La mandragola - La Clizia - Belfagor - 2

non può essere più appropriato.
_Ni._ Cotesta non fia molto gran cosa. Ordinatela in ogni modo; io
gliene farò pigliare.
_Ca._ E' bisogna ora pensare a questo: che quell'uomo che ha prima a
fare seco, presa che l'ha cotesta pozione, muore infra otto giorni, e
non lo camperebbe el mondo.
_Ni._ Cacasangue! io non voglio cotesta suzzacchera; a me non
l'appiccherai tu. Voi mi avete concio bene.
_Ca._ State saldo, e' ci è remedio.
_Ni._ Quale?
_Ca._ Fare dormire subito con lei un altro che tiri, standosi seco una
notte, a sé tutta quella infezione della mandragola. Dipoi vi iacerete
voi senza periculo. _Ni._ Io non vo' far cotesto.
_Ca._ Perché?
_Ni._ Perché io non vo' far ia mia donna femmina, e me becco.
_Ca._ Che dite voi, dottore? Oh, io non v' ho per savio come io
credetti. Si che voi dubitate di fare quello che ha fatto el re di
Francia e tanti signori quanti sono là ?
_Li._ Chi volete voi ch'io truovi che facci cotesta pazzia? Se io
gliene dico, e' non vorrà ; se io non gliene dico, io lo tradisco, ed è
caso da Otto; io non ci voglio capitare sotto male.
_Ca._ Se non vi dà briga altro che cotesto, lasciatene la cura a me.
_Ni._ Come si farà ?
_Ca._ Dirovvelo: io vi darò la pozione questa sera dopo cena; voi
gliene darete bere, e subito la metterete nel letto, che fieno circa
a quattro ore di notte. Dipoi ci travestiremo, voi, Ligurio, Siro ed
io, e andrencene cercando in Mercato Nuovo, in Mercato Vecchio, per
questi canti; e il primo garzonaccio che noi troviamo scioperato, lo
imbavaglieremo, e a suon di mazzate lo condurremo in casa, e in camera
vostra al buio. Quivi lo metteremo nel letto, direngli quello che abbia
a fare, né ci fia difficultà veruna. Dipoi, la mattina, ne manderete
colui innanzi di, farete lavare la vostra donna, starete con lei a
vostro piacere e senza pericolo. _Ni._ Io son contento, poi che tu
di' che e re e principi e signori hanno tenuto questo modo; ma sopra a
tutto che non si sappia per amore degli Otto.
_Ca._ Chi volete voi che 'l dica?
_Ni._ Una fatica ci resta, e d'importanza.
_Ca_ Quale?
_Ni._ Farne contenta mogliema, a che io non credo che la si disponga
mai.
_Ca._ Voi dite el vero. Ma io non vorrei innanzi essere marito, se io
non la disponessi a fare a mio modo.
_Li._ Io ho pensato el rimedio.
_Ni._ Come?
_Li._ Per via del confessoro.
_Ca._ Chi disporrà el confessoro?
_Li._ Tu, io, e' danari, la cattività nostra, loro.
_Ni._ Io dubito, che altro che per mio detto la non voglia ire a
parlare al confessoro.
_Li._ Ed anche a cotesto è remedio.
_Ca._ Dimmi!
_Li._ Farvela condurre alla madre.
_Ni._ La le presta fede.
_Li._ Ed io so che la madre è della opinione nostra. Orsù, avanziamo
tempo, che si fa sera. Vatti, Callimaco, a spasso, e fa che alle dua
ore noi ti troviamo in casa con la pozione ad ordine. Noi n'andremo a
casa la madre, el dottore ed io, a disporla, perché è mia nota. Poi
n'andremo al frate, e vi ragguaglieremo di quello che noi aremo fatto.
_Ca._ Deh! non mi lasciare solo.
_Li._ Tu mi pari cotto.
_Ca._ Dove vuoi tu che io vada ora?
_Li._ Di là , di qua, per questa via, per quell'altra; egli è si grande
Firenze.
_Ca._ Io son morto.

