Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 09

Total number of words is 4420
Total number of unique words is 1605
37.3 of words are in the 2000 most common words
51.7 of words are in the 5000 most common words
59.8 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
Albina si drizzò fieramente della persona, si tirò indietro d’un
passo, l’orgoglio ferito le mandò di nuovo una lieve tinta rosata alle
guancie e dando al suo mite, benevolo sguardo un’espressione di superbo
disdegno, pronunziò a mezze labbra:
— È molto strano tanto vostro interessamento per quel signore!
L’Arpione ebbe un lampo nelle fosche pupille, fece una mossa, come
di chi, sentendosi assalire, si prepara a vigorosa difesa e rispose
asciutto, insolente:
— Strano o no, esso esiste davvero, e poichè ha buoni mezzi in mano la
vincerà ad ogni costo.
— Chi sa! — esclamò la giovinetta, per impulso subitaneo dell’istinto,
per improvvisa, impensata ispirazione d’un presentimento.
L’usuraio balzò con un guizzo presso presso alla fanciulla; i suoi
occhi scintillavano come due carboni accesi su cui si soffia; tutte le
infinite minutissime rughe del suo volto s’agitatavano in un fremito,
la voce gli tremava:
— Come! — gridò: — perchè ho avuto la dabbenaggine di lasciare nelle
sue mani quella carta, Ella ne abuserebbe?...
La contessina gli troncò la parola con un grido d’indignazione.
— Miserabile! — esclamò, coprendolo con uno sguardo di sommo disprezzo,
— di che cosa ardite sospettare una Sangré?
Matteo chinò gli occhi e il capo innanzi a quello sguardo che lo
fulminava.
— Oh no.... non dico... — balbettò confuso; — non voglio dire... mi
perdoni....
Albina si coprì colle mani la faccia.
— E io, — disse, come a sè stessa, — io sono discesa perfino a
pregarlo, costui!
Risollevò il capo con tutta la fierezza della sua razza, e disse
coll’imponenza che potrebbe avere una regina:
— Non ho più nulla da dirvi. Uscite!
L’Arpione s’inchinò basso basso e andò quasi strisciando fino
all’uscio; colà impugnò la maniglia della serratura, socchiuse il
battente, e sul punto di varcare la soglia, voltosi alla nobile
giovinetta, fece come i Parti fuggenti e lanciò un’ultima frecciata:
— Conto dunque sempre sul suo giuramento!
E sparì.


XXII.

La signora Giustina, interrogata con insistente destrezza dal marchese
Respetti, non istette gran tempo a dire tutta la verità di ciò che
le era occorso in quegli ultimi giorni: come Matteo Arpione l’avesse
accostata una mattina in chiesa, le avesse dato un biglietto per
la contessina, raccomandandole il più scrupoloso segreto, come dopo
questo la signorina avesse acconsentito a ricevere ad insaputa della
famiglia quell’usuraio e come fosse in seguito del colloquio avvenuto
che essa aveva manifestato quelle nuove intenzioni che tanto avevano
meravigliato ed afflitto i suoi congiunti.
Fu chiaro per tutti che la condotta d’Albina doveva tutta accagionarsi
all’opera di Matteo; ma in che modo egli avesse potuto ottenere tutto
questo, nessuno sapeva immaginare. Com’era naturale, si pensò subito
a interrogare Albina medesima e la madre mandò per essa. Si seppe
che giusto allora la giovanetta aveva avuto un nuovo abboccamento con
Matteo, ch’ella stessa questa volta aveva mandato a chiamare...
La fanciulla venne presso alla madre senza indugio; ma era ancora
tutta commossa e turbata pel dialogo avuto allor’allora coll’usuraio.
Non fu possibile cavarle di bocca il segreto. Ella ammise di avere
avuti coll’Arpione quei segreti colloqui; non negò che essi avessero
attinenza colla risoluzione da lei presa; ma stette sempre ferma nel
dire che non poteva soggiunger altro, che era solennemente impegnata,
e che nulla poteva più rifarla libera. Si ritrasse sfinita, afflitta
più che mai, dolorante, con una amarezza nell’anima che quasi era una
disperazione, ma tenendo inviolato quel segreto, la cui conoscenza,
ella era troppo persuasa, alla madre sarebbe quasi un colpo mortale.
