La famiglia Bonifazio; racconto - 16

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m’inganna, quanto chi si burla di me; tientelo bene a mente, e vedrai
che non mento. Non mi fa paura nessuno!... hai capito? nessuno!... saprò
cogliere il momento opportuno.... e mi vendicherò, e non me ne importa
nè della galera, nè della forca, nè del boia!...
Pasquale era soddisfatto d’avere colpito sul vivo, colla doppia ferita
del sospetto e della vergogna, l’uomo che detestava, e godeva di aver
soffiato nel fuoco di quell’odio che divorava internamente l’infelice.
Fu poi una dolorosa combinazione che Andrea rientrando in casa fremente
di collera si scontrasse con Metilde, la quale vedendolo cogli occhi
stralunati lo credette più ubbriaco del solito, affrettò il passo per
allontanarsi, mentre egli la chiamava ad alta voce:
—Metilde.... Metilde.... non mi fuggite no, non abbiate paura di me, non
sono ubbriaco di vino, sono ubbriaco di collera contro quel bighellone
di vostro marito che ci tradisce tutti due....
Metilde si arrestò d’un tratto, davanti alla porta di casa, e gli piantò
in volto uno sguardo interrogativo.
—Non vi siete mai accorta, egli continuò, che vostro marito fa la corte
a mia moglie?... non sapete che furono amanti, e che lo sono ancora?...
ignorate il passato, il presente, tutto?... non sapete fare che delle
cerimonie, dei complimenti, delle smorfie!...
Metilde impallidiva, si metteva la destra sul cuore, si sentiva mancare;
la rivelazione e l’insulto la colpivano ad un tratto, e l’amaro sospetto
che la dilaniava da un pezzo si trasmutava in realtà; la speranza di
ingannarsi svaniva davanti quelle parole pronunziate da una vittima. La
misera donna traballò per qualche passo, poi andò a cadere sopra una
seggiola, nel vestibolo.
—Siamo traditi!... siamo traditi!... le urlava contro quel
forsennato....
Attirata dalla schiamazzo comparve Maria; indovinò con un colpo d’occhio
di che cosa si trattava, diede uno sguardo severo al marito, senza
degnarsi di proferire una parola.
L’aspetto di quella donna calma e serena impose rispetto ad entrambi.
Andrea infilò la porta e si allontanò bestemmiando fra i denti.
Metilde colle mani nei capelli, cogli occhi stravolti, esclamava:
—Mio Dio, quante amarezze in questo deserto!... fino alla nausea....
fino alla disperazione!... con questa gente!...
—Calmati, Metilde! soggiunse Maria.... siamo rozzi ma onesti.... non lo
credi?...
Metilde non le rispose. Scoppiò in un pianto dirotto, e si ritirò nella
sua camera.



XX.

Silvio era andato a Treviso, e ritornò con una lettera per sua moglie.
Era la risposta dell’avvocato, che diceva fra le altre cose: «Quella
lettera di Roma è scritta evidentemente da un matto, che vede il mondo
attraverso il suo cervello, che offre ad un amico l’impresa pericolosa
di dirigere un giornale screditato, per compiere la sua rovina. Andando
a Roma con quelle idee non trovereste che gl’imbarazzi e la miseria. Il
disastro economico di tuo marito non lo obbliga a fare nè il contadino
nè il giornalista. In campagna senza le cognizioni nè la pratica
dell’agricoltore egli non potrebbe vivere che in ozio, condannando la
moglie educata, e avvezza a vivere nella buona società, a trascinare una
vita noiosa, nello squallore rurale. A Roma senza un impiego fruttuoso,
nella lotta scapigliata dei partiti non avrebbe a subire che continui
disinganni e pericoli. A Venezia non potrete più tenere un appartamento,
ma avete la nostra casa, ove tu riprenderai le consuete abitudini,
vivrai coi tuoi genitori, e lui dividerà le mie fatiche, e colla sua
onorata professione d’avvocato troverà degli onesti compensi. Ecco il
vostro solo rifugio. Noi riceveremo in famiglia il figliuol prodigo, e
subiremo le conseguenze d’un matrimonio troppo precipitato, senza la
dovuta ponderazione e le necessarie garanzie.»
