Il ritratto del diavolo - 04

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Io, poveretto, non ho come voi la fortuna di essere cercato altrove, e
debbo contentarmi di questo pane. Quando si ha bisogno, conviene
baciar basso.--
I tre arrabbiati avevano fatto consiglio. Non volevano saperne di
restare a bottega di mastro Jacopo; sentivano la voglia matta di
abbandonare una scuola in cui non s'imparava nulla, e si era costretti
a vedere la fortuna degli altri. Il Chiacchiera ebbe il mandato di
parlare per tutti.
La mattina vegnente, mastro Jacopo di Casentino, nell'escir di bottega
per recarsi al Duomo vecchio, disse ai giovani, che stavano lavorando:
--Avete sentito? Ci ho allegrezze in famiglia, e voi siete invitati
per domenica a mangiare il pan forte.--
Mastro Jacopo, a dirvela schietta, non ripeteva di buona voglia
l'invito. Gli sapeva male che non ne avessero parlato essi per i
primi, poichè Tuccio di Credi li aveva avvertiti d'ogni cosa;
parendogli giustamente che un maestro, un principale, avesse diritto a
quella piccola attenzione da parte loro.
I giovani stettero a sentirlo e si guardarono alla muta tra loro. Era
venuto per Angiolino Lorenzetti il momento di far onore al suo
soprannome di Chiacchiera. Egli, perciò, smise di macinar colori, la
sola occupazione in cui valesse qualche cosa, e così rispose al
maestro:
--Vedete che caso! Dobbiamo rinunziare a questo piacere.
--Come?--gridò mastro Jacopo.--Che cos'è questa novità?--
E guardava gli altri, frattanto, come se aspettasse da loro la
spiegazione di quelle parole del Chiacchiera. Ma gli altri stavano
zitti. Il Chiacchiera riprese il discorso per tutti.
--Ecco qua, maestro;--diss'egli;--si tratta d'un disegno che abbiamo
fatto in tre, cioè io, persona prima, Cristofano Granacci e Lippo del
Calzaiolo. Ce ne andiamo.
--Ve ne andate?--esclamò mastro Jacopo sgranando gli occhi.--E perchè,
se è lecito saperlo?
--Anzi, è obbligo nostro il dirvelo;--rispose il Chiacchiera con aria
di umiltà meravigliosa.--Quantunque, a dir le cose come stanno, tre
lasagnoni, come siamo noi, tra fannulloni....
--È vero, perdiana!--interruppe mastro Jacopo.--Per la prima volta in
tua vita, hai detto una verità.
--Eh, che volete, maestro? A furia di sentirle dire,
s'imparano;--replicò il Chiacchiera, con ironico accento.--Ma vedete
un po' che combinazione! C'è al mondo qualcheduno che non la pensa
come voi, Agnolo Gaddi, per esempio, che sta a Firenze, e sarebbe
disposto a prendere con sè Lippo del Calzaiolo; il Giottino, di
Firenze, e il Berna, di Siena, che farebbero a spartirsi il nostro
Cristofano Granacci.
--Ah!--esclamò il vecchio pittore inarcando le ciglia.--Quei tre
valentuomini hanno posto gli occhi su voi?--
Cristofano Granacci e Lippo del Calzaiuolo risposero asciuttamente con
un cenno del capo.
--Non me ne congratulo con loro;--ripigliò mastro Jacopo, poi ch'ebbe
veduta la mimica.--Sentiamo ora, poichè non mi hai detto
tutto,--soggiunse, volgendosi al Chiacchiera,--sentiamo ora chi sia
disposto a prender te, succiaminestre!