Al marchese era venuto sulle labbra più volte alcun cenno intorno a
quella somma che egli era persuaso essere stata mandata da Albina a
Giulio, tanto per vedere se fra quei due fatti vi fosse un’attinenza
com’egli pur sospettava, senza però saperne immaginare una ragione;
ma sempre se n’era trattenuto, perchè la moglie nel far la confidenza
avevagli pure imposta la condizione di non dir nulla mai.
Se Albina era così ostinata nel suo silenzio, non rimaneva altro mezzo
per tentare di penetrare questo mistero fuor quello di rivolgersi
direttamente all’Arpione; ed Ernesto Respetti si prese lui questo
compito.
Egli stava pensando la maniera migliore per avere coll’usuraio il
desiderato colloquio, senza suscitarne le diffidenze e senza dargli
troppa importanza, quando la sera di quel medesimo giorno, tornando
alla locanda per desinare, seppe che durante la sua assenza, in una
sola ora, un vecchio era venuto già tre o quattro volte per parlargli,
mostrando molta premura, molta ansietà, e dicendo che alle sei in
punto, l’ora precisa del pranzo, sarebbe tornato. Ed ecco in quella che
il cameriere faceva al marchese questa ambasciata, presentarsi a capo
della scala il vecchio medesimo: era Matteo Arpione.
Respetti frenò un movimento di lieta sorpresa, e con maniere asciutte e
superbe accolse l’usuraio e gli accordò il colloquio che egli chiedeva.
Matteo era agitato assai, il terreo della sua faccia era diventato
giallastro, gli occhietti affondati giravano smarriti, la voce era
affannosa e tremante. La sorte voleva favorire, nell’ufficio che aveva
assunto, il marchese: erano successi avvenimenti che, mentre l’Arpione
credeva di poter venire a dettare la legge anche al marchese, lo
conducevano a darglisi, contro la sua aspettazione, in piena balìa.
Uscito dal colloquio colla contessina, Matteo Arpione sentiva una
rabbia intensa contro il marchese Respetti. Era lui che aveva scovato
fuori tutte quelle accuse contro Alfredo, nelle quali il fondamento
che c’era di verità dava credibilità anche alle parti false e
calunniose; era lui che si dichiarava così il più aspro e potente
nemico del giovane Camporolle e ne faceva pericolare la felicità e ne
comprometteva l’avvenire.
— Io potrei pure imporgli silenzio, — pensava il vecchio usuraio, — io
potrei averlo a mia discrezione e costringerlo a ciò che voglio io,...
Sì, andrò a comandargli cessi dall’osteggiare Alfredo, dal muovere
ostacoli al suo matrimonio, anzi lo favorisca ed aiuti; e mi obbedirà,
ne son certo.
Ma cambiava ben tosto d’avviso.
— No, no, — diceva, — la contessina non può mancare alla sua parola per
quanto si faccia.... Suscitare nuovi incidenti è pericoloso.... Avrò
sempre tempo in un estremo bisogno di ricorrere a questo mezzo estremo.
E determinava così di non tentar nulla per intanto col marchese
Respetti; ma non era trascorsa un’ora che doveva cambiare totalmente
d’avviso, e si persuadeva essere della maggior premura l’agire e
vigorosamente sul cugino dei Sangré.
Egli incontrava Tommaso, il quale tutto sconvolto gli apprendeva che
poco prima, dietro un vivo alterco, avvenuto tra loro al _Club del
Whist_, il conte di Camporolle ed il cavaliere Enrico si erano sfidati
e dovevano battersi; egli non sapeva bene quando, ma certo quanto prima
e probabilmente la mattina del giorno prossimo. Matteo, spaventato,
smarrito, si metteva subito in traccia di informazioni ed apprendeva
sollecito quella esser proprio la verità.
La disgrazia aveva voluto che i due giovani si trovassero faccia a
faccia nel _Club_. Era l’ora in cui le sale avevano gente; ed era
gremita addirittura la sala dove si leggevano i giornali, nella quale
stava appunto Enrico di Valneve chiaccherando con un gruppo di giovani
compagni, quando Alfredo di Camporolle sopraggiunse.