Quel giorno nessuno volle scendere a pranzo, la tavola di famiglia
rimase deserta.
Metilde lesse attentamente la lettera di suo padre, la trovò ragionevole
e generosa; la passò a suo marito che la scorse in silenzio, ma colle
mani tremanti dalla collera che lo strozzava, non ebbe la forza che di
pronunziare poche parole, e interrotte:
—Rispondi a tuo padre che partiremo per Roma.... che non ho bisogno
della sua elemosina.... gli dirai che «il matrimonio troppo precipitato»
l’ho fatto io «senza la dovuta ponderazione, e le necessarie garanzie» e
che le sue offese alla mia famiglia, ingiuste e sventate, hanno prodotto
un pessimo effetto, quello di esiliarti per sempre da Venezia,... perchè
tu non devi vederla mai più!...

—Silvio! ascolta.... tu non hai diritto di privarmi dei miei
genitori.... nè della mia patria.
—Ho diritto di far rispettare la mia famiglia.... e di respingere con
sdegno le parole ingiuriose dei tuoi parenti.... Venezia è stata la mia
rovina.... tu non la vedrai mai più!... gridò il giovine inviperito.
—Ma non vedrò nemmeno Roma!... gli rispose Metilde, con energia.
—Ebbene, resteremo qui!... soggiunse il marito con calma apparente.
—Nemmeno un giorno di più!... esclamò Metilde, con fiera fermezza, e
alzando la destra verso il crocifisso che pendeva sul letto, conchiuse:
—Lo giuro sull’anima mia, davanti a quel Cristo!...
—Lo vedremo!... disse Silvio al colmo della collera, e sentendo che non
poteva più frenare lo sdegno, uscì precipitosamente dalla camera,
sbattendo le porte con tale violenza che ne tremò tutta la casa.
All’ora del tramonto, Metilde scese lentamente le scale, uscì dalla
porta d’ingresso senza essere veduta da nessuno, ed entrò nel parco.
La sua testa era in fiamme, sentiva bisogno d’aria libera e di
solitudine, per raccogliere i suoi pensieri.

Era verso la metà del novembre, una nebbiola trasparente si alzava dai
prati, mentre il crepuscolo rosseggiava ancora all’estremità
dell’orizzonte. I monti lontani passavano dalla tinta violacea alla
turchina, si confondevano col cielo, e finalmente scomparivano
nell’oscurità della notte. La terra era coperta dalle foglie cadute
dagli alberi che scricchiolavano sotto i piedi. Al fruscìo della veste,
e al rumore dei passi, gli uccelli raccolti sui rami fuggivano in massa,
producendo l’effetto d’un soffio improvviso di vento. Poco dopo il suo
passaggio ritornavano al loro posto, e si sentiva nel bosco un pigolìo
confuso, che andava scemando a poco a poco, e si diffondeva il silenzio
notturno, interrotto lievemente dallo screpolo d’un ramo secco, o dalla
lenta discesa d’una foglia fra le ciocche dei pedali.
A notte inoltrata Silvio rientrò in casa, accese un lume, salì nella sua
stanza, e fu sorpreso di trovarla vuota.
—Un altro capriccio dispettoso!—esclamò, e si gettò tutto vestito sul
canapè per aspettare la moglie. Divagò lungamente assorto in dolorose
meditazioni, fino che cominciò a sonnecchiare, poi ad assopirsi, e finì
coll’addormentarsi profondamente, abbattuto da tante sensazioni diverse,
e da tanti pensieri.

