Il ritratto del diavolo - 07

figurarvi. Ella non aveva davanti agli occhi la più piccola immagine
di genio nascente. Gli scolari di suo padre erano rozzi, o gaglioffi,
veri fattori, garzoni di bottega, non artisti da innamorare le
fanciulle. Madonna Fiordalisa non aveva condotto l'animo di suo padre
su quella via, che per un senso d'orgoglio. Ecco in che modo.
L'arte della pittura incominciava allora ad essere tenuta in qualche
pregio, più per la fama di Giotto e de' suoi valenti discepoli, che
non per sè medesima, come arte liberale. Solo da pochi anni i pittori
avevano istituita in Firenze la loro confraternita speciale, e mastro
Jacopo di Casentino, che v'era ascritto dei primi, aveva dipinto per
l'oratorio di quella un _San Luca che ritrae la Nostra Donna in un
quadro_. Ma ciò non bastava ancora a nobilitare i pittori, poichè, lo
sapete, tutte le distinzioni hanno mestieri di pigliar lustro dal
tempo. Inoltre la compagnia di san Luca non era nata con intendimenti
molto orgogliosi, ma solo perchè i maestri che allora vivevano, così
della vecchia maniera greca, come della nuova di Giotto, ritrovandosi
in gran numero e considerando che l'arti del disegno avevano in
Toscana, anzi proprio in Firenze, avuto il loro rinascimento, s'erano
consigliati di creare la detta compagnia, sotto il nome e la
protezione di san Luca evangelista, sì per render lode e grazie a Dio
nell'oratorio di quella, sì anco per trovarsi alcuna volta insieme e
sovvenire nelle cose dell'anima e del corpo a chi, secondo i tempi,
n'avesse bisogno. Il periodo è lungo; ma non è che l'abbreviatura d'un
altro, anche più lungo, di messer Giorgio Vasari. Del resto i pittori
non erano che una frazione degli scudai, rotellai, palvesai, ed altri
artefici di quella fatta; nè si credevano diversi da questi, poichè
tutti dipingevano le pezze onorevoli e le imprese negli scudi degli
uomini di guerra. La famosa risposta di Giotto a quel villan rifatto
che voleva farsi dipinger l'arme da lui, è la riprova di questa
comunanza di lavoro. Il rinnovatore dell'arte italiana non si doleva
tanto di dover dipingere uno stemma, quanto di dover accettare la
commissione d'un uomo di picciolo affare, che ragionava d'armi come se
fosse il duca Namo di Baviera.
Accadeva dunque all'arte della pittura ciò che è dei piccoli aquilotti
nel nido, che sentono nascer le penne e già batton l'ali, quantunque
abbiano ancora i bordoni. Madonna Fiordalisa sentiva il gentile
orgoglio dell'arte paterna, e in ciò spero che nessuno le vorrà dar
torto. Quegli angioli e quelle Vergini che dipingeva suo padre e che
facevano rimanere a bocca aperta tanti gentiluomi di Firenze e di
Arezzo, erano quarti di nobiltà per la sua casa, che valevano pure le
armi di concessione degli imperatori di Lamagna e dei reali di
Francia. Madonna Fiordalisa aveva dunque la sua piccola superbia in
testa. E poichè al matrimonio bisognava pensare, per la ragione
naturalissima che una bella ragazza come lei non avrebbe potuto
sottrarvisi, ella incominciò a fare il suo ragionamento dentro di sè.
Un artefice di umili lavori non lo voleva, e ad ogni modo non lo
avrebbe voluto mastro Jacopo; ma un gentiluomo, ancorchè fosse
piaciuto a suo padre, non lo avrebbe voluto lei sentendo
istintivamente che i grandi, i potenti della terra, non erano fatti
per la figliuola d'un pittore. Madonna Fiordalisa non amava
discendere, ma non voleva neanche salire ad una altezza, dove poi le
si potesse rinfacciare l'umiltà relativa dei suoi natali. In quel
corpicino leggiadro batteva un cuor di regina.