Com’era naturale, il fidanzato d’Albina, salutato qua e là alcuno dei
presenti, appena vide Enrico si diresse alla volta di lui e accostò
quel gruppo con un amichevole sorriso sulle labbra e la destra tesa;
gli altri corrisposero al famigliare saluto di Camporolle e gli
strinsero la mano, Enrico ebbe una mossa fieramente disdegnosa del capo
sviando gli occhi dal nuovo venuto, e, mentre questi gli porgeva la
mano, voltò bruscamente le spalle.
Alfredo rimase lì interito un momento, la mano tesa, le labbra aperte,
un lieve pallore sulle guancie; tutti i presenti si guardarono stupiti,
impacciati, con qualche rincrescimento; capivano che un deplorevole
incidente stava per aver luogo, del quale sarebbero poco liete le
conseguenze.
— Enrico: — disse dopo un poco il Camporolle, dominando la sua
emozione: — mi permetterai di farti osservare che io ti ho salutato e
pôrta la mano.
Il fratello d’Albina volse così un poco il capo verso chi gli aveva
parlato, e senza guardarlo, di sopra la spalla gli gettò queste parole
di cui l’accento era ancora più disdegnoso della sostanza:
— E io le farò osservare che io non sono semplicemente Enrico, ma il
cavaliere Sangré di Valneve, e che non uso dar la mano a qualunque
persona mi venga innanzi.
Alfredo trasalì; un vivo rossore gli corse al volto, fino alla radice
de’ capelli; parve sul punto di prorompere in chi sa quali furibonde
parole, ma si frenò, si ritrasse d’un passo, si passò una mano sulla
fronte, si guardò d’attorno con aria attonita, come per chiedere
testimonianza alle cose e alle persone presenti, se era proprio cosa
reale quel che gli capitava.
Enrico aveva pronunziato forte queste parole, e tutti nella sala le
avevano sentite; s’era interrotta la lettura dei giornali, ogni sguardo
s’era rivolto a quel gruppo in cui i due giovani stavano in faccia;
regnò un perfetto silenzio pieno d’inquieta aspettazione.
— Signor cavaliere Enrico Sangré di Valneve, — disse Alfredo con voce
sicura, ma in cui vibrava pure un’intima commozione: — questo è un
gratuito oltraggio ch’Ella fa al conte Alfredo Corina di Camporolle; e
questi ha il diritto di domandargliene spiegazione e ragione.
Un lieve mormorìo dei presenti indicò che gli uditori approvavano la
risposta.
Enrico sentì lo sdegno, l’irritazione, il rancore che da due giorni
si venivano rammentando in lui contro quel cotale, e che da poche ore
erano diventati odio e disprezzo; si sentì torgli affatto la mano alla
ragione; si volse di pieno verso Alfredo, lo saettò con uno sguardo
ferocemente superbo e disse con accento compagno dello sguardo:
— Io Lei non chiamerò nè conte... che non è... nè Camporolle, che
è un nome di fantasia... nè Corina neppure, che è un nome preso ad
imprestito.
Alfredo interruppe con un’esclamazione che era un grido di indignata
protesta; un più forte susurro indicò lo stupore e l’interessamento dei
nobili spettatori di quella scena, i quali vennero accostandosi ai due
giovani. — Enrico imperturbabile seguitava:
— E ora, credo che nè Lei nè altri avranno più bisogno di nessuna
spiegazione della mia condotta.
Alfredo si riscosse come se un colpo di frusta lo avesse percosso sulla
faccia, fece un balzo verso Enrico, ma si contenne.
— Signor cavaliere! — gridò: — codesta è un’infamia, codeste sono
calunnie....
— Disgraziato! — interruppe con forza Enrico: — un Sangré non
calunnia.... La donna che voi vi date per madre morì un anno prima
che voi nasceste, come attestano i registri della parrocchia di San
Giovanni in Macerata, e voi non siete che il bastardo.... non si sa di
chi.