Risvegliatosi tutto ad un tratto a motivo d’un sogno spaventoso, alzò la
testa sonnolenta, si sorprese di non essere a letto, poi si ricordò del
motivo dell’aspettativa, guardò d’intorno, e rimase meravigliato
d’essere ancora solo. Guardò l’orologio e diede un guizzo, era passata
la mezzanotte!
—Dove diavolo sarà andata a cacciarsi? pensò con qualche inquietudine; o
era proprio un dispetto ostinato!...—Prese il lume, e cominciò a girare
per le camere vicine, con infinite precauzioni, per non risvegliare
quelli che dormivano. Visitò tutte le stanze che sapeva disabitate, per
vedere se si fosse addormentata sopra qualche divano, ma erano tutte
vuote. Esaminò le porte di casa, ed erano chiuse come al solito; dunque
Metilde era rimasta fuori.—L’avranno creduta nella sua stanza, ed essa
non si sarà degnata di picchiare;—e pensava,—dove diavolo può essere
andata? essa che ha paura di tutto! è davvero sorprendente!...—Poi
cominciava ad aver paura anche lui....—ieri sera mi pareva in uno stato
di esaltazione.... mi ha veduto molto in collera.... se avesse perduta
la testa?... ah no!... mai!...
Piano piano aperse la porta con mano tremante, lasciò il lume sul
tavolo, e uscì. Era un bel chiaro di luna. Cominciò a guardare intorno
alla casa, sotto il portico e nelle serre, cercò attentamente in ogni
angolo delle adiacenze, e non vide nessuno. Allora entrò nel bosco, dove
la luna non penetrava che a sprazzi attraverso i rami degli alberi.
Diede un’occhiata al laghetto e si sentì la pelle d’oca.
La superficie tranquilla non aveva una crespa, ma all’ombra faceva
paura, perchè era nera come un panno funebre. Si passò una mano sulla
fronte, e continuò a camminare sotto gli alberi.
Al minimo rumore si fermava, e chiamava a mezza voce:—Metilde....
Metilde sei qui?...—ma nessuno gli rispondeva.
Sentiva il rimorso d’aver dormito un po’ troppo, di non aver cercato
prima, sentiva di aver avuto torto; forse nuove disgrazie lo aspettavano
dopo tutte le altre, forse la misura non era ancora colma!...
Girovagando inquieto con questi pensieri, e con molti altri, vide
dapprima un’ombra scura sopra un banco ai piedi d’un albero, si avvicinò
rapidamente, e non tardò ad avvedersi che era proprio lei; ma chiamata
per nome non rispose, e non si muovea.
Quella rigida immobilità gli fece un’impressione tremenda, un tremito di
paura lo assalse, non osava avanzarsi, ebbe bisogno di uno sforzo
energico per avvicinarla, guardarla, toccarla. Metilde dormiva.
La scosse leggermente; essa alzò il capo, distese le braccia e le gambe,
fece uno sbadiglio, e si mise a battere i denti dal freddo.... doveva
essere irrigidita. Non rispose a nessuna delle sue domande, si alzò in
piedi e partì.
—Metilde, arrestati, ascolta, dove vai? che cosa pensi?...—nessuna
risposta! continuava ad andare avanti lentamente, e lui la seguiva, e
pensava:
—È peggio assai di quanto io temeva!... non è morta, ma è pazza!... e le
diceva, con voce angosciosa:
—Metilde!... povera Metilde!... aspetta tuo marito.... ascolta una
parola.... fermati un momento; ho da parlarti.... ma essa non gli dava
retta, e proseguiva impassibile la sua strada, fino che veduta la porta
aperta entrò in casa.
Silvio la accompagnava da presso, chiuse la porta, prese il lume, essa
lo precedeva, prese a salire la scala, ed entrò nella sua camera, ed
egli la seguì, ed anche quell’uscio fu chiuso.
Egli osservava tutti i movimenti di lei con grande attenzione, vide che
cercava qualche cosa, le offerse un mantello, la aiutò a coprirsi, poi
quando sedette sul canapè, gli si mise dirimpetto e ricominciò a
interrogarla.