Nessuno, io spero, vorrà dirmi che io la rendo brutta, dipingendola un
tantino orgogliosa. L'ipocrisia non deve guastar l'arte, come qualche
volta pur troppo le avviene di guastar la natura. Orgogliosi lo siam
tutti la parte nostra, e meglio sarebbe confessarlo sinceramente,
ognuno per sè medesimo, anzi che fermarsi a biasimare la cosa negli
altri. Fiordalisa a buon conto, era superba come doveva essere, di
quella superbia che non reca offesa ad alcuno, ma che basta a farci
sentire non indegnamente di noi, ed è stimolo potente ad opere
egregie, o almeno almeno a non volgari pensieri.
La realtà piacevole che, come ho detto, mancava ancora alla bella
Fiordalisa quando ella incominciò ad insinuare nella mente di suo
padre l'idea di non volere che un artista per genero, si presentò
finalmente, nella persona di Spinello Spinelli. La fanciulla riconobbe
in lui l'ultimo venuto e il più modesto de' suoi adoratori di strada.
Si turbò, a tutta prima, immaginando che fosse un temerario
introdottosi destramente in casa di mastro Jacopo, sotto colore di una
vocazione artistica che non sentisse davvero nell'anima. Fiordalisa
era una di quelle donne che non amano gli audaci. Ma ella non istette
molto ad accorgersi che Spinello non aveva mentito, e incominciò a
vedere in lui l'incarnazione di quell'ideale che ella vagheggiava
nella sua mente. Si raccolse allora in sè medesima, assaporando la
nuova sensazione che il caso portava nella sua esistenza. Il cuore di
Fiordalisa si era svegliato; per contro, la sua fantasia, vigile da
prima e avvezza a vagar dietro alle chimere, si addormentava in un bel
sogno, che aveva argomento nel vero.
C'è nell'amore un grazioso dormiveglia, di cui come di tante altre
cose piacevoli, si sente la delizia, quando la sensazione è cessata, o
s'è trasformata in un'altra. Il cuore incomincia a farsi vivo, nel
confuso bisbiglio d'una voce arcana. La ragione, acquietata da onesti
argomenti, o persuasa dalla lontananza del pericolo, trova nel fatto
il suo tornaconto e sonnecchia, lasciando che l'anima si abbandoni
intieramente al soave sentimento che la invade. Tutti gli amori lo
hanno, questo dolce periodo d'infanzia, del non desiderare, del non
discuter nulla, dell'accettare la vita e la cosa come ci sono offerte
dalla lieta occasione. È il tempo in cui l'uomo osserva la veste
portata da una donna, per rammentarsene poi, come d'ogni parte più
appariscente della bellezza di lei; è il lampo in cui la donna medita
sulle frasi più insignificanti, e finisce a trovarci un senso riposto.
E più tardi l'uomo può dire: "Sapete? la prima volta che ho sentito di
amarvi, eravate vestita così e così." E la donna dal canto suo: "Vi
rammentate? Un giorno, nel tal luogo, alla tal ora, mi avete detto che
non vi piacevano i _marrons glacés_." Cara infanzia d'amore! In quel
soave dormiveglia si è compiuto il grande mistero della
compenetrazione (stavo per dire della transustanziazione) di due
cuori, di due anime, di due esistenze. E quando ci si trova innamorati
a buono, non si sa mica come la sia andata, nè quando sia entrato, nè
da che uscio, l'amore. Si vorrebbe saperlo, per appagare una gentile
curiosità, e rinnovarne la grata sensazione. Ma invano; l'indagine
nostra non può risalire all'origine, o, se vi giunge, non trova nulla
di chiaro. Così è l'infanzia del linguaggio, di quest'altro sublime
mistero. Come ha imparato a parlare il bambino? Quando e per che vie
ha trovati i nessi della frase e i segreti della coniugazione? Cercate
e non troverete; bussate e non vi sarà aperto, nè ora, nè mai.