--Oh, non vi date pensiero per me! Io vado dove mi pare. Il primo che
capita, mi servirà. Che cosa si fa qui, alla fine? Si macina, si
mestica, s'incollano i cartoni, si fanno le imbasciate, si apre e si
chiude la bottega; insomma, un servizio da fanti, non una scuola da
pittori. Scusate, mastro Jacopo; io sarò un succiaminestre, un
mangiapane, tutto quel che vorrete, ma ho l'uso di chiamare ogni cosa
per il suo nome. Che cosa ci stiamo a far qui? In che modo ci avete
voi insegnati i principii dell'arte?--
Mastro Jacopo cascava dalle nuvole, a tanta audacia di discorso. Già
era sul punto di mandarli tutti e tre al diavolo, per la più spiccia;
ma le ultime parole, che racchiudevano un'accusa formale, lo toccarono
sul vivo.
--Per l'anima di...--gridò egli, dando di fuori senz'altro.--Che cos'è
quest'accusa che voi mi fate? Credete voi che l'arte s'insegni come il
leggere, scrivere e far di conto? Bietoloni! Anch'io sono stato a
scuola, e ricordo come insegnava Taddeo Gaddi, che a sua volta
ricordava come insegnasse Giotto di Bondone. Macinavo, mesticavo,
aprivo la bottega e la chiudevo, come voi; facevo le imbasciate del
maestro, maneggiavo la granata, secondo il bisogno, e molto più che
non maneggiassi i pennelli; insomma facevo ogni più umile ufficio come
voi. Con questa differenza, per altro; che voi vi lagnate, ed io non
mi lagnavo; che voi non intendete nulla di nulla, ed io cercavo di
profittare degli esempi che avevo sott'occhio. Guardando ciò che il
maestro faceva, io, bene o male, e mettete pure che fosse male, ho
imparato a fare anch'io qualche cosa. Indovinavo, dov'era facile
indovinare, e quello che non intendevo alle prime, chiedevo al
maestro. È dei maestri il rispondere, non già il sapere da bel
principio quel che si debba insegnare ai giovani. Avete capito,
lasagnoni? Si può egli instillare per via di precetti quello che la
natura dà all'uomo di cogliere dall'esempio quotidiano? Per precetti
s'insegna la grammatica, non l'arte del dipingere. Ora, quale è stato
il vostro costume, in bottega? Mi avete voi mai domandato come si
facesse la tal cosa, o perchè si facesse la tal altra? Avete voi posto
mai attenzione a ciò che facevo io? Non lo so; ma se bado all'esito,
mi pare di poter dire che non avete guardato mai, come non avete mai
chiesto. E allora, di che vi lagnate?--
Il Chiacchiera lasciò passare quella folata di parole, indi rispose:
--Oh, non a tutti i vostri scolari avete lasciato la cura d'imparare
da sè.
--Non a tutti! Lo credo, io,--replicò mastro Jacopo.--Tuccio di Credi,
per esempio, e Parri della Quercia, hanno saputo cavar profitto dei
loro occhi. Perciò mettete pure che io, vedendoli più attenti di voi,
li abbia consigliati qualche volta. Perchè non avete fatto come loro?
Vi avrei consigliati ugualmente.--
Il Chiacchiera rispose all'argomento con una crollatina di testa.
--Non si parla di Tuccio, nè di Parri;--diss'egli poscia.--Si parla di
Spinello Spinelli, del nuovo venuto, del vostro futuro genero. Quello
è il vostro beniamino, mastro Jacopo, o ch'io non so più che cosa sia
un beniamino. Vi capita in bottega con quattro scarabocchi, e voi
v'innamorate subito di lui, come Cimabue s'è innamorato di Giotto.
--Benissimo detto; come Cimabue!--ripigliò mastro Jacopo.--Infatti,
Spinello Spinelli meritava tutto quello che ho fatto per lui. Che ci
trovate a ridire, voi altri?
--Nel vostro capriccio, nulla. Della sua pasta può far gnocchi
ciascuno. Ma il modo!... Vedete? È il modo, che ci offende. Spinello
Spinelli viene da voi con un fascio di tocchi in penna. Bellissime
cose, degne di Giotto; lo ammetteremo anche noi, se può farvi piacere.
Ma come va che tre mesi dopo la sua venuta a bottega egli passa avanti
a Tuccio e a Parri, che sono con voi da tre anni? Come va che egli è
già così addentro nel maneggio dei colori, da mettere il pennello nei
fondi delle vostre composizioni?