Canzone.
Quanto felice sia ciascun sel vede,
Chi nasce sciocco ed ogni cosa crede.
Ambizione nol preme,
Non muove il timore,
Che sogliono esser seme
Di noia e di dolore.
Questo vostro dottore,
Bramando aver figliuoli,
Crederia ch'un asin voli;
E qualunque altro ben posto ha in oblio
E solo in questo ha posto il suo desìo.


[III. 1]

SOSTRATA, MESSER NICIA, LIGURIO.

_So._ Io ho sempre mai sentito dire che egli è uffizio d'un prudente
pigliare de' cattivi partiti el migliore. Se ad avere figliuoli voi
non avete altro rimedio, e questo si vuole pigliarlo, quando e' non si
gravi la coscienza.
_Ni._ Egli è cosi.
_Li._ Voi ve ne andrete a trovare la vostra figliuola, e Messere ed io
andremo a trovare fra Timoteo suo confessore, e narreremgli el caso,
acciò che non abbiate a dirlo. Voi vedrete quello che vi dirà .
_So._ Cosi sarà fatto. La via vostra è di costà ; e io vo a trovare la
Lucrezia, e la merrò a parlare al frate ad ogni modo.

[III. 2]
MESSER NICIA, LIGURIO.

_Ni._ Tu ti maravigli forse, Ligurio, che bisogni fare tante storie
a disporre mogliema; ma se tu sapessi ogni cosa, tu non te ne
maraviglieresti.
_Li._ Io credo che sia, perché tutte le donne son sospettose.
_Ni._ Non è cotesto. Ell'era la più dolce persona del mondo e la più
facile; ma sendole detto da una sua vicina, che s'ella si botava di
udire quaranta mattine la prima messa de' Servi, che la impregnerebbe,
la si botò, e andovvi forse venti mattine. Ben sapete che un di quei
fratacchioni li cominciorno a dare datorno, in modo che la non vi volse
più tornare. Egli è pure male però, che quelli che ci arebbono a dare
buoni esempli, sien fatti cosi. Non dich'io el vero?
_Li._ Come diavolo, se egli è vero!
_Ni._ Da quel tempo in qua ella sta in orecchi come la lepre; e come se
le dice nulla, ella vi fa drento mille difficultà .
_Li._ Io non mi maraviglio più; ma quel boto come si adempié?
_Ni._ Fecesi dispensare.
_Li._ Sta bene. Ma datemi, se voi avete, venticinque ducati; ché
bisogna in questi casi spendere, e farsi amico al frate presto, e
dargli speranza di meglio.
_Ni._ Pigliali pure; questo non mi dà briga, io farò masserizia altrove.
_Li._ Questi frati son trincati, astuti, ed è ragionevole, perchè e'
sanno e' peccati nostri e' loro; e chi non è pratico con essi, potrebbe
ingannarsi, e non gli sapere condurre a suo proposito. Pertanto io non
vorrei che voi nel parlare guastaste ogni cosa, perché un vostro pari,
che sta tutto il dì nello studio, s'intende di quelli libri, e delle
cose del mondo non sa ragionare. (Costui è sì sciocco, che io ho paura
non guastassi ogni cosa).
_Ni._ Dimmi quello che tu vuoi che io faccia.
_Li._ Che voi lasciate parlare a me, e non parliate mai, s'io non vi
accenno.
_Ni._ Io son contento. Che cenno farai tu?
_Li._ Chiuderò un occhio, morderommi el labbro. Deh! no. Facciamo
altrimenti. Quanto è egli che voi non parlaste al frate?
_Ni._ È più di dieci anni.
_Li._ Sta bene: Io gli dirò che voi siate assordato, e voi non
risponderete, e non direte mai cosa alcuna, se noi non parliamo forte.
_Ni._ Così farò.
_Li._ Non vi dia briga che io dica qualche cosa che vi paia disforme a
quello che noi vogliamo, perché tutto tornerà a proposito.
_Ni._ In buona ora.

[III. 3]
FRATE TIMOTEO, _una_ DONNA.