Quando madonna Fiordalisa si accorse di amar tanto il nuovo discepolo
di suo padre, mastro Jacopo era già più infatuato dei meriti di
Spinello che ella non fosse invaghita del giovane. Una bella mattina
mastro Jacopo le disse così di schianto: "Sai? Spinello ti ama; io amo
lui; resta che lo ami anche tu, perchè la catena sia fatta". Ella rise
della forma bizzarra che suo padre avea dato alla notizia; ma non ebbe
a maravigliarsene punto. Come l'amore di Spinello Spinelli, così le
intenzioni benevole di mastro Jacopo non erano una novità per lei; le
sapeva già, le sentiva nell'aria.
Anche il trionfo artistico di Spinello nell'affresco del Duomo, per
grande che fosse, era preveduto. La cosa andava da sè. Era, per dir
così, la chiave della camera nuziale, ed era giusto che Spinello
facesse miracoli per ottenerla. Di questo ella non aveva mai dubitato,
poichè la ragione dell'impresa, il segreto della vittoria di Spinello,
era in lei, consapevole virtù teologale. Quante cose sapeva la bella
Fiordalisa! Ma badate, non più tante come prima. Per esempio, una
volta ella sapeva quanti uomini in Arezzo fossero innamorati di lei.
Nè già perchè ella si fosse fermata a contarli, vi prego di crederlo,
ma perchè non poteva non vederli, non sentirsi fischiare all'orecchio
le loro giaculatorie, anche quelle che non escivano fuori in parole
formate. Madonna Fiordalisa vedeva senza guardare, udiva senza
ascoltare. Ma quando ella sentì di amare Spinello, non vide, non udì
più nulla del mondo. Il sesto senso che hanno le donne, per cogliere
ciò che sfugge all'attenzione dell'universale, fu spento d'improvviso
in lei. Madonna Fiordalisa non vedeva, non udiva che un uomo. In
apparenza, era sempre contegnosa e tranquilla, come quando sentiva il
susurro degli inni che volavano a lei d'ogni parte, e direi quasi il
crepitio dei cuori che ardevano sul suo passaggio trionfale. Ma
nell'anima sua era un pensiero che non pativa rivali, nel suo cuore
un'immagine che non lasciava posto a nessuna impressione esteriore.
La rammentate, la favola di quella bella principessa a cui una fata
benigna aveva concesso di poter leggere nel cuore di tutti, fino a
tanto che ella potesse veder chiaro nel suo? Un giorno la principessa
si svegliò più triste dell'usato; guardò nel suo cuore e ci vide
torbido. La poverina era innamorata. La favola dice che da principio
ella non sapeva darsene pace; ma che poi ne fu consolata dalla sua
protettrice. Che ti giova, le disse la fata, di leggere nel cuore di
tutti? Le più grandi soddisfazioni della vanità non valgono il più
piccolo conforto d'amore.--
Il guasto dell'affresco era venuto in mal punto, per indugiare la
felicità dei nostri innamorati; ma non doveva altrimenti distruggerla,
poichè la mano che aveva condotto a termine il primo lavoro, poteva
incominciarne un secondo. Fiordaliso indovinò la presenza del nemico,
e sospettò anzi un geloso. Ma suo padre non ci aveva veduto che il
tiro mancino di un compagno d'arte invidioso, e mostrava anche di
sapere dove metter le mani. La partenza improvvisa del Chiacchiera,
del Granacci e di Lippo del Calzaiuolo dalla bottega di mastro Jacopo,
confermava i sospetti del vecchio pittore. E Fiordalisa lasciò in
disparte i suoi dubbi, non cercò altro, non si volse attorno per
interrogare i sembianti, che avrebbero potuto impallidire. Del resto,
che importava cercare il nemico, se Spinello doveva ad ogni modo
riportare la palma? Fiordalisa rianimò il coraggio del suo fidanzato e
gli persuase che da quel male ne sarebbe derivato un bene maggiore,
poichè nella seconda prova egli avrebbe dimostrato, se era possibile,
una più grande franchezza di mano.