L’oltraggiato cacciò un vero urlo: per un momento, sotto l’impulso
d’uno sdegno immenso, sentì qualche cosa di feroce, di violento,
di terribile venir su dall’intimo della sua natura e scuoterlo e
dominarlo; vide traverso una nebbia che pareva sanguigna la faccia
insolente di quel giovanetto debole, quasi imberbe, cui la sua
mano avrebbe potuto schiacciare, sfidarlo, ghignare, sputargli
il più villano e crudele insulto: si slanciò sull’oltraggiatore
per ricacciargli in gola le parole. Un grido uscì dalla bocca dei
presenti; i più vicini si frammisero. Enrico stette imperturbabile,
serrò le braccia al petto e attese, il capo levato, lo sguardo sicuro,
un sogghigno di disprezzo sulle labbra. Alfredo fu trattenuto pur
dalla vista di quelli che gli si posero davanti, ma meglio ancora
da una soave e pure in quel momento dolorosa visione che gli parve
aver dinanzi in tal punto: il volto leggiadro di Enrico glie ne
aveva ricordato un altro più leggiadro ancora al quale rassomigliava
assai, ad Alfredo era sembrato vedersi comparire dinanzi in un baleno
l’adorata figura di Albina.
— Lasciate, lasciate, — disse Enrico a quelli che s’erano frapposti:
— non c’è pericolo d’accessi; il signore, rientrando nella propria
natura, non tarderà a pentirsi di codest’atto.... incomposto, e
s’affretterà a chiedermene perdono, anche in ginocchio, come già gli
avvenne per altri a Parma.
Alfredo mandò un gemito di vero dolore; questo a un tratto sovrammontò
in lui ogni collera: capì che l’edificio d’ogni sua felicità gli
crollava intorno a quel punto senza possibilità di rifacimento; una
gran desolazione, un gran vuoto, una terribile disperazione lo invase.
Ebbe un momento l’idea di fuggire. Si disse che sarebbe stata una
viltà; gli parve d’essere uno di quei gladiatori di Roma antica, che
erano condannati a morire a ogni modo e che dovevano mettere un certo
onore e un certo orgoglio a cadere con fermo viso. Si allontanò di
pochi passi da Enrico non gettando su di lui neppure più uno sguardo, e
disse, a quelli che lo attorniavano:
— Signori, credo che un simile disgustoso incidente abbia già durato
fin troppo.... Mi ritiro; e prego voi due — e nominò due giovani
dei presenti — a volermi fare l’onore di assistermi nelle ulteriori
conseguenze di questa deplorevole scena.
Le medesime simpatie che s’era guadagnate presso Ernesto Sangré, e
anche da prima presso Enrico, Alfredo si era pure acquistate dalla
maggior parte dei giovani nobili torinesi; onde, benchè le parole del
cavaliere di Valneve, che si sapeva incapace di mentire, facessero
non lieve impressione negli uditori, tuttavia i due interpellati non
rifiutarono il geloso e delicato incarico e si dissero a disposizione
dell’amico, col quale si ritirarono per un momento in un appartato
gabinetto.
Enrico da parte sua si rinchiudeva in un altro stanzino con due
altri giovani da lui pregati di fargli da secondi; e questi per prima
cosa gli domandavano se avesse davvero buono in mano da provare le
gravissime accuse lanciate contro l’avversario.
Enrico si pentiva bensì già un pochino della pubblicità a cui s’era
lasciato trascinare dal suo umore impetuoso; ma poichè le cose erano
venute a tal punto, egli non poteva più indietreggiare e gli convenne
dire come fosse venuto in chiaro di que’ fatti, citando a sostegno
l’autorità del marchese Respetti; conchiuse che però ad ogni modo egli
era dispostissimo a battersi con quel signore, anzi lo desiderava
assai, e pregava i suoi rappresentanti a sollecitare, ad accettare
qualunque arma, qualunque più seria condizione, pur di far presto e
uscirne fuori, se fosse possibile, anche di quella sera.
I due padrini risposero che, poichè egli aveva messa la cosa nelle
loro mani, lasciasse far da loro, i quali poteva esser certo avrebbero
scelti que’ partiti che più si convenivano al decoro e all’onore del
loro mandante; e promisero di fargli sapere il risultato delle pratiche
quanto prima potessero.