_Fra._ Se voi vi volessi confessare, io farò ciò che voi volete.
_Do._ Non per oggi; io sono aspettata; e' mi basta essermi sfogata un
poco così ritta ritta. Avete voi detto quelle messe della Nostra Donna?
_Fra._ Madonna sì.
_Do._ Togliete ora questo fiorino, e direte dua mesi ogni lunedi la
messa dei morti per l'anima del mio marito. E ancora che fussi uno
omaccio, pure le carne tirono; io non posso fare non mi risenta quando
io me ne ricordo. Ma credete voi che sia in purgatorio?
_Fra._ Senza dubbio.
_Do._ Io non so già cotesto. Voi sapete pure quello che mi faceva
qualche volta. Oh, quanto me ne dolsi io con esso voi. Io me ne
discostavo quanto io poteva; ma egli era si importuno. Uh! nostro
Signore.
_Fra._ Non dubitate, la clemenzia di Dio è grande; se non manca all'uom
la voglia, non gli manca mai el tempo a pentirsi.
_Do._ Credete voi che 'l Turco passi questo anno in Italia?
_Fra._ Se voi non fate orazione, sì.
_Do._ Naffe! Dio ci aiuti con queste diavolerie: io ho una gran paura
di quello impalare. Ma io veggo qua in chiesa una donna che ha certa
accia di mio; io vo' ire a trovarla. Frate, col buon di.
_Fra._ Andate sana.

[III. 4]
FRATE TIMOTEO, MESSER NICIA.

_Fra._ Le più caritative persone che sieno son le donne, e le più
fastidiose. Chi le scaccia, fugge e' fastidii e l'utile; chi le
intrattiene ha l'utile e' fastidii insieme. Ed è el vero che non è
il mele sanza le mosche. Che andate voi facendo, uomini da bene? Non
riconosco io Messer Nicia?
_Li._ Dite forte, ché egli è in modo assordato che non ode più nulla.
_Fra._ Voi siate el ben venuto, messere.
_Li._ Più forte.
_Fra._ El ben venuto.
_Ni._ El ben trovato, padre!
_Fra._ Che andate voi facendo?
_Ni._ Tutto bene.
_Li._ Volgete el parlare a me, padre, perché voi, a volere che vi
intendessi, aresti a mettere a romore questa piazza.
_Fra._ Che volete voi da me?
_Li._ Qui Messere Nicia e un altro uom da bene, che voi intenderete
poi, hanno a fare distribuire in limosine parecchi centinaia di ducati.
_Ni._ Cacasangue!
_Li._ (Tacete in malora, e' non fien molti). Non vi maravigliate,
padre, di cosa che dica, ché non ode, e pargli qualche volta udire, e
non risponde a proposito.
_Fra._ Seguita pure, e lasciali dire ciò che vuole.
_Li._ De' quali danari io ne ho una parte meco, ed hanno disegnato, che
voi siate quello che le distribuiate.
_Fra._ Molto volentieri.
_Li._ Ma egli è necessario, prima che questa limosina si faccia, che
voi ci aiutate d'un caso strano intervenuto a Messere, e solo voi
potete aiutare, dove ne va al tutto l'onore di casa sua.
_Fra._ Che cosa è?
_Li._ Io non so se voi conosceste Cammillo Calfucci, nipote qui di
messere.
_Fra._ Si conosco.
_Li._ Costui n'andò per certe sua faccende uno anno fa in Francia; e
non avendo donna, che era morta, lasciò una sua figliuola da marito in
serbanza in uno munistero, del quale non accade dirvi ora el nome.
_Fra._ Che è seguito?
_Li._ È seguito, che o per stracurataggine delle monache o per
cervellinaggine della fanciulla, la si truova gravida di quattro mesi;
di modo che, se non si ripara con prudenza, el dottore, le monache, la
fanciulla, Cammillo, la casa de' Calfucci è vituperata; ed il dottore
stima tanto questa vergogna, che s'è botato, quando la non si palesi,
dare trecento ducati per l'amore di Dio.
_Ni._ Che chiacchiera!
_Li._(State cheto). E daragli per le vostre mane, e voi solo e la
badessa ci potete rimediare.
_Fra._ Come?
_Li._ Persuadere alla badessa, che dia una pozione alla fanciulla per
farla sconciare.
_Fra._ Cotesta è cosa da pensarla.
_Li._ Guardate, nel fare questo, quanti beni ne resulta. Voi mantenete
l'onore al monistero, alla fanciulla, a' parenti, rendete al padre una
figliuola, satisfate qui a messere, a tanti sua parenti, fate tante
elemosine quante con questi trecento ducati potete fare; e dall'altro
canto voi non offendete altro che un pezzo di carne non nata, senza
senso, che in mille modi si può sperdere; ed io credo che quello sia
bene, che facci bene a' più, e che e' più se ne contentino.
_Fra._ Sia col nome di Dio. Faccisi ciò che volete, e per Dio e per
carità sia fatto ogni cosa. Ditemi el munistero, datemi la pozione, e
se vi pare, cotesti danari, da potere cominciare a fare qualche bene.
_Li._ Or mi parete voi quello religioso che io credevo che voi fussi.
Togliete questa parte dei danari. El munistero è…... Ma aspettate, egli
è qua in chiesa una donna che m'accenna; io torno ora ora, non vi
partite da Messer Nicia, io le vo' dire dua parole.