Così avvenne, com'ella aveva pronosticato. Spinello ebbe vendetta
allegra dello sconosciuto nemico, nel plauso di tutti i suoi
concittadini, che avevano ammirato il primo dipinto e che levarono a
cielo il secondo. E mastro Jacopo, contento come poteva esserlo un
padre, diede a Spinello il maggior premio che per lui si potesse,
annunziandogli che il matrimonio si sarebbe fatto fra un mese. Un
mese! Appena quanto occorreva per gli apparecchi nuziali.
Gran giornata, quella festa di San Luca! Ma ogni santo ha la sua
vigilia, e mastro Jacopo pensò giustamente che dovesse averla anche il
terzo degli evangelisti e il primo dei pittori cristiani. Il giorno
delle nozze doveva essere un giorno di raccoglimento; bisognava dunque
solennizzarlo in anticipazione, facendo alla vigilia il pranzo
nuziale.
La casa di mastro Jacopo era di persona agiata, ma non ricca. Del
resto, a quei tempi, anche i popolani grassi vivevano semplicemente.
Al servigi della famiglia di mastro Jacopo non c'era che una vecchia
fante, la quale bastava a tutto, e a governare la casa e ad
accompagnare madonna Fiordalisa, quando esciva per andare agli uffizi
divini. Essa per altro non sarebbe bastata ai bisogni di quella
circostanza solenne, e fu mestieri provvedersi di quattro o cinque
mezzi servizi per quel giorno di grandi faccende domestiche. Parri
della Quercia e Tuccio di Credi, volonterosi aiutanti, si fecero in
quattro, per servire il maestro in quelle ricerche e in tutto l'altro
che gli fosse bisognevole. Nella necessità si conoscono gli amici; e
quello era il meno che potessero fare, per dimostrargli la loro
gratitudine.
Il vecchio pittore si rallegrava di vedere raccolta in casa sua tanta
gente. I congiunti non erano molti, poichè egli non era nato in Arezzo
e messer Luca Spinelli neppure. Ma una zia si trovò, ed anche una
copia di cugini o di cugine, a cui si aggiunse una mezza serqua di
amici vecchi, che potevano considerarsi come parenti, o giù di lì.
C'erano poi gli scolari di Mastro Jacopo, ed anche qualche bell'umore,
di quei tali che si invitano a tutte le feste, perchè rallegrino le
brigate coi loro motti arguti o con le loro canzoni.
Messer Luca Spinelli, quel giorno, baciò sulle gote la gentil
Fiordalisa e la chiamò col dolce nome di figlia. Com'era bella, nella
sua veste di ferrandina a larghe pieghe e la radice del collo coperta
da un baveretto bianco! Era la veste che ella indossava per recarsi al
Duomo; la veste con cui l'aveva veduta per la prima volta Spinello, e
voi intenderete, io m'immagino, il delicato pensiero che l'aveva
consigliata di vestirsi a quel modo, lasciando al giorno seguente le
più sfarzose abbigliature.
Ma ohimè, se Fiordalisa, era bella, non era altrimenti lieta. Messer
Luca osservò che la sua nuora futura, anzi, la sua cara figliuola,
poichè oramai poteva anch'egli chiamarla così, portava sul volto le
traccie d'un interno rammarico.
--Luca mio,--gli disse mastro Jacopo, traendolo in disparte,--che
volete? Son donne e ci hanno le loro piccole superstizioni. S'è dovuto
prendere quattro o cinque persone a mezzo servizio, per dar mano a
tutto il bisognevole in questa casa, dove pare che ci sia il
finimondo. E stamane, uno di questi gaglioffi anzi una di queste
sventate, poichè si tratta d'una donna, nel riporre certe robe nel
forziere di mia figlia, ha lasciato cadere un piccolo specchio, che è
andato, come potete immaginarvi, in tanti minuzzoli. E per giunta
(vedete che sciocca!) non s'è messa a gridare che era una grande
disgrazia?