--Nei fondi, l'hai detto tu, nei fondi!--gridò mastro Jacopo, con
accento di trionfo.
--Eh!--ripigliò il Chiacchiera, che oramai era in ballo e voleva
spendere il suo ultimo grosso; se non si trattasse che dei fondi!...
Ma voi avete fatto assai più, mastro Jacopo. A questo pittor
novellino, gli avete commesso un'opera di molta importanza, che era
stata allogata a voi dai massari del Duomo.
--Ah, tu sai anche questo?--borbottò il vecchio pittore, un tal po'
sconcertato.
--Sicuro, che lo so. Lo sa tutta Arezzo, lo sa.--
Mastro Jacopo si strinse nelle spalle.
--Ci ho gusto;--diss'egli,--Così non avrò più mestieri di dar la
notizia a nessuno. Spinello si farà onore; questo è l'essenziale.
--Col vostro aiuto, maestro, non si dubita punto dell'esito;--ribattè
gravemente il Chiacchiera.
--Che intenderesti di dire, manigoldo?
--Quello che voi avete già indovinato;--replicò l'impertinente
scolaro.--Alle corte, qui c'è un salto troppo grande, per gli stinchi
del vostro beniamino. Dai tocchi di penna all'affresco! E senza aver
fatto nel frattempo nulla che meriti di essere osservato! Neanche una
testa! Perchè noi--proseguì il Chiacchiera, riscaldandosi,--noi non
gliel'abbiamo mica veduto fare, uno studio dal naturale, dal vivo! Se
pure non vi piaccia di contare come uno studio dal vivo il profilo di
madonna Fiordalisa!...
--Ah, ho capito!--esclamò mastro Jacopo.--Perchè non dirlo prima, che
eravate gelosi? Ma io, vedete, mia figlia la dò a chi mi pare. E se
anche avessi voluto romperle il collo con uno di voi, non mi sarebbe
mica riescito di contentarvi tutti!
--No, maestro, disingannatevi, non siamo gelosi niente
affatto;--rispose il Chiacchiera.--Siamo pieni di rispetto per
madonna Fiordalisa, e fermi lì. Del profilo fatto dal vostro Spinello
se ne parla ora, per dirvi, anzi per tornarvi a dire, che non era un
ritratto. Spinello ha indovinata l'aria della figura e nient'altro. Se
dovesse fare un ritratto, si troverebbe molto impacciato.
--Sì, sì, vecchia storia;--borbottò mastro Jacopo;--ed io v'ho
risposto fin da principio che se Spinello vorrà fare un ritratto, lo
farà, in barba a tutti voi, scimuniti!
--Non quello di madonna Fiordalisa, per altro:--ribattè il
Chiacchiera, che trovava un gusto matto a contraddire il
maestro.--Parri della Quercia e Tuccio di Credi, che stanno cheti come
l'olio, vi hanno pur detto come e perchè un ritratto di madonna
Fiordalisa non sia dei più facili.
--Ho capito, ho capito; ritornate in campo coi vecchi dirizzoni. Ma
appunto per dar noia a voi altri, Spinello farà il ritratto della sua
fidanzata, e voi resterete con un palmo di naso.
--No, maestro, non resteremo:--rispose beffardo il Chiacchiera.--Vi ho
già detto che non si conta di rimanere in Arezzo. Quanto a me, se
avete comandi per Firenze....
--Vai dove ti pare, che il fistolo ti colga;--interruppe mastro
Jacopo.--E quando fai conto di levarci l'incomodo?
--Oggi stesso. Il tempo di prendere le mie bazzicature, e vi servo
sull'atto.
--Ottimamente;--brontolò il vecchio pittore.--E voi altri?--
La domanda era rivolta a Cristoforo Granacci e a Lippo del Calzaiolo.
Ambedue furono pronti a rispondere:
--Con lui, maestro; alla medesima ora.