[III. 5]
FRATE, NICIA.

_Fra._ Questa fanciulla che tempo ha?
_Ni._ Io strabilio.
_Fra._ Dico, quanto tempo ha questa fanciulla?
_Ni._ Mal che Dio li dia.
_Fra._ Perché?
_Ni._ Perché e' se lo abbia.
_Fra._ E' mi par essere nel gagno. Io ho a fare con un pazzo e con
un sordo. L'un si fugge, l'altro non ode. Ma se questi non sono
quarteruoli, io ne farò meglio di loro. Ecco Ligurio, che torna in qua.

[III. 6]
LIGURIO, FRATE, NICIA.

_Li._ State cheto, Messere; oh, io ho la gran nuova, padre!
_Fra._ Quale?
_Li._ Quella donna con chi io ho parlato, mi ha detto che quella
fanciulla si è sconcia per sé stessa.
_Fra._ Bene, questa limosina andrà alla Grascia.
_Li._ Che dite voi?
_Fra._ Dico che voi tanto più doverrete fare questa limosina.
_Li._ La limosina si farà , quando voi vogliate; ma e' bisogna, che voi
facciate un'altra cosa in benefizio qui del dottore.
_Fra._ Che cosa è?
_Li._ Cosa di minor carico, di minore scandolo, più accetta a noi, più
utile a voi.
_Fra._ Che è? Io son in termine con voi, e parmi avere contratta tale
dimestichezza, che non è cosa che io non facessi.
_Li._ Io ve lo vo' dire in chiesa da me e voi, e el dottore fia
contento di aspettare qui. Noi torniamo ora.
_Ni._ Come disse la botta all'erpice.
_Fra._ Andiamo.

[III. 7]
NICIA _solo._

È egli di dì, o di notte? son io desto, o sogno? Son io imbriaco, e
non ho beuto ancora oggi, per ire drieto a queste chiacchiere? Noi
rimanghiam di dire al frate una cosa, e' ne dice un'altra; poi volle
che io facessi el sordo, e bisognava che io m'impeciassi gli orecchi
come el Danese, a volere che io non avessi udito le pazzie che egli
ha dette, e Dio el sa a che proposito! lo mi truovo meno venticinque
ducati, e del fatto mio non s'è ancora ragionato, ed ora m'hanno qui
posto, come un zugo, a piuolo. Ma eccogli che tornano, in malora per
loro, se non hanno ragionato del fatto mio.

[III. 8]
FRATE, LIGURIO, NICIA.