--Lo è certamente;--notò messer Luca Spinelli.--Costa caro uno
specchio!
--Oh, per questo avete ragione; ma non era il caso di vederci altro
guaio. La mia figliuola veramente non li aveva, certi pregiudizi per
il capo; ma voi mi capirete bene; sentirsi dire che il rompere uno
specchio porta sventura, non è certamente una cosa piacevole, specie
alla vigilia d'un matrimonio. Io per altro l'ho consolata, dicendole
che la rottura d'uno specchio porta sventura, bensì, ma solamente a
chi lo ha lasciato cascare. Non ho detto bene? Ma lasciamo queste
ragazzate;--conchiuse mastro Jacopo;--e andiamo a tavola, con la
benedizione di Dio.
Del resto, se madonna Fiordalisa era grave all'aspetto, non crediate
che fosse per quel piccolo guaio, dimenticato pochi istanti dopo che
era avvenuto. Ed ella e il suo fidanzato stavano in contegno, come è
costume di tutti gl'innamorati, giunti a quel momento, in cui hanno da
custodire la loro allegrezza dallo sguardo importuno dei curiosi, ed
anche da nascondere, per debito di cortesia, la noia che provano a
dover perdere il loro tempo in compagnia di profani.
Fortunatamente, se i due innamorati apparivano un po' malinconici,
mastro Jacopo era gaio per essi e per altre undici coppie di sposi. È
sempre andata così. I caratteri più burberi quando girano per caso al
buon umore, diventano così pienamente e così rumorosamente allegri da
mettere in sacco una dozzina di giullari.
Mastro Jacopo aveva ragione d'essere così allegro. La sua figliuola
andava a marito. Era la sorte di tutte le ragazze; ma per quella volta
la frase non era precisa, poichè Fiordalisa non andava restava, ed era
il marito che faceva la strada. Mastro Jacopo aveva voluto tirarsi il
genero in casa, e Luca Spinelli che non era ricco, già lo sapete, si
acconciava al desiderio del vecchio pittore. Il quale poteva dire
giustamente di aver concessa con una mano sua figlia, ma di averla
ritenuta con l'altra.
Alle gioie domestiche di mastro Jacopo avevano preso parte moltissimi,
in Arezzo, e si potrebbe aggiungere tutti gli abitanti della contrada.
Mastro Jacopo era universalmente stimato; la sua figliuola era
universalmente amata, anzi per dirla con una iperbole tutta nostrana,
adorata. Figuratevi che davanti all'uscio di casa erano stati piantati
degli alberi inghirlandati di fiori. Era la confusione del calendario;
ii maggio in ottobre! E sotto alle finestre della casa si affollavano
i cantori popolari, per festeggiare le nozze di madonna Fiordalisa coi
loro rispetti, frammezzati da certe rifiorite, che era una delizia a
sentirle.
Non vi descrivo il pranzo. Vi dirò solamente che fu degno della
circostanza e lieto per una bella confusione di bicchieri e di lingue.
Il vin toscano, specie quello di Val di Chiana, è generoso, non
traditore; vi dà una dolce allegria, senza turbar la ragione.
Spinello non mangiava e non beveva che a fior di labbra. Guardava
Fiordalisa. Stava a sentire i motti, sorrideva ai complimenti,
accettava gli augurii, ma senza meditarci su. Guardava Fiordalisa. Di
tanto in tanto, facendo uno sforzo di volontà, si concentrava in sè
medesimo e chiedeva:
Son io, proprio io, che la sposo? Non è un sogno, che faccio? In fede
mia non lo so. Vedrò di persuadermene domani.--
La giornata era bellissima, forse un po' troppo calda, per il mezzo
d'ottobre. Guardando Fiordalisa ad ogni tratto, Spinello s'immaginò
ch'ella dovesse soffrire. Come Dio volle, anche il pranzo finì; ed
egli, accostandosi alla sua fidanzata, le chiese sotto voce:
--Madonna, che avete? Vi sentite qualche cosa?