Il giovane Sangré, tutto ancora accaldato, corse a casa, dove aveva da
aspettare la risposta, e ridottosi nelle sue camere, andò senz’altro
all’armadio in cui teneva le sue armi e ne trasse fuori due scatole
di pistole e due o tre coppie dì fioretti; esaminò le armi da fuoco,
ne fece scattare le molle, prese la mira, mise in disparte quelle che
gli parvero le migliori, impugnò i fioretti un per uno, li brandì, si
esercitò a tirare due o tre bottate contro il muro.
— È un po’ di tempo che non mi sono sgranchito alla scherma; non
sarebbe forse male rifarmi un po’ l’occhio e la mano... Ah! non voglio
che sia un duello da ridere, e lasciarmi bucare io da colui, no per
bacco!...
Si slanciò, colla concitazione del sangue che aveva ancora addosso,
al cordone del campanello e diede una grande strappata: fu lesto ad
accorrere lo stesso vecchio Tommaso.
— Che cosa comanda signor cavaliere? — disse l’affezionato servitore
guardando con occhio spaurito quelle armi sparse qua e là, il viso
animato del padroncino e la bellica ferocia, per così dire, con cui
egli brandiva la flessibile lama.
— Va subito dallo Speirani — (che era il suo maestro di scherma) —
e digli che venga qui sul momento, se può, e il più presto che sia
libero, se per caso è impegnato.
Tommaso non si mosse; esaminava tutto commosso l’aspetto del giovane e
il guizzo del fioretto che questi maneggiava.
— Ah, signor cavaliere! — disse balbettando: — Lo Speirani?... Quelle
armi?... Che cosa vuole?
E l’acceso giovane coll’impeto della sua indole avventata:
— Voglio liberare e me, e mia sorella, e tutti noi di un mascalzone
d’avventuriero che tentò ficcarsi nella mia famiglia come un tarlo in
una bella e buona stoffa.
— Il conte di Camporolle? — esclamò Tommaso sbalordito.
— Sì, colui; ma leva il conte e il Camporolle... Sono le penne del
pavone: sotto c’è una cornacchia e forse peggio.
— Vuol battersi con quel giovane? Col fidanzato della contessina?
Enrico diede addirittura nei lumi.
— Ma che fidanzato? Prima che sposi Albina colui, voglio che profondi
il Palazzo Madama... Glie l’ho detto ciò che gli conveniva or ora al
_Club_, e presto glie lo confermerò con una palla di piombo o con due
dita di lama...
— Misericordia! — esclamò il povero vecchio, tremando e giungendo le
mani. — Per carità, che cosa vuol fare signor cavaliere? Rientri in
sè stesso, faccia a tranquillarsi... pensi un po’ a quello che dirà la
signora contessa...
Il giovane si riscosse come se gli fosse stato gettato un bicchiere
d’acqua sul volto.
— Ah! mia madre! — disse, lasciando cadere il braccio che brandiva
il fioretto. — Tu non le dirai nulla, sai, nè a lei, nè ad altri qui
dentro!... Guardati bene!... Ah che ragazzaccio son io a lasciarmi
scappare di bocca ciò che non dovrei dire ad anima viva!.... Ricordati
bene! Ti proibisco di parlare, e se mia madre viene ad apprendere
qualche cosa, guai a te!
— Io non parlerò, io non dirò nulla; ma in nome del cielo, ci pensi
bene signor cavaliere, non voglia dare un tal dispiacere alla signora
contessa...
Enrico gli ruppe in bocca le parole.
— Basta! — gridò coll’imperiosa imponenza d’un Sangré. — Quello che
mi spetti di fare non tocca a te l’insegnarmelo... Invece di perdere
il tempo a star lì a guardarmi a braccia larghe e bocca idem, va,
affrettati e conducimi qui senza indugio lo Speirani....
— Ma signor Enrico!... — osò ancora dire il vecchio domestico, le
lagrime agli occhi.
— Niente!... Non una parola di più... va!...
Tommaso uscì tremante, barcollante, domandando a sè stesso quello che
gli toccasse di fare. Lasciare che quel duello avesse luogo parevagli
una colpa da averne eterno rimorso; e come tentare d’impedirlo senza
palesarlo a qualcuno della famiglia, mentre il padroncino gli aveva
imposto di tacere con tutti i suoi? Intanto cominciò per obbedire al
comando di correre dallo Speirani, e fu per istrada che la fortuna
volle farlo imbattere in Matteo, il quale, vistolo così conturbato, non
ebbe molto da fare per cavargli di bocca tutta la verità.
