, e se voi ci satisfarete ascoltando, noi ci sforzeremo
recitando satisfare a voi.

CLEANDRO.
PALAMEDE.
NICOMACO.
PIRRO.
EUSTACHIO.
SOFRONIA.
DAMONE.
DORIA.
SOSTRATA.
RAMONDO.
_La scena è in Firenze._

[I. 1].
PALAMEDE _e_ OLEANDRO.

_Pa._ Tu esci si a buon'ora di casa.
_Cle._ Tu donde vieni si a buon'ora?
_Pa._ Da fare una mia faccenda.
_Cle._ E io vo a farne un'altra, o, a dir meglio, a cercare di farla;
perché se io la farò non ho certezza alcuna.
_Pa._ È ella cosa che si possa dire?
_Cle._ Non so; ma io so bene ch'ella è cosa che con difficultà si può
fare.
_Pa._ Orsù, io me ne voglio ire, ch'io veggo come lo stare accompagnato
t'infastidisce; e per questo io ho sempre fuggito la pratica tua,
perché sempre ti ho trovato mal disposto e fantastico.
_Cle._ Fantastico no, ma innamorato sì.
_Pa._ Togli, tu mi racconci la cappellina in capo.
_Cle._ Palamede mio, tu non sai mezze le messe. Io sono sempre vivuto
disperato, ed ora vivo più che mai.
_Pa._ Come così?
_Cle._ Quello che io t'ho celato per lo addietro, ti voglio manifestare
ora, poi ch'io mi sono ridotto al termine che mi bisogna soccorso da
ciascuno.
_Pa._ Se io stavo mal volentieri teco in prima, io starò peggio ora,
perch'io ho sempre inteso che tre sorte di uomini si debbono fuggire,
cantori, vecchi ed innamorati. Perché se usi con un cantore, e narrigli
un tuo fatto, quando tu credi che t'oda, ei ti spicca uno _ut, re, mi,
fa, sol, la,_ e gorgogliasi una canzonetta in gola. Se tu sei con uno
vecchio, e' ficca il capo in quante chiese e' truova, e va a tutti gli
altari a borbottare un paternostro. Ma di questi duoi io innamorato
è peggio; perché non basta che, se tu gli parli, ei pone una vigna,
che ei t'empie gli orecchi di rammarichìi e di tanti suoi affanni che
tu sei forzato a moverti a compassione. Perché s'egli usa con una
cantoniera, o ella lo assassina troppo, o ella l'ha cacciato di casa:
sempre vi è qualcosa che dire. S'egli ama una donna da bene, mille
invidie, mille gelosie, mille dispetti lo perturbano; mai non vi manca
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