--Oh, nulla;--rispose ella.--Un po' di caldo.
--Dovevo figurarmelo;--riprese Spinello.--Si sta male, chiusi qui
dentro, ed in tanti! Venite con me, madonna, a respirare un po' di
aria libera.--
Fiordalisa accettò l'invito di Spinello, ed escì con lui sul loggiato.
Era l'ora di vespro, e il sole incominciava a nascondersi dietro i
tetti delle case vicine. Il cielo era splendido scintillante d'oro con
riflessi di porpora. L'aria, sul loggiato, era tiepida ancora della
lunga refrazione dei raggi solari sulle pareti e sui colonnini di
marmo; ma dalla strada incominciava a spirare il timido soffio
dell'aria vespertina. Fiordalisa bevve con desiderio quell'alito
consolatore.
--Bella sera!--esclamò Spinello!--E miglior giorno sarà domani!--
Fiordalisa si volse a lui e sorrise, ma d'un sorriso stanco, che morì
appena nato su quelle pallide labbra.
--Anima mia!--proseguì Spinello avvicinandosi.--Voi non vi sentite
bene, quest'oggi!
--È vero;--diss'ella---Non so proprio che cosa sia. Mi parea di
morire, là dentro.
--Dio mio!--esclamò il giovane, commosso--bisognerà prendere qualche
cosa. Se io sapessi!...
--Oh, non vi date pensiero. Anche oggi, prima di venire a tavola, ho
preso un cordiale. Mi sentivo già un poco abbattuta!....--
Spinello si sarebbe turbato per molto meno. Volgendo la testa, come
chi cerchi qualche cosa che non sa, gli venne veduta, nel vano
dell'uscio che metteva al loggiato, la faccia scura di Tuccio di
Credi.
--Tuccio,--diss'egli allora,--vi prego, chiamate mastro Jacopo.--
Tuccio si era inoltrato fin là, con aria tra curiosa e indifferente.
Gli dava noia d'esser colto sull'atto di spiare i due giovani; ed era
già per tirarsi indietro, sperando di passare inosservato, quando gli
giunse la voce di Spinello.
--Subito;--rispose egli, confondendo nella scossa del comando ricevuto
quella del vedersi scoperto.
E andò prontamente a far l'imbasciata. Poco dopo, mastro Jacopo
giungeva sul loggiato.
--Mi avete chiesto? Che c'è? Che cosa è avvenuto?--gridò egli, vedendo
Spinello che si volgeva a lui, con la cera sconvolta.
--C'è... Oh, padre mio, non vi turbate oltre il necessario! Fiordalisa
non si sente troppo bene. Il caldo la soffocava, là dentro.
--Eh, capisco;--rispose mastro Jacopo, riavutosi dal primo
spavento.--Non è avvezza a queste confusioni. Per fortuna, non vengono
che una volta sola. Fiordalisa, figliuola mia, ora ti senti meglio,
non è vero?
--Sì, babbo;--rispose la fanciulla, con un filo di voce.--Quest'aria
mi fa bene. Ma vorrei berne tanta...tanta! Ho un po' di stanchezza...e
un po' di sonno, anche.--
In quel mentre, capitavano sul loggiato parecchi dei convitati.
--Che cos'è avvenuto?--chiese Luca Spinelli. Abbiamo veduto Tuccio di
--Credi così stralunato! Ah, Fiordalisa! Si sentirebbe male?
--Un po' di stanchezza; non è nulla;--rispose mastro Jacopo, ma con un
tono di voce che contrastava con le parole.--Il caldo della sala da
pranzo...le nostre chiacchiere!...
--Già, il caldo; lo sentivamo anche noi;--entrarono a dire le
cugine.--Ma l'aria libera le farà bene. Non è vero, Fiordalisa?
--Sì;--mormorò la fanciulla, socchiudendo le palpebre.