_Fra._ Fate che le donne venghino. Io so quello che io ho a fare; e se
l'autorità mia varrà , noi concluderemo questo parentado questa sera.
_Lig._ Messer Nicia, fra Timoteo è per fare ogni cosa. Bisogna vedere
che le donne vengano.
_Ni._ Tu mi ricrei tutto quanto. Fia egli maschio?
_Li._ Maschio.
_Ni._ Io lacrimo per la tenerezza.
_Fra._ Andatevene in Chiesa, io aspetterò qui le donne. State in lato
che le non vi vegghino; e partite che le fieno, vi dirò quello che
l'hanno detto.

[III. 9]
FRATE TIMOTEO _solo._

Io non so chi s'abbi giuntato l'un l'altro. Questo tristo Ligurio ne
venne a me con quella prima novella per tentarmi, acciò, se io non
gliene consentiva, non mi arebbe detta questa, per non palesare e'
disegni loro senza utile, e di quella che era falsa non si curavono.
Egli è vero che io ci sono stato giuntato; nondimeno questo giunto
è con mio utile. Messer Nicia e Callimaco son ricchi, e da ciascuno
per diversi rispetti sono per trarre assai; la cosa conviene che stia
segreta, perché l'importa cosi a loro a dirla, come a me. Sia come
si voglia, io non me ne pento. È ben vero che io dubito non ci avere
difficultà , perché madonna Lucrezia è savia e buona; ma io la giugnerò
in sulla bontà . E tutte le donne hanno poco cervello; e come n'è una
che sappia dire dua parole, e' se ne predica, perché in terra di ciechi
chi v'ha un occhio è signore. Ed eccola con la madre, la quale è bene
una bestia, e sarammi un grande aiuto a condurla alle mie voglie.

[III. 10]
SOSTRATA, LUCREZIA.

_So._ Io credo che tu creda, figliuola mia, che io stimi l'onore tuo
quanto persona del mondo, e che io non ti consigliassi di cosa che non
stessi bene. Io t'ho detto e ridicoti, che se fra Timoteo ti dice che
non ci sia carico di coscienza che tu lo faccia senza pensarvi.
_La._ Io ho sempre mai dubitato, che la voglia che Messere Nicia ha
d'avere figliuoli non ci faccia fare qualche errore: e per questo,
sempre che lui mi ha parlato d'alcuna cosa, io ne sono stata in gelosia
e sospesa, massime poi che m'intervenne quello voi sapete per andare a'
Servi. Ma di tutte le cose che si son tentate, questa mi pare la più
strana, di avere a sottomettere el corpo mio a questo vituperio, ad
essere cagione che un uomo muoia per vituperarmi; che io non crederei,
se io fussi sola rimasa nel mondo, e da me avessi a risurgere l'umana
natura, che mi fussi simile partito concesso.
_So._ Io non ti so dire tante cose, figliuola mia. Tu parlerai al
frate, vedrai quello che ti dirà , e farai quello che tu dipoi sarai
consigliata da lui, da noi e da chi ti vuole bene.
_Lu._ Io sudo per la passione.

[III. 11]
FRATE, LUCREZIA, SOSTRATA.