--E andate,--tuonò il maestro, dando un'alzata di spalle,--andate con
lui, e col malanno che il ciel vi dia.--
Fu questo il commiato di mastro Jacopo di Casentino ai suoi degni
scolari, Angiolino Lorenzetti, detto il Chiacchiera, Lippo del
Calzaiolo e Cristofano Granacci.
Mastro Jacopo era in collera per la mancanza di rispetto di cui gli
avevano dato prova quei tre sciagurati; non già per la loro andata,
che lo liberava da tre fannulloni, veri impicci, non aiuti in bottega.
Perciò, vi sarà lecito di argomentare che egli dovesse consolarsi ben
presto. Era già più tranquillo nell'entrare in Duomo, dove lo
aspettava il suo pezzo d'intonaco, preparato di fresco. Ma egli non
volle andare al suo trespolo, senza aver veduto Spinello, che lavorava
già da due ore, intorno al suo Miracolo di san Donato. Bell'opera, in
verità; ci si vedeva un'aggiustatezza di parti, una vigoria di colore,
una sicurezza di fare, che teneva del maraviglioso.
--Che bricconi!--pensò mastro Jacopo, giunto sulla impalcatura del
ponte.--Ecco qua un bravo giovane, che è nato pittore com'io son nato
maschio. Si può egli far meglio di così? E gl'invidiosi a
perfidiare!... Andranno a raccontare a Siena e a Firenze, al diavolo
che li porti, che io gli ho dato il disegno; anzi peggio, che io gli
ho fatto da capo a fondo il lavoro! E ci sarà della gente che lo
crederà! Che cosa non crede, la gente? C'è anzi da maravigliare che i
bugiardi non siano più ricchi d'invenzioni, con tanta facilità che c'è
nel mondo di credere ogni cosa peggiore.--
Spinello udì il brontolio e si volse a guardare.
--Oh, maestro, siete voi? Che cosa dicevate?
--Nulla, nulla; borbottavo da me;--rispose mastro Jacopo.--Sai pure, è
il vizio dei vecchi!
--Credevo che trovaste a ridire nel mio pasticcio, e ne ero già tutto
contento.
--Contento! O perchè, se è lecito!
--Perchè voi non mi riprendete mai, mentre io sarei tanto felice di
avere i vostri consigli, le vostre ammonizioni.
--Consigli! Ammonizioni! Tu non hai mestieri nè di quelli, nè di
queste.
--Voi siete troppo buono, con me. Ma io, vedete, non son mica molto
contento de' fatti miei;--disse modestamente Spinello.--Ho una gran
paura che mi riesca un imbratto. Quando ho incominciato a mettere i
colori, mi pareva d'aver fatto una bella cosa; ma ora... ora mi sembra
una miseria. Quest'azione così povera!...
--O che volevi fare? La battaglia di Montaperti?--esclamò mastro
Jacopo, ridendo.--È un miracolo della fede, quello che tu dipingi. San
Donato ha un atteggiamento mosso, ma non da spiritato, che non ce ne
sarebbe bisogno. Egli non ha fede in sè stesso, ma nell'aiuto di Dio,
e questo lo rassicura, lo fa stare tranquillo. Il popolo, nel fondo
del quadro, cede al sentimento della paura, ed è naturale, poichè esso
non ha la fede così profonda come il Santo. Ma qui appunto è la
bellezza del contrasto. Non è forse il contrasto che tu hai voluto,
nell'ideare il tuo quadro?
--Sì, questo ho voluto, proprio questo;--rispose candidamente
Spinello.--Ma forse...il contrasto m'è venuto troppo forte, e ne
deriverà un po' di confusione nelle linee.
--Di che ti tormenti? Va bene così. La figura del Santo è nel primo
piano; la moltitudine è nel terzo, con una intonazione di colore meno
gagliarda. Ciò che cresce in movimento di linee si scema in effetto di
tinte. Non pensavi a questo, mettendoti a dipingere?
--Sì, ci ho pensato; pareva anche a me che dovesse farsi così, per
ottener la fusione delle parti.