--In verità,--disse Spinello, che aveva notato quell'atto.--sarebbe
meglio un po' di moto. Non vi pare, Fiordalisa?
E avvicinatosi a lei, le bisbigliò all'orecchio una dolce parola.
--Andiamo;--balbettò ella.--Mi farà bene... con voi.
Ma ella non accennò altrimenti di volersi alzare. Scosse in quella
vece il capo e si recò la mano al petto, come se volesse trattenere
qualche cosa che era per fuggirle in quel punto.
Spinello si buttò ginocchioni davanti a lei e l'afferrò per le
braccia.
--Che è ciò? Dio santo!--gridò egli sbigottito.--Fiordalisa, amor
mio!--
Scossa da quell'accento supplichevole, la fanciulla aperse a stento le
ciglia e rivolse a Spinello una languida occhiata; ma le palpebre si
richiusero tosto. Mosse ancora le labbra, come per dire qualche cosa,
indi si abbandonò come persona stanca e lasciò ricader la testa
sull'omero.
Due grida strazianti proruppero ad un tempo; il grido di mastro Jacopo
e il grido di Spinello Spinelli. Ma la bella Fiordalisa non udì più i
disperati richiami di que' due amori che si concentravano in lei.
--Che avete?--entrò a dire messer Luca.--. Ella si è addormentata.
--Ah, diceste il vero, padre mio!--gridò Spinello Spinelli.--Un
medico! Un medico! Chi trova un medico?--
Il sospetto di una disgrazia era penetrato nel cuore di tutti. E tutti
si offersero di andare in cerca d'un medico. Ma primo tra tutti balzò
fuori mastro Jacopo, e nessuno ebbe il coraggio di contendergli
quell'ufficio. Il vecchio padre andò via come un disperato. Chi lo
vide in volto, mentre usciva a furia dal crocchio, senti corrersi un
brivido di terrore per l'ossa.
Intorno alla povera Fiordalisa era una confusione, un tramestio da non
dirsi a parole. Tutti volevano esser utili, tutti si confidavano di
farle ricuperare i sensi. Prime le donne, che si erano affrettate a
slacciarle la veste. Spinello e gli altri uomini, mossi da un
sentimento di rispetto, si ritrassero in disparte. Alcuni, obbedendo
ai comandi della vecchia zia, che prendeva ad esercitare l'autorità
inerente all'età sua ed al suo grado di parentela, andarono a cercare
l'aceto, le acque nanfe, e tutto quell'altro che poteva parere più
acconcio al bisogno. Il viso e la radice del collo furono
abbondantemente spruzzati, ma invano; Fiordalisa non dava segno di
vita.
Erano tutti ancora intenti a quell'opera quando ritornò mastro Jacopo.
Il vecchio pittore era andato e tornato come un fulmine, trascinando
con sè mastro Giovanni da Cortona, uno dei più valenti discepoli
d'Esculapio, che fossero allora in Arezzo.
--Orbene?--gridò il vecchio, affacciandosi al loggiato.--È
rinvenuta?--
Gli sguardi abbattuti della brigata dissero a mastro Jacopo che la
speranza con cui era tornato in casa era vana. Allora il povero padre
si cacciò avanti con impeto disperato, gridando:
--Mia figlia! mia, figlia!--
Povero padre! Faceva compassione a vederlo.
--Animo, via,--disse messer Giovanni da Cortona,--non vi disperate
così. Sarà uno svenimento.--
E si avanzò in mezzo al crocchio, il degno seguace di Galeno, per
vedere da vicino la fanciulla. Notò da principio il volto che ora
bianco come il marmo; indi toccò il polso e pose la mano al petto,
interrogando le fonti della vita; da ultimo accostò la guancia alle
labbra, per sentire se ci fosse ombra di respiro. A mano a mano che
egli procedeva nelle sue indagini, gli astanti si stringevano intorno
a lui, fissandolo negli occhi, come per indovinare il suo responso,
prima che gli escusse dal labbro. Messer Giovanni era grave, da
principio; ma, seguitando l'esplorazione, divenne triste senz'altro e
una lagrima gli apparve sul ciglio.