Matteo si turbò più profondamente ancora di quello che si fosse turbato
il devoto servitore. Anch’egli si disse che bisognava ad ogni modo
impedire che quel duello avesse luogo, e subito pensò al marchese
Respetti. Corse a casa sua, aprì lo scrigno che sappiamo, frugò per
entro il cassettino dove si custodivano le carte e ci prese un foglio
— anzi la metà d’un foglio, — quella che aveva separata da quell’altra
recata alla contessina Albina, la scorse cogli occhi, fece un
movimento di soddisfazione come per dirsi essere quello appunto che gli
conveniva, e corse alla locanda dov’erano alloggiati i Respetti.
Come abbiamo visto, il marchese non c’era, e nelle varie volte che
Matteo ansioso ed impaziente ritornò, mai non ebbe la fortuna di
trovarlo, finchè alle sei precise, quando il Respetti veniva a pranzo,
i due uomini si incontrarono fronte a fronte nel vestibolo in alto
delle scale, al primo piano.
Si ridussero in un gabinetto, si richiusero dentro, e il marchese con
quel tono di superbia con cui aveva accolto l’usuraio, gli disse, senza
accennargli neppure di sedere:
— Che cos’è che voi potete volere da me?... Parlate.


XXIII.

Matteo Arpione stette un momento prima di parlare, come si fa dopo
una corsa per riavere il respiro che vi manca; voleva dominare il
suo turbamento, riacquistare tutta la freddezza della sua mente, la
furberia della sua indole e l’abilità della sua lunga esperienza di
trattare cogli uomini e di giuocare colle varie passioni di essi, per
cominciare quel colloquio, il quale doveva essere una lotta, in cui
egli voleva riuscir vincitore. Giunse così a comporre il suo aspetto,
a ridonare alla sua fisonomia quell’apatica indifferenza sotto cui
nascondeva accuratamente ogni emozione, ogni sensazione, allo sguardo
quella plumbea freddezza che era negativa d’ogni qualsiasi espressione.
— Signor marchese, — diss’egli poi, umile e curvo com’era sempre,
con voce senz’armonia, fredda, sorda, sommessa, tranquilla, lenta
— sono venuto da Lei per rendere un gran servizio alla nobile
famiglia di Valneve, per la quale, malgrado il modo crudele con cui
ne venni trattato, io ho sempre la medesima affettuosa e rispettosa
devozione....
Il marchese fece un gesto di leggera impazienza; Matteo s’affrettò a
soggiungere:
— E per cercare di risparmiarle, col mezzo di Vossignoria, una gran
disgrazia che la minaccia.
Respetti lo guardò bene con diffidenza.
— Quale disgrazia? — domandò con orgogliosa freddezza.
— Poco fa, non saranno più di due ore, — rispose Matteo, pronunziando
le parole ancora più lente e spiccate, — il signor cavaliere Enrico
Sangré, al _Club_ dei nobili ha insultato gravemente il conte di
Camporolle e ne successe una sfida, la quale, e per la gravità
dell’insulto, e per la qualità delle persone, non può che avere le più
deplorevoli conseguenze.
Il marchese fece un atto di viva contrarietà.
— Ah! l’imprudente ragazzo! — esclamò con accento di rammarico. —
Ma già quello lì ha del liquido infiammabile nelle vene, alla menoma
fregagione piglia fuoco come un razzo....
— Ella capisce, — riprese il vecchio, — che codesto duello non deve
aver luogo, non può aver luogo, e che a Lei, signor marchese, incombe
l’obbligo d’impedirlo.
Respetti guardò con altezzosa ironia quell’uomo vecchio, umile in
vista, mal vestito, che gli stava dinanzi.
— È il signor Arpione che viene ad ammonirmi di quello che è mio
obbligo?