--O allora?--gridò mastro Jacopo, appoggiando la frase con una delle
sue solite spallate. --Va pur là, ragazzo mio! Hai fatto bene, ti
dico, e crepino gli invidiosi.
--Invidiosi! perchè mi dite voi ciò? Posso io avere degli invidiosi!
--Se ne hai! Oh, se ne hai! Tre, per esempio, che schiattano di
rabbia, e se ne vanno dalla nostra bottega oggi stesso.--
Spinello, turbato dall'annunzio inatteso, lasciò di lavorare, per
volgersi tutto sul trèspolo, e chiedere con la muta eloquenza del
gesto i particolari di quella novità.
--Sicuro,--proseguì mastro Jacopo.--Ai tre manigoldi gli dava noia che
tu dipingessi a fresco nel Duomo. In che modo l'abbiano risaputo, lo
ignoro. Ma già, a tenerle nascoste, certe notizie! Insomma, ti
accusano di non esser buono a nulla, di esserti fatto fare il
bozzetto, i cartoni e tutto l'altro da me....Da me, capisci? da me,
che non ho avuto neanche da darti un consiglio. Bricconi! Ma gliel'ho
detto, io, il fatto loro. E se ne sono andati col malanno, e mi hanno
levato un gran peso dallo stomaco.
--Io spero che tra costoro non ci sarà Parri della Quercia;--balbettò
Spinello.--Egli, almeno, che ha un'aria così buona!...
--No, non c'è lui. E neanche Tuccio di Credi. Quello là non ha un
aspetto molto piacevole; ma gli è come le pere spine, brutte di fuori
e buone di dentro. I tre fannulloni insolenti, che mi levano
l'incomodo, sono il Chiacchiera, il Granacci e Lippo del Calzaiolo.
Vadano pure; io sarò lieto di non sentirne più nuova, nè canzone.--
Spinello Spinelli ripigliò il lavoro interrotto, ma più per necessità
di colorire il suo pezzo d'intonaco finchè gli era fresco, che per
voglia che n'avesse. Era mortificato, il povero giovane, vedendo che
per cagion sua il vecchio maestro perdeva tre scolari in un colpo.
Veramente, come discepoli, contavano poco; ma Jacopo dì Casentino li
adoperava utilmente come fattori, e la mancanza loro doveva farsi
sentire in bottega. Il beniamino di mastro Jacopo non si consolò di
quel danno che a mezzo, dopo aver fatto un esame di coscienza e
riconosciuto che egli non ci aveva ombra di colpa. Infatti, egli si
era sempre studiato di piacere a quei tre, come agli altri compagni di
lavoro; li aveva sempre trattati con urbanità, e più volte era giunto
perfino ad implorare la loro amicizia, con quella spontaneità di
gentilezza che è così naturale tra i giovani, ma che essi avevano
ricambiata con assai poca sollecitudine.
La bottega di mastro Jacopo era triste, quando Spinello rimise il
piede là dentro, ritornando dal Duomo. Ci mancavano le lingue meglio
snodate, le lingue dei tre fannulloni, che qualche volta facevano
perdere la pazienza al principale.
Spinello andò incontro a Parri della Quercia, che stava seduto davanti
al cavalletto, copiando una Madonnina del maestro.
--Se sapeste come sono dolente di ciò che è accaduto!--gli disse.--Ma
voi, almeno, penserete che io non ci ho colpa, non è vero?--
Parri lasciò un tratto il pennello e stese la mano al nuovo venuto;
indi brevemente rispose:
--Ci vuol pazienza!--
Non era molto, come vedete, e si poteva pensare che Parri della
Quercia mirasse a non guastarsi con nessuno. Ma quella stretta di mano
rimediava alla brevità del discorso.
Lasciato Parri al suo lavoro, Spinello andò oltre, per avvicinarsi a
Tuccio di Credi, che macinava colori in un angolo.
Tuccio non gli diede neanche il tempo di aprir bocca.