—Perchè non sei venuta a dormire?...
—Perchè mi avete chiusa fuori, gli rispose.
—Perchè non hai picchiato alla porta?
—E tu perchè non sei venuto a cercarmi?
Non era nemmeno pazza! era dunque una commedia, una brutta e dispettosa
commedia. Questi pensieri cambiarono le ansiose inquietudini del marito,
in una irritazione sdegnosa, che gli fece dire sgarbatamente:
—Quando si tratta di fare dei dispetti non hai più paura di niente,
nemmeno d’un raffreddore, o anche d’una malattia più grave!...
—Magari pure! rispose Metilde, così almeno tutto sarebbe finito!...
—Sciocchezze!... Ti avverto che questa sia l’ultima volta che mi fai
delle scenate; io non amo gli scandali, e sono deciso di non tollerarli.
—Sarà l’ultima volta!... te lo prometto.... te ne dò la mia parola
d’onore.... se questa sera mi è mancato il coraggio, sarò più forte
domani mattina....
—Con queste sballonate tu credi di farmi una grande impressione, e
invece mi fai dispetto... Pare a sentirti che tu sia la donna più
infelice della terra!... ma che cosa ti manca?...
—Mi manca tutto! essa rispose; l’affezione e il rispetto di mio marito,
la pace domestica, le speranze dell’avvenire, e tante altre cose che non
dico....
—Alle corte: l’affezione e il rispetto non si impongono, ma bisogna
meritarli. In quanto alla pace domestica, sono i tuoi sospetti, e i tuoi
dispetti che la intorbidano, sei bisbetica, egoista, intollerante,
difficile in ogni cosa!
—Tu mi trovi anche difficile?!... ma quali sono le mie esigenze?....
vivo forse secondo il mio stato?... o non mi hai condannata alla vita
più noiosa del mondo?... in mezzo a gente rozza.... fra un ubbriacone e
la tua ganza!...
Silvio scattò, come se fosse spinto da una molla potente, e facendosele
davanti coi pugni al viso le disse:
—Voi mentite sfacciatamente!... insultate una santa donna, la suora di
carità della famiglia, quella che ha soccorso pietosamente i miei poveri
parenti infermi, che ha chiusi gli occhi alla buona nonna e all’ottimo
mio padre; essa vale mille volte più di voi, non siete degna di mettervi
al suo paragone, e guai a voi! se osaste ancora insultare la sua
virtù.... civettuola orgogliosa.... e buona da nulla!...
Allora Metilde si alzò alla sua volta, pallida come una morta, e disse,
con voce tremante:
—Non mancavano più che questi insulti!... e la glorificazione d’una
ipocrita che non inganna che voi solo!... tutti gli altri la conoscono,
tutti sanno che è la vostra ganza!
—Basta così!... questa è una menzogna, è un’infamia; tutti la
benedicono, voi sola la calunniate indegnamente!... ritirate subito
questo insulto....
—Giammai! è la pura verità, lo dice lo stesso suo marito.... lo ripete
perfino il cocchiere!...
—Due cialtroni vigliacchi! due idioti, due ingrati balordi!... che
insultano l’angelo della famiglia!
—Che sia maledetto quell’angelo, che divenne il demonio dell’inferno!
—Maledetta voi e la vostra razza infame e orgogliosa, maledetto il
nostro matrimonio che ci ha resi tanto infelici!
—Ancora per poco! soggiunse Metilde, la misura è colma. Consolatevi che
presto sarete libero di continuare la vostra tresca, senza l’incomodo
della moglie....
—Declamazioni... fanfaronate... commedie tutte da ridere. Vi conosco
troppo, voi e tutta la vostra razza frolla.... non siete capaci di
pungervi un dito. Mettetevi a letto, riposatevi dalla stanchezza
prodotta dalla rappresentazione drammatica di questa notte. E
apparecchiativi a partire per Roma!