_Fra._ Voi siate le ben venute. Io so quello che voi volete intendere
da me, perché Messere Nicia m'ha parlato. Veramente io son stato in su'
libri più di due ore a studiare questo caso; e dopo molte esamine, io
truovo di molte cose, che e in particulare e in generale fanno per noi.
_La._ Parlate voi davvero, o motteggiate?
_Fra._ Ah! madonna Lucrezia, son queste cose da motteggiare? Avetemi
voi a conoscere ora?
_La._ Padre no; ma questa mi pare la più strana cosa che mai si udisse.
_Fra._ Madonna, io ve lo credo, ma io non voglio che voi diciate
più cosi. E' sono molte cose, che discosto paiano terribile,
insopportabile, strane; e quando tu ti appressi loro, le riescono
umane, sopportabile, dimestiche; e però si dice che sono maggiori li
spaventi ch'e' mali; e questa è una di quelle.
_La._ Dio el voglia.
_Fra._ Io voglio tornare a quello che io diceva prima. Voi avete,
quanto alla coscienzia, a pigliare questa generalità , che dove è un ben
certo e un male incerto, non si debbe mai lasciare quel bene per paura
di quel male. Qui è un bene certo, che voi ingraviderete, acquisterete
una anima a Messer Domenedio; el male incerto è, che colui che iacerÃ
dopo la pozione con voi, si muoia. Ma e' si truova anche di quelli che
non muoiono; ma perché la cosa è dubbia, però è bene che Messer Nicia
non incorra in quel periculo. Quanto all' atto che sia peccato, questo
è una favola, perché la volontà è quella che pecca, non el corpo; e
la cagione del peccato è dispiacere al marito, e voi li compiacete;
pigliarne piacere, e voi ne avete dispiacere. Oltra di questo, el fine
se ha a riguardare in tutte le cose. Il fine vostro si è riempiere una
sedia in paradiso, contentare el marito vostro. Dice la Bibbia, che le
figliole di Lotto, credendosi essere rimase sole nel mondo, usarono con
el padre; e perché la loro intenzione fu buona, non peccarono.
_Lu._ Che cosa mi persuadete voi?
_So._ Lasciati persuadere, figliuola mia. Non vedi tu che una donna che
non ha figliuoli, non ha casa? Muorsi el marito, resta come una bestia
abbandonata da ognuno.
_Fra._ Io vi giuro, madonna, per questo petto sacrato, che tanta
coscienzia vi è ottemperare in questo caso al marito vostro, quanto
vi è mangiare carne el mercoledì, che è un peccato, che se ne va con
l'acqua benedetta.
_Lu._ A che mi conducete voi, padre?
_Fra._ Conducovi a cose, che voi sempre arete cagione di pregare Dio
per me; e più vi satisfarà questo altro anno che ora.
_So._ Ella farà ciò che voi vorrete. Io la voglio mettere stasera al
letto io. Di che hai tu paura, moccicona? E' c'è cinquanta donne in
questa terra che ne alzerebbero le mani al cielo.
_La._ Io son contenta; ma non credo mai essere viva domattina.
_Fra._ Non dubitare, figliuola mia, io pregherò Dio per te, io dirò
l'orazione dell'agnol Raffaello, che t'accompagni. Andate in buona ora,
e preparatevi a questo misterio, che si fa sera.
_So._ Rimanete in pace, padre.
_Lu._ Dio m'aiuti e la nostra Donna, che io non capiti male.

[III. 12]
FRATE, LIGURIO, MESSER NICIA.

_Fra._ O Ligurio, uscite qua.
_Li._ Come va?
_Fra._ Bene. Le sono ite a casa disposte a fare ogni cosa, e non ci fia
difficultà , perché la madre si andrà a stare seco, e vuolla mettere a
letto lei.
_Ni._ Dite voi el vero?
_Fra._ Bembé, voi siete guarito del sordo.
_Li._ San Chimenti gli ha fatto grazia.
_Fra._ E' si vuol porvi una immagine per rizzarvi un poco di
baccanella, acciò che io abbia fatto questo guadagno con voi.
_Ni._ Noi entriamo in cetere. Farà la donna difficultà di fare quel che
io voglio?
_Fra._ Non, vi dico.
_Ni._ Io sono el più contento uomo del mondo.
_Fra._ Credolo. Voi vi beccherete un fanciullo maschio; e chi non ha
non abbia.
_Li._ Andate, frate, alle vostre orazioni, e se bisognerà altro, vi
verreno a trovare. Voi, Messere, andate a lei per tenerla ferma in
questa opinione, e io andrò a trovare maestro Callimaco, che vi mandi
la pozione; e all'una ora fate che io vi rivegga, per ordinare quello
che si de' fare alle quattro.
_Ni._ Tu di' bene; addio.
_Fra._ Andate sani.

Canzone.
Sì suave è l'inganno
Al fin condotto desiato e caro;
Ch'altrui spoglia d'affanno,
E dolce face ogni gustato amaro.
O rimedio alto e raro,
Tu mostri il dritto calle all'alme erranti;
Tu, col tuo gran valore,
Nel far beato altrui fai ricco Amore,
Tu vinci sol co' tuoi consigli santi
Pietre, veneni e incanti.