Matteo, senza pur dipartirsi dalla solita umiltà dell’aspetto e del
contegno, rispose con una certa fermezza:
— Sì, signor marchese; nessuno meglio di Lei può fare questa buona
opera, può rendere questo servizio ai signori Sangré, e la sua
relazione, la sua parentela con essi, pare a me che glie ne facciano
proprio un debito. Vossignoria perdonerà la mia franchezza, perchè
mossa dal maggiore interessamento per quelle persone che a Lei sono
carissime.... Ed è perciò che sono venuto confidente ad avvertir Lei
del caso e a dirle di recarvi rimedio.
Sotto l’ancora apparente umiltà dell’usuraio, al marchese parve
avvertire una certa intenzione di dettargli la legge, che suscitò in
lui un’ombra di risentimento; se non avesse avuto desiderio e bisogno
egli stesso di ottenere da quell’uomo importanti rivelazioni, lo
avrebbe senz’altro licenziato dalla sua presenza con superbe parole; si
limitò a guardarlo alteramente, e rispose:
— Dalla parte di mio cugino veggo molto difficile l’impresa. Un Sangré
non si ritira più quando ha mandata ed accettata una sfida; e io non
oserei nemmanco proporlo.
— Non dico che il cavaliere faccia cosa alcuna men degna di lui,
del suo nome.... Ma Lei, marchese, colla sua autorità può frapporsi
fra i due giovani e ottenendo qualche cosa dall’uno e qualche cosa
dall’altro, giungere alla riconciliazione.... Pensi alla contessa
Adelaide!... Pensi che il conte di Camporolle è schermitore abilissimo,
è pieno di coraggio e di forza....
— Mio cugino Enrico, — interruppe brusco il marchese, — non è inferiore
a nessuno per valore e nemmeno per abilità nel maneggio di qualunque
arma: colla pistola su dieci colpi è sicuro d’imbroccare il centro del
bersaglio nove volte, e fra quanti frequentano la sala d’armi dello
Speirani, non c’è alcuno che possa stargli a paro sia col fioretto che
colla sciabola.
Lo sguardo del vecchio ebbe un balenìo come di spavento, e il color
terreo della sua faccia si fece ancora più giallastro.
— Ah! in un duello, sul terreno, — egli disse, — Lei sa pure che non è
più come al bersaglio e nella sala d’arme....
Respetti interruppe con disdegnosa impazienza:
— Ebbene sì, tranquillatevi.... Se vi preme cotanto il veder sottratto
a tal pericolo il cavaliere Enrico, io mi ricordo ora che c’è un mezzo
per far dichiarare da ogni persona d’onore impossibile questo duello; e
un mezzo affatto decoroso per mio cugino.
— Ah sì! — esclamò Matteo con un sentimento non del tutto dissimulato
di contentezza e di sollievo: — e questo mezzo sarebbe?...
— Comprendete pur bene anche voi, — rispose il marchese, — che un
Sangré non può battersi che con un avversario degno di lui, sull’onore
del quale, almanco, non siavi la più piccola macchia.
Lo sguardo, la fisonomia del vecchio tornarono foschi.
— Ebbene?... E con ciò?... — egli domandò con voce sorda e,
nell’apparente indifferenza quasi minacciosa.
— Ebbene, quel sedicente Camporolle non è avversario con cui si
possa misurare mio cugino, perchè non si sa chi sia, perchè ci si è
presentato con nome finto, con documenti falsificati, perchè tutto
fa sospettare una origine poco onorevole alle ricchezze di cui gode,
perchè lo si accusa perfino di aver fatto il denunziatore alla polizia
di Parma.
Matteo smarrì il suo sangue freddo: un rosso cupo gli venne ai pomelli
delle guancie aggrinzate, le pupille in fondo alle occhiaie ebbero un
bagliore viperino, la bocca si contrasse in una smorfia da far paura,
la voce suonò con una vibrazione maggiore e con tono più alto.
— Codeste sono tutte calunnie... Oh lo so bene che Lei stesso, signor
marchese, le raccolse e le va spargendo; e sono venuto apposta da Lei,
anche per ciò, a dirle che il male fatto o voluto fare, Ella stesso
lo deve distrurre e riparare; che Ella deve rivendicare e difendere
l’onore di colui che è lo sposo e sarà il marito di sua cugina
Albina; che deve impedire il duello minacciato per l’unica ragione
che è impossibile stiano colle armi alla mano, fronte a fronte, due
che devono — ripetè la parola, pesandoci su con significazione — che
_devono_ diventare cognati e amarsi come fratelli.