—Parto piuttosto per l’altro mondo!... il Sile non è poi tanto
lontano!... ricordatevi il mio giuramento davanti il Cristo.... e siate
sicuro che io non giuro mai il falso.
Silvio alzò le spalle in atto d’incredulità e di disprezzo, si sentiva
soffocare dalla collera, provava il bisogno di rompere qualche cosa,
temeva che l’eccesso dello sdegno lo spingesse a delle escandescenze;
volle fuggire il pericolo, uscì dalla stanza, scese precipitosamente le
scale, e si mise a correre sotto gli alberi del parco, con passo
concitato, coi pugni serrati, coi denti stretti.
Era l’alba. L’aria fresca della mattina non tardò a portare qualche
refrigerio ai suoi nervi malati, a calmare l’onda del sangue che gli
bolliva nelle vene, ma il suo cervello delirava.
—Quale funesto destino! egli pensava; quante amarezze, quanti
disinganni! E quale avvenire mi attende?... la vita non è che un sogno
rapido e triste; a che servono le fatiche degli studi, le lotte della
politica, le agitazioni del mondo? Appena cominciata l’azione.... tutto
finisce! Qui, in questa casa potevo vivere tranquillo e felice i pochi
giorni che mi sono concessi, come fece mio padre, ma fui sordo a’ suoi
buoni consigli, fui cieco e ambizioso. Ho creduto di sprezzare chi amavo
teneramente, pago di false apparenze, ho ceduto il posto ad un idiota
briccone; ho preferito all’oro greggio l’orpello lucente, e mi sono
ribadita ai piedi la catena del forzato!... Oramai è inutile che mi
faccia delle illusioni, la verità è questa: detesto mia moglie, e adoro
mia cugina! tutti lo vedono e lo ripetono, io solo mi ostino a
nasconderlo a me stesso, malgrado la passione che mi arde dentro,
compressa violentemente da tanto tempo, e prossima ad uno scoppio
inevitabile.... Ah! Maria!... Maria!... ti ho sempre amata, anche prima
d’essermene accorto, e non ho mai avuto l’ardire di confessartelo,
nemmeno quando eravamo liberi entrambi.... Essa non ha mai udito dalla
mia bocca una dichiarazione d’amore.... ma sa tutto.... e mi ama!... sì,
essa pure mi ha sempre amato, fino dalla prima gioventù; noi lo sentiamo
senza bisogno di dircelo, lo sentiamo nel profondo dell’anima, lo
vediamo nello sguardo, nell’accento, nel sorriso, lo proviamo nell’aria
elettrizzata dalle nostre scintille, nel tremito dei nervi, nel tocco
delle mani!... La vera passione ha il suo linguaggio arcano, ben più
sublime delle ciarle volgari. Le parole umane non hanno significati
sufficienti per manifestare le più alte e profonde sensazioni. Eppure
con questa passione nell’anima, e coll’arcana intelligenza dei nostri
cuori, io l’ho tradita!... l’ho abbandonata! e ne ho sposata
un’altra!!... Non esisteva fra noi nessuna promessa palese secondo le
fredde abitudini sociali.... ma le due anime erano già legate dalla
natura.... io avevo un debito segreto verso di lei, le sono sfuggito con
vera fellonia.... ma tali debiti si pagano sempre, in questa o
nell’altra vita!... Iddio mi ha condannato al martirio in questo mondo,
ed ora incominciano le pene!...
Maria, col suo coraggio, colla sua dignità, ha dissimulato il mio
tradimento!... col buon senso pratico che domina la sua vita, ha
nascosto l’offesa, ha sofferto in silenzio, ha accettato con
rassegnazione il compagno che le venne proposto dai parenti, e lo
tollera coi suoi vizii, e lo difende!... ma non può amarlo.... non lo
ama.... perchè ama me solo!... e forse attende che io mi prostri ai suoi
piedi.... per gettarsi nelle mia braccia!....