[IV. 1]
CALLIMACO _solo._

Io vorrei pure intendere quello che costoro hanno fatto. Può egli
essere che io non rivegga Ligurio? E non che le ventitré, le sono
ventiquattro ore. In quanta angustia d'animo sono io stato e sto! Ed
è vero che la fortuna e la natura tiene el conto per bilancio: la non
ti fa mai un bene, che all'incontro non surga un male. Quanto più mi
è cresciuta la speranza, tanto mi è cresciuto el timore. Misero a me!
Sarà egli mai possibile che io viva in tanti affanni e perturbato
da questi timori e queste speranze? Io sono una nave vessata da due
diversi venti, che tanto più teme quanto ella è più presso al porto.
La semplicità di Messere Nicia mi fa sperare, la providenzia e durezza
di Lucrezia mi fa temere. Oimé, che io non truovo requie in alcuno
loco! Talvolta io cerco di vincere me stesso, riprendomi di questo mio
furore, e dico meco: che fai tu? se' tu impazzato? quando tu l'ottenga,
che fia? Conoscerai el tuo errore, pentira'ti delle fatiche e de'
pensieri che hai avuti. Non sai tu quanto poco bene si truova nelle
cose che l'uomo desidera, rispetto a quelle che l'uomo ha presupposte
trovarvi? Da l'altro canto el peggio che te ne va è morire, e andarne
in inferno; e' son morti tanti degli altri: e sono in inferno tanti
uomini da bene. Ha'ti tu a vergognare d'andarvi tu? Volgi il viso
alla sorti; fuggi el male, o non lo potendo fuggire, sopportalo come
uomo; non ti prosternere, non ti invilire come una donna. E cosi mi fo
di buon cuore, ma io ci sto poco su, perché da ogni parte mi assalta
tanto desio d'essere una volta con costei, che io mi sento dalle piante
de' pie al capo tutto alterare: le gambe triemono, le viscere si
commuovono, il core mi si sbarba del petto, le braccia s'abbandonano,
la lingua diventa muta, gli occhi abbarbagliono, el cervello mi gira.
Pure, se io trovassi Ligurio, io arei con chi sfogarmi. Ma ecco che
viene verso me ratto. El rapporto di costui mi farà o vivere ancor
qualche poco, o morire affatto.

[IV. 2]
LIGURIO, CALLIMACO.