--Parlate, in nome di Dio!--gridò mastro Jacopo, in preda ad un'ansia
mortale.--C'è speranza, non è vero?--
Messer Giovanni gli rivolse un'occhiata malinconica.
--Povero padre!--rispose.--Avete nominato Iddio; rivolgetevi a lui e
pregate. Egli solo, con un atto della sua misericordia, potrebbe
restituirvi quest'angiola vostra.
--Ah!--esclamò il vecchio, con voce soffocata dai singhiozzi.--Che
avete detto, Giovanni da Cortona? A Dio? Rivolgermi a Dio? Mia figlia!
Voglio mia figlia! Medico, medico, hai inteso? Tu devi salvarla; lo
voglio.--
Messer Giovanni chinò la testa come un uomo che sente il dolore
altrui, ma che non può consolarlo altrimenti.
--Ma è impossibile! Impossibile!--ripigliò mastro Jacopo.--Mia
figlia...mia figlia morire? Se non aveva nulla, stamane!
Ah,--soggiunse, ricordandosi,--lo specchio! lo specchio!--
Il medico si volse ai vicini, chiedendo col gesto una spiegazione di
quelle oscure parole. Messer Luca credette necessario di raccontargli
ciò che sapeva, intorno alla rottura dello specchio e alla dolorosa
impressione che il tristo presagio aveva fatto sull'animo di
Fiordalisa. Messer Giovanni allora volle sapere minutamente ogni
particolare dalle donne di servizio.
--E che cosa le avete dato?--diss'egli.
--Un cordiale, messere. La poverina si sentiva languire, e abbiamo
pensato di confortarle lo stomaco. S'è ammannito un brodo, con tuorli
d'uova sbattute e un poco d'agro di limone. Abbiamo forse fatto male?
--No, niente di male;--rispose il medico.--Ma forse nessuna bevanda
confortativa poteva giovarle più, dopo quella commozione violenta. Son
cose che avvengono;--soggiunse, come parlando a sè stesso.--Le vene
che s'innestano al cuore son troppo deboli, qualche volta, e uno
spavento improvviso può romperle. Ah, povera macchina umana!
Chiuso con questo malinconico epifonema il discorso, messer Giovanni
da Cortona ritornò verso mastro Jacopo, che veramente aveva bisogno di
cure amorevoli. Quel povero padre urlava come un forsennato.
Avvinghiatosi al corpo della sua figliuola, baciava il suo volto
freddo, accarezzava, cercando di ravviarli, i suoi lucidi capelli
castagni, che l'acqua aveva impiastricciati alle tempie; la scuoteva,
tornava a baciarla, a carezzarla, e la chiamava per nome. Ma invano;
quella povera carne non rispondeva più; le braccia ricadevano
penzoloni sui fianchi.
La scena era troppo straziante. Si scongiurò mastro Jacopo a togliersi
di là, ma le preghiere non facevano che accrescerne il furore, e fu
necessario di trascinarlo a forza. Intanto le donne, preso sulle
braccia il cadavere della fanciulla, lo recarono in casa e andarono a
deporlo nel suo letticciuolo verginale.
Spinello Spinelli non aveva più proferito parola. Era caduto in uno
stato di prostrazione, che meglio si sarebbe potuto dire stupidità. Lo
sguardo languido che Fiordalisa gli aveva rivolto, morendo, gli stava
sempre negli occhi. Pareva guardarvi, ma non vedeva nulla davanti a
sè; pareva ascoltarvi a bocca aperta, ma non intendeva nulla di ciò
che si diceva all'intorno.
Parri gli si accostò, e, postogli un braccio intorno alla vita, cercò
di trascinarlo in casa.
--Animo, via! Siate forte,--gli disse,--e pensate a consolare quel
povero padre, che sta per uscire di senno.--
Spinello guardò il suo compagno d'arte con aria melensa.
--Perchè?--gli chiese.