--Di che vi dato pensiero?--gli disse.--Son tre fattori che se ne
vanno; ma restiamo ancora in tre, per fare il lavoro di tutti. Non ci
sarà mica bisogno di chiudere bottega. Io, come vedete, ho già
incominciato a far la parte del Chiacchiera; anzi, fo meglio di lui,
perchè macino di più e chiacchiero meno. Credete a me, Spinello; in
questo mondo, non c'è nessuno di necessario.
--Avete ragione,--rispose Spinello;--anch'io, se permettete, vi
aiuterò. Anch'io adopero troppi colori, e non è giusto che voi
lavoriate per me. Ma in fondo in fondo,--soggiunse, tornando al primo
argomento,--mi sa male che quei poveri giovani abbiano lasciata la
bottega.
--Che! Non li compiangete troppo. Son certi arnesacci, capaci di stare
più allegri, senza di noi, che con noi. Del resto, troveranno da
allogarsi a senno loro. Una cosa dovete far voi; ridere, come essi
fanno di sicuro, in questo momento, all'osteria del Greco, bevendo il
bicchiere della staffa.
Spinello pensò che Tuccio di Credi era un buon diavolo, ad onta della
sua faccia scura. E ricordò il discorso di mastro Jacopo, che lo aveva
paragonato alle pere spine, brutte di fuori e buone di dentro.
--Quando si dice l'apparenza!--conchiuse egli tra sè.--Ecco un
giovanotto che a prima vista vi dà sui nervi: e poi egli è buono come
il pane.--


V.

"Tutta Arezzo lo sa" aveva detto il Chiacchiera. Ma tutta Arezzo non
lo sapeva ancora; bensì lo seppe, quando i tre fannulloni furono
usciti dalla bottega di mastro Jacopo ed ebbero divulgata la nuova ai
quattro punti cardinali. Spinello, il figlio di Luca Spinelli, quel
giovinotto senz'arte, era un gran pittore.... Cioè, intendiamoci, le
tre lingue tabane andavano dicendo tutt'altro: Spinello Spinelli, a
sentirle, era un pittoruccio da pochi soldi che scroccava la nomèa di
grande artista, facendosi fare il suo quadro da mastro Jacopo di
Casentino. Il vanitoso si vestiva delle penne del pavone; laonde era
giusto che fosse solennemente scorbacchiato. Ma accade di certi
vituperi, che facciano effetto contrario alle intenzioni dei
calunniatori. Rammentate che Spinello Spinelli era vissuto ignoto fino
a quel dì. Se fosse stato davvero un gran pittore, o gabellato per
tale, e qualcheduno fosse saltato fuori a dire che un altro dipingeva
ed egli ci metteva il suo nome, sicuramente la cosa sarebbe stata
creduta per intiero da molti, e per metà da tutti i restanti. Ma
nessuno sapeva ancora che Spinello Spinelli avesse mai posto il
pennello su d'un muro, e il richiamare così di schianto su lui
l'attenzione dell'universale non poteva fargli che bene.
--Già, si capisce, invidiosi!--diceva la gente, crollando il capo in
aria di compassione.--Il figliuolo di messer Luca è giovane, e ai suoi
compagni gli sa male che il pulcino rompa il guscio prima di loro. Ma
se Jacopo di Casentino gli ha dato a dipingere una delle medaglie che
erano stale allogate a lui, bisogna dire che ha stima del suo
discepolo, e come! Quanto al dipinger lui per lo scolaro, o come si
potrebbe intendere? Per danari, no certo, che gli Spinelli fanno già
molto ad accozzare il pranzo con la cena. Per un suo capriccio? La
grazia di quel capriccio, che vi fa rinunziare alla fama e ai
quattrini! E poi, che capriccio d'Egitto? Mastro Jacopo dà a Spinello
Spinelli la sua bella figliuola, un bottoncino di rosa, un occhio di
sole che non ha voluto dare neanche al Buontalenti, ad un ricco
sfondato. Sapete che lui s'era messo in capo di darla ad un pittore.