Io sono sempre stato un fatuo, uno scimunito, un idiota!... io attendevo
senza pensarci, che Maria venisse a confessarmi il suo amore, che
venisse a provocarmi con soavi parole davanti l’alterigia spietata del
mio contegno.... imbecille!!...
Ma la nostra passione è giunta a tale intensità, che basterà una sola
parola per farla prorompere.... e questa parola non l’ho ancora detta!—
Mentre fantasticava in queste stravaganze, agitato dalla passione
fomentata dalla collera, dal lungo digiuno, dalla notte insonne, vide
Andrea che usciva di casa collo schioppo in ispalla.
—Essa è sola nella sua camera, egli pensò; è giunto il momento di
finirla!...—Rientrò in casa con prudenti precauzioni, per non esser
veduto da nessuno, e reso sicuro dall’ora quieta della mattina, e dal
silenzio che regnava dovunque, andò a picchiare addirittura alla camera
da letto di Maria.
—Chi è? essa domandò.
—Sono io.... Silvio.... ho bisogno di parlarti....
—Aspetta un momento, vengo subito, rispose.
Egli aspettò ansiosamente, col cuore in burrasca, colla mente esaltata
da pensieri strani. Udiva nell’interno della camera uno scompiglio
affrettato, un fruscìo precipitato di cose, cassette che si chiudevano,
sedie rimosse, e finestre che si spalancavano. Quando tutto fu messo in
assetto. Maria corse ad aprire, e, col solito aspetto sereno, gli disse:
—Scusami se ti ho fatto aspettare, tutto era in disordine.... Ti sei
alzato molto per tempo, che cosa vuoi?...
—Vengo a farti una proposta, le disse il cugino, una proposta
definitiva, che metterà un termine a tutte le nostre amarezze, che
riparerà tutti i miei torti, che ci aprirà un avvenire felice....
mettiti al disopra di tutti i pregiudizii, non secondare che l’unico
impulso del cuore, e rispondimi francamente sì o no senza esitazioni....
—Ebbene parla.... io sono pronta a tutto, non c’è sacrifizio che possa
parermi troppo grave, se posso vederti contento.... dimmi che cosa devo
fare....
—Vieni a Roma con me....
—A Roma?... per che fare?... con chi?...
—A Roma noi due soli!... fuggiamo da questo paese.... è l’unico rimedio
a tutto un passato di errori funesti, seguìti da disinganni fatali. Io
non amo Metilde, tu non ami Andrea, io non amo, non ho mai amato che te
sola. Il nostro reciproco affetto col suo silenzio eloquente è l’amore
vero, tutto il resto non è che inganno e illusione!...
—Silvio! Silvio.... tu deliri, hai gli occhi che gettano fiamme, il tuo
viso è stravolto, hai i capelli irti sulla fronte, dimmi che ti senti
male, va nella tua camera....
—Io ti amo ardentemente, ti ho sempre amata, non posso più vivere senza
di te, tu devi esser mia per sempre.... vieni e saremo felici!...
—Ma tu bestemmi e mi offendi!... tu spergiuri, e mi proponi il disonore,
la vergogna, il tradimento!... e vuoi che siamo felici!... tu sei
malato, povero Silvio, qualche dolore inaspettato ti ha sconvolto il
cervello....

—Maria, rispondimi francamente, voglio sapere se mi sono ingannato, se
devo vivere o morire, rispondimi francamente: mi ami o non mi ami?...
—Io non devo amare che mio marito....
—Ma tu non puoi amarlo!...
—Ho promesso davanti a Dio, di vivere con lui e per lui.... tutto il
resto è impossibile!... ritirati.... va.... tu mi proponi una
infamia.... non sei degno del nome che porti!...
—Maria, non rinnegare la voce della natura, la vita, l’amore, tutto
quello che è buono e che è vero, per dei pregiudizii funesti, per un
vano rispetto alle ingiustizie ed alle insanie sociali!... Maria....