_Li._ Io non desiderai mai più tanto di trovare Callimaco, e non penai
mai più tanto a trovarlo. Se io li portassi triste nuove, io l'arei
riscontro al primo. Io sono stato a casa, in piazza, in mercato, al
pancone delli Spini, alla Loggia de' Tornaquinci, e non l'ho trovato.
Questi innamorati hanno l'ariento vivo sotto piedi, e' non si possono
fermare.
_Ca._ Veggo Ligurio andar di qua guardando, debbe forse cercar di me.
Che sto io che io non lo chiamo? E' mi pare pure allegro: o Ligurio!
Ligurio!
_Li._ O Callimaco, dove sei tu stato?
_Ca._ Che novelle?
_Li._ Buone.
_Ca._ Buone in verità ?
_Li._ Ottime.
_Ca._ È Lucrezia contenta?
_Li._ Si.
_Ca._ Il frate fece el bisogno?
_Li._ Fece.
_Ca._ O benedetto frate! Io pregherò sempre Dio per lui.
_Li._ Oh buono! Come se Dio facessi le grazie del male, come del bene.
Il frate vorrà altro che preghi.
_Ca._ Che vorrà ?
_Li._ Danari.
_Ca._ Darengliene. Quanti ne gli hai promessi?
_Li._ Trecento ducati.
_Ca._ Hai fatto bene.
_Li._ El dottore n'ha sborsati venticinque.
_Ca._ Come?
_Li._ Bastiti che gli ha sborsati.
_Ca._ La madre di Lucrezia che ha fatto?
_Li._ Quasi el tutto. Come la intese, che la sua figliuola aveva
avere questa buona notte senza peccato, la non restò mai di pregare,
comandare, confortare la Lucrezia, tanto che la la condusse al frate, e
quivi operò in modo, che l'acconsentì.
_Ca._ O Dio! Per quali mia meriti debbo io avere tanti beni? Io ho a
morire per la allegrezza.
_Li._ Che gente è questa? Or per l'allegrezza, or pel dolore, costui
vuol morire in ogni modo. Hai tu ad ordine la pozione?
_Ca._ Sì ho.
_Li._ Che li manderai?
_Ca._ Un bicchiere di ipocras che è a proposito a racconciare lo
stomaco, rallegra el cervello. Ahimè, ohimè, io sono spacciato!
_Li._ Che è? Che sarà ?
_Ca._ E' non ci è remedio.
_Li._ Che diavol fia.
_Ca._ E' non si è fatto nulla, io mi sono murato in uno forno.
_Li._ Perché? Che non lo di'? Levati le man dal viso.
_Ca._ O non sai tu che io ho detto a Messere Nicia che tu, lui, Siro ed
io piglieremo uno per metterlo allato alla moglie?
_Li._ Che importa?
_Ca._ Come, che importa? Se io son con voi, non potrò essere quello che
sia preso; se io non sono, e' si avvedrà dello inganno.
_Li._ Tu di' el vero; ma non ci è egli remedio?
_Ca._ Non credo io.
_Li._ Sì, sarà bene.
_Ca._ Quale?
_Li._ Io voglio un poco pensarlo.
_Ca._ Tu mi hai chiarito; io sto fresco, se tu l'hai a pensare ora.
_Li._ Io l'ho trovato.
_Ca._ Che cosa?
_Li._ Farò che 'l frate che ci ha aiutato infino a qui, farà questo
resto.
_Ca._ In che modo?
_Li._ Noi abbiamo tutti a travestirci. Io farò travestire el frate:
contraffarà la voce, el viso, l'abito; e dirò al dottore che tu sia
quello; e' sel crederà .
_Ca._ Piacemi, ma io che farò?
_Li._ Fo conto che tu ti metta un pitocchino indosso, e con un liuto in
mano te ne venga costì dal canto della sua casa, cantando un canzoncino.
_Ca._ A viso scoperto?
_Li._ Sì, che se tu portassi una maschera, gli entrerebbe 'n sospetto.
_Ca._ E' mi conoscerà .
_Li._ Non farà , perché io voglio che tu ti storca el viso, che tu apra,
aguzzi o digrigni la bocca, chiugga un occhio. Pruova un poco.
_Ca._ Fo io così?
_Li._ No.
_Ca._ Così?
_Li._ Non basta.
_Ca._ A questo modo?
_Li._ Sì sì, tieni a mente cotesto; io ho un naso in casa; io vo' che
tu te l'appicchi.
_Ca._ Orbé, che sarà poi?
_Li._ Come tu sarai comparso in sul canto, noi sarem quivi, torrenti
el liuto, piglierenti, aggireremo, condurrenti in casa, metterenti al
letto. El resto doverrai tu far da te.
_Ca._ Fatto sta condursi.
_Li._ Qui ti condurrai tu, ma a fare che tu vi possa ritornare, sta a
te, e non a noi.
_Ca._ Come?
_Li._ Che tu te la guadagni in questa notte, e che innanzi che tu ti
parta, te le dia a conoscere, scuoprale lo inganno, mostrile l'amore le
porti, dicale el bene le vuoi; e come senza sua infamia la può essere
tua amica, e con sua grande infamia tua nimica. È impossibile che la
non convenga teco e che la voglia che questa notte sia sola.
_Ca._ Credi tu cotesto?
_Li._ Io ne sono certo. Ma non perdiam più tempo, e' son già dua ore.
Chiama Siro, manda la pozione a Messer Nicia, e me aspetta in casa. Io
andrò per el frate; farollo travestire, e condurremo qui, e troverremo
el dottore, e faremo quel manca.
_Ca._ Tu di' ben. Va via.