La darebbe ad un suo fattore, se questi non avesse ingegno e pratica
da stargli a paro? No, no, le son chiacchiere d'invidiosi; tenete per
fermo che questo Spinelluccio è uno sparviero nidiace, il quale ha già
messe le penne maestre e può far caccia da sè.--
Così, contro l'intenzione dei tre sparlatori, il giovinetto andò in
breve ora per le bocche di tutti, come un speranza dell'arte. Era
inoltre aretino di nascita, e questo argomento della patria, per una
volta tanto, faceva servizio. In quel risorgimento dell'arte italiana,
Arezzo non aveva ancora un pittore di vaglia che fosse nato fra le sue
mura. Quind'innanzi si avrebbe avuto lui, e si sarebbe detto: Spinello
Aretino. Che vi par poco?
Nacque in tutti una gran voglia, una voglia spasimata, una voglia
matta, di vedere il dipinto. Aspettando che fosse levata l'impalcatura
e scoperto l'affresco, s'incominciava a salutare Spinello per via,
anche senza essere in dimestichezza con lui.
--Buon dì, maestrino!--gli dicevano.--Come va l'opera vostra?
--Bene, grazie al cielo;--rispondeva il giovane facendosi tutto
rosso;--ancora otto o dieci giorni di lavoro, e si leverà il ponte. Ma
ho una gran paura di non rispondere alla vostra aspettazione. Se per
avventura mi fosse riescita una ciambella senza buco?--
E si rideva, alle scherzose parole, e gli si augurava che anche quella
riescisse, come tutte le ciambelle per bene.
Ma ciò che egli diceva per celia, temevano di buono i massari del
Duomo vecchio. Che diamine era saltato in mente a mastro Jacopo, di
commettere ad un suo fattore, novellino nell'arte, un'opera di quella
importanza, che era stata allogata a lui? Per caso, mastro Jacopo si
faceva beffe di loro? O si doveva argomentare da quel fatto che egli
per ingordigia di mestierante usasse accettar commissioni a furia, che
poi, non riuscendo a sbrigarle, doveva spartire tra i suoi pittorelli
di bottega? A buon conto non intendevano di passargli la gherminella,
e gliene muovevano rimprovero.
Ma Jacopo di Casentino aveva risposto da par suo alle osservazioni dei
massari.
--Vi ho promesso,--diceva,--di fare il meglio che sapessi. Ora, che
cosa direste, miei degni messeri, se io vi dessi per il vostro danaro
anche meglio di quello che so far io?
--Meglio!--esclamavano i massari!--Eh via.
--Sì meglio, vi ripeto. Non fo per chiasso. Spinello Spinelli è
giovane, come sapete. Ma un uomo ha forse mestieri d'invecchiare, per
farvi il suo capo d'opera? Quello è un ragazzo che vale assai, e
passerà non solo avanti a me, ma anche a molti altri.
--Si vede che ci avete fitto ii capo;--notarono facetamente i massari.
--Sì, messeri, ci ho fitto il capo. Ma credo anche di poter dire che
non fo ad ingannare nessuno. A quel giovinetto io gli concedo la mia
figliuola, con duemila fiorini del sole e tutto il resto che ella
potrà avere, quando io passerò a miglior vita, che sarà il più tardi
possibile. Volete voi, messeri onorandissimi, reputarvi in ciò più
avveduti di me?
--Mastro Jacopo, voi sapete il proverbio: ognun può far della sua
pasta gnocchi. Ma noi non ispendiamo del nostro; noi amministriamo il
denaro della comunità.
--È giusto. Ed io non vi chiederò nulla per l'opera di Spinello, se
essa non sarà tale da piacervi. S'intende,--aggiunse prontamente
mastro Jacopo, da quell'uomo prudente che egli era,--s'intende che in
tal caso faremo rastiare il muro, e voi pagherete a me il prezzo
pattuito, quando ci avrò dipinto io un'altra medaglia. Vi avverto, per
altro, che la mia non sarà punto migliore della sua.--
I massari non avevano trovato nulla a ridire in una proposta così
ragionevole. E la loro curiosità fu maggiormente stuzzicata dal tono
di sicurezza con cui egli parlava.