Maria vieni con me, io ti prometto il paradiso in cambio d’ogni
sacrifizio....
—Tu vaneggi, e non mi offri che l’inferno, il tradimento, la vergogna,
il disonore, i rimorsi.... ritirati.... va.... te lo impongo in nome di
tuo padre che ci vede.... esci da questa stanza....—E così dicendo con
voce imperiosa, gli accennava la porta col braccio alzato e l’indice
disteso.
Silvio si precipitò in ginocchioni davanti la donna amata, spinto
dall’amore sfrenato o dal rimorso, alzò le mani giunte verso di
lei....... e in quel momento si spalancò la porta della camera, e Andrea
e Metilde comparvero sulla soglia. Ci fu un minuto di sosta, e poi
Andrea si slanciò verso Silvio colla mano armata dal coltello, e gli
misurò un colpo che venne sventato dal braccio di Maria, la quale rimase
ferita ad una mano, ma potè disarmarlo. Alla vista del sangue che
spruzzò sul volto di Silvio, Metilde spaventata si mise a gridare,
chiedendo aiuto, e fuggì precipitosamente giù dalle scale. Silvio si era
alzato in piedi, dicendo ad Andrea:
—Usciamo di qui, sono pronto a darvi qualunque soddisfazione, ma
rispettate vostra moglie, l’avete ferita brutalmente, senza rendervi
conto d’una scena che dovrebbe avervi sorpreso. Vi siete fitto in mente
che io abbia sedotto vostra moglie, ma se questo fosse vero non mi
avreste trovato ai suoi piedi. Io la supplicavo di fuggire lontano da
voi, che non la meritate; essa vi difende e vi resta fedele malgrado i
vostri torti. Ringraziate Iddio di tanto benefizio, del quale siete
indegno. Ora sono ai vostri comandi, che cosa esigete da me?...
—Prima di tutto esigo che abbandoniate all’istante questa casa, per mai
più rimettervi il piede.
Silvio guardava Maria, interrogandola collo sguardo. Essa finiva di
bendarsi la mano, e dopo d’aver calmato alquanto il marito, soggiunse:
—Andrea ha diritto d’imporvi quest’obbligo e voi dovete obbedirlo.

Silvio abbassò il capo, alzò le braccia in aria ed uscì senza proferire
una parola. Era una protesta o un segno di rassegnazione? nessuno poteva
saperlo. Andrea lo seguì, Maria inquieta li accompagnava da lontano.
—Adesso tocca noi di finirla, gli mormorava Andrea dietro le spalle, in
modo da non essere udito dalla moglie, per ritrovare la quiete bisogna
che uno di noi due scomparisca dal mondo.
—È vero, gli rispose Silvio, io sono pronto a seguirvi dovunque.
—Adesso, subito, è impossibile, rispondeva Andrea, mia moglie ci
sorveglia, allontanatevi, ma prima di lasciare il paese, giuratemi che
ci rivedremo.
—Vi dò la mia parola, che sarò pronto.
Maria afferrò il marito per l’abito, e lo trascinò altrove. Silvio entrò
nella sua stanza, per fare il baule, che riempì alla rinfusa con quanto
gli cadeva in mano senza sapere ciò che facesse, lo chiuse, si mise la
chiave in tasca, e uscì per cercare sua moglie. Fece il giro del parco,
diede un’occhiata dovunque, poi si recò sotto il portico dell’adiacenza
per domandare se qualcuno l’avesse veduta e trovò Pasquale che pareva
molto sorpreso d’incontrarlo e gli disse:
—Ah, padrone mio, credevo di non vederlo più vivo!...

—Perchè?...