Respetti interruppe con disdegno.
— Olà, sor Arpione, dove avete preso codesta sicurezza e codesto tono?
Che voi ci teniate dimolto a fare sposare la contessina Sangré con quel
signore, lo sapevo già; so che avete impiegato certe arti per indurre
quella giovinetta ad accettare tal partito; e mi piacerebbe pur sapere
qual sia la ragione che in voi, solito a non far nulla per nulla, a non
muovere pure un dito senza averci qualche buon guadagno, ispira tanto
interessamento per quel giovanotto, sul quale avete vegliato fin da
bambino, il quale avete fatto ricco mercè il frutto delle vostre usure,
e ora volete introdurre nella vera nobiltà con un simile matrimonio.
Matteo Arpione avvisò che il momento decisivo era venuto, che ora,
per vincere la pugna, bisognava ferire il gran colpo, e ridrizzata
la persona, levato fieramente il capo, con accento risoluto e quasi
minaccioso, proruppe:
— Sì, quel giovane l’ho voluto ricco, nobile e lo voglio ora felice;
ma la ragione è inutile cercarla, e non le consiglio, marchese, di
perdere in ciò il suo tempo. Quel matrimonio deve farsi, lo _voglio_;
e Lei deve aiutarmici, torre di mezzo tutte le cattive impressioni che
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 10
  • Parts
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 01
    Total number of words is 4349
    Total number of unique words is 1583
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    52.7 of words are in the 5000 most common words
    60.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 02
    Total number of words is 4432
    Total number of unique words is 1637
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    53.5 of words are in the 5000 most common words
    61.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 03
    Total number of words is 4423
    Total number of unique words is 1545
    41.3 of words are in the 2000 most common words
    57.8 of words are in the 5000 most common words
    65.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 04
    Total number of words is 4467
    Total number of unique words is 1702
    36.9 of words are in the 2000 most common words
    53.2 of words are in the 5000 most common words
    60.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 05
    Total number of words is 4457
    Total number of unique words is 1539
    39.0 of words are in the 2000 most common words
    54.5 of words are in the 5000 most common words
    62.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 06
    Total number of words is 4492
    Total number of unique words is 1517
    37.7 of words are in the 2000 most common words
    53.0 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 07
    Total number of words is 4452
    Total number of unique words is 1541
    40.5 of words are in the 2000 most common words
    56.5 of words are in the 5000 most common words
    64.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 08
    Total number of words is 4331
    Total number of unique words is 1530
    38.3 of words are in the 2000 most common words
    54.2 of words are in the 5000 most common words
    61.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 09
    Total number of words is 4420
    Total number of unique words is 1605
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    51.7 of words are in the 5000 most common words
    59.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 10
    Total number of words is 4350
    Total number of unique words is 1566
    38.4 of words are in the 2000 most common words
    52.8 of words are in the 5000 most common words
    61.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 11
    Total number of words is 4452
    Total number of unique words is 1586
    38.9 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    60.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 12
    Total number of words is 4358
    Total number of unique words is 1676
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    53.3 of words are in the 5000 most common words
    61.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 13
    Total number of words is 4422
    Total number of unique words is 1624
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    51.7 of words are in the 5000 most common words
    59.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 14
    Total number of words is 4512
    Total number of unique words is 1623
    38.1 of words are in the 2000 most common words
    53.7 of words are in the 5000 most common words
    60.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 15
    Total number of words is 4410
    Total number of unique words is 1579
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    52.5 of words are in the 5000 most common words
    60.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 16
    Total number of words is 4430
    Total number of unique words is 1663
    38.6 of words are in the 2000 most common words
    52.5 of words are in the 5000 most common words
    60.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 17
    Total number of words is 4496
    Total number of unique words is 1693
    37.7 of words are in the 2000 most common words
    52.9 of words are in the 5000 most common words
    60.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il segreto di Matteo Arpione : Aristocrazia II - 18
    Total number of words is 1698
    Total number of unique words is 835
    48.1 of words are in the 2000 most common words
    62.5 of words are in the 5000 most common words
    70.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.