Dieci giorni dopo l'affresco era condotto a termine e lo si poteva
scoprire. Immaginate voi come si spargesse prontamente la notizia in
città e quanta gente accorresse a contemplare il dipinto. In Arezzo
non si parlava più d'altro.
Tolto nella notte il tavolato, nella mattina si erano levati i ponti;
indi la chiesa era stata aperta ai visitatori. Primi avevano potuto
vedere il dipinto i massari del Duomo vecchio, i canonici, il clero e
gli anziani del Comune. Dopo questi maggiorenti era entrato il popolo,
e tutti via via si erano inoltrati fin sotto l'arco della cappella,
per guardare la vòlta, dove quel valentuomo di san Donato faceva il
suo bravo miracolo con un crocione trinciato per aria.
Spinello non era presente, che non aveva ardito restar là, fatto segno
alle occhiaie curiose dei suoi cittadini, e fors'anche ai loro appunti
poco benevoli. Sapete già che egli non aveva più fede nella bontà
dell'opera sua, quando gli era toccato di spolverizzarla dai cartoni
sul muro. Figuratevi poi come dovesse parergli, quando la vide
compiuta. Ma in suo luogo era mastro Jacopo, fiero in arme come un
paladino al passaggio d'un ponte.
L'impressione fu buona, anzi ottima. Si maravigliavano che un giovane
avesse saputo far tanto. E più cresceva lo stupore, quando si veniva
ad osservare in ogni sua parte il dipinto. La composizione era
saviamente ideata e distribuita con raro giudizio. Nobilissimo
l'atteggiamento del Santo, e bene inteso. Naturalmente collegata, la
doppia azione della figura, con quella destra levata a benedire e
quella sinistra distesa indietro per accennare al suo popolo che
volesse star cheto e tranquillo. Il terrore, l'ansietà, la speranza,
erano efficacemente espressi in quei volti e in quelle mosse d'uomini
e donne che si accalcavano nel fondo del quadro. Solo alle prese col
serpente san Donato mostrava una serenità maravigliosa, giustificata
dai primi effetti della sua benedizione. La belva, così minacciosa
nell'orridezza delle forme e nel lampo degli occhi, da far rizzare i
bordoni ai riguardanti, si contorceva nello spasimo dell'agonia;
voleva ancora uccidere e si sentiva morire. Tutto ciò era reso
stupendamente, e composizione e disegno facevano onore all'artista.
Nessuno, degli intendenti, poteva dire che fosse opera di mastro
Jacopo. Si notava un fare che non era il suo, per solito più leccato e
più languido. E il colore? Bisognava vedere il colore, com'era pieno
di vaghezza e di sugo.
--Pieno, fin troppo;--aveva notato uno di quei critici che cercano il
pel nell'uovo e non disperano di trovarcelo.
--Il dipinto è ancora un po' fresco;--rispondeva un
vicino;--aspettate.
--Vuol dire che non abbiamo ancora la tinta vera;--ripigliava
quell'altro.--Come giudicarne allora? Seccando l'intonaco, non
potrebbe sbiadire il dipinto? Già nell'affresco, l'essenziale è di
conoscere il valore delle tinte. Come volete che lo conosca lui, a
vent'anni, o giù di lì?--
Ad onta di questa critica, che già voleva tirare in ballo il futuro,
l'opera di Spinello Spinelli fece un chiasso da non dirsi a parole. E
per tutto quel giorno e per altri alla fila ci fu grande concorso di
popolo nel Duomo vecchio d'Arezzo. Per giudizio universale, la città
poteva rallegrarsi; il suo pittore era nato.
Mastro Jacopo accoglieva con la sua aria burbera le congratulazioni
dei cittadini.
--Non parlate di me, che non c'entro;--rispondeva egli a coloro che
volevano riferire agli insegnamenti suoi il merito di un così valente
discepolo.--Io non gli ho insegnato quasi nulla. È venuto da me come
poteva andare da un altro, e da un altro sarebbe riescito lo stesso
che è riescito da me. L'unica differenza che io posso ammettere è
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