—Ecco la ragione: questa mattina la signora Metilde uscì per tempo, mi
pareva molto agitata, ho creduto prudente di seguirla a qualche
distanza. Essa vagava pei campi, camminava in fretta, guardava il cielo,
e faceva dei gesti strani. Io le teneva dietro da vicino nascosto da una
siepe, quando s’incontrò col signor Andrea che andava alla caccia, gli
si fermò davanti, e le disse:—Dove andate a quest’ora?...—Non lo so,
essa gli rispose seccamente.—E avete lasciato solo vostro marito? quale
imprudenza! e soggiungeva: Se egli sapesse che sono uscito di casa,
andrebbe a trovare mia moglie.—Silvio è uscito prima di voi, e vi avrà
veduto ad uscire, essa gli disse:—Ah?... si sarà nascosto apposta per
ispiarmi.... scommetto che sarà in compagnia di mia moglie.... sarà
entrato nella sua camera....—Ah?... se fosse vero! esclamò la signora
Metilde; ho un pensiero fisso al quale resisto ancora perchè mi manca il
coraggio; ma se avessi quest’ultima prova, saprei compiere il mio
destino!...—Allora il signor Andrea la prese per mano, e le
disse:—Andiamo a vedere!—Essa lo seguiva come una bambina, io mi
acquattai dietro la siepe per non essere scoperto, e non ebbi tempo di
avvertirvi prima che essi entrassero in casa. Quando seppi che vi
avevano proprio trovato in camera, vi piansi per morto! ma le fantesche
mi dissero che la sola padrona è ferita. Me ne consolo con voi che
l’avete scappata bella!...
—E mia moglie l’hai più veduta?...
—Dopo quella scena non l’ho più vista. Ah poverina! non la abbandoni
troppo al suo dolore. Mi scusi sa, ma farebbe pietà ai sassi. Se
l’avesse veduta questa mattina!... le tenga gli occhi adosso.... è in
tale stato d’esaltazione che sarebbe capace di commettere qualche
imprudenza!...
Pareva che queste ultime parole lo colpissero fortemente. Affrettò il
passo, uscì dal cancello, si mise in traccia di sua moglie, ripetendo lo
stesso ritornello della sera antecedente: dove diavolo sarà andata a
cacciarsi?...
Poi gli ritornavano alla memoria alcune espressioni della infelice: «mi
è mancato il coraggio, sarò più forte domani mattina» ed aveva ripetuto
ad Andrea: «mi manca il coraggio, ma se avessi quest’ultima prova saprei
compiere il mio destino» e si rammentava che gli aveva detto fra le
altre cose: «presto sarete libero, il Sile non è tanto lontano!...» ed
altre parole di pessimo augurio.
Girovagò stupidamente, senza sapere dove andasse, era digiuno da
ventiquattr’ore, esaltato da passioni diverse, l’amore deluso, l’odio
per Andrea, il disgusto colla moglie, la ferita di Maria, le minacce
della moglie, e la sicurezza d’un duello sanguinoso; vedeva buio
nell’avvenire, e provava delle allucinazioni paurose.
Camminava a caso, senza discernimento, colla mente confusa, dimenticando
talvolta perfino lo scopo principale del suo andare. Poi si scuoteva
d’un tratto, come se uscisse da un sogno affannoso, e domandava ai
passanti se avessero veduto per caso una signora bionda vestita in
lutto. Ma nessuno l’aveva veduta, e lui andava avanti.
Si trovò dirimpetto alle vecchie mura di Treviso, fra la porta di San
Tommaso e la Barriera Garibaldi, e ad una lavandaia che lo guardava
curiosamente fece la solita domanda:
—Di grazia, avreste veduta una giovane signora bionda, vestita così e
così?
—Sì signore, è passata poco fa....
—Snella, vestita in lutto?
—Snella, vestita in lutto!
—È lei!... Da che parte si è diretta?
—Camminava sulle sponde del Sile, colla testa bassa, arrestandosi
sovente a guardare il fiume ed osservando d’intorno, quasi volesse
assicurarsi che nessuno la seguiva....

—È proprio lei!... pensò Silvio e, vi ringrazio, soggiunse, mi avete
detto che andava da quella parte?
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